Omaggio a Jacques de Molay

Nota introduttiva dell’autore

Il 27 gennaio di ogni anno si celebra il “Giorno della memoria” dell’Olocausto, mentre il 10 febbraio di ogni anno si celebra il “Giorno della memoria” delle Foibe, “per non dimenticare”! E allora, perché non istituire un “Giorno della memoria” del Martirio dei Templari, “per non dimenticare”? E quale più consono giorno potrebbe essere se non il 18 marzo, ovvero il giorno (1314) del martirio sul rogo del Martire Templare per antonomasia, ovvero del Gran Maestro Jacques de Molay? Questo breve saggio storico tende proprio a questo, ovvero a mantenere vivo il ricordo del Martirio Templare. Tuttavia, il saggio non indugia sulla figura storica dei Templari, bensì su quella di Ugo Capeto, capostipite della Dinastia Capetingia e su quella del suo tardo successore, Filippo IV “Il Bello”, ovvero sul carnefice dei Templari. Ugo Capeto viene coinvolto, scomodando Dante Alighieri, poiché fondò la Dinastia Capetingia sulla base della violenza, dell’usurpazione del trono e della corruzione, che utilizzò per accattivarsi i favori necessari all’ascesa. Tutto ciò vuole significare che l’ascesa al trono di Filippo IV era già illegalmente e proditoriamente viziata a monte, ovvero alle origini dinastiche. Riferimenti vengono fatti alla decadenza della società francese durante il Regno di Filippo IV. Viene altresì riportata un’epigrafica monografia sull’Ordine Templare. Il saggio si conclude con una massima di saggezza, vergente a enfatizzare la nefandezza e l’orripilanza interiori del Bel Sovrano di Francia.
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Struttura del saggio:
I Capetingi
Ugo Capeto (987-996)
Ugo Capeto nel Purgatorio-Canto XX
Filippo IV di Francia
La Francia durante il Regno di Filippo IV Il Bello
Templari
“Omnia mea mecum porto”
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I Capetingi

Genealogia reale francese che, fraudolentemente, succedette ai Carolingi, succeduti ai Merovingi, sul trono di Francia. Mutuò l’appellativo da Ugo Capeto (così soprannominato a causa del piccolo mantello con cappuccio, in francese “cape”, che era solito indossare), Monarca di Francia nella fase conclusiva del secolo decimo, proclamato Re a Noyon, il 3 luglio 987. Dante lo citò nel “Purgatorio” con il nome di “Ugo Ciapetta”. A Ugo Capeto seguirono sul trono, in linea retta, per finire con Carlo IV Il Bello, deceduto nel 1328, quattordici Monarchi. Partendo dal fulcro primigenio della loro potenza, l’Ile-de-France, ebbero il nefando magistero, progressivamente, usurpando e prevaricando su un cospicuo numero di nobili, principi e sovrani dell’epoca, di allargare il loro influsso su porzioni sempre più vaste della regione francese (precipuamente nel sud della Francia, a grave danno dei regni formatisi con lo sfaldamento dell’Impero Carolingio) e di organizzare aggressioni esterne a quest’area. Nondimeno, al di là della conquista di ulteriori territori, l’operato dei Capetingi si identificò nella strutturazione della monarchia francese, che essi corroborarono e consolidarono, …

(in questa logica essi potenziarono cospicuamente l’autorità regia in Francia, dogmatizzando i principi di ereditarietà maschile della successione al trono, di primogenitura e d’indivisibilità dei territori del regno)

…non soltanto militarmente e fiscalmente, ma pure e, soprattutto, nella direzione di un’ideologia fortemente autocratica e cinicamente negligente dei diritti altrui. I Capetingi furono, invero, i più tetragoni fautori del concetto d’intangibilità del potere monarchico e dell’immedesimazione della nazione con il suo stesso monarca. I Capetingi, pressoché arrogandosi diritti teocratici, ascrissero al loro potere uno stigma ierocratico, compendiato nei motti: “Re Cristianissmo” o “Per Grazia di Dio” (sec. XIV). A partire dal XII secolo, postularono l’assunto del “Re Imperatore nel suo Regno”, assunto che rappresentò la “condicio sine qua non” ideologica per l’evoluzione di una monolitica monarchia nazionale. Le numerose propaggini della famiglia e il sistema degli utilitaristici e subdoli “Matrimoni di Stato”, permise ai Capetingi di allogare, su vari troni europei, epigoni…

(Angiò, Borgogna, Borbone, Condé, Longueville, Orléans, Valois)

…del proprio Casato, epigoni con i quali, tra l’altro, si trovarono sovente in forte attrito. I Capetingi giunsero fino all’Impero di Costantinopoli. Ai Capetingi, per via indiretta, succedettero prima i Valois e poi i Borbone.

Molte fonti e tradizioni storiografiche parlano di “cupidigia” della stirpe capetingia e, soprattutto, degli ultimi rappresentanti. Una virulenta sferzata alla politica della Dinastia Capetingia fu data da Luigi VI (1108-1137), il quale ricusò qualsiasi dialettica con il sistema feudale, anzi soffocandone con la violenza qualsiasi opposizione, con selvaggio spirito e brutale astuzia. A far seguito dall’assimilazione della Provenza, arrecata come dote nel 1245 da Beatrice a Carlo D’Angiò, il quale la unì al Regno di Napoli, cominciarono una sequela di annessioni, ottenute con le armi o con l’imbroglio, nella logica di una fausta, ma bieca strategia di unificazione interna e di dilatazione esterna. Alle inique e fraudolente annessioni si addizionarono ulteriori crimini tra cui, molto importanti: la condanna a morte di Corradino di Svevia, l’assassinio di San Tommaso D’Aquino, lo “Schiaffo di Anagni”, lo scioglimento dell’Ordine dei Templari. Episodi, questi, tutti ripetutamente rammentati e citati da Dante.
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Ugo Capeto (987-996)

Deceduto Lodovico V, ultimo Re Carolingio (967-987), Ugo Capeto, con denaro e corruzione, si procurò consenso dispensando terre ai suoi elettori. Sebbene la Nobiltà Francese non fosse, in un primo momento, intenzionata a sostenere la creazione di una dinastia capetingia, Ugo si valse a imporre la sua autorità e a far incoronare co – reggente suo figlio, Roberto II. I Capetingi si garantirono, in questo modo, la successione alla corona, per discendenza maschile, per più di tre secoli (987-1328), ovvero per diritto ereditario e non per diritto di elezione. Iniziò così una serie ininterrotta di Re appartenenti alla medesima genealogia. Quando Ugo Capeto fu eletto, a Senlis, dall’Assemblea dei prezzolati Feudatari, l’Arcivescovo di Reims, Adalbertone, che presenziò e avallò, sanzionò palesemente che la Corona di Francia era elettiva, come in Germania. Tuttavia, mentre in Germania rimase elettiva, in Francia i Capetingi procurarono ben presto l’insorgere del principio che il Re “non muore” e che il suo potere passa “ipso iure” al figlio. Dante Alighieri asserisce che Lodovico V fu “renduto in panni bigi” (Pg. XX, 54), ovvero che l’ultimo dei “li regi antichi”, ovvero dei Carolingi, fu costretto coattivamente a ritirarsi nella clausura di un chiostro. In altri termini “fu fatto prigioniero”. Altresì Dante fa risalire Ugo Capeto a un’umile origine e asserisce che era figlio di un ricchissimo mercante di bestiame, i cui soldi servirono a corrompere i feudatari e a comprare il loro appoggio. De facto, Dante accusa Ugo Capeto (che nella Divina Commedia colloca, disteso bocconi e legato, nel V Girone, ovvero tra i prodighi e gli avari) di usurpare il trono: “Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi” (Pg. XX, 52). Tuttavia, non lo condanna tanto per aver usurpato il trono, quanto per aver dato origine a una dinastia scellerata.
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Ugo Capeto nel Purgatorio
Canto XX

Sollecitato da Papa Adriano V (dei Fieschi), molto cautamente, Dante, pressoché sulla punta dei piedi, transita per il quinto terrazzamento della montagna, facendo attenzione a non pigiare l’umano manto dei prodighi e degli avari (bocconi a terra e legati), allorché il grido di una larva, mescolato tra i singulti, lo induce ad arrestare il suo incedere. Versa lacrime amare quella larva, finora anonima, che adesso, ancor più singultando, proferisce due paradigmi della virtù antitetica al suo vizio. Quel grido, quella voce, dopo aver verbalmente e severamente attaccato il peccato capitale dell’avarizia, origine di tanta iniquità, rammenta, ancor piangendo, tre esempi, due di povertà e uno di generosità, ovvero: quello di Maria che diede alla luce Gesù, quello del Console Romano Fabrizio che non si lasciò corrompere dalle ricchezze offerte dal nemico e quello di San Nicola, Vescovo di Bari, che salvò tre fanciulle dal meretricio. Dante, quindi, si rivolge alla sconosciuta anima, per conoscerla. Quel grido, quella implorazione altro non sono che l’impetrazione patetica di Ugo Capeto, progenitore della genealogia dei Reali di Francia, che costituisce l’incipit del canto XX del Purgatorio. Quindi il dolore si frammischia alla collera, man mano che il “proto – capetingio” enuclea le fasi trucemente salienti della sua bieca schiatta, che egli stesso, con una requisitoria, condanna per la brama di potere e di ricchezza, per la frode e la violenza, per la prevaricazione realizzate. Ugo Capeto cita quindi Carlo D’Angiò (che provocò la morte di Corradino di Svevia e di San Tommaso D’Aquino), Carlo di Valois (che ebbe un ruolo topico nel fomentare l’uso delle armi e l’anarchia in Firenze), Carlo II D’Angiò (che mandò in moglie l’ancor giovanissima figlia Beatrice ad Azzo VIII D’Este, in cambio di una somma di denaro), arrivando a Filippo Il Bello, mandante del delitto di “lesa maestà” nei confronti di Papa Bonifacio VIII (fatto ascritto negli annali di Storia come “Lo schiaffo di Anagni”), nonché mandante dell’efferato delitto di persecuzione e scioglimento dell’Ordine dei Templari. Il biasimo per la violenza e l’avidità che Ugo Capeto indirizza al suo postero e successore Filippo IV, è, ovviamente, musica per le orecchie del fiorentin, nel Purgatorio, itinerante Vate. Ugo Capeto si rivolge ancora a Dante, dicendogli che le anime dei prodighi e degli avari recitano di giorno esempi di povertà e di generosità e di notte, invece, ricordano personaggi che sono stati negativamente famosi a causa di prodigalità e avarizia: Crasso, Polimestere, Pigmalione, Mida, Acan, Anania, Satira, Eliodoro…
Dante e la sua guida, Virgilio, si son or ora allontanati da Ugo Capeto, allorché il primo ode:
“come cosa che cada/tremar lo monte; onde mi prese un gelo/qual prender suol colui ch’a morte vada”
La montagna del Purgatorio è quindi violentemente scrollata da un sisma, intanto che le anime di tutte le cornici intonano in coro “Gloria in excelsis Deo”. I due poeti si bloccano e restano immobili e sospesi. Quindi riprendono la loro marcia. Dante vorrebbe sapere il perché di quel terremoto, ma non ha l’ardire di domandarlo a Virgilio. Più tardi saprà che un’anima ha finito di espiare in Purgatorio ed è ascesa al Paradiso. Vale a dire che il fenomeno si ripete ogni volta che quest’ultimo evento si verifica.
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Filippo IV di Francia
(Filippo Il Bello “Le Bel” “Capeto”)
(Fontainebleau, 1268-Fontainebleau, 29 novembre 1314)

Filippo salì al trono di Francia a 17 anni, alla morte del padre, nel 1285 e regnò fino alla sua morte. Rampollo della genealogia dei Capetingi, Filippo vide i propri natali nel Palazzo di Fontainebleau. Nipote di Luigi IX, figlio del Re Filippo III L’Ardito (o “L’Audace”) e d’Isabella D’Aragona. Fratello di Carlo di Valois. Filippo fu soprannominato “Il Bello” per il suo avvenente aspetto. Regio enfant gaté, già nella sua adolescenza manifestò cospicui prodromi di crudeltà, egoismo e cinismo. Come Re, Filippo, consacrò una larga porzione della sua esistenza a un’azione di assestamento e di potenziamento della monarchia, che lo portò ad avviare un’opinabile e controversa struttura burocratica, che defilava, invero, una vigorosa, tetragona e adamantina autocrazia. Un anno prima di ascendere al trono, Filippo sposò Giovanna I, Regina di Navarra. Era il 16 agosto 1284. Connubio, questo, estremamente topico in ambito territoriale, considerando che Giovanna, tra l’altro, era pure Contessa di, ovvero regnava anche su Champagne e Brie, regioni contigue all’Ile-de-France, che si fusero ai possedimenti del Capetingio Monarca, con il risultato di un immenso regno. Filippo, con spregiudicato e individualistico utilitarismo, dilatò in questo modo, rapidamente, a dismisura e gratuitamente, i domini capetingi. Filippo assunse allora il titolo di Re di Francia e di Navarra, fino al 1304, anno in cui Giovanna morì. Da Giovanna ebbe quattro figli: Isabella (la “Lupa di Francia”), Luigi X (Il Litigioso), Filippo V (Il Lungo) e Carlo IV (Il Bello). Il Regno di Francia era, all’epoca dell’ascesa al trono di Filippo IV, assai prospero e vi abitava un terzo della Cristianità Latina, ovvero dai 13 ai 15 milioni di persone. Il novello Re, coadiuvato da un entourage di mentori esperti di diritto (i giuristi), fu il primo sovrano moderno di uno Stato forte e centralizzato. Nondimeno, diverse riforme fallirono. Nell’utopia di controllare il proprio Regno nella sua vastità, il Re non fu capace di gestire con equilibrio le imposte dirette e/o di riorganizzare un’amministrazione ben funzionante. Già nel 1285, vale a dire non appena salì al trono, Filippo si prodigò nella lacerante ed esosa guerra contro l’Aragona (conflitto che aveva prodotto la morte del padre, nel 1291), in sostegno degli Angioini dell’Italia Meridionale, pesantemente e pericolosamente coinvolti nella “Guerra del Vespro” (1282-1303). Il conflitto contro gli Aragonesi si protrasse per un decennio e terminò con il Trattato di Anagni (1295), in virtù dell’imprescindibile e determinante azione diplomatica di Papa Bonifacio VIII. Nel triennio 1294-1296, Filippo occupò con le armi, ovvero violandone i diritti territoriali, la Guienna o “Guyenne” (una delle precipue ragioni di frizione con Edoardo I d’Inghilterra), il Barrois, Lion Viviers. Nel 1296, avendo già inferto un duro colpo agli Ebrei per far fibrillare e per tonificare la languente economia francese, in una congiuntura negativa per il rinnovamento politico delle strutture del regno e avendo istanza di capitali per la guerra contro Edoardo I, Filippo deliberò, unilateralmente e monocraticamente, l’imposizione di una tassa straordinaria, anche al Clero, ovvero ingiunse un contributo alla Chiesa francese, provocando, così, una prima diatriba con Roma, esulceratasi nel 1301, per l’arrogazione del diritto di giudicare un Vescovo. (*01)

Il 25 febbraio 1296, Papa Bonifacio VIII replicò alla decisione di Filippo con la bolla“ Clericis laicos”. Con questa bolla il Papa inibì al Clero francese di erogare tasse al Sovrano, ovvero a un’istituzione laica, senza il previo placet pontificio. La bolla reiterava, vieppiù, l’egemonia del potere spirituale su quello temporale e contemplava scomuniche per quei laici che, d’ufficio e coattivamente, avessero reclamato dal Clero l’esazione d’indebite imposte. Di fatto, la ricusazione del Clero di Aquitania a qualsivoglia metodo di contribuzione a favore della guerra contro gli Inglesi, diede l’aire al conflitto contro il Papato. Il 17 agosto 1296, Filippo precluse ogni invio di oro e di argento verso Roma, ovvero verso lo Stato della Chiesa. In un primo momento Papa Bonifacio controbatté con la bolla “Ineffabilis amoris”, quindi, paventando rappresaglie, nel 1297, la revocò. Non meno critico, prostrante ed esoso della “Guerra Aragonese”, fu l’attrito con Edoardo I d’Inghilterra (alleato dei Conti di Fiandra), che raggiunse il parossismo, ovvero divenne conflitto aperto nel 1294. Questo conflitto vide il proprio epilogo nel 1298, per virtù dell’intercessione spirituale di Papa Bonifacio VIII (Trattato di Montreuil 1299, siglato da Filippo Il Bello e da Guy, Conte di Fiandra). Nel corso di questa guerra, nel 1297, per castigare i Dampierre (*02), …

(*02) Famiglia francese che ebbe tra i suoi maggiori esponenti GUY (1225-1305), Conte di Fiandra, che combatté contro Filippo Il Bello (da quest’ultimo proditoriamente e abiettamente attirato in trappola a Parigi nel 1300, dopo la firma del Trattato di Montreuil, imprigionato, esautorato e sostituito da un governatore d nomina reale), sostenuto da Edoardo I d’Inghilterra. Guy, con il bieco inganno, fu sopraffatto e i suoi possedimenti furono coattamente e illegalmente fagocitati dall’avida Corona francese, sia pure per un esiguo lasso di tempo.

…alleati di Edoardo I, il Bel Capeto invase le Fiandre, occupandole e usurpandole con inquietanti prepotenze, nonché con asprissimi e vergognosissimi abusi di potere, il che egli continuò a fare anche altrove, al fine di procacciarsi i capitali e i mezzi inderogabili per condurre le proprie imprese di violazione dei diritti dei popoli. Nondimeno, a posteriori del citato Trattato di Montreuil, per quel che concerne l’Inghilterra, si trattò di una situazione di stand-by, la quale approdò a un’apprezzabile normalizzazione nel 1308, grazie al regal imeneo tra Edoardo II d’Inghilterra e la figlia di Filippo IV, Isabella di Francia. Papa Bonifacio VIII aveva auspicato questo matrimonio già nel 1298. Tuttavia, illo tempore, non se ne fece nulla a cagione del veto di Edoardo I, il quale trapassò nel 1307 lasciando, di fatto, via libera alle nozze. Tra il Trattato di Montreuil (1299) e le nozze tra Edoardo II e Isabella di Francia (1308), contro la Francia, a questo punto prostrata e lacerata dal conflitto, si sollevarono in armi le Fiandre, le cui milizie urbane infersero a Filippo una storica e catastrofica débacle a Courtrai (Battaglia “Degli Speroni d’oro” “Guldensporenslag”-Piana di Groninga-Kortriyk-Fiandra, 11 luglio 1302). Molto presto, nell’umida bruma, nella fioca luce dell’alba incipiente, di quel 18 maggio 1302, i Fiamminghi, a Bruges, massacrarono 3.000 soldati francesi, innocenti vittime della crudele ambizione e della famelica cupidigia del loro stesso, scellerato Sovrano. Nondimeno, il Barbaro Capetingio (perché questa è la sua schiatta) cinicamente gioì di una sua vanitosa, superba, orgogliosa rivincita, guidando personalmente la cruentissima battaglia di Mons.en-Pucelle/Pélève (1304), a cui seguì il Trattato di Athis-sur-Orge (1305), in virtù del quale il Capetingio si annetté le città di Bèthune, Lilla e Douai. Furono barbaramente trucidati 80.000 Fiamminghi, che si immolarono stoicamente, sublimando il loro martirio per la libertà, l’autonomia, i diritti e l’onore della propria gente.

(*01) October 1301.
Sotto il Nobile Pierre Flotte (^) (caduto combattendo contro i Fiamminghi), Giurisperito, Guardasigilli e Gran Cancelliere di Filippo IV, …

(^) Pierre Flotte fece spesso riferimento al “legum doctor” Azzone da Bologna “1150-1225”, uno dei più grandi giuristi-glossatori medioevali, ovvero fece spesso riferimento al suo principio “rex in regno suo est imperator”, al fine di costituire il pilastro fondamentale per lo Stato moderno di Francia. Parimenti e per lo stesso motivo, fece riferimento anche al Domenicano, giurista e filosofo, Jean de Paris “Paris 1260-Bordeaux 1306”, il quale ricusava qualsiasi vassallaggio del Sovrano al potere temporale del Papa e prefigurava il conferimento al Sovrano di poteri anche in materia religiosa.

…lavorava un partito antiguelfo, con il quale collaborarono i fuoriusciti Colonna. Riesplosero i dissidi sulle immunità ecclesiastiche. Le difficoltà economiche della Francia furono l’incontrovertibile motivo della tenzone tra Filippo IV e Papa Bonifacio VIII (Bonifacio in questo anno fondò l’Università di Avignone), tenzone che si esacerbò quando Filippo fece arrestare il legato pontificio, il Vescovo di Senlis Pamiers, Bernard Saisset, tacciandolo di eresia e tradimento. Bonifacio VIII intervenne nelle questioni interne francesi, richiamando a Roma i vescovi gallicani, gli abati, i canonisti, i rappresentanti dei capitoli (ante promotionem nostram, 5 dicembre 1301). Nella bolla sincrona “Ausculta Fili…” stigmatizzò il rivale, avvertendolo: “…extra ecclesiam, nemo salvatur. Constituit Nos Deus super reges et regna”! Nell’entourage di Pierre Flotte esercitava Pierre Du Blois, Normanno, avvocato reale a Coutances, politologo, protopubblicista, autore di una « Summaria brevis et compendiosa doctrina felicis expeditionis guerrarum ac litium regni Francorum”, databile al 1300. Du Blois aveva in mente la “Monarchia Universale Francese”. Primo passo: Sua Maestà rimuova il Pontefice dagli Stati romani; rivolga i suoi interessi alla pingue Lombardia; alloghi Suo fratello Carlo di Valois (*03) sul trono costantinopolitano, facendogli impalmare l’ereditiera; …

(*03) Carlo di Valois, Conte di Valois dal 1286, Conte di Angiò e del Maine dal 1290, Conte di Alençon dal 1291 e Conte di Chartres dal 1293 fino alla sua morte. Fu inoltre Imperatore consorte titolare dell’Impero Romano d’Oriente dal 1301 al 1308 e Re titolare d’Aragona dal 1283 al 1295. Nel 1283 il tredicenne Carlo fu designato da Papa Martino IV a succedere sul trono di Aragona, a Pietro III d’Aragona, esautorato e colpito da scomunica quello stesso anno. Nel 1290 il matrimonio con Margherita d’Angiò gli permise di entrare in possesso delle Contee d’Angiò e del Maine, costituenti le doti della moglie. Carlo, dopo poco tempo, prese in moglie Caterina di Courtnay, figlia di Filippo I di Courtnay (a sua volta figlio dell’ultimo Imperatore Latino di Costantinopoli, Baldovino II), cercando una rapida corsia preferenziale verso il trono dell’Impero Romano d’Oriente, potendo Caterina rivendicarne i diritti. Durante la guerra che si stava aspramente combattendo in Sicilia, tra Aragonesi e Angioini, il Papa Bonifacio VIII si valse a sensibilizzare il Re di Francia, Filippo Il Bello che, nel 1301, inviò un esercito al comando del fratello Carlo di Valois. Carlo, giunto in Italia col suo esercito, intervenne a Firenze nel tentativo, almeno ufficialmente, di riportare la pace tra i Guelfi Bianchi e Neri. Egli favorì i Neri, mettendo al bando i Bianchi dalla città (tra questi Dante) nel 1301. Carlo, poi, novello, truculento Attila, bruciando, depredando e saccheggiando, proseguì la marcia verso la Sicilia con un palese piano di conquista, ma la malaria e la paura di un attacco da parte del Re Aragonese di Sicilia, Federico, lo fecero abdicare al suo intento. Carlo di Valois intervenne ancora in Italia, nel 1308, quando, alleato di Venezia, si trovò coinvolto nella lotta di successione del Marchesato di Ferrara, dopo la morte del Marchese Azzo VIII d’Este.

…soccorra il cugino Alfonso de la Cerda, mirando agli insediamenti spagnoli; guardi all’Ungheria e alla Germania (*04); …

(*04) Carlo di Valois, con il patrocinio del fratello Filippo Il Bello, nella loro nefanda e comune logica di espansione territoriale, di usurpazione e di conquista, tentò di raggiungere il Soglio Imperiale d’Asburgo, sia dopo l’assassinio di Alberto I (1308) sia dopo la morte di Arrigo VII (1313), ma non vi riuscì.

…all’interno acquisisca il monopolio reale sulle giurisdizioni “usurpate” dalla Chiesa. Basta non paventare anatemi. Si riporti la Casa di Lussemburgo sul trono imperiale (*05); …

(*05) Secondo questo piano il Regno di Arles doveva essere donato a Carlo di Valois, ma il Re di Napoli e Conte di Provenza, Roberto Il Saggio, fece, per fortuna, abortire il piano.

…si mantenga l’ordine nella Fiandra (*06).

(*06) Carlo di Valois morì nel 1325, anno in cui aveva guidato l’esercito per reprimere ferocemente nel sangue alcune sedizioni, proprio nell’irredentista Fiandra.

Alla bolla “Ausculta fili…” Filippo Il Bello replicò convocando (1302) gli Stati Generali (Clero, Nobiltà e Borghesia) nella chiesa di Notre-Dame di Parigi, dove fu letta la dichiarazione d’indipendenza della Francia e dei suoi Re al cospetto del potere spirituale. Anche il Clero francese votò a favore del Re. Per quel che concerne Bonifacio VIII, egli, con la notissima bolla “Unam Sanctam” del 1302, riaffermò l’assunto dell’egemonia della Chiesa sul potere civile. Filippo IV, scomunicato (1303), si oppose con efferata risolutezza e reagì postulando un processo per eresia e per infirmare l’elezione di Bonifacio VIII, ovvero inviando il suo machiavellico Longa Manus, il Cancelliere Guglielmo di Nogaret a Roma, a capo di alcuni soldati, per intimare al Pontefice, con la complicità del sordido Sciarra Colonna, di revocare la bolla pontificia “Super Petri Solio” che conteneva la scomunica. Il Papa fu sorpreso ad Anagni e, catturato coattivamente (*07) “Schiaffo di Anagni”, fu recluso nel profanato Palazzo di Anagni. I due sacrileghi aguzzini cercarono di costringerlo, oltre che ad abiurare la bolla, anche ad abdicare. L’episodio fu risolto da una sedizione popolare degli indignati e inferociti cittadini di Anagni, che liberarono Bonifacio VIII. …

(*07) Lo “Schiaffo di Anagni”, talvolta citato anche come “Oltraggio di Anagni”, è un episodio occorso nella cittadina laziale il 7 settembre 1303. Si tratta, invero, di uno schiaffo materialmente dato dall’empio Sciarra Colonna all’anziano e inerme Pontefice, Bonifacio VIII. L’oltraggio riempì di sdegno anche molti avversari della politica di Papa Bonifacio VIII, come Dante Alighieri, che considerò l’irriverenza come rivolta a Cristo stesso. L’episodio fu cantato da Dante nella sua Divina Commedia: Purgatorio, XX, 85-90:

“Perché men paia il mal futuro e ‘l fatto,
veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
e nel vicario suo Cristo esser catto.
Veggiolo un’altra volta esser deriso;
veggio rinovellar l’aceto e ‘l fele
e tra vivi ladroni esser inciso.”

Dante estrinsecò sempre una pesantissima valutazione sia sull’aspetto etico sia sul comportamento politico di Filippo IV, che, per immane dispregio, non menzionò mai nella Commedia con il suo nome, ma esclusivamente con l’interminabile teoria dei suoi “peccati”. Lo descrisse come “novo Pilato” (Pg. Xx, 91), poiché, come Pilato si lavò le mani della condanna di Cristo, nello stesso modo Filippo ebbe l’impertinenza di professarsi alieno dall’infamia di Anagni.

…Nel 1303, morto Bonifacio VIII, Filippo IV impose il proprio controllo sul Papato e non trovò resistenza nella persona del Papa successore, Benedetto XI, il quale cassò tutte le scomuniche del suo predecessore. Il 2 aprile 1305, nel castello di Vincennes, morì la Regina Giovanna I di Navarra, moglie di Filippo IV il Vescovo di Troyes, Guichard, venne ignobilmente tacciato di aver fatto morire la Regina con la stregoneria e il sortilegio. Morto anche Benedetto XI (viene lecito chiedersi se Bonifacio e Benedetto non siano stati “aiutati” a morire), Filippo IV si adoperò con gran magistero per far eleggere Papa un francese, l’Arcivescovo di Bordeaux, Bertrand de Got, Clemente V, che, nel 1309, assecondando l’istanza del Tiranno di Francia, trasferì la Santa Sede, ovvero la Curia, ad Avignone. Iniziò così la “Cattività di Babilonia”. Il Pontefice perse gran parte della sua autorità, divenendo uno strumento passivo della Francia, così da esser tratteggiato come “Cappellano del Re di Francia”! Dante Alighieri, nella sua Divina Commedia, in seno a una celebrazione nel Paradiso Terrestre pregna di allegorie, velatamente descrisse Filippo come “gigante” che “delinque” con la Curia, con patente antifona ai mutui privilegi, di diversa natura, formalizzati tra la Curia del Francese Clemente V e la Monarchia di Francia (Pg. XXXIII, 45). Filippo si valse a ottenere la revoca parziale della Bolla “Unam Sanctam” e l’istituzione di un processo post-mortem a Bonifacio VIII (mai portato a termine). Continuamente costretto a far fronte a ingenti spese, Filippo IV pensò di rifarsi alterando le monete (Maltote), perseguitando (1306 e 1311) gli Ebrei e i Lombardi (Mercanti Italiani) e inglobando illecitamente gran parte dei beni del ricchissimo Ordine dei Templari, di cui era fortemente debitore. Il potentissimo Ordine dei Templari, che aveva precedentemente respinto una domanda di ammissione all’Ordine presentata dal “postulante” Filippo IV Il Bello, fu oggetto di detrazioni, di accuse false e travisate, ovvero di accuse di empietà. Contro questi ultimi, particolarmente, Clemente V, “il Papa non Papa”, fu lo strumento di cui Filippo Il Bello si servì per porli sotto accusa nel 1312 e per poi destituirli dei loro patrimoni nel 1314. Alcuni dei Capi Templari, mendacemente tacciati di stregoneria e d’idolatria, furono mandati al patibolo, con il placet di Clemente V, in particolare il Gran Maestro Jacques de Molay, nel 1314. Nella Divina Commedia, Dante Alighieri adombrò Filippo IV come colui il quale introdusse “senza decreto, /nel tempio le cupide vele” (Pg. XX, 91-93), il quale, vale a dire, anticipando, dolosamente e motu proprio, il decreto apostolico del 1312, unico atto che potesse legalmente sancire (ferma restando la strumentalizzazione di potere) lo scioglimento dell’Ordine dei Templari, ordinò le sevizie e il massacro di un vastissimo numero di Cavalieri, ovvero l’arresto e la taccia di eresia financo del già citato Gran Maestro Jaques de Molay e la conseguente confisca-depredazione dei beni templari. Lo scandalo che coinvolse le nuore di Filippo IV, detto “de la tour de Nesle”, tacciate di adulterio, deflagrò nello stesso anno e incise segnatamente l’epilogo del turpe regno dello stesso Filippo. Gli amanti furono giustiziati. Filippo morì il 29 novembre 1314, nel corso di una battuta di caccia (*08) (secondo alcuni Storici, invece, a causa di una grave malattia sconosciuta) e fu seppellito nella Necropoli Reale della Basilica di Saint-Denis, dov’è conservato tutt’oggi un suo sarcofago. Gli succedette il figlio Luigi X di Francia.

(*08) In alcuni versi del “Pd. XIX, 118-120”, Dante riportò l’accusa contro Filippo IV di coniare falsa moneta, vale a dire di far coniare monete d’oro con un titolo più basso di quello dichiarato (mistificatoria istanza derivante dalle cospicue spese sostenute nella guerra contro le Fiandre). Nello stesso contesto Dante riportò la dinamica della morte di Filippo, caricato da “…colpo di cotenna”.
La “cotenna” è la pelle del cinghiale e, per estensione semantica, il cinghiale stesso. Filippo, tuttavia, non ebbe pace neanche da morto, poiché durante la Rivoluzione Francese, a evidenziare l’odio del suo stesso popolo, alcuni sconosciuti si introdussero in Saint Denis, tempio parigino, i quali si recarono alla tomba che racchiudeva il sarcofago del Sovrano, riesumarono i resti e li scaraventarono con disprezzo in una fossa, chiudendola poi con della calce.

“Lì si vedrà il duol che sovra Senna
induce, falseggiando la moneta,
quel che morrà di colpo di cotenna.”
*
La Francia durante il Regno di Filippo IV Il Bello

«Qui ventum seminabunt et turbinem metent »
Proverbio relazionato a Osea, Profeta Ebraico (Cap. VII v.7-Libro di Osea)
Osea intende rammentare a chi fa del male, che riceverà in cambio un male maggiore.

Filippo Il Bello regnò dal 1285 al 1314, ne consegue che l’anno centrale del suo regno fu il 1300. Come già enunciato, Filippo ereditò un Regno assai prospero, ma, appena salì al trono, la situazione generale iniziò a degenerare. Tale degenerazione subì una catalizzazione proprio a partire dal 1300. L’etica, durante questo periodo, fu caratterizzata da una degradazione globale. Degenerazione dei costumi, adulterio, frode e cattiveria erano molto estesi tra i ceti più elevati della società. Nei ceti meno abbienti, anzi popolari, era comunissimo trovare contraffattori, lestofanti, profittatori, clochard, nomadi, che durante il giorno popolavano le vie urbane, ma che, durante la notte, a Parigi, trovavano ostello nel nascente Astro della Corte dei Miracoli. “La Cour des Miracles” era il vetusto quartiere circoscritto da « Rue du Caire » e da « Rue Réaumur », oggi Secondo Arrondissement. I lestofanti e i clochard si impadronirono di questo quartiere e assunsero il vezzo di nominarne un Monarca. “La Cour” fu definita “des miracles”, poiché le fasulle invalidità e malattie dei clochard, qui, di notte, taumaturgicamente guarivano. In questo luogo di menzogna, di abietti tradimenti, di assassinii e di spergiuri di ogni sorta, ovvero in questo luogo dove l’uomo dimostrò di aver smarrito ogni sentimento morale, in questo luogo i gitani ammaliavano gli “indigeni” con prestigi e sortilegi, tentando, in questo modo, di procacciarsi qualcosa per campare e, sovente, depredando e turlupinando i malcapitati. La Corte dei Miracoli, un posto torvamente arcano, dove si rifugiavano le peggiori risme di manigoldi. La Corte dei Miracoli: un grande melodramma dove collidevano le forze del bene e del male. La pedicazione era divenuta costume diffuso e consolidato, parimenti al meretricio e all’infedeltà coniugale. Era divenuta una prassi ormai conclamata, ovvero una consuetudine, la realtà che Dignitari di Corte, uomini e/o donne, a qualsiasi livello, avessero amanti. I legami matrimoniali rientravano nella logica delle questioni di Stato e, per quanto riguarda l’amore e il sesso, ci si poteva indirizzare altrove. Le Donne di Corte non erano inferiori, in questo, ai loro consorti. Le Dame, invero, giungevano a farsi formalmente vanto delle loro tresche erotiche. Anche il Clero, in compagnia della Classe dei Mercanti, svolgeva un ruolo notevole in questo senso. Nel 1301 apparve una cometa, contemplata come foriera di terribili sventure. Nel 1313 un’immane carestia flagellò la Francia. Nel 1314, anno della soppressione dell’Ordine dei Templari e della morte sulla pira del loro Gran Maestro Jacques de Molay, esplosero gravissime pandemie di dissenteria. Le campagne si svuotarono delle loro popolazioni e si gremirono di arbusti, rovi, ovvero divennero selvaggiamente brulle e incolte. Altresì si disseminarono di carogne di animali morti. Le strade rurali, ancor più di quelle urbane, erano divenute insicure e vi regnava la violenza, ovvero gli istinti selvaggi vi lasciavano adito a rapina e sangue. Iniziò la peste, la quale raggiunse il parossismo nel 1320-1321. Di ciò vennero accusati gli Ebrei e i lebbrosi, molti dei quali arsi vivi. Il 1314 si concluse, 29 novembre, con la morte dell’abietto tiranno: Filippo IV Il Bello, proprio poco dopo la morte di Nogaret e di Clemente V. Il 1315 iniziò con piogge torrenziali e tempeste, talmente cospicue che i più pensarono a un imminente Diluvio Universale. La carestia si accentuò e si arrivò persino a casi di antropofagia. Nel 1316 morì il primo dei figli di Filippo IV, Luigi X, dopo soli due anni di regno. Il breve regno di Luigi X non fu particolarmente degno di nota. Questo esiguo periodo fu contrassegnato dall’incessante agone tra le fazioni nobili. Tutto lasciò e lascia pensare al verificarsi del vaticinio proferito sul rogo dal morente Gran Maestro Jacques de Molay, il quale profetizzò che poco dopo la sua morte sia Filippo sia i suoi discendenti lo avrebbero seguito nella tomba: ET FACTUM EST!
Come già enunciato, la Francia, in questo periodo, si era trasformata in una «Sodoma e Gomorra»! Volendo assumere come incontrovertibile postulato il motto latino “Caput imperare, non pedes!” (E’la testa a comandare, non i piedi), va ricercato in Filippo IV Il Bello il maggiore, se non l’unico responsabile di questa dolorosa e travagliata fase storica, nonché delle sue conseguenze. Secondo La Bibbia, Dio distrusse Sodoma e Gomorra a causa della corruzione dei costumi delle loro popolazioni (Genesi-19). “Sodoma e Gomorra” è divenuta un’espressione il cui significato allegorico è: “sodomia, omosessualità, corruzione, decadimento morale e umano.” Proprio ciò che occorse nella Francia “Filippina”. Fu proprio un Poeta Francese nel XIX secolo, Alfred de Vigny, nella poesia “La colère de Samson”, a darne una parziale definizione: “La Femme aura Gomorrhe/ et l’Homme aura Sodome” (La donna avrà Gomorra *lesbismo* e l’uomo avrà Sodoma *pedicazione*). Filippo IV Il Bello, verosimilmente, aveva commesso un grande errore: Si era rinchiuso nella sua “Turris Eburnea”, ovvero nel “Misoneismo”! Misoneismo intriso di vanità, presunzione, orgoglio, egoismo, a tal punto da non comprendere che stava sfidando e profanando “Il Sacro” e “L’Intangibile”, ovvero “Il Vicario di Cristo in Terra” ed “I Drudi del Santo Sepolcro in Terra Santa”!
*
Templari

I Templari (alle origini vi fu un piccolo gruppo di Cavalieri in quel di Gerusalemme “1118”), furono Cavalieri dell’Ordine Religioso-Militare del Tempio, ufficialmente istituito da Ugo Di Payns nel 1119, a Gerusalemme, con l’obiettivo di presidiare i Luoghi Santi e di assicurare l’incolumità dei Fedeli Cristiani che si recavano in pellegrinaggio al Santo Sepolcro, conquistato dai Crociati. Come Ordine Religioso-Militare, i Templari fusero gli ideali di cavalleria e di spiritualità monastica. Il nome origina da Christi Militia, trasformato in Militia Templi o Fratres Militiate Templi, a posteriori del trasferimento nel Palazzo Reale di Gerusalemme, presso il Tempio di Salomone. I Membri dell’Ordine accettavano i voti di obbedienza, di castità e di povertà e venivano distinti in: Cavalieri, Sacerdoti-Cappellani, Scudieri-Inservienti. I Templari rispettavano una condotta di vita giusta una regola propria, redatta nel 1128 (in questo stesso anno l’Ordine fu riconosciuto da Onorio III) sul modello di quella dei Monaci Cistercensi, fatta ratificare da S. Bernardo di Clairvaux al Concilio di Troyes. A capo dell’Ordine, che nel 1139 fu sottoposto a diretto controllo papale, vi era un Gran Maestro, elettivo. L’insegna dei Templari era una Croce Rossa su veste bianca per i Cavalieri, su veste nera per gli altri. L’Ordine era organizzato in province (tre orientali e sette occidentali) e costituiva una sorta di Stato sovrano senza territorio, ma ricco di beni sparsi, destinato istituzionalmente a raccogliere e a veicolare in direzione della Terra Santa, uomini e denaro. I Templari, diretta espressione del movimento crociato, assiduamente e indefessamente impegnati nelle guerre contro i Musulmani, ebbero particolare rilievo nelle battaglie di Acri (1189), Gaza (1244), Al-Mansura (1250). Propagatisi in numero, molto rapidamente, sull’intero continente europeo, a motivo della loro potenza e della loro ricchezza e avendo un ruolo topico nelle transazioni commerciali con l’Oriente (si erano stabiliti a Cipro dopo la caduta di S. Giovanni d’Acri, ultimo baluardo crociato in Terrasanta) suscitarono ben presto l’invidia e la gelosia di molti nefandi e inetti Sovrani. L’avido Re di Francia, Filippo IV Il Bello, bramoso di depredare le ricchezze dei Templari, tacciandoli falsamente di blasfemia e altro, fece abolire l’Ordine dal suo abietto “Pupo”, il Papa Francese Clemente V (Concilio di Viennes, 1312). Filippo IV avocò a sé (il processo si protrasse dal 1307 al 1314) tutti i patrimoni dei Templari e martirizzò gli appartenenti all’Ordine con atroci sevizie e condanne alla pira. Tra questi ultimi il Gran Maestro, l’ultimo, Jacques de Molay (Molay 1243-Parigi 1314). Quando de Molay fu eletto, sull’Ordine aleggiava già, nefastamente, lo spettro della repressione e della soppressione. Filippo Il Bello, tramite Clemente V, lo chiamò a Parigi e lo fece proditoriamente arrestare con l’accusa d’idolatria. Con lo stratagemma di voler dibattere l’unificazione dell’Ordine del Tempio con quello dei Cavalieri Ospitalieri, disegno ricusato da ambo gli Ordini, Papa Clemente V invitò il Gran Maestro Templare, Jacques de Molay, dalla protetta dimora di Cipro, a Parigi. Venerdì 13 ottobre 1307, Filippo di Francia fece arrestare Jacques de Molay e tutto il suo entourage, che comprendeva il cerchio interno dell’Ordine Templare. Contestualmente, con un’operazione a sorpresa, allestita minuziosamente, Filippo si valse a imprigionare la maggior parte dei Templari residenti sul suolo francese. L’addebito, “…eccessivamente spaventoso da parafrasare. Delitti abominevoli, turpitudini aborrevoli, efferatezze blasfeme, etc.…”, è di “aver arrecato a Cristo vilipendi più turpi di quelli patiti sul Calvario”. La dichiarazione di eresia fu pronunciata dal Responsabile dell’Inquisizione di Francia, Guillaume de Paris, in ottemperanza all’ordine di Clemente V, il Papa eletto con il subdolo patrocinio di Filippo IV Capeto. I giudici ottennero le confessioni mediante tortura, confessioni che servirono Filippo IV per realizzare i propri progetti. Prima dell’esecuzione della condanna a morte, de Molay riuscì a protestare la sua innocenza al cospetto di tre cardinali, tuttavia Il Capeto fu irreversibile sulla sua decisione. Così l’ultimo Gran Maestro Templare morì sul rogo: era il 18 marzo 1314.
*
“Omnia mea mecum porto”

Si tratta di un aforisma latino che Cicerone (Paradoxa 1,1,8) ascrive a uno dei “Sette Savi”, ovvero a Biante di Piene (VI Secolo A.C.). Letteralmente sta a significare: “Tutte le mie cose le porto con me” o, per estensione: “Ogni cosa che in me c’è di buono, la porto con me!” o, ancora: “La vera ricchezza è quella dello spirito”. L’aforisma è stato ascritto pure al dialettico megarico Stilpone (Maestro di Zenone di Cizio, con cospicua incidenza sull’indirizzo stoico), il quale, allorché Demetrio il Poliorcete, conquistando Megara, gli chiese se avesse dimenticato qualcosa, replicò: “Niente! Tutte le mie cose le ho con me!” (Seneca: Epistulae Morales, nove 18-19). E ancora, la paternità della frase viene attribuita anche a San Paolo il quale, ascrivendole una semantica aulicamente etica, enuncia che la santità si edifica sulle esperienze mondane che ciascuno reca seco. Allegoricamente, la semantica dell’aforisma può essere parafrasata in questo modo: “Le sole cose che invero ci appartengono sono: la nostra dignità e la nostra intelligenza.” Questi due valori sono verosimilmente tra i più topici di quelli che un essere umano possiede. Sono i valori inconfutabilmente e inderogabilmente necessari per condurre un’esistenza all’insegna della giustizia e dell’onestà, sia nei confronti del prossimo sia nei confronti di sé stessi. Perché parafrasare questo aforisma? Perché “Filippo IV Il Bello”, di “Bello” verosimilmente aveva soltanto il sembiante esteriore, ma, anagogicamente, era l’ipostasi della più esatta antitesi dell’inclito aforisma.
***
Tratto dal libro edito: HUMANAE HISTORIAE – Aletti Editore


MAURO MONTACCHIESI

 

 

 

 

PAGINA PERSONALE DI MAURO MONTACCHIESI

Humanae Historiae di Mauro Montacchiesi

Montacchiesi Mauro

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Il Dispari 2017-09-11 Redazione culturale

Il Dispari 2017-09-11 Redazione culturale

Il Dispari 2017-09-11

Il Dispari 2017-09-11 Redazione culturale

Editoriale

Per Aurora volume terzo
La sesta firma

Capitolo quinto

Giunse.
La telefonata con la quale Gilda accettava l’invito, che le avevo scritto sul biglietto lasciato la sera prima alla cassa del bar, mi sembrò più un atto di cortesia che foriera di felici aspettative:
Disturbo? Sono Gilda.
Vado a prendere il pupo all’asilo, poi potremmo incontrarci alle giostre.
Alle cinque all’angolo della posta, va bene?»
Alle… Gilda… sì, sì va bene, benissimo..
Tu tu tu tu…

La meraviglia per la rapidità con la quale mi aveva contattato, lo stupore per la docilità del suo seguire il mio desiderio senza porre domande, la scelta di andare in un luogo affollato dando adito a pettegolezzi, tutto ciò ed altro ancora, furono motivi che mi convinsero a credere che Gilda non avesse capito la ragione vera del mio invito.

Avvaloravo l’ipotesi che lei non aveva potuto comprendere le mie intenzioni in quanto non ero stato sufficientemente esplicito.

Esplicito?

Ammiccante.
“Il Dottò vuole passare un po’ di tempo in giro prima di tornare nel castello della sua libertà.”, forse aveva pensato così.
“Se il Dottò avesse un’intenzione segreta non avrebbe scritto un biglietto, né tanto meno lo avrebbe consegnato aperto alla cassiera, dandole l’opportunità di leggerlo.”
“Uno che cerca un’amicizia più intima con una donna, non le chiede di uscire con il bambino.”
“Sarà in partenza per altri mille anni e vuole rinverdire ricordi passati.”

Aveva ragione.

Tre, quattro, mille ragioni.
Decenni di raziocinanti eccessi, avevano inaridito finanche ogni mio elementare presupposto di comunicabilità.
Bravo!
Avevo speso gran parte della vita nella peggiore maniera.
Solo.
Solo, da solo.
Solo, da solo, senza essere solo.
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.

Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
Dotto’, già sveglio?
Come mai?
State bene
Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
Dotto’, per stare soli, bisogna essere soli. Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

-«Ho impegnato un secolo per decidermi a fare il primo passo.
Senza ribellarmi ho lasciato che la nostra amicizia giovanile, il nostro affetto, la reciproca irriducibile attrazione che ci dominava, scadessero in un algido rapporto tra il “Dottò” e la padrona dell’American bar.
Ho visto il tuo ed il mio amore, come su quella giostra, girare girare girare fino a perdere il senso dell’equilibrio, e non ho porto loro una mano a sostegno.
Devo recuperare non solo il tempo perduto, ma soprattutto il coraggio di esistere.
Sposiamoci domani.
Tu sai quanto ti amo.»

Così le avevo detto nel luna park aspettando che Isidoro terminasse un giro sul trenino.

Mamma mamma, è bellissimo, ci sono gli indiani e Manitù

Vuoi fare un altro giro?
Vai.
Dai il gettone all’uomo con la divisa rossa.
Vai.»

Gilda non mi aveva chiesto dove ci saremmo sposati o dove avremmo vissuto, né chi sarebbero stati i testimoni. Nessuna domanda relativa al ristorante, al viaggio di nozze, alle foto, agli invitati, bomboniere, addobbi floreali, limousine, paggi paggetti, velo velette, musica cori coretti anelli… catene.
Nulla.
Gilda aveva iniziato dicendo:
Va bene…», poi aveva atteso che il pupo fosse lontano, ed allora, guardandomi negli occhi:
E lui?»
Sarà mio figlio

Bruno Mancini

Per Aurora volume terzo
di Bruno Mancini
http://www.lulu.com/shop/bruno-mancini/per-aurora-volume-terzo/ebook/product-17561986.html
http://www.lulu.com/shop/search.ep?contributorId=509195
Book (PDF), 166 pagine
Prezzo € 3,12 (IVA esclusa)
Pubblicato 1 Ottobre 2011
Lingua italiana
Pagine166
Formato del file PDF
Dimensioni del file 11.33 MB
Software necessario: tutti i lettori PDF, Apple Preview
Periferiche supportate indows PC/PocketPC, Mac OS, Linux OS, Apple iPhone/iPod Touch…
N. di periferiche Illimitato
Testo e pagine fluide
Stampabile.

Il Dispari 2017-09-11

Il Dispari 2017-09-11

1) DILA e Patrizia Canola insieme nei progetti Made in Ischia.

La pittrice Patrizia Canola sarà lieta di incontrare per un aperitivo nel Museo Etnografico del Mare, martedì 12 Settembre 2017 dalle ore 18:00 alle ore 20:00, tutti coloro che vorranno approfondire la conoscenza delle caratteristiche artistiche delle opere che espone nella mostra “PATIRIZIA CANOLA. NEGLI ORIZZONTI DELLA VITA TRA LUCE E COLORE”, organizzata da Bruno Mancini e a cura di Silvana Lazzarino, visitabile fino al prossimo 15 Settembre nel Palazzo dell’Orologio di Ischia ponte.

2) Il giorno 8 Agosto 2017 Liga Sara Lapinska, Ambasciatrice DILA in Lettonia,

ha regalato per conto dei nostri progetti culturali MADE in Ischia, la nostra Antologia “Otto milioni 2016” a Rita Vectiràne, Vice Sindaco della città di Jelgava in Lettonia.

3) Tina Bruno, scrittrice,

opinionista della redazione culturale di questo quotidiano Il Dispari” diretto da Gaetano Di Meglio, ha ricevuto la seguente comunicazione dall’ISTITUTO ITALIANO DI CULTURA DI NAPOLI: «Lei ha vinto la XXXIII ED. 2017 DEL PREMIO “LETTERATURA” POESIA, NARRATIVA, SAGGISTICA PER LA XI SEZIONE (ROMANZO INEDITO) CON “Stralci di antropologia attraverso il romanzo della mia vita” ».

4) Angela Maria Tiberi, Presidente Sede operativa DILA in Pontinia

segnala il seguente concorso “Enciclopedia Universale degli Autori Italiani”: scadenza 31 Ottobre 2017 – REDAZIONE PIAZZA GRAMSCI, 1/3 ~ 98066 ~ PATTI (ME) TELEFONO 0941 21503 PARTITA IVA 02778870838 CONTATTI CONCORSI@KIMERIK.IT SITO INTERNET WWW.KIMERIK.IT

Gioco d’amore a Sermoneta di Angela Tiberi in foto con Walter Poli

Il Dispari 2017-09-11


Poesie finaliste della sesta edizione del premio internazionale “Otto milioni”.
Precedenti pubblicazioni: 20/03, l’8/05, 19/06, 7/08, 14/08.

Cod. 25
Antonio Fiore
Vecchio lenzuolo

Aggrappati al dorsale del tempo che va
lì dove s’addormenta il tramonto
liberi pensieri migrano come il vento
che va per dissolversi verso il suo orizzonte.
Siamo due amanti senza tempo
e sul nostro letto ci ritroviamo
a ripassare le sbiadite emozioni
arrotolante su un bianco lenzuolo.
Stasera i cuori si compiegano
ai sogni ingialliti dai profumi di ieri,
e dove gli aspri odori viziati annidano
le velate reminiscenze rigate sulla pelle.
Se la notte non divaga con il vento
tra un ricordo e un’emozione
noi riscriveremo sulle mura del tempo
le indelebili sillabe per ricomporre
questo sogno vissuto a metà.
Finché il cuore avrà strada da camminare
il cielo darà luce ai nostri sogni premonitori,
e noi, indelebili ispiratori del nostro tempo
ricopriremo il letto di quel bianco lenzuolo
macchiato di inebrianti profumi del passato.
Il nostro amore non ha tempo né paura
perché siamo due temerari per natura.
Della nostra storia siamo gli unici scrittori
e come due amanti instancabili ne siamo i lettori
in questa ingiallita notte di un vecchio lenzuolo.

Cod . 26
Nika Kolinz
Ma in questo mondo niente non è imparziale

Ma in questo mondo non è niente imparziale:
diversi gusti e opinioni d’arte.
E tempeste di parole rumoreggiano per i più attivi.
In tal modo uccidono i sentimenti veri.

Puoi essere un niente, secondo gli altri.
Non subito i creatori vengono accettati.
La gente non vede i geni, costruendo
i critici palazzi di virtù.

Presto dolori di questioni invadenti,
però, non subito sviluppano le città.
Comunque, la storia innalza i migliori
e salva loro nei libri per sempre.

Cod. 27
Nika Kolinz
Zittisco

Zittisco, pensando di te,
abbracciandoti per le spalle, nel passato.
Però restiamo distanti:
sono con la presenza del dubbio.

Davvero vorrei tornare indietro?
Non si può più, sono invecchiata…
Lascio la memoria quasi chiusa,
per rammentare al prossimo risveglio.

Il Dispari 2017-09-04

Il Dispari 2017-09-04 Redazione culturale

DILA in Lettonia:

Presentazione del progetto Made in Ischia con la Mostra di Arti varie “Tema”presso la Maison di moda di Daiga Latkovska

Il 23 Agosto 2017, è stata inaugurata la mostra “Tema” in cui fanno la parte, in generale, i finalisti del concorso “Otto Milioni 2017” organizzato dall’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” più altri artisti che hanno partecipato sul website LENOIS a vari concorsi, tra i quali in primo luogo va annoverato “TUTTI INSIEME CONTRO LA VIOLENZA E IL NAZISMO” e, inoltre, un folto gruppo di Artisti amici dei progetti culturali DILA che hanno avuto la possibilità di presenziare all’inaugurazione.

La conduttrice della serata è stata la poetessa Elìna Zàlìte,

una lady elegante ed intelligente, vestita in un raffinato abito nero.
I discorsi sono stati tenuti, dapprima, dalla padrona della Maison Daiga Latkovska, disegnatrice di moda e anche pittrice.

Lei, con un fiore nei capelli, sorridente, ha espresso calorosi auguri verso tutti i partecipanti.

Subito dopo è intervenuta la Vicesindaco di Jelgava, Rita Vectiràne.

Ina Gudele, una dama di alta cultura, ha sottolineato l’anniversario di venti anni di attività del club “Zontas” che lei guida e presiede.

Jànis Zarins, l’autore del manifesto della mostra, il poeta che insieme con Rasma Urtàne conduce il club di poeti in Jelgava “Pieskàriens”, è stato come sempre gentile e simpatico soffermandosi a parlare del suo club ed ha letto in modo espressivo alcune poesie.

Eva Strazdina,

presente insieme alla sua bellissima figlia di uno anno d’età e al marito, ha cantato in italiano e in latino con la sua voce molto apprezzata.

Il cantante Alvils Cedrins, vincitore del primo premio di musica, ha cantato con la sua fortissima voce in diverse lingue, anche in russo e in inglese: molto bravo in questa serata.

L’attore Viktor Mishin ha declamato alcune poesie di poeti classici russi, creando uno spettacolo dalle atmosfere molto emozionanti.

Liga Sarah Lapinska,

in un abito orientale azzurro, Ambasciatrice dell’Associazione DILA in Lettonia, ha dato notizie relative al concorso “Otto Milioni 2017”, soffermandosi sugli artisti che vi hanno partecipato. Ha espresso parole di cordoglio per le vittime del terremoto che ha colpito l’Isola d’Ischia e sentimenti di speranza per un immediato ritorno alla normalità.

Lei ha ringraziato alcuni sponsor che per ora preferiscono rimanere nell’anonimato, e molti altri partecipanti all’evento tra i quali ha citato Aleksandr Abushayev, Janis Drozdovs, Daiga Latkovska, Lìga Lonerte, Vilis Levcenoks, Baiba Rivza, Rasma Urtàne, Rita Vectiràne, Elìna Zàlìte, Jànis Zarins, Club “Zontas”e il giornale “Zemgales Zinas”.

Liga Sarah Lapinska ha proseguito declamando alcune poesie di Bruno Mancini e di Roberta Panizza tradotte da lei in lettone.

Ha portato il saluto da parte del pittore Einars Repse che non ha potuto partecipare alla serata a causa di una trauma.

La mostra, multiculturale ed internazionale è stata esposta in tutti e due piani dell’edificio.

Erano presenti numerosi poeti tra i quali anche alcuni finalisti del premio “Otto Milioni” Modris Andzàns, Mairita Dùze, Nika Kolinz, Ligija Kovalevska, Liga Sarah Lapinska, Jànis Lapinskis, Eva Màrtuza, Anna Rancàne, Vera Roke, Eva Strazdina, Elìna Zàlìte, Janis ‘Jan’ Zarins, Anita Zvaigzne.

Bronislava Broņislava Dzene,Anita Kèke e Rasma Urtàne, ed altri hanno letto loro poesie.

Elìna Zàlìte ha nominato i vincitori dei concorsi di musica e in arte visuale, quindi Alvils Cedrins come cantante e i pittori Milena Petrarca, Liga Sarah Lapinska,Sergey Kyrychenko, Einars Repse,Miguel Piñero.

Nel primo piano sono esposti i vestiti di Daiga Latkovska, i gioielli di Zinta Graumane e i dipinti degli scolari e degli amici di Inta Paulsone.

Nel secondo piano vi sono le opere e le fotocopie di tutti gli altri artisti.

Una piccola sala è stata allestita con i dipinti di Daiga Latkovska.

Visitando la mostra sarà possibile ammirare i dipinti e le grafiche di Arif Azad Painter (India), Heino Blum (Germania), Tomas Fernandez (Spagna) ,Sebastiano Grasso (Italia), Ajub Ibragimov (Germania), Zara Ilyasova (Russia), Adam Ilyasov (Russia), Olga Ivanova di 13 anni, Soledad Lamas Gonzalez (Spagna), Sergey Kyrychenko (Ucraina), Herminia Mesquita (Portogallo), Antonio Molino Vasconcelos (Messico), Maurizio Pedace (Italia), Milena Petrarca (Stati Uniti), Onofre P.P.Pineiro (Brasilia), Miguel Piñero (Venezuela), Einars Repse, Esteban Sandoval (Argentina),Yuri Serebryakov (Ucraina), Milo Shor (Israele), Simone Vela (Italia), Nunzia Zambardi (Italia) il cui quadro esposto è un apprezzatissimo regalo per Liga Sarah), Vilis Vizulis (lettone, deceduto);

le fotografie di Nadeem Ansari (India), Naveed Ansari (Pakistan), Liga Sarah Lapinska, Guna Oskalna-Vèjina, Costantinos Pavlis (Grecia).

Le scultore di Janis Drozdovs,Kàrlis ìle, Liga Sarah Lapinska,Milena Petrarca(Stati Uniti),Yair Aharon (Israele);

le ceramiche di Valdis Jaunskungs e Vera Roke;

i gioielli di Sigal Bali (Israele).

Nella mostra sono anche presenti e consultabili le Antologie in italiano di LENOISed altri libri in italiano tra i quali alcuni di Bruno Mancini,

insieme a materiale pubblicitario del club “Zontas”.

La mostra, davvero ricca ed interessante è aperta gratuitamente al pubblico.

In seguito, questa mostra verrà esposta in altre città della Lettonia.

P.S.Nika Kolinz (Ucraine).

Poeti che leggono le loro poesie non sono citati tutti,e quindi aggiungiamo un ecc.
La fotografa dell’evento  è Melita Zarina, madre deli nostro giovane ma attivo poeta Jànis Zarins.

GRANDE SUCCESSO PER LA MOSTRA DEDICATA A TOULOUSE LAUTREC CHE RACCONTA LA BELE ÉPOQUE

La Parigi di fine Ottocento con protagoniste cantanti, attrici, ballerine, acrobate riprese nei loro contesti tra sale da ballo, caffè-concerto e i palcoscenici sono al centro dell’opera di TOULOUSE LAUTREC (Albi 1864- Saint-André-du-Bois1901) che con la sua arte provocatoria e anticonformista ha caratterizzato l’epoca della Belle Époque.

Nato in una delle più nobili e antiche famiglie francesi, le cui origini risalivano all’epoca di Carlo Magno, Toulouse Lautrec ben presto lascia il suo ambiente per trasferirsi a Parigi dove entra a contatto con l’atmosfera vivace e disincantata, ma anche triste e degradata della città.

Pittore della Belle Époque ambigua e contraddittoria, della vita fugace, innocente e perversa, egli si fa interprete raffinato e sensibile dello spaccato umano parigino cogliendone abitudini, vizi, gioie e dolori.

Grande successo per la mostra TOULOUSE LAUTREC – LA BELLE ÉPOQUE

a lui dedicata ed aperta a Verona a Palazzo Forti fino allo scorso 3 Settembre 2017, in cui è stata messa in luce la capacità di Toulouse Lautrec di scandagliare nei ritmi dell’esistenza fra ambienti nobili, borghesi, atmosfere sfarzose ed effimere dei locali notturni.

Morto a soli 36 anni devastato dalla sifilide e dall’alcolismo,Toulouse Lautrec considerato il più famoso maestro di manifesti e stampe tra il XIX e XX Secolo, è ricordato in particolare per i manifesti pubblicitari e i ritratti di personaggi dell’epoca come le ben note immagini del balletto al Moulin Rouge e di Aristide Bruant e delle discinte prostitute nelle maisons closes (le case chiuse) in cui aveva il suo atelier.

Curata da Stefano Zuffi e patrocinata dal Comune di Verona, prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia,

la mostra attraverso circa centosettanta opere provenienti dall’Herakleidon Museum di Atene, tra acquerelli, manifesti, litografie, disegni e illustrazioni insieme a video, fotografie e arredi dell’epoca, ha restituito uno spaccato della Parigi bohémienne.

La linea sinuosa e aggressiva, il colore uniforme e privo di modulazioni, la libertà di inquadrature e prospettiva regalano movimento alle figure e il senso della profondità spaziale.

Accanto a Jane Avril, 1893) la stella del cabaret parigino ritratta con guanti neri fino al gomito, Divan Japonais 1893, La Revue Blanche (1895), La Troupe de Mademoiselle Églantine (1896) e May Belfort (1895), in mostra erano La passeggera della cabina 54 del 1895 e Aristide Bruant nel suo cabaret del 1893.

E poi i disegni di grande incisività realizzati a penna e a matita, tra questi il ritratto del padre conte Adolphe de Toulouse-Lautrec Portrait of H. de Toulouse-Lautrec (1895), le grafiche promozionali e illustrazioni per giornali come per “La Revue blanche” del 1895 e anche. per il libro “Au Pied du Sinaϊ” (1897).

Egli così affermava: “La novità è raramente l’essenziale. Questo ha a che fare con una cosa sola: rappresentare un soggetto meglio di quanto faccia la sua natura intrinseca”.

Ad Ischia, in occasione del “Global Film”,

il musical per il grande schermo ispirato all’opera La Traviata di G Verdi, “Moulin Rouge!” (2001) del regista australiano Baz Luhrmann, ha ricevuto il Luchino Visconti Legend Award 2013. Tra i personaggi presenti nel musical vi è anche la figura di Toulouse Lautrec.

Silvana Lazzarino

 

Il Dispari 2017-08-28

Il Dispari 2017-08-28

Editoriale

Il regista Francesco Millonzi è da qualche tempo in stretto contatto con la nostra Associazione culturaleDa Ischia L’Arte – DILA, tramite principalmente Angela Maria Tiberi Presidente della sede di Pontinia, per realizzare un Docu-film con tematiche ed ambientazioni proposte da DILA.

Vi forniamo qualche informazione sul suo ultimo Docu-film PANE DURO.

Il Docu-film realizzato dal regista Francesco Millonzi, dal titolo PANE DURO, affronta le problematiche legate al disagio sociale, focalizzando l’attenzione su quelle persone che vivono realtà molto disagiate.
Tra le tematiche più scottanti, si mette in evidenza le necessità di una società che tende verso la povertà, ma anche di chi si spende contro il disagio sociale, assistendo queste persone per una vita più dignitosa.

Il film tratta tematiche come l’assistenza notturna dei volontari ANGELI DELLA NOTTE

verso i Clochard, dove sono stati documentati ragazzi giovanissimi, come Pietro ed altri, che vivono la vita di strada, ma anche come Marco, un ragazzino che fa il posteggiatore abusivo per aiutare la sua famiglia, in particolar modo per comprare il latte alla sua sorellina.

Il Docu-film affronta la tematica della povertà non solo quella materiale, ma anche quella spirituale e di questo ne ha parlato il Presidente del PARLAMENTO DELLA LEGALITÀ Nicolò Mannino.

Altre tematiche sociali che racconta il film riguardano il BULLISMO

Infatti, è stata raccolta la testimonianza di Nikolai e la drammatica intervista di sua madre, dove si evince il dolore che una mamma prova davanti a questi episodi barbari, alla quale è poi seguita un’intervista fatta al dott. Marco Anello, Provveditore agli studi di Palermo che ha esposto il modo in cui l’istituzione scolastica interviene per fermare questi fenomeni di bullismo.

Anche il tema dell’immigrazione

è stato affrontato con il vice Presidente del PARLAMENTO ALLA LEGALITÀ, Salvatore Sardisco, trasmettendo immagini drammatiche degli sbarchi.

Il film si conclude con papa Francesco, portatore di speranza ed umiltà.

Quello che il regista Francesco Millonzi vuole fare emergere nel Docu-film PANE DURO è, come lui stesso ci dice “La necessità di dare voce a coloro che sono gli ultimi nell’uguaglianza della vita di una società che sempre di più vive nella diffidenza e nella indifferenza, al fine di accrescere il senso della solidarietà.

Mettere in evidenza, senza veli, la consapevolezza dello stridore sociale in atto, per consentire una capacità critica nei confronti del prossimo.
In questa attuale epoca storica, in cui si celebra l’indifferenza e la diffidenza, questo lungometraggio si pone quale strumento educativo aggiuntivo per la contribuzione della capacità critica dell’accoglienza e dell’altruismo proclamata da Papa Francesco.”

PANE DURO

è stato premiato con il PREMIO INTERNAZIONALE ALLA LEGALITÀ ED IMPEGNO SOCIALE e con il PREMIO ECCELLENZE ITALIANE.
Altri film prodotti dal regista Francesco Millonzi (tutti vincitori di premi internazionali) sono: GENERAZIONE A CONFRONTO – 180°, IL CAMMINO DI UN REGISTA – IL SACRIFICIO DI UN BEATO.
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Il Dispari 2017-08-28

Roberta Panizza, Vicepresidente DILA: “Ischia vive”.

All’inizio del mese di Agosto sono tornata a casa, in Trentino, da una vacanza trascorsa a Ischia insieme alla mia famiglia.
I giorni trascorsi su questa bella isola mi hanno permesso di rivedere alcuni amici di DILA, conoscerne altri e chiacchierare a quattr’occhi con Bruno Mancini dei possibile scenari futuri per i progetti che portiamo avanti tramite l’associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”.

Gaetano Di Meglio

mi ha proposto di scrivere qualcosa sulla mia permanenza nell’isola e io con piacere ho accettato.
Avevo già scritto l’articolo e stavo per inviarlo quando su Ischia si è abbattuto un terremoto che ha scosso terreno, case e animi: proporre un articolo che parlava di vacanze e momenti di svago pareva davvero fuori luogo.

Ciò che ha fatto vibrare gli animi ancora si deve placare e questo è assolutamente comprensibile dato il tributo in vite umane e danni che è costato all’isola.

Ischia si sta già riprendendo da questo triste evento e tornerà ad essere per tutti il luogo ospitale e ambito dai turisti che amano il mare e la natura ed è per questo che, malgrado la ferita del terremoto sia ancora aperta, con queste mie righe vorrei poter instillare qualche sentimento di positività in momenti certamente non felici per questa bella isola.

Ho soggiornato a Ischia dal 27 luglio al 5 agosto

scorsi e, fin dall’inizio, ciò che ho vissuto è stato una conferma.
Dal 2008 al 2010 in tre occasioni sono stata sull’isola in corrispondenza di alcuni eventi poetici che Bruno Mancini ed io avevamo organizzato, le prime attività insieme al gruppo di amici artisti che da allora è andato via via espandendosi.

Le conferme che ho avuto riguardano la capacità degli ischitani di accogliere e far sentire come a casa propria un ospite e la disponibilità e l’apertura verso quest’ultimo.

Ed è appunto come a casa nostra che per nove giorni ci siamo sentiti mio marito, mio figlio e io.
Trovarsi in un ambiente molto diverso dal proprio (abitiamo in un piccolo paese a 1300 m. di altezza) e sentirsi comunque totalmente a proprio agio è la condizione primaria per godersi una bella vacanza trascorsa, nel nostro caso, per la maggior parte del tempo al mare.

Avendo vissuto buona parte della mia vita, bambina e ragazza, in una città di mare, almeno una settimana tra acqua e spiaggia è quasi indispensabile per me e quindi potermi immergere in un mare limpido e cristallino come quello che bagna quest’isola e rilassare su una spiaggia attrezzata e pulita è l’ulteriore condizione che ha reso tutto più piacevole.

Oltre al mare Ischia offre

però molto altro sia per ambienti naturali sia per attrattive culturali o di semplice svago.
Ho avuto, infatti, occasione di visitare il Museo Etnografico del Mare a Ischia Ponte dove sono esposti alcuni quadri di Patrizia Canola, artista amica di DILA, e quindi ho potuto contemporaneamente apprezzare la sua abilità artistica nel rappresentare con pochi e sapienti tratteggi di colore, paesaggi o nature morte indimenticabili e ammirare i reperti esposti nel museo e che parlano di mare.

Un viaggio interessante tra arte e realtà.

Devo anche dire che per chi come me vive tutto l’anno in una paese di alta montagna poter passeggiare e fare shopping in un centro ricco di vita e scintillante di negozi e locali come quelli di Ischia Porto, è qualcosa di tutt’altro che banale, molto piacevole direi.

Se poi durante la passeggiata è possibile ammirare, in più punti, i quadri di diversi pittori che tramite i loro colori e il loro personale stile evocano su tela la bellezza dell’isola e non solo, bene, il tutto acquista un sapore veramente intenso e corroborante.

Capitano a volte situazioni non programmate o preventivate e infatti poter assistere alla festa a mare agli scogli di S. Anna è stato imprevisto quanto gradito.

Avevo già sentito parlare, dagli amici ischitani, di questa festa, ma in quei giorni ho anche potuto comprendere quanto sia un momento sentito in cui sull’isola si vive con partecipazione una tradizione decennale che richiama tante persone anche dalla penisola.

Non potevamo non fare di tutto per assistere.

È stata una serata piacevole nella quale ci siamo immersi nel magico ricordo del grande Totò grazie alle barche magnificamente allestite e che hanno sfilato ai piedi del castello.

L’incendio e i fuochi d’artificio finali hanno chiuso magnificamente la serata.

Mentre scrivo tutto questo lo faccio consapevole che Ischia non è solo quanto io sto descrivendo o solo ciò di piacevole ho visto e vissuto qualche anno fa.
Per sapere che non è così, mi basterebbe anche solo la campagna “Ischia muore!” portata avanti sui social dall’amico Bruno con la quale quest’ultimo sta cercando di mettere in evidenza i tanti problemi che affliggono questo angolo di paradiso.

Il fatto è che io stessa ho avuto modo di muovermi sull’isola e quindi di rendermi conto di persona di quanto male qualcuno faccia a Ischia e una siffatta cronaca della mia permanenza sul suolo ischitano non ha l’intento di rimuovere mentalmente la realtà o abbellirla ignorando di proposito ciò che può risultare meno gradito.

Per noi turisti, coccolati dalle strutture ricettive e da chi, saggiamente, cerca di far sentire a proprio agio l’ospite, è forse meno duro scontrarci con la realtà di una comunità che a volte fatica ad opporsi alle logiche di potere, ignoranza e prevaricazione.

Chi subisce il vero scotto è chi è costretto quotidianamente a vedere la propria casa violata da comportamenti illegali o semplicemente inadeguati.

Ma se c’è chi dice “Ischia muore”, io preferisco di gran lunga dire “Ischia vive”, sì, VIVE di tutte le risorse ambientali e culturali che in essa pullulano e vive di tante persone dal grande cuore e capaci di rispetto che vi abitano e che forse dovrebbero indirizzare un po’ di più l’energia del loro grande animo verso la salvaguardia di tutto il bello che permea quest’isola verde, non farselo strappare ogni giorno dalle mani facendo sentire in minoranza chi fa scempio in casa propria.

Termino il mio dire col fare un’ulteriore riflessione: credo che ogni turista dovrebbe chiedersi se è stato in grado di soggiornare sull’isola cercando a sua volta di non recare eccessivo disturbo durante la sua permanenza.
Quindi è questo che chiedo anche a me stessa sperando che la risposta sia positiva.
Non è mia abitudine infatti puntare il dito senza aver prima ragionato di mie eventuali responsabilità.

Breiner, mio figlio,

al termine della vacanza ha detto: “Della vacanza a Ischia mi è piaciuto molto andare al mare e vedere i pesci sul fondo a Punta Molino, vicino agli scogli.
La festa agli scogli di S. Anna non ho potuto vederla perché finiva tardi, ma mi sono piaciute molto le barche che ho visto passare in mare prima della sfilata.
Anche il pesce che abbiamo mangiato al ristorante era molto buono e in centro c’erano molti bei negozi anche di giocattoli.”

Roberta Panizza

 

Il Dispari 2017-08-21

Editoriale

Diventa sempre più internazionale l’attività svolta dalla nostra Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” nel campo artistico e culturale.
Alle nuove Sedi operative che, giorno dopo giorno sempre più numerose stiamo aprendo in Italia e all’estero, si vanno aggiungendo organizzazioni di eventi coinvolgenti Artisti di provenienza internazionale che operano in ogni branca dell’Arte (dalla musica alla letteratura, dalla pittura al ceramica, dalla fotografia alla scultura).

Così, oggi diamo in anteprima la notizia che Liga Sarah Lapinska, Ambasciatrice DILA in Lettonia e con l’etichetta del Made in Ischia, ha messo in campo un’equipe di Artisti la cui caratura internazionale è generalmente riconosciuta come ottima.

Liga Sarah ha altresì

coniugato nel migliore dei modi il precetto MADE in Ischia, che vuole risolvere la costante carenza di iniziative artistiche attraverso interventi di sponsor ai quali si offrono ritorni pubblicitari del tutto inediti e di grande impatto emotivo.
Augurando il migliore successo all’iniziativa, certamente “lavoreremo” per portare anche ad Ischia il progetto che Liga Sarah sta per realizzare in Lettonia.

Lettonia: Liga Sarah Lapinska organizza i MADE in Ischia – DILA con Artisti provenienti da 15 differenti Nazioni.

CS | Presentazione evento artistico alla Maison di moda “Tèma”, Jelgava.
Vernissage 23 Agosto 2017.

Organizzatori presenti:
Liga Sarah Lapinska, Ambasciatrice “Da Ischia L’Arte – DILA” in Lettonia;
Daiga Latkovska, Direttrice della Maison di moda “Tèma”di Jelgava;
Einars Repse, Organizzatore del fondo di Viroterapia;
Vilis Levcenoks, Direttore progetti presso il Comune di Jelgava;
Rita Vectiràne, Vicesindaco del Comune di Jelgava.

Conduttrice:
Elìna Zàlìte.

Cantanti:
Alvils Cedrins,Liga Sarah Lapinska, Eva Strazdina.

Lettura Poesie:
Viktor Mishin, attore e regista;
Finalisti del Premio internazionale di Poesia “Otto milioni-2017”;
Altri artisti.

Poeti:
Modris Andzàns, Mairita Dùze, Nika Kolinz (Ucraine), Ligija Kovalevska, Liga Sarah Lapinska, Jànis Lapinskis, Eva Màrtuza, Anna Rancàne, Vera Roke, Eva Strazdina, Rasma Urtàne, Elìna Zàlìte, Jànis Zarins, Anita Zvaigzne.

Scultori:
Yair Aharon (Israele), Kàrlis Ìle, Liga Sarah Lapinska, Milena Petrarca (Italia).

Fotografie:
Naveed Altaf (India), Nadeem Ansari (Pakistan), Liga Sarah Lapinska, Costantinos Pavlis (Grecia) Melita Zarina, Guna Oskalna-Vèjina

Ceramiche:
Valdis Jaunskungs, Vera Roke.

Dipinti, Arti grafiche:
Arif Azad Painter (India), Heino Blum (Germania), Tomas Fernandez (Spagna), Sebastiano Grasso (Italia), Ajub Ibragimov (Germania), Adam Ilyasov (Russia), Olga Ivanova, Sergey Kyrychenko (Ucraine), Soledad Lamas Gonzalez (Spagna), Liga Sarah Lapinska, Herminia Mesquita (Portogallo), Antonio Molina Vasconcelos (Messico), Zara Ilyasova (Russia), Maurizio Pedace (Italia), Milena Petrarca (Stati Uniti), Onofre P.P. Pineiro (Brasile), Miguel Piñero (Venezuela), Einars Repse, Esteban Sandoval (Spagna), Yuri Serebryakov (Ucraine), Milo Shor (Israele), Simone Vela (Italia), Vilis Vizulis, Nunzia Zambardi (Italia).

Abiti:
Daiga Latkovska.

Gioielli:
Sigal Bali (Israele), Ginta Zaumane.

Stampa:
Giornale Zemgales Zinas

Durante la cerimonia di inaugurazione della Mostra saranno rese disponibili alcune copie delle Antologie pubblicate dell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”ed altri libri in italiano e in lettone.

Entrata gratis.

Dopo il 23 Agosto la mostra sarà visitabile per almeno per un mese.
Successivamente si pensa di organizzarla anche nella città di Ventspils.


Milena Petrarca espone a Pozzuoli fino al 30 Agosto

Milena Petrarca, vincitrice del Premio internazionale di Arti Grafiche “Otto milioni – 2017” ideato da Bruno Mancini con la Direzione Artistica di Roberta Panizza ed organizzato dall’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”, omaggia Artemisia Gentileschi con una Mostra dei suoi quadri dal titolo ”Pittura Donna” (inaugurata lo scorso 15 Giugno 2017 chiuderà il prossimo 30 Agosto) esposta al Bistrò Galleria– Apotecha– Art PORT di Pozzuoli.

Pianificata da Nicola Fasano Art Tutor e scopritore di Milena Petrarca all’età di quindici anni quando lei fu la vincitrice del primo premio di pittura Città di Pozzuoli.

Capace come poche di raccontare le emozioni della vita tra passato e presente ,visibile e invisibile, Milena Petrarca, artista di fama internazionale, nata a Pozzuoli, ma attiva tra Latina e New York dove ha esposto in diverse rassegne e organizzato il Cinquecentenario di Cristoforo Colombo con personali e collettive che le è valso il prestigioso riconoscimento “Artistic Achivement Award Gallery”.

Figlia della grande Maria Panetty Petrarca,

drammaturga e autrice di testi teatrali e canzoni napoletane, che ha fondato nel 1952 la scuola il “Cumanun”, Milena Petrarca non è soltanto una pittrice affermata e di successo, ma anche scultrice, ritrattista, stilista e poetessa di grande sensibilità, capace di donare con la sua creatività emozioni che durano nel tempo legate all’uomo e alla sua vita sospesa tra gioie e malinconie, passioni e speranze.

Le sue opere, presenti nei musei italiani e americani e nelle collezioni più prestigiose americane, francesi, inglesi e cinesi incantano gli occhi e il cuore proiettando la mente entro un viaggio sospese tra realtà e sogno, mistero e poesia.

Affascinata dalla grande artista del Seicento Artemisia Gentileschi, donna coraggiosa dalla vita travagliata e vittima di uno stupro, dallo spirito libero e combattivo, Milena Petrarca le ha voluto dedicare una mostra con suoi dipinti in cui la figura femminile è protagonista nelle sue diverse vesti di donna coraggiosa e dolce, determinata e accogliente.

Nel dipinto ad esempio dove sono ritratti “gli occhi di Artemisia” Milena Petrarca ha voluto dare risalto agli occhi della coraggiosa artista rappresentandoli molto grandi come due fari che sembra vogliano trasmettere ansia e inquietudine a chiedere che venga tutelato il diritto alla dignità di tutte le donne.

È uno sguardo di aiuto come un monito affinché sia dato ascolto a tante donne ancora vittime di violenze e aggressioni.

Interessante anche il dipinto del “Volto di Artemisia” nel cui paesaggio si uniscono scenari di fantasia con scorci legati alle vedute di Napoli ad accompagnare il volto della bella Artemisia dalle chiome al vento di color oro e rosso a suggerire forza e dinamismo accentuati dal ritmo di onde rosse, gialle e blu che le fanno da mantello a coprire il suo corpo non visibile.

Grinta e fierezza accompagnano l’altra immagine di “Donna con leopardo” in cui i lunghi capelli al vento della donna si armonizzano con il manto del felino i cui occhi incutono rispetto proprio come quelli di lei.

La tenerezza invece si respira in “La dolcezza di Artemisia”

dove il volto di lei si volge a guardare dolcemente il bambino addormentato che tiene in braccio.

Alla danza si riferisce “L’anima di Nureyev” dove i due ballerini (Margot e Nureyev) fanno dei loro corpi un unico incontro di anime trascinate dall’infinito ritmo della danza che le unisce per sempre.

Un viaggio quello proposto in questi dipinti dedicati alla grande Artemisia Gentileschi con cui Milena Petrarca invita a guardare con occhi densi d’amore tutte le donne, nel rispetto che si deve loro, e allo stesso tempo ad ascoltare quanto comunicano.

Artemisia Gentileschi, che ritroviamo in queste figure femminili, invita a non avere paura a confidare nelle proprie risorse con quella grinta e coraggio che le hanno permesso di andare contro le convenzioni del tempo per la propria libertà.

Silvana Lazzarino

 

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