Il Dispari 20210823 – Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20210823

Il Dispari 20210823 – Redazione culturale DILA

La menopausa di mia sorella
Racconto a puntate – settima ed ultima parte

Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da alcune settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849 al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione

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Il Dispari 20210823 – Redazione culturale DILA

La menopausa di mia sorella
Racconto a puntate – settima ed ultima parte


Vedi, ho intrecciato un cirro con la sagola del pallone boa.
Di solito la corda non è tanto vicina al pescatore.
Non è a portata di tentacolo.
Questo è un sistema diverso.
Mah!
Nessuna cima di tutte quelle che ho incontrato nei miei innumerevoli confronti con gli umani era allestita con questo sistema. Guarda, guarda, c’è un piombo che la spinge nel basso agevolando involontariamente la mia presa.
Nella composizione classica noi non riusciamo ad agganciarla perché è stesa alle spalle del sub, verso l’alto in direzione della superficie del mare.
Sì, ora che ci penso, una volta… sì una volta ho notato un altro umano utilizzare questo sistema con il piombo a scorrere sulla corda… ma lui fu fortunato… non mi vide… o se mi vide… fuggì a gambe levate.
Forse è stato lui a consigliare di costruire questa stronzata.
Guarda, guarda come questo qui sbatte piedi e braccia.
Sbatte piedi e braccia, sbatte ma non si sposta di un’acciuga.
Scommetto che questo sub sta ricordando quando la sorella, a quaranta tempi dalla nascita, entrò in menopausa, e la rivide gioiosa come chi s’immetta nell’androne della stazione ferroviaria dalla quale inizierà il viaggio più suggestivo di tutta la vita: per lei il viaggio verso la sessualità libera e disinibita.
Lei non aveva capito, lui non gliene aveva mai parlato, ed io sciupo il mio tempo prezioso di poeta assoluto nell’insulso tentativo di fare intendere a te, lercia pantegana, indiscusso simbolo di libera cortigianeria, che le beltà dei giorni in cui ciascuno di noi fummo per la prima ed unica volta innamorati, cioè felici, quasi mai si accrescono insieme al diametro dei nostri muscoli od alla forza dei tentacoli che sviluppiamo.
Quasi sempre il vero danno irrimediabile scaturisce dal non aver avuto la preveggenza di conservarle, quelle irripetibili emozioni, nella teca dell’ottimismo, affinché, in seguito, le si possano aprire e riaprire, e godere o rigodere, e amare e riamare, ogni volta che inutili silenzi non si materializzino per aggiungere schizzi scuri al mare profondo di sopraggiunte insidiose solitudini.
Purtroppo, le beltà dei giorni in cui ciascuno di noi fummo per la prima ed unica volta innamorati, cioè felici, con il passare del tempo, considerate ormai inutili, come il mare profondo, finiscono irrimediabilmente rigettate nel mare profondo del superfluo.
Ed allora, io dico beata te, cara pantegana!
Beata te, malcelato incubo notturno per adolescenziali peregrinazioni nei bassifondi innominabili d’invereconde sensazioni, beata te, finché continui a tacere, mentre io mi affatico a nutrirti con le distillate essenze dei miei tormenti.
Beata te che poco sai, poco pensi, e poco sei.
Beata te zoccola puttana!
Evviva.
Ed ora basta convenevoli, fatti toccare il culo e baciami il cervello.»

Languida menopausa
del mio furente
ingarbugliato orgoglio,
inflaccida frange pendule
sconnesse
di una tardiva certezza.
Dal cavallo alato di Bellorofonte
spodesti il tardo
maculato arrivo,
senza condanna
con dolce eutanasia.
Assegno la coda di rospo,
ricotta pregna di canditi,
al tonfo dell’io bambino,
un botto, spiaccicato sulla torta.

Pegaso.
Si fa derivare il suo nome P h g h, ossia “sorgente”, perché era nato alle fonti dell’Oceano, cioè all’estremo Occidente, dove Perseo aveva ucciso la Gorgone Medusa.
Altre versioni lo fanno nascere dallo stesso collo reciso alla Medusa, oppure dalla Terra, fecondata dal sangue del mostro.
Compare in numerose leggende.
Perseo lo cavalcava quando andò a liberare Andromeda dallo scoglio su cui era stata esposta in sacrificio ad un mostro marino.
In seguito fu trovato da Bellorofonte, l’eroe nazionale di Corinto, che lo domò e con lui partecipò a gloriose imprese.
Questi era figlio di Poseidone e di una figlia del re di Megera, sul cui nome le versioni sono diverse.
Avendo ucciso accidentalmente un uomo, dovette lasciare la sua città e andare dal re Preto perché lo purificasse.
La moglie di questi si innamorò di lui e, essendo stata rifiutata, raccontò al marito di essere stata insidiata.
Re Preto, non volendo vendicarsi personalmente, perché non era permesso uccidere il proprio ospite lo mandò dal suocero Lobate con un messaggio, nel quale gli si chiedeva di uccidere il latore della missiva.
Letta la lettera, Lobate chiese a Bellorofonte di uccidere la Chimera, un mostro metà leone, metà drago, che sputava fiamme, convinto che ne sarebbe uscito sconfitto.
Ma Bellorofonte montò il cavallo alato Pegaso, piombò dall’alto sulla Chimera e la uccise in un sol colpo.
Lobate gli affidò allora una successione di altre imprese “impossibili”, dalle quali l’eroe uscì vittorioso.
Lobate si convinse quindi dell’innocenza dell’eroe e ne ammirò le qualità al punto da dargli in moglie la propria figlia.
Inorgoglito, Bellorofonte volle salire all’Olimpo sul suo cavallo alato, ma fu precipitato sulla terra da Zeus, come castigo del suo peccato d’orgoglio.

Il Dispari 20210823 – Redazione culturale DILA

Capitolo 6

Il racconto è finito, ma voi, per favorire la mia sorte, potreste anche immaginare che il totano poeta, avvinghiata – come ho detto – mediante numerosi intrecci del suo robusto tentacolo la cima per mezzo della quale rimanevo legato al pallone, si fosse attardato nel porre in atto ulteriori azioni di agganci, distratto, sia dalla vanità di rendere partecipe la pantegana al compiacimento procuratogli dal vedermi dibattere nel tentativo di sfuggirgli, e sia, a maggior ragione, dall’intento, a questo punto certamente palese, di ottenere le grazie della ormai affascinata compagna d’avventura e, con esse, una più che tangibile e materiale gratificazione per l’astratta e cerebrale magnificenza della sua cultura.
Potreste, e mi fareste cosa grata, aggiungere anche che io, approfittando del suo sublime peccato d’orgoglio, come Zeus nei confronti di Bellorofonte, gli avessi ficcato, finalmente, il tridente tra gli occhi ed il cervello, utilizzando tutta l’energia che avevo ancora disponibile e, quindi, sganciata con un rapido movimento la cintura ad apertura automatica – per mezzo della quale ero trattenuto in suo possesso attraverso la sagola legata alla boa -, mi fossi sottratto, con un deciso colpo di pinne, alla presa mortale di quella mimetica ipnotica bestia partorita dalla mia fantasia, tornando in tal modo… a rivedere il sole e Gilda che mi attendeva in lacrime sulla riva, scrutando l’orizzonte (il nostro?), preoccupata per il biglietto trovato al risveglio accanto al cofanetto del trucco, ed in pena per la lunga attesa determinata dalla mia estrema immersione nel profondo abisso della Solitudine e della Poesia.
Grazie.

FINE

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Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210809

Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – sesta parte

Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da alcune settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849 al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione

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Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – sesta parte

Capitolo 4

Gli ero ormai talmente vicino che la mia maschera faticava a rendere completamente visibile l’estensione dei suoi tentacoli.
Comunque indirizzassi lo sguardo, una parte della sua mole usciva dai bordi della mia pinguino nera.

Sapevo bene che in situazioni di estrema tensione, nelle rischiose apnee, gli attimi valgono tutto, eppure, almeno per una frazione di tempo mi abbandonai all’impressione d’essere spettatore di una partita di tennis, seduto in linea con la rete, intento a seguire con continui spostamenti della testa il percorso della palla.
Di reale c’era il suo immobilismo, d’irreale la sua immobile attesa.

Tra la forza della sua indole, forgiata dalla lunga esperienza, che imponeva alle sue caratteristiche naturali di trattenere finanche lo scorrere dell’acqua negli opercoli per sfuggire nascondendosi, e la potenza della sua smisurata, prorompente, devastante stazza che le chiedeva di occultarsi scappando, la preda continuava a privilegiare la prima congettura, anche se, per tale scelta, il vetro plastificato della mia maschera nera, durante il progressivo avvicinamento, doveva apparirle come la bocca spalancata del Terrore e del Male.

Io, la mia faccia, il Terrore!

Quale percorso aveva condotto la mia vita verso e fino alla mortale sfida con quella icona bestiale? Scompaginare il certo e rumoroso declino di quel tragitto in cui mi riconoscevo felice tuffandomi nei silenzi profondi?
Offuscare un prosieguo del mio viaggio esistenziale temuto troppo simile al decadente simbolismo dell’immagine di mia sorella, seduta con un gatto sulle ginocchia, nell’atto di tagliarsi le unghie, dopo la menopausa, per meglio palpeggiare la creta, proponendosi, pulsandosi in un nuovo mondo fatto di terracotta e di ceramiche?

Gilda?
Che c’entra Gilda?

Gilda?
Che c’entra Gilda?

Gilda si crogiola sulla spiaggia con le tette al sole, voluminose, le tette, tanto da costringere a sbirciarle anche sfigati esistenzialisti un po’ gay e un po’ narcisisti durante andirivieni senza senso che lei, anima candida, neppure nota.

Non è così?
Che cosa non è così?

Crogiola, spiaggia, sole, tette, voluminose, sbirciare, sfigati, esistenzialisti, gay, narcisisti, andirivieni?

Non è questo?
Che altro allora?

Bum… la macchia nera che prima era ondeggiante tra i tentacoli del mostruoso colosso posato sul fondo marino gli schizzò, con lo scatto breve e goffo di una pantegana, verso il testone immobile nella concentrazione mimetica.
C’è tutto un modo a noi sconosciuto di comunicare tra animali non solo della stessa specie, ma anche di razze profondamente dissimili, finanche, credo, tra uccelli e pesci o tra rettili e pesci o tra molluschi e mammiferi.
Il totano è un mollusco.

Simile al polpo.

La pantegana è un mammifero.
Anch’essa nel suo ambito, spesso, sfugge dai pericoli restando ferma acquattata in un angolo, il più buio possibile, il più profondo possibile, dalle pareti il più possibile di colore scuro come la sua pelle, la sua coda, la sua testa.

Una maniera efficace almeno quanto lo è lo sfrontato mimetismo dei cefalopodi, ma che essa spesso, d’improvviso abbandona sfruttando, con la sorpresa della fuga in una direzione imprevista, l’attimo in cui il suo nemico si blocca per elaborare e decidere la modalità dell’attacco. Se esce indenne dal primo scatto, è salva.
La pantegana, abbandonato l’insicuro riparo, fuggendo, balzò sul capo di quell’immenso totem e forse gli disse….

Gilda?
Che c’entra Gilda?
Perché penso a Gilda?

Gilda?
Che c’entra Gilda?
Perché penso a Gilda?

Gilda si crogiola sulla spiaggia con le tette al sole, voluminose, le tette, tanto da costringere a sbirciarle anche sfigati esistenzialisti un po’ gay ed un po’ narcisisti durante andirivieni senza senso che lei, anima candida, neppure nota.

È vero.
Ne sono sicuro.
Sono… si… nooo…
Salgo a vedere.
Tanto bastò.

Il totano ne aveva già approfittato per mettere in moto un tentacolo nella mia direzione.

Salgo a vedere.
È troppo tardi?
Meglio, così…

Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

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Capitolo 5

Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

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Il totano: «Il nome mio tutti lo sanno: “Ignazio”.
Ignazio di Frigeria e d’Alessandro.
Ignazio di Frigeria e d’Alessandro con cuore di poeta.
Mi hanno sprofondato in questo abisso per aver mancato di rispetto ad una deità artificiale soprannominata El Tibe o El Cibe o qualcosa di simile.
Avevo cantato i pastori dell’Ellade in guerra, i fieri naviganti fuggiti dalle troiane mura, l’inferno e il paradiso (il purgatorio mi venne meno bene), Lucia la santarella, il cinque maggio, il piccolo Lord, Cappuccetto rosso e Biancaneve.
Tutto bene.
Applausi, complimenti, auguri, riconoscimenti, recensioni, premi ecc. ecc.
Fino a quando… se ci penso mi ficco il terzo tentacolo da destra nel… Fino a “Il furto della foto”. Chi poteva pensare che sarei diventato una specie di mignotta solo per aver deriso in quel racconto un tappetto umano in brache bianche e maglietta azzurra!
Infamie e vituperi, offese e minacce, e tutti i contatti professionali cassati, distrutti, annullati. Amici, spariti.
Conoscenti, neanche più un saluto.
La condanna universale.
Nessuna gratitudine sconfigge mai il danno di un’ultima minima offesa.
Il mio apporto alla gioia, non effimera, per una emozione continuamente dettata finanche a distanza di secoli attraverso solo parole (a volte tradotte in un altro idioma), e poi i casti baci che ho ricevuto dalla cultura, e poi l’essere o l’essere stato pensieri, sentimenti, amori per tutti e di nessuno, cioè tutta la linfa di me poeta, io poeta, travagliato pazzo visionario maledetto stramaledetto stramaledettissimo poeta, tutto ciò non ha retto lo scontro neppure con un bonario scherno verso la fotografia di un Pulcinella in mutande soprannominato El Sibe o El Bibe o qualcosa di simile.
Detto in un plurale maiestatis che a me si conviene, parafrasando un poeta di terra, potrei dire che per noi scrittori non sempre il tempo la beltà conserva.
Tanti anni sono trascorsi da quando gli opercoli dei miei nuovi tentacoli a mala pena raggiungevano il diametro di una capocchia di spillo.
Giocherellavo ad inserirvi prima un granello di sabbia, poi, con il trascorrere di nuove lune e nuovi soli, col tempo, una briciola della conchiglia che avevo mangiato a colazione, ed oggi, impegnandomi riesco a riempirli con bestioni della tua taglia.
E che dire della capacità di trazione di questi super tentacoli che io chiamo sagole viventi! Altro che idee, queste nerborute propaggini sì hanno valore!
È nella forza il valore dell’essere:
Non esiste l’anima.
Se anche così non fosse, l’anima non basterebbe comunque, e certo non sarebbe in alcun modo determinante nello stupido inconcludente processo di evoluzione che condiziona, con una spirale infinita, le ambizioni di tutta la città umana.
Come i sentimenti, le ideologie, le filosofie, gli amori astratti.
Tocca, tocca, tutta una corda vigorosa, come una liana.
Mi hanno parlato delle liane sugli alberi, me ne hanno raccontate di storie.
Vi si appendevano per la coda, come la tua, animali considerati progenitori degli umani (i quali sono gli animali per eccellenza, le vere bestie).
Tocca palpeggia.
Se vuoi azzanna.
C’era una barca, l’estate scorsa, una barca lunga tre ciuffi di posidonie.
Ne ho bloccato l’ancora con un solo tentacolo e l’elica, quell’aggeggio che gira rumoroso sotto il culo della poppa, ruotava e strideva, ma il natante lungo un’aiuola di posidonie non si spostava di un’onda.
Proprio come sto facendo con questo umano rompicoglioni…

 

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20210802

La menopausa di mia sorella
Racconto a puntate – quinta parte

Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da alcune settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849 al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione

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La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – quinta parte

Capitolo 3


Se ipotetici contenitori potessero recuperare tutti i suoni (i quali come ogni accadimento non attraversano spazi senza lasciare traccia), ed il loro utilizzo avvenisse in special modo accanto al lume dal braccio verde e dalla calotta gialla che illumina le mie letture mentre Gilda appassisce davanti all’ultimo film giallo trasmesso dalla televisione di stato, essi risulterebbero certamente traboccanti di una monotona ripetizione, in falsetto, urlata, malinconica, sottovoce, ad occhi bassi, sferzante, delusa, un groppo in gola, una stanchezza di confronti, un presagio di distacchi… “Il tuo presuntuoso orgoglio”.

Non ero stato sempre da sempre ai bordi di quel promontorio, ed ugualmente non era restata sempre da sempre nella mia mente l’emozione del primo incontro con Gilda.
Paradossalmente, invece, continuavo a ricordare il temine linguistico con cui in principio esaltavo le mie individualistiche esultanze per l’avvenuta conquista del suo primo semplice gesto di affetto.
In una trasformazione compiuta a seguito d’impercettibili cambiamenti, negli ultimi tempi, certo anche come corollario di continui diverbi, essa, la parola magica scaccia problemi, era ormai diventata il tormento di una goccia che rimbombi nelle orecchie, la nebbia che abbrutisca le linee orlate degli alberi, il mio compagno indesiderato, monotono, piagnone.
Ormai in me fomentavo finanche lo scherno, per uno spiacevole senso di banalità e balordaggine che mi ero convinto l’accompagnasse.
Fosse stato il contrario avrei avuta una labile speranza di attendere al confronto con il nostro passato, per tentare così di avviare tra noi una nuova forma di vicinanza più adatta ai tempi, alla società ed ai nostri anni.
Avessi continuato a sentire vivo il dolore del groppo che mi risalì dallo stomaco alla gola, lasciandomi senza fiato senza parole senza… senza tutto allorché Gilda mi gettò la prima volta le braccia al collo; fossi stato memore del graffiante percorso che una lacrima aveva solcato tra i miei occhi al contatto con la sua guancia; avessi saputo ripetere la sublime levità in cui il mio corpo depose la mia anima affinché divenisse libera di fuggire verso un bacio, un bacio e basta, allora sì, allora sì, allora sì tre volte, ora potrei affermare che il mio amore fosse diverso da tutti gli altri.
Ma forse gli amori sono veramente tutti uguali, come i cinesi.
Non voglio a questo punto proseguire con i flash di Antonella che espose le labbra (o forse era Clara?) (o forse era Gilda?) (a chi?), perché ho il netto ricordo di quando mi accorsi che avevo trovato un mio equilibrio, senza averlo cercato, e quindi scrissi che esso imponeva…

“La rinunzia a continuare nel tentativo di costruire un senso per l’amore

E smettila di essere bufera
su questo cielo
di primo meriggio
tracciato dal volo dei passeri
-di tanto è capace settembre.

allo scopo di salvare la speranza, o se non altro almeno l’illusione, di credere che, forse, le storie d’amore sono tutte uguali, come i cinesi.
Miliardi d’individui dai tratti identici: stessi occhi, stessa statura, stesso modo di porgere, stesso incedere.
Eppure gestiscono, con comportamenti del tutto analoghi ai nostri, i rapporti e le individualità. Si riconoscono.
Le storie d’amore sono tutte uguali. Io non sono né Gino né Lelio, e Gilda non è Clara e neppure Antonella.
Da Elena a Giulietta, dal Principe Azzurro a Dante, le vicende degli innamorati s’identificano, nel tema comune dell’irrinunciabile, perfino con la infinita determinazione «Per me non conta altro» della gente comune.
Ed allora io sono Gino, divento Lelio sono… tu sei…
La passione universale ed eterna del mito Medea è identica all’irrinunciabile ostinazione che in ogni attimo rende moltitudini di persone anonime protagoniste di trombe d’aria tanto brevi, impercettibili e disattese da smuovere a stento l’atmosfera sopita delle loro famiglie, delle piccole comunità nelle quali articolano l’intimità della loro vita, ed eccezionalmente, nei casi brutali più eclatanti, divengono elementi di curiose pruderie e pettegolezzi per le cronache da fondo pagina di giornali locali.
Le storie d’amore sono tutte fotocopie nel linguaggio e nella gestualità – come i cinesi -, eppure ciascuno di noi ripete e riconosce le proprie.
Io sono Clara sono te sono Antonella tu sei me e Gino e Lelio.

Così nel suo destino
così
senza battiti di ciglia
ad un velo dal suo respiro,
fra le sue dita,
così
nella solitudine delle nostre ansie,
io sono la viola
cercata in un bosco
io sono corda di viola
in un suono d’orchestra
io sono viola pensiero
che scuote passioni
io sono di mammole viola
la macchia, l’inchiostro,
di semi di viola appassita
profumi e magie,
io sono poeta
io sono

silenzio.

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Ho detto: -«Voglio che tu sia la mia donna»
Ha detto: -«Voglio che tu sia la mia amante.»
Ho detto: -«Ti amo.»
Ha detto: -«Non chiedermi amore».
Ognuno riconosce la sua. Per sfumature in teneri acquarelli, per contrasti di toni in opere corpose, per forme di linee in immagini astratte e cerebrali.
Storie tenere, corpose, cerebrali, come tutta la vita mia”.

… Con Gilda.
Quella mattina di inizio settembre, prima d’immergermi nella nuova solitudine, nella desolata ricerca della mia murena, il rimbombo ossessivo dell’aggettivo che mi aveva dato sempre da sempre il senso del mio amore, mi donò un’ultima briciola di poesia:

Scriverò di te innocente – giovane Apache –
dalla lunga chioma di grappoli,
di grappoli d’uva rossigna,
tra le fiamme dei tronchi,
dei tronchi ardenti sfavillanti
una notte di cielo deserto,
deserto, nel cuore del deserto.

Penserò alla tua malinconia – giovane Apache –
d’attesa e di passioni
con occhi memorie,
memorie affastellate,
sopra i fumi dei tronchi,
dei tronchi assopiti
nelle notti di cielo deserto,
deserto, come il cuore del deserto.

Amerò gli sguardi squillanti – giovane Apache –
per la felice follia di silenziosi sorrisi,
sorrisi all’ombra di tante chimere,
dentro ai profumi dei tronchi,
dei tronchi spenti dalla mia ombra
ogni notte di cielo deserto,
deserto, più del cuore del deserto.

Prima di uscire verso il mare, con in cielo il sole ancora rosato e velato come Gilda nel letto, con due stelle basse sull’orizzonte come gli occhi di Gilda dopo una notte di baldorie, lasciai il foglietto dei versi accanto al cofanetto del trucco – Gilda lo usava ogni mattina -, presi una penna di colore diverso, rossa, detti ascolto, per una volta, alla voce della ragione che m’imponeva di fare chiarezza.
Affinché Gilda sapesse.
Non solo per giustificare la mia decisione.
Andare in cerca della predatrice immobile.
Sollevare un velo sul presente.
L’ossessione della murena.
Ciò nonostante la sola libertà che seppi concedermi fu un messaggio criptico, risultato infine appannato, celato tra parole poco più che banali, scritto con penna rossa in poche righe a margine della poesia Apache:

”La colpa sono io.
Un bacio a nostro figlio.
Vado ad incontrare la mia bestia.
Addio.”

Certo, ho sempre da sempre avuto memoria della parola che mi riempiva la testa e la vita, la testa e la vita: “Incredibile”.
Un amore incredibile, un amore incredibile.
Incredibile.

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210726

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – quarta parte

 Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da alcune settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849  al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione
 
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La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – quarta parte

Capitolo 3
Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA


Ma io non ho mai dato questi attestati!
Né ho chiesto aiuto per propagandare il nome mio!
Neppure ho offerto difese ai cialtroni ed agli imbonitori di povere anime ingenue!
Io non impongo preghiere! Io non ho lamenti per la mia solitudine, né patisco l’ignoranza di chi sfugge a se stesso, e poi, e poi, e poi, e poi.
è però certo senza poi e senza ma che io schifo profondamente l’ignavia dei vostri comportamenti incoerenti, finanche con la truffa sfacciata che vi rende sovrani
Gilda non poteva non udire, dovunque fosse, e non voleva tacere nei confronti di qualunque provocazione io producessi, quindi, lasciò che terminassi il proclama, e punse l’evidente allitterazione verso cui non ponevo remore:
Ciascuno è re dei sudditi che riesce a conquistare.
Ciascuno è dio dei fedeli che riesce a creare.
Vuoi ricrearti re, dio, suddito o fedele?
Non credo che tu lo sappia, e non lo scoprirai urlando
Ma io aspettavo da lei lozioni odorose, dolci linimenti, melasse e dolcezze, infusi inebrianti, vibrazioni sottocutanee, suadenti passionali serenità, il volo silenzioso di abbracci mai privi di… mai privi di tutto intero il nostro passato!
Ciò non avvenne neppure quando iniziai a scrivere un capitolo nel quale riportavo di aver fermato la mia attenzione su un profilattico usato e lasciato per terra, in una calda giornata autunnale, accanto al muro di cinta di un parcheggio confinante con un terreno incolto.
“… qualcuno al mio posto l’avrebbe fatto segno di considerazioni dai vaghi risvolti cannibaleschi?
Dal mio totalizzatore la risposta positiva non è data vincente.
Eppure di un così fetente gesto d’inciviltà – parcheggio Cava dell’isola 14 ottobre 2006 ore 13 – per me sarebbe stato divertente parlarne con lo strafottente autore.
Egli, senza dubbio sfacciato e prepotente, incolto e superficiale, maschio ma per niente uomo, forse sarebbe rimasto disorientato se fosse stato condotto a vedere le migliaia di formiche nere freneticamente impegnate a distruggere annientare e trasportare nei loro depositi alimentari i poveri resti dei suoi spermatozoi.
Eppure, quasi certamente, egli fa sua la fede che assegna a quella schifezza – da lui lasciata in balia dei fieri predatori – i diritti inalienabili riconosciuti a beneficio delle forme vitali preposte alla riproduzione della specie umana, negli stessi termini nei quali, questa ultima, riceve gloria per essere stata plasmata personalmente dal creatore in cui lui, lurido zozzone, finge di credere.
I massimi requisiti della fertile potenza di quel porco eiaculatore, i codici del suo patrimonio genetico, assaliti da legioni di formiche nere, devastanti distruttrici dell’unico elemento di civiltà che gli era dato di possedere! Lo sperma è spesso migliore dell’uomo”.
Maniacale ricerca dell’orrido”, fu il commento che Gilda lasciò a margine della pagina.
Ed allora iniziai, solo iniziai, per mia fortuna iniziai soltanto, a cercare di ricavare un nesso dal fatto che a mia sorella dopo la menopausa crebbero le unghie.

Una spuma d’onda sgocciolò nel tubo della maschera richiamandomi a riprendere il cotrollo della situazione in cui mi trovavo.
Quasi a fuggire da questi nuovi e vecchi invadenti ed inopportuni pensieri, effettuai di botto un profondo respiro, spinsi la testa sottacqua, ruotai il capo verso il basso, e, dando un deciso colpo di pinne, mi lasciai cadere nella profonda fenditura tra due masse rocciose.
Nel chiarore indeciso delle strisce di sole che, penetrando i circa otto metri di profondità, in una prospettiva parevano sciamare entro gruppi aghiformi tra i filari delle posidonie, mentre invece, in un angolo opposto, squarciavano il fondale trafiggendo l’incastro della falda sulla scogliera, come un fantasma di pura luce, seguendo la corrente sottomarina con un docile movimento a pendolo che non ne spostava granché la posizione, un fantastico enorme agglomerato, perfettamente mimetizzato tra le rare pietre, le variegate alghe, e gli spigoli di sabbia, giaceva come un polpo.

Un polpo?
Una piovra!

Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA

Otto metri circa sotto di me, un polpo di dimensioni mai prima affrontate sbatacchiava fra i suoi enormi tentacoli una macchia nerastra simile ad una delle rotondeggianti rocce laviche stracciate dai bordi del magma solidificato.
A meno che non si fosse trattato di un riccio gigante o di un grappolo di cozze, la macchia non mi sembrava giustificata in quel luogo.
Non ebbi in mente altre ipotesi.
Neppure che potesse trattarsi di un totano.
Le pulsazioni m’incalzavano risucchiando quanto più ossigeno possibile dai polmoni, l’adrenalina mi eccitò rendendo secchi e decisi i movimenti con i quali proseguii la discesa, gli occhi sbarrati dietro il vetro perlato della maschera molto compressa sulla faccia puntarono il centro dell’ammasso spiaccicato indifeso sul fondo, la mano destra strinse l’asta d’acciaio del tridente fino a procurarmi dolore per l’improvvida compressione, il braccio sinistro si mosse a cavare il pugnale dalla guaina legata al polpaccio.

Non ebbi un pensiero.
Che fosse un totano.

Agii come un plotone di armigeri. In una azione simultanea, un unico sincronismo, un insieme fatto di singoli particolari, in un unico tutto, il mio corpo non mi appartenne, ma si comportò, nelle sue diverse strutture, come un gruppo formato da numerose entità, ciascuna decisamente separata da tutto il resto, ma che attuava un canovaccio a lungo studiato e provato e riprovato.
Il sincrono meccanismo di una squadra d’incursori movimentò ogni singolo muscolo di ogni azione della mia persona, anche sensoriale, tattile, visiva, preposta al controllo della fulminea immersione d’attacco che andavo attuando.

Era lì.
La bestia più grande e fascinosa che avessi mai affrontato nella vita.
Con tutti i pericoli.
Era lì.
Con tutte le insidie.

Certo, non tradussi in un ragionamento logico l’immagine del cefalopode mentre si dibatteva, trafitto dall’arpione, brandendo i tentacoli alla ricerca di un aggancio con l’assalitore per trattenerlo sul fondo fino alla morte per esaurimento delle sue risorse d’aria.
Nemmeno mi dettai la prudenza di non avvicinarmi tanto da consentirgli di ferrarsi ad una qualsiasi sporgenza voluminosa, sfilacciando un tentacolo sulla mia mano che impugnava l’arma. Neppure, neanche, nemmeno ricordai per un attimo la nube nero inchiostro che avrebbe potuto spargermi intorno, impedendo, così, che vedessi i pericoli portati dai suoi contrattacchi.
Era lì.
Con tutte le insidie.
Era lì.
Con tutta la potenza del suo mostrarsi padrone in un regno che non concedeva superflui respiri, forze e movimenti.
Un mondo senza poesia.
Un mondo che non accoglieva benevolo l’infido luccichio del mio sguardo, né il barlume del mio pugnale.
Con me veloci, le punte del tridente, meticolosamente affilate, fenderono l’acqua alternando bagliori nella discesa.
Tutte le forze del braccio teso e del corpo trascinato nell’apnea dai pesi che portavo agganciati alla cintura, furono guidati dall’incosciente volontà di una conquista che di conquista non aveva nulla. Per la cattura più esaltante da mostrare che da possedere gelosamente, fosse anche solo nei ricordi.
Per una morte che se fosse giunta sarebbe stata solo una morte.

Era lì.
Anche io.

Non ero stato sempre da sempre ai bordi di quel promontorio, non mi ero di abitudine tuffato con tanta foga, repentinamente, verso una situazione imprevista, non avevo mai subito l’ansia per la scoperta di una chimera, né ero mai stato succube di una simile crudeltà immotivata.
Gilda diceva “Il tuo malvezzo è un presuntuoso orgoglio”.
In tante occasioni sarei stato tentato di spingerla a ridimensionare, utilizzando esempi concreti, un giudizio che non avendo nulla di concettuale, alla fine di ogni discussione, lei m’appiccicava sul muso come un’aringa affumicata.

Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

 

 

Il Dispari 20210607 – Redazione culturale DILA

DILA

NUSIV

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Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210809

Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – sesta parte

Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da alcune settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849 al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione

https://www.lulu.com/en/en/shop/bruno-mancini/per-aurora-volume-quinto/paperback/product-1zmn68dj.html?page=1&pageSize=4,

oppure facendone richiesta all’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA dila@emmegiischia.com al prezzo di € 14.00 comprese spese di spedizione.

Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – sesta parte

Capitolo 4

Gli ero ormai talmente vicino che la mia maschera faticava a rendere completamente visibile l’estensione dei suoi tentacoli.
Comunque indirizzassi lo sguardo, una parte della sua mole usciva dai bordi della mia pinguino nera.

Sapevo bene che in situazioni di estrema tensione, nelle rischiose apnee, gli attimi valgono tutto, eppure, almeno per una frazione di tempo mi abbandonai all’impressione d’essere spettatore di una partita di tennis, seduto in linea con la rete, intento a seguire con continui spostamenti della testa il percorso della palla.
Di reale c’era il suo immobilismo, d’irreale la sua immobile attesa.

Tra la forza della sua indole, forgiata dalla lunga esperienza, che imponeva alle sue caratteristiche naturali di trattenere finanche lo scorrere dell’acqua negli opercoli per sfuggire nascondendosi, e la potenza della sua smisurata, prorompente, devastante stazza che le chiedeva di occultarsi scappando, la preda continuava a privilegiare la prima congettura, anche se, per tale scelta, il vetro plastificato della mia maschera nera, durante il progressivo avvicinamento, doveva apparirle come la bocca spalancata del Terrore e del Male.

Io, la mia faccia, il Terrore!

Quale percorso aveva condotto la mia vita verso e fino alla mortale sfida con quella icona bestiale? Scompaginare il certo e rumoroso declino di quel tragitto in cui mi riconoscevo felice tuffandomi nei silenzi profondi?
Offuscare un prosieguo del mio viaggio esistenziale temuto troppo simile al decadente simbolismo dell’immagine di mia sorella, seduta con un gatto sulle ginocchia, nell’atto di tagliarsi le unghie, dopo la menopausa, per meglio palpeggiare la creta, proponendosi, pulsandosi in un nuovo mondo fatto di terracotta e di ceramiche?

Gilda?
Che c’entra Gilda?

Gilda?
Che c’entra Gilda?

Gilda si crogiola sulla spiaggia con le tette al sole, voluminose, le tette, tanto da costringere a sbirciarle anche sfigati esistenzialisti un po’ gay e un po’ narcisisti durante andirivieni senza senso che lei, anima candida, neppure nota.

Non è così?
Che cosa non è così?

Crogiola, spiaggia, sole, tette, voluminose, sbirciare, sfigati, esistenzialisti, gay, narcisisti, andirivieni?

Non è questo?
Che altro allora?

Bum… la macchia nera che prima era ondeggiante tra i tentacoli del mostruoso colosso posato sul fondo marino gli schizzò, con lo scatto breve e goffo di una pantegana, verso il testone immobile nella concentrazione mimetica.
C’è tutto un modo a noi sconosciuto di comunicare tra animali non solo della stessa specie, ma anche di razze profondamente dissimili, finanche, credo, tra uccelli e pesci o tra rettili e pesci o tra molluschi e mammiferi.
Il totano è un mollusco.

Simile al polpo.

La pantegana è un mammifero.
Anch’essa nel suo ambito, spesso, sfugge dai pericoli restando ferma acquattata in un angolo, il più buio possibile, il più profondo possibile, dalle pareti il più possibile di colore scuro come la sua pelle, la sua coda, la sua testa.

Una maniera efficace almeno quanto lo è lo sfrontato mimetismo dei cefalopodi, ma che essa spesso, d’improvviso abbandona sfruttando, con la sorpresa della fuga in una direzione imprevista, l’attimo in cui il suo nemico si blocca per elaborare e decidere la modalità dell’attacco. Se esce indenne dal primo scatto, è salva.
La pantegana, abbandonato l’insicuro riparo, fuggendo, balzò sul capo di quell’immenso totem e forse gli disse….

Gilda?
Che c’entra Gilda?
Perché penso a Gilda?

Gilda?
Che c’entra Gilda?
Perché penso a Gilda?

Gilda si crogiola sulla spiaggia con le tette al sole, voluminose, le tette, tanto da costringere a sbirciarle anche sfigati esistenzialisti un po’ gay ed un po’ narcisisti durante andirivieni senza senso che lei, anima candida, neppure nota.

È vero.
Ne sono sicuro.
Sono… si… nooo…
Salgo a vedere.
Tanto bastò.

Il totano ne aveva già approfittato per mettere in moto un tentacolo nella mia direzione.

Salgo a vedere.
È troppo tardi?
Meglio, così…

Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

Capitolo 5

Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA

Il totano: «Il nome mio tutti lo sanno: “Ignazio”.
Ignazio di Frigeria e d’Alessandro.
Ignazio di Frigeria e d’Alessandro con cuore di poeta.
Mi hanno sprofondato in questo abisso per aver mancato di rispetto ad una deità artificiale soprannominata El Tibe o El Cibe o qualcosa di simile.
Avevo cantato i pastori dell’Ellade in guerra, i fieri naviganti fuggiti dalle troiane mura, l’inferno e il paradiso (il purgatorio mi venne meno bene), Lucia la santarella, il cinque maggio, il piccolo Lord, Cappuccetto rosso e Biancaneve.
Tutto bene.
Applausi, complimenti, auguri, riconoscimenti, recensioni, premi ecc. ecc.
Fino a quando… se ci penso mi ficco il terzo tentacolo da destra nel… Fino a “Il furto della foto”. Chi poteva pensare che sarei diventato una specie di mignotta solo per aver deriso in quel racconto un tappetto umano in brache bianche e maglietta azzurra!
Infamie e vituperi, offese e minacce, e tutti i contatti professionali cassati, distrutti, annullati. Amici, spariti.
Conoscenti, neanche più un saluto.
La condanna universale.
Nessuna gratitudine sconfigge mai il danno di un’ultima minima offesa.
Il mio apporto alla gioia, non effimera, per una emozione continuamente dettata finanche a distanza di secoli attraverso solo parole (a volte tradotte in un altro idioma), e poi i casti baci che ho ricevuto dalla cultura, e poi l’essere o l’essere stato pensieri, sentimenti, amori per tutti e di nessuno, cioè tutta la linfa di me poeta, io poeta, travagliato pazzo visionario maledetto stramaledetto stramaledettissimo poeta, tutto ciò non ha retto lo scontro neppure con un bonario scherno verso la fotografia di un Pulcinella in mutande soprannominato El Sibe o El Bibe o qualcosa di simile.
Detto in un plurale maiestatis che a me si conviene, parafrasando un poeta di terra, potrei dire che per noi scrittori non sempre il tempo la beltà conserva.
Tanti anni sono trascorsi da quando gli opercoli dei miei nuovi tentacoli a mala pena raggiungevano il diametro di una capocchia di spillo.
Giocherellavo ad inserirvi prima un granello di sabbia, poi, con il trascorrere di nuove lune e nuovi soli, col tempo, una briciola della conchiglia che avevo mangiato a colazione, ed oggi, impegnandomi riesco a riempirli con bestioni della tua taglia.
E che dire della capacità di trazione di questi super tentacoli che io chiamo sagole viventi! Altro che idee, queste nerborute propaggini sì hanno valore!
È nella forza il valore dell’essere:
Non esiste l’anima.
Se anche così non fosse, l’anima non basterebbe comunque, e certo non sarebbe in alcun modo determinante nello stupido inconcludente processo di evoluzione che condiziona, con una spirale infinita, le ambizioni di tutta la città umana.
Come i sentimenti, le ideologie, le filosofie, gli amori astratti.
Tocca, tocca, tutta una corda vigorosa, come una liana.
Mi hanno parlato delle liane sugli alberi, me ne hanno raccontate di storie.
Vi si appendevano per la coda, come la tua, animali considerati progenitori degli umani (i quali sono gli animali per eccellenza, le vere bestie).
Tocca palpeggia.
Se vuoi azzanna.
C’era una barca, l’estate scorsa, una barca lunga tre ciuffi di posidonie.
Ne ho bloccato l’ancora con un solo tentacolo e l’elica, quell’aggeggio che gira rumoroso sotto il culo della poppa, ruotava e strideva, ma il natante lungo un’aiuola di posidonie non si spostava di un’onda.
Proprio come sto facendo con questo umano rompicoglioni…

 

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210802

La menopausa di mia sorella
Racconto a puntate – quinta parte

Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da alcune settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849 al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione

https://www.lulu.com/en/en/shop/bruno-mancini/per-aurora-volume-quinto/paperback/product-1zmn68dj.html?page=1&pageSize=4,

oppure facendone richiesta all’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA dila@emmegiischia.com al prezzo di € 14.00 comprese spese di spedizione.

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – quinta parte

Capitolo 3


Se ipotetici contenitori potessero recuperare tutti i suoni (i quali come ogni accadimento non attraversano spazi senza lasciare traccia), ed il loro utilizzo avvenisse in special modo accanto al lume dal braccio verde e dalla calotta gialla che illumina le mie letture mentre Gilda appassisce davanti all’ultimo film giallo trasmesso dalla televisione di stato, essi risulterebbero certamente traboccanti di una monotona ripetizione, in falsetto, urlata, malinconica, sottovoce, ad occhi bassi, sferzante, delusa, un groppo in gola, una stanchezza di confronti, un presagio di distacchi… “Il tuo presuntuoso orgoglio”.

Non ero stato sempre da sempre ai bordi di quel promontorio, ed ugualmente non era restata sempre da sempre nella mia mente l’emozione del primo incontro con Gilda.
Paradossalmente, invece, continuavo a ricordare il temine linguistico con cui in principio esaltavo le mie individualistiche esultanze per l’avvenuta conquista del suo primo semplice gesto di affetto.
In una trasformazione compiuta a seguito d’impercettibili cambiamenti, negli ultimi tempi, certo anche come corollario di continui diverbi, essa, la parola magica scaccia problemi, era ormai diventata il tormento di una goccia che rimbombi nelle orecchie, la nebbia che abbrutisca le linee orlate degli alberi, il mio compagno indesiderato, monotono, piagnone.
Ormai in me fomentavo finanche lo scherno, per uno spiacevole senso di banalità e balordaggine che mi ero convinto l’accompagnasse.
Fosse stato il contrario avrei avuta una labile speranza di attendere al confronto con il nostro passato, per tentare così di avviare tra noi una nuova forma di vicinanza più adatta ai tempi, alla società ed ai nostri anni.
Avessi continuato a sentire vivo il dolore del groppo che mi risalì dallo stomaco alla gola, lasciandomi senza fiato senza parole senza… senza tutto allorché Gilda mi gettò la prima volta le braccia al collo; fossi stato memore del graffiante percorso che una lacrima aveva solcato tra i miei occhi al contatto con la sua guancia; avessi saputo ripetere la sublime levità in cui il mio corpo depose la mia anima affinché divenisse libera di fuggire verso un bacio, un bacio e basta, allora sì, allora sì, allora sì tre volte, ora potrei affermare che il mio amore fosse diverso da tutti gli altri.
Ma forse gli amori sono veramente tutti uguali, come i cinesi.
Non voglio a questo punto proseguire con i flash di Antonella che espose le labbra (o forse era Clara?) (o forse era Gilda?) (a chi?), perché ho il netto ricordo di quando mi accorsi che avevo trovato un mio equilibrio, senza averlo cercato, e quindi scrissi che esso imponeva…

“La rinunzia a continuare nel tentativo di costruire un senso per l’amore

E smettila di essere bufera
su questo cielo
di primo meriggio
tracciato dal volo dei passeri
-di tanto è capace settembre.

allo scopo di salvare la speranza, o se non altro almeno l’illusione, di credere che, forse, le storie d’amore sono tutte uguali, come i cinesi.
Miliardi d’individui dai tratti identici: stessi occhi, stessa statura, stesso modo di porgere, stesso incedere.
Eppure gestiscono, con comportamenti del tutto analoghi ai nostri, i rapporti e le individualità. Si riconoscono.
Le storie d’amore sono tutte uguali. Io non sono né Gino né Lelio, e Gilda non è Clara e neppure Antonella.
Da Elena a Giulietta, dal Principe Azzurro a Dante, le vicende degli innamorati s’identificano, nel tema comune dell’irrinunciabile, perfino con la infinita determinazione «Per me non conta altro» della gente comune.
Ed allora io sono Gino, divento Lelio sono… tu sei…
La passione universale ed eterna del mito Medea è identica all’irrinunciabile ostinazione che in ogni attimo rende moltitudini di persone anonime protagoniste di trombe d’aria tanto brevi, impercettibili e disattese da smuovere a stento l’atmosfera sopita delle loro famiglie, delle piccole comunità nelle quali articolano l’intimità della loro vita, ed eccezionalmente, nei casi brutali più eclatanti, divengono elementi di curiose pruderie e pettegolezzi per le cronache da fondo pagina di giornali locali.
Le storie d’amore sono tutte fotocopie nel linguaggio e nella gestualità – come i cinesi -, eppure ciascuno di noi ripete e riconosce le proprie.
Io sono Clara sono te sono Antonella tu sei me e Gino e Lelio.

Così nel suo destino
così
senza battiti di ciglia
ad un velo dal suo respiro,
fra le sue dita,
così
nella solitudine delle nostre ansie,
io sono la viola
cercata in un bosco
io sono corda di viola
in un suono d’orchestra
io sono viola pensiero
che scuote passioni
io sono di mammole viola
la macchia, l’inchiostro,
di semi di viola appassita
profumi e magie,
io sono poeta
io sono

silenzio.

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Ho detto: -«Voglio che tu sia la mia donna»
Ha detto: -«Voglio che tu sia la mia amante.»
Ho detto: -«Ti amo.»
Ha detto: -«Non chiedermi amore».
Ognuno riconosce la sua. Per sfumature in teneri acquarelli, per contrasti di toni in opere corpose, per forme di linee in immagini astratte e cerebrali.
Storie tenere, corpose, cerebrali, come tutta la vita mia”.

… Con Gilda.
Quella mattina di inizio settembre, prima d’immergermi nella nuova solitudine, nella desolata ricerca della mia murena, il rimbombo ossessivo dell’aggettivo che mi aveva dato sempre da sempre il senso del mio amore, mi donò un’ultima briciola di poesia:

Scriverò di te innocente – giovane Apache –
dalla lunga chioma di grappoli,
di grappoli d’uva rossigna,
tra le fiamme dei tronchi,
dei tronchi ardenti sfavillanti
una notte di cielo deserto,
deserto, nel cuore del deserto.

Penserò alla tua malinconia – giovane Apache –
d’attesa e di passioni
con occhi memorie,
memorie affastellate,
sopra i fumi dei tronchi,
dei tronchi assopiti
nelle notti di cielo deserto,
deserto, come il cuore del deserto.

Amerò gli sguardi squillanti – giovane Apache –
per la felice follia di silenziosi sorrisi,
sorrisi all’ombra di tante chimere,
dentro ai profumi dei tronchi,
dei tronchi spenti dalla mia ombra
ogni notte di cielo deserto,
deserto, più del cuore del deserto.

Prima di uscire verso il mare, con in cielo il sole ancora rosato e velato come Gilda nel letto, con due stelle basse sull’orizzonte come gli occhi di Gilda dopo una notte di baldorie, lasciai il foglietto dei versi accanto al cofanetto del trucco – Gilda lo usava ogni mattina -, presi una penna di colore diverso, rossa, detti ascolto, per una volta, alla voce della ragione che m’imponeva di fare chiarezza.
Affinché Gilda sapesse.
Non solo per giustificare la mia decisione.
Andare in cerca della predatrice immobile.
Sollevare un velo sul presente.
L’ossessione della murena.
Ciò nonostante la sola libertà che seppi concedermi fu un messaggio criptico, risultato infine appannato, celato tra parole poco più che banali, scritto con penna rossa in poche righe a margine della poesia Apache:

”La colpa sono io.
Un bacio a nostro figlio.
Vado ad incontrare la mia bestia.
Addio.”

Certo, ho sempre da sempre avuto memoria della parola che mi riempiva la testa e la vita, la testa e la vita: “Incredibile”.
Un amore incredibile, un amore incredibile.
Incredibile.

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210726

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – quarta parte

 Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da alcune settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849  al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione
 
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oppure facendone richiesta all’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA dila@emmegiischia.com al prezzo di € 14.00 comprese spese di spedizione.

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – quarta parte

Capitolo 3
Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA


Ma io non ho mai dato questi attestati!
Né ho chiesto aiuto per propagandare il nome mio!
Neppure ho offerto difese ai cialtroni ed agli imbonitori di povere anime ingenue!
Io non impongo preghiere! Io non ho lamenti per la mia solitudine, né patisco l’ignoranza di chi sfugge a se stesso, e poi, e poi, e poi, e poi.
è però certo senza poi e senza ma che io schifo profondamente l’ignavia dei vostri comportamenti incoerenti, finanche con la truffa sfacciata che vi rende sovrani
Gilda non poteva non udire, dovunque fosse, e non voleva tacere nei confronti di qualunque provocazione io producessi, quindi, lasciò che terminassi il proclama, e punse l’evidente allitterazione verso cui non ponevo remore:
Ciascuno è re dei sudditi che riesce a conquistare.
Ciascuno è dio dei fedeli che riesce a creare.
Vuoi ricrearti re, dio, suddito o fedele?
Non credo che tu lo sappia, e non lo scoprirai urlando
Ma io aspettavo da lei lozioni odorose, dolci linimenti, melasse e dolcezze, infusi inebrianti, vibrazioni sottocutanee, suadenti passionali serenità, il volo silenzioso di abbracci mai privi di… mai privi di tutto intero il nostro passato!
Ciò non avvenne neppure quando iniziai a scrivere un capitolo nel quale riportavo di aver fermato la mia attenzione su un profilattico usato e lasciato per terra, in una calda giornata autunnale, accanto al muro di cinta di un parcheggio confinante con un terreno incolto.
“… qualcuno al mio posto l’avrebbe fatto segno di considerazioni dai vaghi risvolti cannibaleschi?
Dal mio totalizzatore la risposta positiva non è data vincente.
Eppure di un così fetente gesto d’inciviltà – parcheggio Cava dell’isola 14 ottobre 2006 ore 13 – per me sarebbe stato divertente parlarne con lo strafottente autore.
Egli, senza dubbio sfacciato e prepotente, incolto e superficiale, maschio ma per niente uomo, forse sarebbe rimasto disorientato se fosse stato condotto a vedere le migliaia di formiche nere freneticamente impegnate a distruggere annientare e trasportare nei loro depositi alimentari i poveri resti dei suoi spermatozoi.
Eppure, quasi certamente, egli fa sua la fede che assegna a quella schifezza – da lui lasciata in balia dei fieri predatori – i diritti inalienabili riconosciuti a beneficio delle forme vitali preposte alla riproduzione della specie umana, negli stessi termini nei quali, questa ultima, riceve gloria per essere stata plasmata personalmente dal creatore in cui lui, lurido zozzone, finge di credere.
I massimi requisiti della fertile potenza di quel porco eiaculatore, i codici del suo patrimonio genetico, assaliti da legioni di formiche nere, devastanti distruttrici dell’unico elemento di civiltà che gli era dato di possedere! Lo sperma è spesso migliore dell’uomo”.
Maniacale ricerca dell’orrido”, fu il commento che Gilda lasciò a margine della pagina.
Ed allora iniziai, solo iniziai, per mia fortuna iniziai soltanto, a cercare di ricavare un nesso dal fatto che a mia sorella dopo la menopausa crebbero le unghie.

Una spuma d’onda sgocciolò nel tubo della maschera richiamandomi a riprendere il cotrollo della situazione in cui mi trovavo.
Quasi a fuggire da questi nuovi e vecchi invadenti ed inopportuni pensieri, effettuai di botto un profondo respiro, spinsi la testa sottacqua, ruotai il capo verso il basso, e, dando un deciso colpo di pinne, mi lasciai cadere nella profonda fenditura tra due masse rocciose.
Nel chiarore indeciso delle strisce di sole che, penetrando i circa otto metri di profondità, in una prospettiva parevano sciamare entro gruppi aghiformi tra i filari delle posidonie, mentre invece, in un angolo opposto, squarciavano il fondale trafiggendo l’incastro della falda sulla scogliera, come un fantasma di pura luce, seguendo la corrente sottomarina con un docile movimento a pendolo che non ne spostava granché la posizione, un fantastico enorme agglomerato, perfettamente mimetizzato tra le rare pietre, le variegate alghe, e gli spigoli di sabbia, giaceva come un polpo.

Un polpo?
Una piovra!

Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA

Otto metri circa sotto di me, un polpo di dimensioni mai prima affrontate sbatacchiava fra i suoi enormi tentacoli una macchia nerastra simile ad una delle rotondeggianti rocce laviche stracciate dai bordi del magma solidificato.
A meno che non si fosse trattato di un riccio gigante o di un grappolo di cozze, la macchia non mi sembrava giustificata in quel luogo.
Non ebbi in mente altre ipotesi.
Neppure che potesse trattarsi di un totano.
Le pulsazioni m’incalzavano risucchiando quanto più ossigeno possibile dai polmoni, l’adrenalina mi eccitò rendendo secchi e decisi i movimenti con i quali proseguii la discesa, gli occhi sbarrati dietro il vetro perlato della maschera molto compressa sulla faccia puntarono il centro dell’ammasso spiaccicato indifeso sul fondo, la mano destra strinse l’asta d’acciaio del tridente fino a procurarmi dolore per l’improvvida compressione, il braccio sinistro si mosse a cavare il pugnale dalla guaina legata al polpaccio.

Non ebbi un pensiero.
Che fosse un totano.

Agii come un plotone di armigeri. In una azione simultanea, un unico sincronismo, un insieme fatto di singoli particolari, in un unico tutto, il mio corpo non mi appartenne, ma si comportò, nelle sue diverse strutture, come un gruppo formato da numerose entità, ciascuna decisamente separata da tutto il resto, ma che attuava un canovaccio a lungo studiato e provato e riprovato.
Il sincrono meccanismo di una squadra d’incursori movimentò ogni singolo muscolo di ogni azione della mia persona, anche sensoriale, tattile, visiva, preposta al controllo della fulminea immersione d’attacco che andavo attuando.

Era lì.
La bestia più grande e fascinosa che avessi mai affrontato nella vita.
Con tutti i pericoli.
Era lì.
Con tutte le insidie.

Certo, non tradussi in un ragionamento logico l’immagine del cefalopode mentre si dibatteva, trafitto dall’arpione, brandendo i tentacoli alla ricerca di un aggancio con l’assalitore per trattenerlo sul fondo fino alla morte per esaurimento delle sue risorse d’aria.
Nemmeno mi dettai la prudenza di non avvicinarmi tanto da consentirgli di ferrarsi ad una qualsiasi sporgenza voluminosa, sfilacciando un tentacolo sulla mia mano che impugnava l’arma. Neppure, neanche, nemmeno ricordai per un attimo la nube nero inchiostro che avrebbe potuto spargermi intorno, impedendo, così, che vedessi i pericoli portati dai suoi contrattacchi.
Era lì.
Con tutte le insidie.
Era lì.
Con tutta la potenza del suo mostrarsi padrone in un regno che non concedeva superflui respiri, forze e movimenti.
Un mondo senza poesia.
Un mondo che non accoglieva benevolo l’infido luccichio del mio sguardo, né il barlume del mio pugnale.
Con me veloci, le punte del tridente, meticolosamente affilate, fenderono l’acqua alternando bagliori nella discesa.
Tutte le forze del braccio teso e del corpo trascinato nell’apnea dai pesi che portavo agganciati alla cintura, furono guidati dall’incosciente volontà di una conquista che di conquista non aveva nulla. Per la cattura più esaltante da mostrare che da possedere gelosamente, fosse anche solo nei ricordi.
Per una morte che se fosse giunta sarebbe stata solo una morte.

Era lì.
Anche io.

Non ero stato sempre da sempre ai bordi di quel promontorio, non mi ero di abitudine tuffato con tanta foga, repentinamente, verso una situazione imprevista, non avevo mai subito l’ansia per la scoperta di una chimera, né ero mai stato succube di una simile crudeltà immotivata.
Gilda diceva “Il tuo malvezzo è un presuntuoso orgoglio”.
In tante occasioni sarei stato tentato di spingerla a ridimensionare, utilizzando esempi concreti, un giudizio che non avendo nulla di concettuale, alla fine di ogni discussione, lei m’appiccicava sul muso come un’aringa affumicata.

Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20210802

La menopausa di mia sorella
Racconto a puntate – quinta parte

Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da alcune settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849 al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione

https://www.lulu.com/en/en/shop/bruno-mancini/per-aurora-volume-quinto/paperback/product-1zmn68dj.html?page=1&pageSize=4,

oppure facendone richiesta all’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA dila@emmegiischia.com al prezzo di € 14.00 comprese spese di spedizione.

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – quinta parte

Capitolo 3


Se ipotetici contenitori potessero recuperare tutti i suoni (i quali come ogni accadimento non attraversano spazi senza lasciare traccia), ed il loro utilizzo avvenisse in special modo accanto al lume dal braccio verde e dalla calotta gialla che illumina le mie letture mentre Gilda appassisce davanti all’ultimo film giallo trasmesso dalla televisione di stato, essi risulterebbero certamente traboccanti di una monotona ripetizione, in falsetto, urlata, malinconica, sottovoce, ad occhi bassi, sferzante, delusa, un groppo in gola, una stanchezza di confronti, un presagio di distacchi… “Il tuo presuntuoso orgoglio”.

Non ero stato sempre da sempre ai bordi di quel promontorio, ed ugualmente non era restata sempre da sempre nella mia mente l’emozione del primo incontro con Gilda.
Paradossalmente, invece, continuavo a ricordare il temine linguistico con cui in principio esaltavo le mie individualistiche esultanze per l’avvenuta conquista del suo primo semplice gesto di affetto.
In una trasformazione compiuta a seguito d’impercettibili cambiamenti, negli ultimi tempi, certo anche come corollario di continui diverbi, essa, la parola magica scaccia problemi, era ormai diventata il tormento di una goccia che rimbombi nelle orecchie, la nebbia che abbrutisca le linee orlate degli alberi, il mio compagno indesiderato, monotono, piagnone.
Ormai in me fomentavo finanche lo scherno, per uno spiacevole senso di banalità e balordaggine che mi ero convinto l’accompagnasse.
Fosse stato il contrario avrei avuta una labile speranza di attendere al confronto con il nostro passato, per tentare così di avviare tra noi una nuova forma di vicinanza più adatta ai tempi, alla società ed ai nostri anni.
Avessi continuato a sentire vivo il dolore del groppo che mi risalì dallo stomaco alla gola, lasciandomi senza fiato senza parole senza… senza tutto allorché Gilda mi gettò la prima volta le braccia al collo; fossi stato memore del graffiante percorso che una lacrima aveva solcato tra i miei occhi al contatto con la sua guancia; avessi saputo ripetere la sublime levità in cui il mio corpo depose la mia anima affinché divenisse libera di fuggire verso un bacio, un bacio e basta, allora sì, allora sì, allora sì tre volte, ora potrei affermare che il mio amore fosse diverso da tutti gli altri.
Ma forse gli amori sono veramente tutti uguali, come i cinesi.
Non voglio a questo punto proseguire con i flash di Antonella che espose le labbra (o forse era Clara?) (o forse era Gilda?) (a chi?), perché ho il netto ricordo di quando mi accorsi che avevo trovato un mio equilibrio, senza averlo cercato, e quindi scrissi che esso imponeva…

“La rinunzia a continuare nel tentativo di costruire un senso per l’amore

E smettila di essere bufera
su questo cielo
di primo meriggio
tracciato dal volo dei passeri
-di tanto è capace settembre.

allo scopo di salvare la speranza, o se non altro almeno l’illusione, di credere che, forse, le storie d’amore sono tutte uguali, come i cinesi.
Miliardi d’individui dai tratti identici: stessi occhi, stessa statura, stesso modo di porgere, stesso incedere.
Eppure gestiscono, con comportamenti del tutto analoghi ai nostri, i rapporti e le individualità. Si riconoscono.
Le storie d’amore sono tutte uguali. Io non sono né Gino né Lelio, e Gilda non è Clara e neppure Antonella.
Da Elena a Giulietta, dal Principe Azzurro a Dante, le vicende degli innamorati s’identificano, nel tema comune dell’irrinunciabile, perfino con la infinita determinazione «Per me non conta altro» della gente comune.
Ed allora io sono Gino, divento Lelio sono… tu sei…
La passione universale ed eterna del mito Medea è identica all’irrinunciabile ostinazione che in ogni attimo rende moltitudini di persone anonime protagoniste di trombe d’aria tanto brevi, impercettibili e disattese da smuovere a stento l’atmosfera sopita delle loro famiglie, delle piccole comunità nelle quali articolano l’intimità della loro vita, ed eccezionalmente, nei casi brutali più eclatanti, divengono elementi di curiose pruderie e pettegolezzi per le cronache da fondo pagina di giornali locali.
Le storie d’amore sono tutte fotocopie nel linguaggio e nella gestualità – come i cinesi -, eppure ciascuno di noi ripete e riconosce le proprie.
Io sono Clara sono te sono Antonella tu sei me e Gino e Lelio.

Così nel suo destino
così
senza battiti di ciglia
ad un velo dal suo respiro,
fra le sue dita,
così
nella solitudine delle nostre ansie,
io sono la viola
cercata in un bosco
io sono corda di viola
in un suono d’orchestra
io sono viola pensiero
che scuote passioni
io sono di mammole viola
la macchia, l’inchiostro,
di semi di viola appassita
profumi e magie,
io sono poeta
io sono

silenzio.

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Ho detto: -«Voglio che tu sia la mia donna»
Ha detto: -«Voglio che tu sia la mia amante.»
Ho detto: -«Ti amo.»
Ha detto: -«Non chiedermi amore».
Ognuno riconosce la sua. Per sfumature in teneri acquarelli, per contrasti di toni in opere corpose, per forme di linee in immagini astratte e cerebrali.
Storie tenere, corpose, cerebrali, come tutta la vita mia”.

… Con Gilda.
Quella mattina di inizio settembre, prima d’immergermi nella nuova solitudine, nella desolata ricerca della mia murena, il rimbombo ossessivo dell’aggettivo che mi aveva dato sempre da sempre il senso del mio amore, mi donò un’ultima briciola di poesia:

Scriverò di te innocente – giovane Apache –
dalla lunga chioma di grappoli,
di grappoli d’uva rossigna,
tra le fiamme dei tronchi,
dei tronchi ardenti sfavillanti
una notte di cielo deserto,
deserto, nel cuore del deserto.

Penserò alla tua malinconia – giovane Apache –
d’attesa e di passioni
con occhi memorie,
memorie affastellate,
sopra i fumi dei tronchi,
dei tronchi assopiti
nelle notti di cielo deserto,
deserto, come il cuore del deserto.

Amerò gli sguardi squillanti – giovane Apache –
per la felice follia di silenziosi sorrisi,
sorrisi all’ombra di tante chimere,
dentro ai profumi dei tronchi,
dei tronchi spenti dalla mia ombra
ogni notte di cielo deserto,
deserto, più del cuore del deserto.

Prima di uscire verso il mare, con in cielo il sole ancora rosato e velato come Gilda nel letto, con due stelle basse sull’orizzonte come gli occhi di Gilda dopo una notte di baldorie, lasciai il foglietto dei versi accanto al cofanetto del trucco – Gilda lo usava ogni mattina -, presi una penna di colore diverso, rossa, detti ascolto, per una volta, alla voce della ragione che m’imponeva di fare chiarezza.
Affinché Gilda sapesse.
Non solo per giustificare la mia decisione.
Andare in cerca della predatrice immobile.
Sollevare un velo sul presente.
L’ossessione della murena.
Ciò nonostante la sola libertà che seppi concedermi fu un messaggio criptico, risultato infine appannato, celato tra parole poco più che banali, scritto con penna rossa in poche righe a margine della poesia Apache:

”La colpa sono io.
Un bacio a nostro figlio.
Vado ad incontrare la mia bestia.
Addio.”

Certo, ho sempre da sempre avuto memoria della parola che mi riempiva la testa e la vita, la testa e la vita: “Incredibile”.
Un amore incredibile, un amore incredibile.
Incredibile.

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210726

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – quarta parte

 Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da alcune settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849  al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione
 
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La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – quarta parte

Capitolo 3
Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA


Ma io non ho mai dato questi attestati!
Né ho chiesto aiuto per propagandare il nome mio!
Neppure ho offerto difese ai cialtroni ed agli imbonitori di povere anime ingenue!
Io non impongo preghiere! Io non ho lamenti per la mia solitudine, né patisco l’ignoranza di chi sfugge a se stesso, e poi, e poi, e poi, e poi.
è però certo senza poi e senza ma che io schifo profondamente l’ignavia dei vostri comportamenti incoerenti, finanche con la truffa sfacciata che vi rende sovrani
Gilda non poteva non udire, dovunque fosse, e non voleva tacere nei confronti di qualunque provocazione io producessi, quindi, lasciò che terminassi il proclama, e punse l’evidente allitterazione verso cui non ponevo remore:
Ciascuno è re dei sudditi che riesce a conquistare.
Ciascuno è dio dei fedeli che riesce a creare.
Vuoi ricrearti re, dio, suddito o fedele?
Non credo che tu lo sappia, e non lo scoprirai urlando
Ma io aspettavo da lei lozioni odorose, dolci linimenti, melasse e dolcezze, infusi inebrianti, vibrazioni sottocutanee, suadenti passionali serenità, il volo silenzioso di abbracci mai privi di… mai privi di tutto intero il nostro passato!
Ciò non avvenne neppure quando iniziai a scrivere un capitolo nel quale riportavo di aver fermato la mia attenzione su un profilattico usato e lasciato per terra, in una calda giornata autunnale, accanto al muro di cinta di un parcheggio confinante con un terreno incolto.
“… qualcuno al mio posto l’avrebbe fatto segno di considerazioni dai vaghi risvolti cannibaleschi?
Dal mio totalizzatore la risposta positiva non è data vincente.
Eppure di un così fetente gesto d’inciviltà – parcheggio Cava dell’isola 14 ottobre 2006 ore 13 – per me sarebbe stato divertente parlarne con lo strafottente autore.
Egli, senza dubbio sfacciato e prepotente, incolto e superficiale, maschio ma per niente uomo, forse sarebbe rimasto disorientato se fosse stato condotto a vedere le migliaia di formiche nere freneticamente impegnate a distruggere annientare e trasportare nei loro depositi alimentari i poveri resti dei suoi spermatozoi.
Eppure, quasi certamente, egli fa sua la fede che assegna a quella schifezza – da lui lasciata in balia dei fieri predatori – i diritti inalienabili riconosciuti a beneficio delle forme vitali preposte alla riproduzione della specie umana, negli stessi termini nei quali, questa ultima, riceve gloria per essere stata plasmata personalmente dal creatore in cui lui, lurido zozzone, finge di credere.
I massimi requisiti della fertile potenza di quel porco eiaculatore, i codici del suo patrimonio genetico, assaliti da legioni di formiche nere, devastanti distruttrici dell’unico elemento di civiltà che gli era dato di possedere! Lo sperma è spesso migliore dell’uomo”.
Maniacale ricerca dell’orrido”, fu il commento che Gilda lasciò a margine della pagina.
Ed allora iniziai, solo iniziai, per mia fortuna iniziai soltanto, a cercare di ricavare un nesso dal fatto che a mia sorella dopo la menopausa crebbero le unghie.

Una spuma d’onda sgocciolò nel tubo della maschera richiamandomi a riprendere il cotrollo della situazione in cui mi trovavo.
Quasi a fuggire da questi nuovi e vecchi invadenti ed inopportuni pensieri, effettuai di botto un profondo respiro, spinsi la testa sottacqua, ruotai il capo verso il basso, e, dando un deciso colpo di pinne, mi lasciai cadere nella profonda fenditura tra due masse rocciose.
Nel chiarore indeciso delle strisce di sole che, penetrando i circa otto metri di profondità, in una prospettiva parevano sciamare entro gruppi aghiformi tra i filari delle posidonie, mentre invece, in un angolo opposto, squarciavano il fondale trafiggendo l’incastro della falda sulla scogliera, come un fantasma di pura luce, seguendo la corrente sottomarina con un docile movimento a pendolo che non ne spostava granché la posizione, un fantastico enorme agglomerato, perfettamente mimetizzato tra le rare pietre, le variegate alghe, e gli spigoli di sabbia, giaceva come un polpo.

Un polpo?
Una piovra!

Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA

Otto metri circa sotto di me, un polpo di dimensioni mai prima affrontate sbatacchiava fra i suoi enormi tentacoli una macchia nerastra simile ad una delle rotondeggianti rocce laviche stracciate dai bordi del magma solidificato.
A meno che non si fosse trattato di un riccio gigante o di un grappolo di cozze, la macchia non mi sembrava giustificata in quel luogo.
Non ebbi in mente altre ipotesi.
Neppure che potesse trattarsi di un totano.
Le pulsazioni m’incalzavano risucchiando quanto più ossigeno possibile dai polmoni, l’adrenalina mi eccitò rendendo secchi e decisi i movimenti con i quali proseguii la discesa, gli occhi sbarrati dietro il vetro perlato della maschera molto compressa sulla faccia puntarono il centro dell’ammasso spiaccicato indifeso sul fondo, la mano destra strinse l’asta d’acciaio del tridente fino a procurarmi dolore per l’improvvida compressione, il braccio sinistro si mosse a cavare il pugnale dalla guaina legata al polpaccio.

Non ebbi un pensiero.
Che fosse un totano.

Agii come un plotone di armigeri. In una azione simultanea, un unico sincronismo, un insieme fatto di singoli particolari, in un unico tutto, il mio corpo non mi appartenne, ma si comportò, nelle sue diverse strutture, come un gruppo formato da numerose entità, ciascuna decisamente separata da tutto il resto, ma che attuava un canovaccio a lungo studiato e provato e riprovato.
Il sincrono meccanismo di una squadra d’incursori movimentò ogni singolo muscolo di ogni azione della mia persona, anche sensoriale, tattile, visiva, preposta al controllo della fulminea immersione d’attacco che andavo attuando.

Era lì.
La bestia più grande e fascinosa che avessi mai affrontato nella vita.
Con tutti i pericoli.
Era lì.
Con tutte le insidie.

Certo, non tradussi in un ragionamento logico l’immagine del cefalopode mentre si dibatteva, trafitto dall’arpione, brandendo i tentacoli alla ricerca di un aggancio con l’assalitore per trattenerlo sul fondo fino alla morte per esaurimento delle sue risorse d’aria.
Nemmeno mi dettai la prudenza di non avvicinarmi tanto da consentirgli di ferrarsi ad una qualsiasi sporgenza voluminosa, sfilacciando un tentacolo sulla mia mano che impugnava l’arma. Neppure, neanche, nemmeno ricordai per un attimo la nube nero inchiostro che avrebbe potuto spargermi intorno, impedendo, così, che vedessi i pericoli portati dai suoi contrattacchi.
Era lì.
Con tutte le insidie.
Era lì.
Con tutta la potenza del suo mostrarsi padrone in un regno che non concedeva superflui respiri, forze e movimenti.
Un mondo senza poesia.
Un mondo che non accoglieva benevolo l’infido luccichio del mio sguardo, né il barlume del mio pugnale.
Con me veloci, le punte del tridente, meticolosamente affilate, fenderono l’acqua alternando bagliori nella discesa.
Tutte le forze del braccio teso e del corpo trascinato nell’apnea dai pesi che portavo agganciati alla cintura, furono guidati dall’incosciente volontà di una conquista che di conquista non aveva nulla. Per la cattura più esaltante da mostrare che da possedere gelosamente, fosse anche solo nei ricordi.
Per una morte che se fosse giunta sarebbe stata solo una morte.

Era lì.
Anche io.

Non ero stato sempre da sempre ai bordi di quel promontorio, non mi ero di abitudine tuffato con tanta foga, repentinamente, verso una situazione imprevista, non avevo mai subito l’ansia per la scoperta di una chimera, né ero mai stato succube di una simile crudeltà immotivata.
Gilda diceva “Il tuo malvezzo è un presuntuoso orgoglio”.
In tante occasioni sarei stato tentato di spingerla a ridimensionare, utilizzando esempi concreti, un giudizio che non avendo nulla di concettuale, alla fine di ogni discussione, lei m’appiccicava sul muso come un’aringa affumicata.

Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210719

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – terza parte

Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da due settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849  al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione

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La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – terza parte

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

Capitolo 3

Optai per stanare una murena, credo seguendo la tentazione cosparsa mellifluamente dallo stesso piffero magico che aveva accompagnato da protagonista l’inizio della mia immersione, ed effettuai un rapido controllo, sia degli agganci tra la sagola, la cintura, ed il pallone, e sia della posizione in cui era avvitato il tridente all’asta d’acciaio.

Pigiai con due dita sui baffi per agevolare l’aderenza della maschera fra la bocca e il naso.

Spinsi leggermente il tubo del boccaglio verso il punto di contatto tra la molla della Pinguino ed il lato frontale della mia tempia.

Per un attimo, di sfuggita, immaginai ancora che il totano originato dalla mia fantasia stesse penzolando a mezza acqua, poco sovrastante il fondo, proprio in un preciso punto sul quale mi si era fermata l’attenzione durante una precedente immersione per avervi visto intrattenere numerosi sciami di novellame, brulicanti con movimenti sincronizzati, e ciascuno sempre nella stessa buca.

Tuttavia, subito dopo, volgendo una rapida occhiata al sacchetto per le catture che portavo agganciato al pallone di segnalazione, partendo dalla ricostruzione di come, alcuni giorni prima io avessi in parte modificato il sistema di aggancio del pallone-boa alla cintura che stringevo in vita per gravarmi dei pesi necessari ad una comoda e veloce discesa, mi arruffai nel ricordo di quando, parlando con uno dei fratelli di Gilda, abile sì nella pesca subacquea, però di una fortuna sfacciata, mi ero lamentato che la conformazione di quel fondale, altalenante, con grossi promontori quasi emergenti ed immediate cadute a picco, non solo rendesse problematica una buona visione e costringesse quindi ad immersioni prive di riferimenti, ma in alcuni casi configurasse degli ostacoli, tra il pallone stesso ed il sub, in grado di bloccarne la discesa.

La parte superiore del cavetto legato al pallone incagliava tra gli interstizi e le protuberanze degli scogli emergenti, opponendo resistenza alla immersione.

Quel mio cognato, esperto fortunato predone delle profondità marine, che aveva un suggerimento per ogni situazione, non mancò l’occasione per dimostrarmi la sua maestria mettendomi a conoscenza di un trucco, a suo dire segreto, che lui usava praticare.

Metti la cintura con i pesi intorno alla vita.

Giusto?

Leghi ad essa la fune del pallone boa.

Vero?

Per far sì che il pallone non s’incagli nelle fenditure degli scogli affioranti, devi legare ad un anello un peso tra i cento ed i centocinquanta grammi e farlo scorrere liberamente sulla corda tra la cintura che hai in vita ed il pallone.

Guarda ti faccio un disegno.

In questo modo hai più di un beneficio.

In primo luogo, durante il nuoto in mare aperto, se tu galleggi il pallone sarà quasi attaccato a te in quanto il gancio che sostiene il piombo, spostandosi attraverso l’anello scorrevole, affonderà gran parte della corda, impedendo al pallone di allontanarsi; in secondo luogo, se vorrai immergerti, questo stesso movimento di pesi spingerà la boa a stazionare precisamente sulla tua verticale.

Nell’uno e nell’altro caso, il sistema contribuirà finanche ad una maggiore sicurezza, per quanto riguarda eventuali tardivi avvistamenti da parte di natanti a motore.

Ma ciò che a te interessa è che la boa da segnalazione non si blocchi tra le cime degli scogli, e con il mio artifizio il risultato positivo è sicuro, perché il pallone, non essendo trascinato dalla corrente, seguirà docilmente, da vicino, il tuo percorso, il quale, ovviamente, non andrà in collisione con speroni emergenti. »

Bella idea.

Un piombo, un anello.

Semplice. »

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

Esauriti i pensieri intorno all’argomento piombo-anello-sagola, immediatamente, come in un rosario monotono, ripetitivo, inutile, sciocco, allucinante, altri momenti di vita antecedente, altre meditazioni, altri altari alla ragione incontrastata scompaginarono il già disordinato approccio per il controllo relativo alla corretta sistemazione delle attrezzature che mi portavo appresso nuotando, lentamente, nel profondo mare azzurro cupo, steso come un velo d’odalisca sotto il dirupo digradante dall’antico borgo rurale di Campagnano.

Ed allora mi coinvolsi nel tentare di chiarirmi il giusto e l’ingiusto dei comportamenti che avevo posto in atto negli ultimi tempi.

Forse tentando di risalire ai motivi, se non ai moventi, della crisi che ormai opprimeva il mio rapporto con Gilda.

Una analisi in piena solitudine, tra cielo e mare, tra sole ed abisso.

Da quando ero tornato in maniera definitiva sull’isola d’Ischia, lasciando via via deperire ogni precedente contatto con il mondo dei viaggi e degli incontri, non rispondevo al telefono e, peggio, neanche leggevo un libro o ascoltavo una musica che fossero prodromi di nuovi interessi culturali. D’altra parte schifavo da sempre la televisione, non avevo mai smesso di considerare i giornali come “impapocchia menti” della verità, e l’unico modo intrigante per trascorrere il tempo, oltre ad utilizzarlo nella normale amministrazione familiare, mi era parso utile scorgerlo nella ricerca di inezie complementari ai flussi delle vite che mi passavano accanto.

Da amplificare con tale parossismo da far sì che esse mi provocassero valanghe di vertigini.

Gilda non mancò di notare questi precipitii, a volte staccati dall’algido massiccio della mia ragione, in altri casi appiccicati ad una parte della mia epidermide sentimentale, quasi sempre sviluppatisi nell’apparentemente definitiva discesa di uno yo-yo, le quali tutte mi spingevano comunque verso il centro di singole attività umane, quasi che in esse fossero stipati i segreti del bello e dell’amore.

Lei seguì con cura le tracce che tali mie innocue divagazioni mentali lasciavano attraverso gesti, parole e frasi inserite nel racconto che stavo scrivendo, ed appena ne ebbe certezza, indicò con l’indice il centro della mia fronte e scandì con eccezionale chiarezza, lentamente:

Niente di più falso. Nel piccolo non risiede il complesso, e niente è più complesso del bello e dell’amore

Mi ero certamente esaltato.

Avevo di sicuro dilatato la tranquillità a volte grigia e passiva di un rapporto consolidato, trasferendo su di essa, pur senza volerlo, ciò nondimeno in maniera automatica ma indubbiamente con pensieri ed atteggiamenti, sfilacciati brandelli di una inarrestabile sindrome distruttiva della ipocrisia e delle colpevoli prevaricazioni.

Se io fossi il loro dio – pensavo, proponendomi un particolare del rapporto tra un dio ed i suoi uomini – m’incazzerei tremendamente per quanta irrisoria partecipazione personale pongono nella difesa della mia universalità.

Urlando nel giardino di casa, iniziai ad urlare che, al suo posto, avrei urlato per tutte le galassie: —«Cosa discutete con quei peccatori originari delle province romane!

Così agendo vi prestate al gioco di profeti che non ho mai annunciati e che hanno ignorato il figlio mio e le mie colombe bianche, imbecilli.

Va bene… vediamo… forse… non ho detto questo… ogni religione è figlia del creatore… il mio creatore è più antico del tuo… il tuo modello è senza barba bianca… vogliamoci bene… siamo tutti nella stessa barca… nessuno deve prevaricare l’altro… una moschea a te, una basilica a me… grande rispetto reciproco per le nostre fedi… una porpora in più, un cappellino in più… un pellegrinaggio… una devozione… una statuina… un libricino… una via…un muro… una sinagoga… un altare… un muro… una cappella… una campana… un muro… un’ostia che significa inganno.

Avete raggiunto la comodità?

Poltroncine, tronetti, portantine, limousine, schiavetti, frocetti, chiavetti, chiav…

Volete altro?

Potere, ricchezza, santità, alleluia, adorazione, potenza, fetenziacce, fetenziaccissime…

Theutto in nome mio.

Restando al riparo della mia invincibilità.

Con in bocca le palline di un rosario c appartengono alla mia verità.

Per effetto di un disonesto proclama e di collettivi auto riconoscimenti d’imbecillità.

Ma io non ho mai dato ques…

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

 

 

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La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – quarta parte

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Racconto a puntate – quarta parte

Capitolo 3
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Ma io non ho mai dato questi attestati!
Né ho chiesto aiuto per propagandare il nome mio!
Neppure ho offerto difese ai cialtroni ed agli imbonitori di povere anime ingenue!
Io non impongo preghiere! Io non ho lamenti per la mia solitudine, né patisco l’ignoranza di chi sfugge a se stesso, e poi, e poi, e poi, e poi.
è però certo senza poi e senza ma che io schifo profondamente l’ignavia dei vostri comportamenti incoerenti, finanche con la truffa sfacciata che vi rende sovrani
Gilda non poteva non udire, dovunque fosse, e non voleva tacere nei confronti di qualunque provocazione io producessi, quindi, lasciò che terminassi il proclama, e punse l’evidente allitterazione verso cui non ponevo remore:
Ciascuno è re dei sudditi che riesce a conquistare.
Ciascuno è dio dei fedeli che riesce a creare.
Vuoi ricrearti re, dio, suddito o fedele?
Non credo che tu lo sappia, e non lo scoprirai urlando
Ma io aspettavo da lei lozioni odorose, dolci linimenti, melasse e dolcezze, infusi inebrianti, vibrazioni sottocutanee, suadenti passionali serenità, il volo silenzioso di abbracci mai privi di… mai privi di tutto intero il nostro passato!
Ciò non avvenne neppure quando iniziai a scrivere un capitolo nel quale riportavo di aver fermato la mia attenzione su un profilattico usato e lasciato per terra, in una calda giornata autunnale, accanto al muro di cinta di un parcheggio confinante con un terreno incolto.
“… qualcuno al mio posto l’avrebbe fatto segno di considerazioni dai vaghi risvolti cannibaleschi?
Dal mio totalizzatore la risposta positiva non è data vincente.
Eppure di un così fetente gesto d’inciviltà – parcheggio Cava dell’isola 14 ottobre 2006 ore 13 – per me sarebbe stato divertente parlarne con lo strafottente autore.
Egli, senza dubbio sfacciato e prepotente, incolto e superficiale, maschio ma per niente uomo, forse sarebbe rimasto disorientato se fosse stato condotto a vedere le migliaia di formiche nere freneticamente impegnate a distruggere annientare e trasportare nei loro depositi alimentari i poveri resti dei suoi spermatozoi.
Eppure, quasi certamente, egli fa sua la fede che assegna a quella schifezza – da lui lasciata in balia dei fieri predatori – i diritti inalienabili riconosciuti a beneficio delle forme vitali preposte alla riproduzione della specie umana, negli stessi termini nei quali, questa ultima, riceve gloria per essere stata plasmata personalmente dal creatore in cui lui, lurido zozzone, finge di credere.
I massimi requisiti della fertile potenza di quel porco eiaculatore, i codici del suo patrimonio genetico, assaliti da legioni di formiche nere, devastanti distruttrici dell’unico elemento di civiltà che gli era dato di possedere! Lo sperma è spesso migliore dell’uomo”.
Maniacale ricerca dell’orrido”, fu il commento che Gilda lasciò a margine della pagina.
Ed allora iniziai, solo iniziai, per mia fortuna iniziai soltanto, a cercare di ricavare un nesso dal fatto che a mia sorella dopo la menopausa crebbero le unghie.

Una spuma d’onda sgocciolò nel tubo della maschera richiamandomi a riprendere il cotrollo della situazione in cui mi trovavo.
Quasi a fuggire da questi nuovi e vecchi invadenti ed inopportuni pensieri, effettuai di botto un profondo respiro, spinsi la testa sottacqua, ruotai il capo verso il basso, e, dando un deciso colpo di pinne, mi lasciai cadere nella profonda fenditura tra due masse rocciose.
Nel chiarore indeciso delle strisce di sole che, penetrando i circa otto metri di profondità, in una prospettiva parevano sciamare entro gruppi aghiformi tra i filari delle posidonie, mentre invece, in un angolo opposto, squarciavano il fondale trafiggendo l’incastro della falda sulla scogliera, come un fantasma di pura luce, seguendo la corrente sottomarina con un docile movimento a pendolo che non ne spostava granché la posizione, un fantastico enorme agglomerato, perfettamente mimetizzato tra le rare pietre, le variegate alghe, e gli spigoli di sabbia, giaceva come un polpo.

Un polpo?
Una piovra!

Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA

Otto metri circa sotto di me, un polpo di dimensioni mai prima affrontate sbatacchiava fra i suoi enormi tentacoli una macchia nerastra simile ad una delle rotondeggianti rocce laviche stracciate dai bordi del magma solidificato.
A meno che non si fosse trattato di un riccio gigante o di un grappolo di cozze, la macchia non mi sembrava giustificata in quel luogo.
Non ebbi in mente altre ipotesi.
Neppure che potesse trattarsi di un totano.
Le pulsazioni m’incalzavano risucchiando quanto più ossigeno possibile dai polmoni, l’adrenalina mi eccitò rendendo secchi e decisi i movimenti con i quali proseguii la discesa, gli occhi sbarrati dietro il vetro perlato della maschera molto compressa sulla faccia puntarono il centro dell’ammasso spiaccicato indifeso sul fondo, la mano destra strinse l’asta d’acciaio del tridente fino a procurarmi dolore per l’improvvida compressione, il braccio sinistro si mosse a cavare il pugnale dalla guaina legata al polpaccio.

Non ebbi un pensiero.
Che fosse un totano.

Agii come un plotone di armigeri. In una azione simultanea, un unico sincronismo, un insieme fatto di singoli particolari, in un unico tutto, il mio corpo non mi appartenne, ma si comportò, nelle sue diverse strutture, come un gruppo formato da numerose entità, ciascuna decisamente separata da tutto il resto, ma che attuava un canovaccio a lungo studiato e provato e riprovato.
Il sincrono meccanismo di una squadra d’incursori movimentò ogni singolo muscolo di ogni azione della mia persona, anche sensoriale, tattile, visiva, preposta al controllo della fulminea immersione d’attacco che andavo attuando.

Era lì.
La bestia più grande e fascinosa che avessi mai affrontato nella vita.
Con tutti i pericoli.
Era lì.
Con tutte le insidie.

Certo, non tradussi in un ragionamento logico l’immagine del cefalopode mentre si dibatteva, trafitto dall’arpione, brandendo i tentacoli alla ricerca di un aggancio con l’assalitore per trattenerlo sul fondo fino alla morte per esaurimento delle sue risorse d’aria.
Nemmeno mi dettai la prudenza di non avvicinarmi tanto da consentirgli di ferrarsi ad una qualsiasi sporgenza voluminosa, sfilacciando un tentacolo sulla mia mano che impugnava l’arma. Neppure, neanche, nemmeno ricordai per un attimo la nube nero inchiostro che avrebbe potuto spargermi intorno, impedendo, così, che vedessi i pericoli portati dai suoi contrattacchi.
Era lì.
Con tutte le insidie.
Era lì.
Con tutta la potenza del suo mostrarsi padrone in un regno che non concedeva superflui respiri, forze e movimenti.
Un mondo senza poesia.
Un mondo che non accoglieva benevolo l’infido luccichio del mio sguardo, né il barlume del mio pugnale.
Con me veloci, le punte del tridente, meticolosamente affilate, fenderono l’acqua alternando bagliori nella discesa.
Tutte le forze del braccio teso e del corpo trascinato nell’apnea dai pesi che portavo agganciati alla cintura, furono guidati dall’incosciente volontà di una conquista che di conquista non aveva nulla. Per la cattura più esaltante da mostrare che da possedere gelosamente, fosse anche solo nei ricordi.
Per una morte che se fosse giunta sarebbe stata solo una morte.

Era lì.
Anche io.

Non ero stato sempre da sempre ai bordi di quel promontorio, non mi ero di abitudine tuffato con tanta foga, repentinamente, verso una situazione imprevista, non avevo mai subito l’ansia per la scoperta di una chimera, né ero mai stato succube di una simile crudeltà immotivata.
Gilda diceva “Il tuo malvezzo è un presuntuoso orgoglio”.
In tante occasioni sarei stato tentato di spingerla a ridimensionare, utilizzando esempi concreti, un giudizio che non avendo nulla di concettuale, alla fine di ogni discussione, lei m’appiccicava sul muso come un’aringa affumicata.

Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210719

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – terza parte

Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da due settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849  al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione

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La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – terza parte

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

Capitolo 3

Optai per stanare una murena, credo seguendo la tentazione cosparsa mellifluamente dallo stesso piffero magico che aveva accompagnato da protagonista l’inizio della mia immersione, ed effettuai un rapido controllo, sia degli agganci tra la sagola, la cintura, ed il pallone, e sia della posizione in cui era avvitato il tridente all’asta d’acciaio.

Pigiai con due dita sui baffi per agevolare l’aderenza della maschera fra la bocca e il naso.

Spinsi leggermente il tubo del boccaglio verso il punto di contatto tra la molla della Pinguino ed il lato frontale della mia tempia.

Per un attimo, di sfuggita, immaginai ancora che il totano originato dalla mia fantasia stesse penzolando a mezza acqua, poco sovrastante il fondo, proprio in un preciso punto sul quale mi si era fermata l’attenzione durante una precedente immersione per avervi visto intrattenere numerosi sciami di novellame, brulicanti con movimenti sincronizzati, e ciascuno sempre nella stessa buca.

Tuttavia, subito dopo, volgendo una rapida occhiata al sacchetto per le catture che portavo agganciato al pallone di segnalazione, partendo dalla ricostruzione di come, alcuni giorni prima io avessi in parte modificato il sistema di aggancio del pallone-boa alla cintura che stringevo in vita per gravarmi dei pesi necessari ad una comoda e veloce discesa, mi arruffai nel ricordo di quando, parlando con uno dei fratelli di Gilda, abile sì nella pesca subacquea, però di una fortuna sfacciata, mi ero lamentato che la conformazione di quel fondale, altalenante, con grossi promontori quasi emergenti ed immediate cadute a picco, non solo rendesse problematica una buona visione e costringesse quindi ad immersioni prive di riferimenti, ma in alcuni casi configurasse degli ostacoli, tra il pallone stesso ed il sub, in grado di bloccarne la discesa.

La parte superiore del cavetto legato al pallone incagliava tra gli interstizi e le protuberanze degli scogli emergenti, opponendo resistenza alla immersione.

Quel mio cognato, esperto fortunato predone delle profondità marine, che aveva un suggerimento per ogni situazione, non mancò l’occasione per dimostrarmi la sua maestria mettendomi a conoscenza di un trucco, a suo dire segreto, che lui usava praticare.

Metti la cintura con i pesi intorno alla vita.

Giusto?

Leghi ad essa la fune del pallone boa.

Vero?

Per far sì che il pallone non s’incagli nelle fenditure degli scogli affioranti, devi legare ad un anello un peso tra i cento ed i centocinquanta grammi e farlo scorrere liberamente sulla corda tra la cintura che hai in vita ed il pallone.

Guarda ti faccio un disegno.

In questo modo hai più di un beneficio.

In primo luogo, durante il nuoto in mare aperto, se tu galleggi il pallone sarà quasi attaccato a te in quanto il gancio che sostiene il piombo, spostandosi attraverso l’anello scorrevole, affonderà gran parte della corda, impedendo al pallone di allontanarsi; in secondo luogo, se vorrai immergerti, questo stesso movimento di pesi spingerà la boa a stazionare precisamente sulla tua verticale.

Nell’uno e nell’altro caso, il sistema contribuirà finanche ad una maggiore sicurezza, per quanto riguarda eventuali tardivi avvistamenti da parte di natanti a motore.

Ma ciò che a te interessa è che la boa da segnalazione non si blocchi tra le cime degli scogli, e con il mio artifizio il risultato positivo è sicuro, perché il pallone, non essendo trascinato dalla corrente, seguirà docilmente, da vicino, il tuo percorso, il quale, ovviamente, non andrà in collisione con speroni emergenti. »

Bella idea.

Un piombo, un anello.

Semplice. »

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

Esauriti i pensieri intorno all’argomento piombo-anello-sagola, immediatamente, come in un rosario monotono, ripetitivo, inutile, sciocco, allucinante, altri momenti di vita antecedente, altre meditazioni, altri altari alla ragione incontrastata scompaginarono il già disordinato approccio per il controllo relativo alla corretta sistemazione delle attrezzature che mi portavo appresso nuotando, lentamente, nel profondo mare azzurro cupo, steso come un velo d’odalisca sotto il dirupo digradante dall’antico borgo rurale di Campagnano.

Ed allora mi coinvolsi nel tentare di chiarirmi il giusto e l’ingiusto dei comportamenti che avevo posto in atto negli ultimi tempi.

Forse tentando di risalire ai motivi, se non ai moventi, della crisi che ormai opprimeva il mio rapporto con Gilda.

Una analisi in piena solitudine, tra cielo e mare, tra sole ed abisso.

Da quando ero tornato in maniera definitiva sull’isola d’Ischia, lasciando via via deperire ogni precedente contatto con il mondo dei viaggi e degli incontri, non rispondevo al telefono e, peggio, neanche leggevo un libro o ascoltavo una musica che fossero prodromi di nuovi interessi culturali. D’altra parte schifavo da sempre la televisione, non avevo mai smesso di considerare i giornali come “impapocchia menti” della verità, e l’unico modo intrigante per trascorrere il tempo, oltre ad utilizzarlo nella normale amministrazione familiare, mi era parso utile scorgerlo nella ricerca di inezie complementari ai flussi delle vite che mi passavano accanto.

Da amplificare con tale parossismo da far sì che esse mi provocassero valanghe di vertigini.

Gilda non mancò di notare questi precipitii, a volte staccati dall’algido massiccio della mia ragione, in altri casi appiccicati ad una parte della mia epidermide sentimentale, quasi sempre sviluppatisi nell’apparentemente definitiva discesa di uno yo-yo, le quali tutte mi spingevano comunque verso il centro di singole attività umane, quasi che in esse fossero stipati i segreti del bello e dell’amore.

Lei seguì con cura le tracce che tali mie innocue divagazioni mentali lasciavano attraverso gesti, parole e frasi inserite nel racconto che stavo scrivendo, ed appena ne ebbe certezza, indicò con l’indice il centro della mia fronte e scandì con eccezionale chiarezza, lentamente:

Niente di più falso. Nel piccolo non risiede il complesso, e niente è più complesso del bello e dell’amore

Mi ero certamente esaltato.

Avevo di sicuro dilatato la tranquillità a volte grigia e passiva di un rapporto consolidato, trasferendo su di essa, pur senza volerlo, ciò nondimeno in maniera automatica ma indubbiamente con pensieri ed atteggiamenti, sfilacciati brandelli di una inarrestabile sindrome distruttiva della ipocrisia e delle colpevoli prevaricazioni.

Se io fossi il loro dio – pensavo, proponendomi un particolare del rapporto tra un dio ed i suoi uomini – m’incazzerei tremendamente per quanta irrisoria partecipazione personale pongono nella difesa della mia universalità.

Urlando nel giardino di casa, iniziai ad urlare che, al suo posto, avrei urlato per tutte le galassie: —«Cosa discutete con quei peccatori originari delle province romane!

Così agendo vi prestate al gioco di profeti che non ho mai annunciati e che hanno ignorato il figlio mio e le mie colombe bianche, imbecilli.

Va bene… vediamo… forse… non ho detto questo… ogni religione è figlia del creatore… il mio creatore è più antico del tuo… il tuo modello è senza barba bianca… vogliamoci bene… siamo tutti nella stessa barca… nessuno deve prevaricare l’altro… una moschea a te, una basilica a me… grande rispetto reciproco per le nostre fedi… una porpora in più, un cappellino in più… un pellegrinaggio… una devozione… una statuina… un libricino… una via…un muro… una sinagoga… un altare… un muro… una cappella… una campana… un muro… un’ostia che significa inganno.

Avete raggiunto la comodità?

Poltroncine, tronetti, portantine, limousine, schiavetti, frocetti, chiavetti, chiav…

Volete altro?

Potere, ricchezza, santità, alleluia, adorazione, potenza, fetenziacce, fetenziaccissime…

Theutto in nome mio.

Restando al riparo della mia invincibilità.

Con in bocca le palline di un rosario c appartengono alla mia verità.

Per effetto di un disonesto proclama e di collettivi auto riconoscimenti d’imbecillità.

Ma io non ho mai dato ques…

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210712 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210712

Il Dispari 20210712 – Redazione culturale DILA

Capitolo 2

… 
Senza aver catturato neppure una preda nonostante le numerose calate in cui mi ero impegnato durante quella ora iniziale, ancora mi distraevo fantasticando intorno al dialogo improbabile tra un totano ed una pantegana!

Il totano: -«Che tu, tracotante, sia silente, aggiunge infimo blasone alla forestiera origine da cui provieni e che ci accingiamo, con giusto impegno e faticoso esame, ad irridere o laudare, a confinare nei ghetti della vergogna oppure a sdoganare da calunniose erculee maldicenze. Negarsi il nesso tra rimorsi e sorsi di discorsi infissi nei fossi messi tra i sassi dei troppi “io fossi”, non ritara la rara misura della tenue natura, né ritarda la sorda onda che ti conduce alla luce.

La sorella di quel mio conoscente (un pescatore subacqueo che vedo spesso in giro, un sub con grosse pinne rondine del quale odo vibrazioni mentali durante le sforzate apnee che usa fare da queste parti), venti tempi dopo la nascita, per effetto delle sue “cose” fu serrata, allegra giovinetta, tra quattro mura sette alberi e cinque gatti, e, tuttavia, nessuno ha mai venerato il monastico dolore delle sue progressive privazioni al cospetto di Apollinee forme esibite da fustolenti fustacchi.

Come faccio a non impegnare la tue deludente sapienza verso la dicotomia di una follia e di una folle: lame dai bordi affilati, innocue se divaricate su un cuscino d’appoggio, bensì taglienti quando attacchino unite nel frangere il tessuto?

Allora mi intrigo ad appiccicare le ventose dei miei sette (ne manca uno che ho perso in combattimento) tentacoli sui diversi strati di questo privato mondo sotterraneo e sottomarino, mutando colore e dimensione, mimetizzandomi.

Poi vedremo insieme come finirà… ».

Il Dispari 20210712 – Redazione culturale DILA

E poi la mia fantasia continuava spostandosi sulla figura silenziosa del ratto…

la pantegana non capiva un tubo.

Essa, da sempre abituata agli sparagnini termini rivieraschi – fame scogli venti gatti – nascondeva l’imbarazzo di fronte all’incomprensibile magniloquente eloquio abissale, spruzzando perfide puzze ad ogni passaggio dei ghirigori che ripeteva intorno al capoccione smisurato del totano poeta.

Ad ogni giro alzava la coda un po’, di più, un po’ di più, di più di un po’, un po’ di più di un po’. Sfiorava i vettini terminali dei suoi tentacoli appassiti mostrando, ad ogni giro, un po’ di più, di più di più il sottocoda schioppettate.

Disse il totano: -«Melliflua tenebrosa, la seduzione è un’arte degli arti abbarbicata nei rovi incastrati tra i detriti degli orti, conserta, con serti, nei cesti concerti di gesti per cupidi musicanti alati.

Vai vaneggiando per vezzeggiate vezzose villiche promiscuità!

Promiscuità è il tocco di un tentacolo di totano nella pelvica passera di una patente pantegana. Riduci i giri, risparmia i sogni, ripensa al tuo delirio di femminilità un dì concupita, ed ora in ansia per asfittici orgasmi.

Rimedia al torto dell’offesa carnale con la ragione degli istinti naturali. Io sono il totano, se voglio… se voglio io sono Poeta.

La sorella dell’imprudente apneista dalla maschera appiccicata al volto di cui ti ho detto, a trenta tempi dalla nascita usava cospargere di miele e di nettare le rotonde bigliette dei suoi capezzolini, dai pizzi puntuti, per avvampare l’infimo piacere del trucido compagno: assatanato assassino dei viaggi in nuvoletta.

Ancora mi stupisce, procace ammasso di nefande nequizie, il vano turpiloquio che gli slabbrati ondeggiare dei tuoi chiapponi sbudellano dal mio teorema concettoso.

Vedrai, insieme, inoltre, infine, sarà tutto facile… ».

Il Dispari 20210712 – Redazione culturale DILA

Capitolo 3

Quella mattina mi ero immerso, era inizio settembre, con il sole delle prime ore non ancora velato dalla parte basa dell’atmosfera.

Esatto, mi ero immerso.
Mi ero immerso e basta.
Contava poco come, quasi niente dove, ancora meno per cosa, assolutamente non mi chiedevo perché.
Mi ero immerso e basta.
Più o meno come seguissi il piffero di una magia lusingatrice che mi spingesse lontano verso abissi di strane dimensioni, astratte, immateriali, quasi da vivere in altri tempi cosmici.
Magia dissimile certo, forse opposta, rispetto all’irripetibile incantesimo che, durante l’indolente sfrontata giovinezza, sentii trascinarmi semplicemente verso un altrove, corposo, multiforme, edonistico, attimizzato in ogni sfaccettatura.

Sapore di sale.

Una melodia, intrufolatasi per vie misteriose nella parte della mente addetta agli addobbi acustici delle decisioni importanti, prima che io cominciassi a nuotare aveva suonato il tema “maestoso” che caratterizza la sinfonia numero sette di Beethoven, cui aveva fatto seguire, senza alcuna soluzione di continuità, le prorompenti battute iniziali che aprono l’Uccello di fuoco di Stravinsky. Prepotentemente, questi ultimi accordi, come una esplosione d’artiglieria narrata in tante vecchie storie di trincee e di orgogliosi disprezzi del pericolo, mi scoppiavano intorno e dentro, mentre la mia testa traboccava d’immagini e ripeteva l’ultima frase con la quale Gilda, la sera prima, uscendo di casa, aveva sbattuta la porta. “Il tuo scetticismo uccide la tua fortuna”.
Volevo, sapevo di volere, e sapevo di poter volere.
Cosa?
Volevo volere.
Io non mi ero bardato con cinture e boccaglio per inseguire pesci impauriti o sconvolgere come fulmine tra i licheni nel bosco, le alghe e gli avannotti.
Neppure avevo armeggiato intorno ai tridenti allo scopo d’infilzarne le punte limate e stralimate, molate, scartavetrate e lucidate, nelle squame di scorfani immobili o nei morbidi opercoli delle seppioline…

Ancora non sapevo che un flauto magico mi spingeva verso di lei.
In effetti, senza averne coscienza, non altro che per lei mi ero gravato in vita con tre chili di piombo.
Un simbolo, la murena. l’immobile predatrice.
La bestia mai impaurita dal progressivo avvicinamento della morte che si accosta mimetizzata in una macchia scura: la tuta nera del subacqueo che piomba in discesa dal cielo.
Feroce se mostra la bocca spalancata, già pronta a ghermire.
Tenace, lascia scoperti i denti arcuati: ganci indeformabili come l’acciaio.
Solitaria.
Rinchiusa in una tana in cui lo spazio è minimo.
Arrotolata su se stessa in modo da aderire con forza alle pareti al fine d’impedire alla preda azzannata di fuggire trascinandola con sé.
Volevo la murena: una poesia.
Ne andavo alla ricerca.
Senza averne consapevolezza.
Attende il momento atto a coglierti di sorpresa, e se ti morde un dito, non puoi far altro che tagliarlo per non restare ancorato al fondo dalla tenacia del suo aggancio.
Molti Cacciatori sono stati cacciati, cioè molti Pescatori sono stati pescati, voglio dire che molti Sub sono rimasti sub, molti Poeti non hanno mai affrontato una murena.
Molti Traditori sono stati traditi.

Quella mattina, come ho già detto era inizio settembre, Gilda era rincasata quasi all’alba perseguendo a suo modo l’intento di dare un segnale concreto ed immediato alla ennesima litigata che avevamo protratto per tutta la sera precedente, prima che sbattesse la porta uscendo:
Hai chiamato l’idraulico?»
No. »
Perché?
Quanto tempo dovremo stare con la goccia che cade nel lavello?
Possibile che la casa non debba mai essere in ordine?
Mi senti?
Mi ascolti?
Dico a te, mi odi?
Non solo non gli hai telefonato, ma fai pure l’offeso.
Il silenzioso.
L’insofferente.
Quando mi portavi le rose rubate, ai tempi del nostro amore, non aspettavi due volte per accontentare un mio desiderio!
Era bello.
Ero bella.
Ti piaceva.
Ti piacevo.
è sempre stato solo questo.
Piacere.
La molla che fa girare il mondo attraverso i coglioni…»
E basta.
Appena ti mollo, cazzo, non la finisci più.
Non l’ho chiamato.
Capito?
Non l’ho chiamato.
E non lo chiamo.
E basta… »
No, basta lo dico io.
Che molli, che cazzo, che basta.
Che basta, che cazzo, che molli.
E una, e due, e tre, e insomma quanto pensi che potremo andare avanti così?
Un giorno litighiamo per il cibo, una sera discutiamo per la gente, una notte sbuffiamo per una toccata, e poi gli orari, e poi la macchina, e poi, e poi l’idraulico.
Sono stanca. »

Quella mattina di settembre, giunto ormai a quasi la metà del tempo che di solito prevedevo di utilizzare per l’immersione, mi resi conto che dovevo almeno per un attimo tentare di designare, sebbene posticcio, un qualche obiettivo da prospettare per la mia battuta di caccia, ed occuparmene, tralasciando sia le immagini del totano filosofeggiante e dell’attigua pantegana in attenta adorazione, e sia le considerazioni relative alle ossessioni che mi stavano procurando le ultime vicende affettive.

Il Dispari 20210712 – Redazione culturale DILA

 

Il Dispari 20210607 – Redazione culturale DILA

DILA

NUSIV

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Il Dispari 20210712 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210712 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210712

Il Dispari 20210712 – Redazione culturale DILA

Capitolo 2

… 
Senza aver catturato neppure una preda nonostante le numerose calate in cui mi ero impegnato durante quella ora iniziale, ancora mi distraevo fantasticando intorno al dialogo improbabile tra un totano ed una pantegana!

Il totano: -«Che tu, tracotante, sia silente, aggiunge infimo blasone alla forestiera origine da cui provieni e che ci accingiamo, con giusto impegno e faticoso esame, ad irridere o laudare, a confinare nei ghetti della vergogna oppure a sdoganare da calunniose erculee maldicenze. Negarsi il nesso tra rimorsi e sorsi di discorsi infissi nei fossi messi tra i sassi dei troppi “io fossi”, non ritara la rara misura della tenue natura, né ritarda la sorda onda che ti conduce alla luce.

La sorella di quel mio conoscente (un pescatore subacqueo che vedo spesso in giro, un sub con grosse pinne rondine del quale odo vibrazioni mentali durante le sforzate apnee che usa fare da queste parti), venti tempi dopo la nascita, per effetto delle sue “cose” fu serrata, allegra giovinetta, tra quattro mura sette alberi e cinque gatti, e, tuttavia, nessuno ha mai venerato il monastico dolore delle sue progressive privazioni al cospetto di Apollinee forme esibite da fustolenti fustacchi.

Come faccio a non impegnare la tue deludente sapienza verso la dicotomia di una follia e di una folle: lame dai bordi affilati, innocue se divaricate su un cuscino d’appoggio, bensì taglienti quando attacchino unite nel frangere il tessuto?

Allora mi intrigo ad appiccicare le ventose dei miei sette (ne manca uno che ho perso in combattimento) tentacoli sui diversi strati di questo privato mondo sotterraneo e sottomarino, mutando colore e dimensione, mimetizzandomi.

Poi vedremo insieme come finirà… ».

Il Dispari 20210712 – Redazione culturale DILA

E poi la mia fantasia continuava spostandosi sulla figura silenziosa del ratto…

la pantegana non capiva un tubo.

Essa, da sempre abituata agli sparagnini termini rivieraschi – fame scogli venti gatti – nascondeva l’imbarazzo di fronte all’incomprensibile magniloquente eloquio abissale, spruzzando perfide puzze ad ogni passaggio dei ghirigori che ripeteva intorno al capoccione smisurato del totano poeta.

Ad ogni giro alzava la coda un po’, di più, un po’ di più, di più di un po’, un po’ di più di un po’. Sfiorava i vettini terminali dei suoi tentacoli appassiti mostrando, ad ogni giro, un po’ di più, di più di più il sottocoda schioppettate.

Disse il totano: -«Melliflua tenebrosa, la seduzione è un’arte degli arti abbarbicata nei rovi incastrati tra i detriti degli orti, conserta, con serti, nei cesti concerti di gesti per cupidi musicanti alati.

Vai vaneggiando per vezzeggiate vezzose villiche promiscuità!

Promiscuità è il tocco di un tentacolo di totano nella pelvica passera di una patente pantegana. Riduci i giri, risparmia i sogni, ripensa al tuo delirio di femminilità un dì concupita, ed ora in ansia per asfittici orgasmi.

Rimedia al torto dell’offesa carnale con la ragione degli istinti naturali. Io sono il totano, se voglio… se voglio io sono Poeta.

La sorella dell’imprudente apneista dalla maschera appiccicata al volto di cui ti ho detto, a trenta tempi dalla nascita usava cospargere di miele e di nettare le rotonde bigliette dei suoi capezzolini, dai pizzi puntuti, per avvampare l’infimo piacere del trucido compagno: assatanato assassino dei viaggi in nuvoletta.

Ancora mi stupisce, procace ammasso di nefande nequizie, il vano turpiloquio che gli slabbrati ondeggiare dei tuoi chiapponi sbudellano dal mio teorema concettoso.

Vedrai, insieme, inoltre, infine, sarà tutto facile… ».

Il Dispari 20210712 – Redazione culturale DILA

Capitolo 3

Quella mattina mi ero immerso, era inizio settembre, con il sole delle prime ore non ancora velato dalla parte basa dell’atmosfera.

Esatto, mi ero immerso.
Mi ero immerso e basta.
Contava poco come, quasi niente dove, ancora meno per cosa, assolutamente non mi chiedevo perché.
Mi ero immerso e basta.
Più o meno come seguissi il piffero di una magia lusingatrice che mi spingesse lontano verso abissi di strane dimensioni, astratte, immateriali, quasi da vivere in altri tempi cosmici.
Magia dissimile certo, forse opposta, rispetto all’irripetibile incantesimo che, durante l’indolente sfrontata giovinezza, sentii trascinarmi semplicemente verso un altrove, corposo, multiforme, edonistico, attimizzato in ogni sfaccettatura.

Sapore di sale.

Una melodia, intrufolatasi per vie misteriose nella parte della mente addetta agli addobbi acustici delle decisioni importanti, prima che io cominciassi a nuotare aveva suonato il tema “maestoso” che caratterizza la sinfonia numero sette di Beethoven, cui aveva fatto seguire, senza alcuna soluzione di continuità, le prorompenti battute iniziali che aprono l’Uccello di fuoco di Stravinsky. Prepotentemente, questi ultimi accordi, come una esplosione d’artiglieria narrata in tante vecchie storie di trincee e di orgogliosi disprezzi del pericolo, mi scoppiavano intorno e dentro, mentre la mia testa traboccava d’immagini e ripeteva l’ultima frase con la quale Gilda, la sera prima, uscendo di casa, aveva sbattuta la porta. “Il tuo scetticismo uccide la tua fortuna”.
Volevo, sapevo di volere, e sapevo di poter volere.
Cosa?
Volevo volere.
Io non mi ero bardato con cinture e boccaglio per inseguire pesci impauriti o sconvolgere come fulmine tra i licheni nel bosco, le alghe e gli avannotti.
Neppure avevo armeggiato intorno ai tridenti allo scopo d’infilzarne le punte limate e stralimate, molate, scartavetrate e lucidate, nelle squame di scorfani immobili o nei morbidi opercoli delle seppioline…

Ancora non sapevo che un flauto magico mi spingeva verso di lei.
In effetti, senza averne coscienza, non altro che per lei mi ero gravato in vita con tre chili di piombo.
Un simbolo, la murena. l’immobile predatrice.
La bestia mai impaurita dal progressivo avvicinamento della morte che si accosta mimetizzata in una macchia scura: la tuta nera del subacqueo che piomba in discesa dal cielo.
Feroce se mostra la bocca spalancata, già pronta a ghermire.
Tenace, lascia scoperti i denti arcuati: ganci indeformabili come l’acciaio.
Solitaria.
Rinchiusa in una tana in cui lo spazio è minimo.
Arrotolata su se stessa in modo da aderire con forza alle pareti al fine d’impedire alla preda azzannata di fuggire trascinandola con sé.
Volevo la murena: una poesia.
Ne andavo alla ricerca.
Senza averne consapevolezza.
Attende il momento atto a coglierti di sorpresa, e se ti morde un dito, non puoi far altro che tagliarlo per non restare ancorato al fondo dalla tenacia del suo aggancio.
Molti Cacciatori sono stati cacciati, cioè molti Pescatori sono stati pescati, voglio dire che molti Sub sono rimasti sub, molti Poeti non hanno mai affrontato una murena.
Molti Traditori sono stati traditi.

Quella mattina, come ho già detto era inizio settembre, Gilda era rincasata quasi all’alba perseguendo a suo modo l’intento di dare un segnale concreto ed immediato alla ennesima litigata che avevamo protratto per tutta la sera precedente, prima che sbattesse la porta uscendo:
Hai chiamato l’idraulico?»
No. »
Perché?
Quanto tempo dovremo stare con la goccia che cade nel lavello?
Possibile che la casa non debba mai essere in ordine?
Mi senti?
Mi ascolti?
Dico a te, mi odi?
Non solo non gli hai telefonato, ma fai pure l’offeso.
Il silenzioso.
L’insofferente.
Quando mi portavi le rose rubate, ai tempi del nostro amore, non aspettavi due volte per accontentare un mio desiderio!
Era bello.
Ero bella.
Ti piaceva.
Ti piacevo.
è sempre stato solo questo.
Piacere.
La molla che fa girare il mondo attraverso i coglioni…»
E basta.
Appena ti mollo, cazzo, non la finisci più.
Non l’ho chiamato.
Capito?
Non l’ho chiamato.
E non lo chiamo.
E basta… »
No, basta lo dico io.
Che molli, che cazzo, che basta.
Che basta, che cazzo, che molli.
E una, e due, e tre, e insomma quanto pensi che potremo andare avanti così?
Un giorno litighiamo per il cibo, una sera discutiamo per la gente, una notte sbuffiamo per una toccata, e poi gli orari, e poi la macchina, e poi, e poi l’idraulico.
Sono stanca. »

Quella mattina di settembre, giunto ormai a quasi la metà del tempo che di solito prevedevo di utilizzare per l’immersione, mi resi conto che dovevo almeno per un attimo tentare di designare, sebbene posticcio, un qualche obiettivo da prospettare per la mia battuta di caccia, ed occuparmene, tralasciando sia le immagini del totano filosofeggiante e dell’attigua pantegana in attenta adorazione, e sia le considerazioni relative alle ossessioni che mi stavano procurando le ultime vicende affettive.

Il Dispari 20210712 – Redazione culturale DILA

 

Il Dispari 20210705 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210705

Il Dispari 20210705 – Redazione culturale DILA

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – prima parte

Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da oggi e per alcune puntate settimanali (di lunedì) pubblicheremo una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849  al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione

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Il Dispari 20210705 – Redazione culturale DILA

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – prima parte

Capitolo 1

 Il totano:- «Cara Pantegana vivo da tredici periodi in questo lembo di liquido abisso rilucente, ma mai prima avevo posato l’olfatto l’udito lo sguardo su nerulee rotondità foriere di simili fetidi squittii.

D’onde vieni, chi sei, perché dondoli poppe e deretano, scomposta e sguaiata, al limitar della mia terra marina?

Pria che tu risponda, sarebbe giusto che sia io a presentare le mie tavole anagrafiche, per dovere d’ospitalità e per sesso.

D’altro canto, nel giroscopico testo unico di civili atteggiamenti, anche il blasone e l’età vengono qualificati come caratteristiche da rispettare con tutte le stucchevoli forme d’ossequio che le situazioni richiedono.

Tuttavia, e solo in quanto le mie onorificenze non ricevono unanime riconoscimento al pari di quelle feudali, né godono di privilegi uguali a quelli riservati alle specie e sottospecie di politici, mi induco a posare la prima pietra della nostra conoscenza.

Cosa c’è?

Quid accidit?

Ho profferto parole insensate o… insensate sono le tue ignoranze?

Ripeto il concetto con termini d’uso plebeo ed esempi tratti dalle notizie del telegiornale, e vengo a chiederti se hai mai saputo di un vincitore del Premio Nobel che, in ragione di tale riconoscimento, abbia sistematicamente beneficiato di aerei personali o auto blu con chauffeur in livrea dai bottoni d’oro.

No, mai successo.

Eppure quel Nobel per la medicina… sì lui… ha salvato con la sua scoperta milioni di ammalati, e, forse, miliardi di futuri contaminati.

 Il premio in denaro, la festa alla presenza del RE, il suo nome inciso nel libro d’oro della onorificenza, tante foto in giro per il mondo, sui giornali, per televisione… e basta.

Non farnetico dicendo che sia rimasto povero, eventualmente lo fosse stato, ma affermo che ogni successivo privilegio gli sarà stato intestato in virtù del suo lavoro e non come puro riconoscimento per un titolo certamente più prestigioso di tante patetiche onorificenze politiche e settarie.

 Non mi dilungherò nel tediarti con la ricostruzione dei cavilli e delle sopraffazioni usate contro di me da masse d’incolti meridionali per giungere a farmi sprofondare in questo abisso, strumentalizzando una mia mai dimostrata mancanza di rispetto nei confronti della loro populistica deità artificiale di origine argentina – spesso ritratta in brache bianche, maglietta azzurra ed un pallone di cuoio appiccicato al piede sinistro – soprannominata El Tibe o El Cibe o qualcosa di simile.

Eppure avevo cantato i pastori dell’Ellade in guerra, i fieri naviganti fuggiti dalle troiane mura, l’inferno e il paradiso (il purgatorio mi venne meno bene), Lucia la santarella, il cinque maggio, il piccolo Lord, Cappuccetto rosso e Biancaneve.

 Nessuna gratitudine sconfigge mai il danno di un’ultima minima offesa.

Il Dispari 20210705 – Redazione culturale DILA

Il nostro apporto alla gioia, non effimera, di una emozione continuamente dettata finanche a distanza di secoli per mezzo solo di parole – a volte tradotte da un altro idioma -, e poi i nostri casti baci alla cultura, e poi l’essere o l’essere stati nei pensieri, sentimenti, amori per tutti e di nessuno, cioè tutta la linfa di me poeta, io poeta, travagliato pazzo visionario maledetto stramaledetto stramaledettissimo poeta, tutto ciò non ha retto lo scontro neppure con la stupida statica fotografia di una specie di mini guitto in mutande soprannominato El Sibe o El Bibe o qualcosa di simile.

Tu prova ad aprire il tuo sguardo oltre le comode finestre dei provincialotti inconsistenti particolari luccichii idealistici, e subito comprenderai quanto vero sia che, per ognuna di quelle inondanti apparizioni, il mio contributo poetico filosofico ne ha già, da tempo immemore, sancito la storica immortalità mediante la trasposizione artistica in epopee travagliate e sublimi.

La sorella di un mio conoscente, a dieci tempi dopo la nascita ha avuto le sue “cose” ed è diventata signorinella pallida, però nessuno ha scarnificato l’evento fino all’essenziale apogeo dell’univoco nucleo di recondite armonie bellamente stipate nell’intangibilità delle sue intime segrete sensibilità femminee.

Ciò mi consente di credere che: o non tutti gli eventi hanno per diritto di nascita uguale dignità storica, oppure è vero che anche ciascuna singola stronzata acquisisce una particolare indefessa dignità attraverso il contributo che il “caso” il “fato” il “culo” il “destino” la “sorte” appiccica, non sempre materialmente sul tempo di quelle loro non pavide apparizioni: vedremo casa accadrà… ».

In un gioco senza senso, antico quanto me, nuotando, inventavo questo tipo di storie improbabili delle quali il più delle volte non avrei avuto memoria giunto a riva, e che in gran parte, pur trovandole originali e degne di attenzioni letterarie, non utilizzavo per i miei scritti.

Immaginavo?

Ero convinto che la pantegana, espulsa dalla sua comoda tana dimora della Torre di Guevara a seguito di lavori di ristrutturazione tesi, finalmente, a rendere fruibili agli umani i residui dell’antica struttura soggetta a centenarie asportazioni fraudolente, sguazzando senza arte né parte in una melma fluida di gran lunga meno appiccicosa del liquame presente nella sua familiare fognetta interrata, digiuna, ovviamente bagnata, frullata nel precipitato percorso dal cantiere allo scarico a mare, spelacchiata, con la testa dolente, sofferente di continue vertigini, la coda mozza, la pelle maculata per bozzi e piaghe, bitorzoli, tritorzoli, e di certo gonfia d’acqua salmastra penetratale nel ventre attraverso la bocca l’ano e gli altri orifizi, ascoltando il totano erudito, tacesse.

Dopo circa un’ora di variazioni, integrazioni, puntualizzazioni, precisazioni, riferite al tema principale della nuova elucubrazione natatoria avente per soggetti questi due elementi accomunati in una improbabile coppia di acquatici, mi trovai pochi metri dietro il promontorio denominato Punta Pisciazza, sotto il costone che delimita a sud-est la baia di Cartaromana.

Ero quasi giunto in vista della conca che da quel punto si apre senza percettibili soluzioni di discontinuità fino al Castello Aragonese.

L’escursione subacquea mi sembrava appena iniziata anche se avevo le dita bianchicce, spugnate, le mani mollicce, spugnate, i piedi insensibili strizzati nelle pinne tipo rondine extra-large, il naso tumefatto, spiaccicato contro il vetro indeformabile della maschera “pinguino nero”.

Ogni parte del mio corpo si era conformata in una condizione fisica differente, se non addirittura opposta rispetto allo stato in cui si trovava al momento dell’immersione.

Prima no, prima di scendere in acqua le mie dita, le mani, erano arse, grinzose per le lunghe ore al sole, le narici erano atrofizzate dall’afa, i piedi dolenti per gli impervi percorsi sugli scogli, e non avevo il respiro rumoroso affrettato scomposto ansante a seguito delle apnee lunghe minuti senza fine sfilacciati nell’agguato all’enorme murena che m’era apparsa – intravista – in una fessura di roccia frammista a cespugli di alghe – ondulanti – da cui era formato il fondo del promontorio di Punta della Pisciazza, in direzione della Grotta del Mago lasciata la Baia di Cartaromana.

Il Dispari 20210705 – Redazione culturale DILA

Capitolo 2

 

Senza aver catturato neppure una preda nonostante le numerose calate in cui mi ero impegnato durante quella ora iniziale, ancora mi distraevo fantasticando intorno al dialogo improbabile tra un totano ed una pantegana!

 

Il totano: -«Che tu, tracotante, sia silente, aggiunge infimo blasone alla forestiera origine da cui provieni e che ci accingiamo, con giusto impegno e faticoso esame, ad irridere o laudare, a confinare nei ghetti della vergogna oppure a sdoganare da calunniose erculee maldicenze. Negarsi il nesso tra rimorsi e sorsi di discorsi infissi nei fossi messi tra i sassi dei troppi “io fossi”, non ritara la rara misura della tenue natura, né ritarda la sorda onda che ti conduce alla luce.

La sorella di quel mio conoscente (un pescatore subacqueo che vedo spesso in giro, un sub con grosse pinne rondine del quale odo vibrazioni mentali durante le sforzate apnee che usa fare da queste parti), venti tempi dopo la nascita, per effetto delle sue “cose” fu serrata, allegra giovinetta, tra quattro mura sette alberi e cinque gatti, e, tuttavia, nessuno ha mai venerato il monastico dolore delle sue progressive privazioni al cospetto di Apollinee forme esibite da fustolenti fustacchi.

 

Il Dispari 20210628 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210628

Il Dispari 20210628 – Redazione culturale DILA

La soprano Rezarta Dyrmyshi, nuova amica dei progetti culturali Made in Ischia

Alla fine dello scorso mese di maggio, nella splendida location romana “Interno 4”, è stato realizzato (come vi abbiamo informati lunedì 21 giugno in questa stessa pagina) un concerto speciale organizzato dall’Attrice e Regista Chiara Pavoni, nella sua funzione di Presidente di Sede operativa dell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA“, che è stato caratterizzato dalla registrazione video della prima esecuzione mondiale di tre musiche composte dal maestro Roberto Prandin su testi di Bruno Mancini.

Tale evento, da considerarsi come ringraziamento al M° Prandin per la sua collaborazione con i progetti culturali Made in Ischia dell’Associazione DILA, ha visto la partecipazione di tre brave e belle cantanti di musica classica accompagnate dalla pianista Giovanna Santoro.

Di Giovanna Santoro abbiamo già scritto in una puntata precedente, così oggi richiamiamo la vostra attenzione verso la soprano Rezarta Dyrmyshi che nel concerto ha cantato, in prima esecuzione mondiale, il brano musicale “Tra eutanasia e ghigliottina” che Roberto Prandin ha scritto su testo di Bruno Mancini, e vi diamo appuntamento alle prossime settimane quando vi presenteremo le altre due soprano, Lorena Sarra e Maria Letizia De Bernardinis.

Dell’intero concerto è stato realizzato un video disponibile sul Youtube al link

https://youtu.be/yWUWh1rUpRY

Il Dispari 20210628 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210628 – Redazione culturale DILA

Rezarta Dyrmyshi

Il Dispari 20210628 – Redazione culturale DILA

Rezarta Dyrmyshi

Il Dispari 20210628 – Redazione culturale DILA

Rezarta Dyrmyshi

Il Dispari 20210628 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210628 – Redazione culturale DILA

Chiara Pavoni

Il Dispari 20210628 – Redazione culturale DILA

Chiara Pavoni

Rezarta Dyrmyshi ha conseguito il diploma superiore di canto presso il liceo artistico “Onufri  Elbasan” (Albania).

Ha proseguito gli studi nella “Accademia delle belle Arti” di Tirana e successivamente presso il Conservatorio di musica “Santa Cecilia” di Roma.

Durante la permanenza a Tirana ha svolto diverse attività artistiche tra cui la partecipazione al “Pax Day”, uno tra i cori più importanti dell’Albania.

Presso l’Accademia delle Belle Arti di Tirana ha vinto, con il massimo dei voti, una borsa di studio indirizzata ai giovani talenti.

Sulle pagine di cronaca musicale si legge che la sua voce è stata subito apprezzata per la sua purezza, per il suo colore limpido e caldo, tanto che è stata nominata “La voce di cristallo”.

Ha partecipato a diverse master class, tra cui quella con il soprano Daniela Dessi.

La sua grande passione per la musica, e l’arte in generale, l’ha spinta a coltivare un interesse particolare per la musica leggera, pop, e altri generi musicali.

Spinta da questo interesse, in collaborazione con la “Mediterraneos Productions”, ha inciso un CD composto da cover, dove ha registrato alcuni brani famosi in veste lirica presentato al “Premio Eudonna”.

Successivamente ha vinto il primo premio del concorso “Il Cantagiro”,  per la sezione lirico pop internazionale.

Rezarta Dyrmyshi ha partecipato al musical “Salvo D’Acquisto” di Antonio Pappalardo svolto nella Cattedrale metropolitana di “Santa Maria Assunta” di Napoli.

Le varie esperienze di Rezarta Dyrmyshi nel campo operistico sono state caratterizzate dalle interpretazioni dei ruoli di “Serpina” in “La Serva Padrona” di G. B. Pergolesi, “Carolina” in “Il matrimonio segreto” di D. Cimarosa, “Susanna” in “Le nozze di Figaro” di W. A. Mozart,  “Gilda” nel “Rigoletto” di G. Verdi,  “Lucia” nella “Lucia di Lammermoor” di G. Donizetti, “Mimmi” e “Musetta” in “La Bohème” di G. Puccini, “Liu” nella “Turandot” di G. Puccini, e “Violetta” in “La Traviata” di G. Verdi.

Ha fondato, insieme all’oboista Enio Marfoli e alla pianista Federica Simonelli, il “Trio Mission” con un vasto repertorio che spazia dal genere classico, alle colonne sonore, e alla musica pop.

Attualmente svolge un’intensa attività concertistica anche in formazione da camera.

Oltre alla attività concertistica, si dedica all’insegnamento con specifici riferimenti alla tecnica vocale.

Chiara Pavoni ci dice di essere impegnata a realizzare le condizioni per concretizzare un evento ad Ischia durante il quale potremo assistere ad un concerto di Rezarta Dyrmyshi.

Al termine del concerto di maggio, Rezarta Dyrmyshi ha rilasciato questa breve intervista a Chiara Pavoni.

D: -“Ti era mai capitato di cantare dei testi poetici su musica contemporanea?”

R: -“Allora, mi è capitato di fare dei concerti su testi scritti da poeti e da scrittori, ma di musica contemporanea, no. Non di questo genere diciamo”.

D: -“Quindi…”

R: -” Musica contemporanea, sì, ho cantato, ma non di questo genere, non con una precisa impronta poetica.”

D: -“Progetti per il tuo futuro?”

R: -“Ultimamente abbiano deciso di fare un gruppetto. Siamo noi tre…. e quindi ci piacerebbe fare un bel progetto insieme con una bellissima musica che spazi dall’opera classica al musicol al pop lirico”

D-“Bene, allora chiudiamo il concerto dandoci un ambizioso appuntamento: andremo tutte a Ischia!”

R:-“Magnifica idea alla quale io aderisco con entusiasmo!”

Questo è il testo scritto da Bruno Mancini per la musica di Roberto Prandin cantata da Rezarta Dyrmyshi

TRA EUTANASIA E GHIGLIOTTINA

Tra eutanasia e ghigliottina,
le mie sbizzarrite molecole,
tra sortilegi
avvenenti attese
improbe rincorse nella nebbia
oppure disincanti
monotone certezze
tranquille soste sulle spiagge,
le mie sfavillanti molecole,
hanno fermato il tempo all’improvviso.

E così sia.

Il Dispari 20210628 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210621 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210621

Il Dispari 20210621 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210614 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210614

Giovanna Santoro, nuova amica dei progetti culturali Made in Ischia

Il concerto organizzato dall’Attrice e Regista Chiara Pavoni, nella sua funzione di Presidente di Sede operativa dell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”, che si è volto, alla fine del mese di maggio nella splendida location romana “Interno 4”, per rendere omaggio alle musiche composte dal maestro Roberto Prandin su testi di Bruno Mancini, ha visto la partecipazione di tre brave e belle cantanti di musica classica accompagnate dalla pianista Giovanna Santoro.
Dell’intero concerto è stato realizzato un video disponibile sul Youtube al link

https://youtu.be/-FPmZf59hjM

Il Dispari 20210621 – Redazione culturale DILA

 

Avremo modo nelle prossime settimane di presentarvi le tre soprano, Lorena Sarra, Maria Letizia De Bernardinis, Rezarta Dyrmyshi, mentre oggi richiamiamo la vostra attenzione verso la pianista Giovanna Santoro che è stata l’esecutrice della partitura musicale, di notevoli difficoltà tecniche ed interpretative, che ha accompagnato tutti i brani del concerto.

Giovanna Santoro è una pianista molto versatile in grado di esprimersi ad un alto livello professionale, sia nel ruolo di solista, sia in formazioni concertistiche comunque composte, sia come accompagnatrice in concerti lirici e sacri con cantanti solisti o con formazioni corali.

Come solista, il suo vasto repertorio spazia dal barocco al periodo contemporaneo.
Ha avuto modo di prendere parte a molteplici tournee in Francia, Slovacchia, Belgio, Repubblica Ceca e Germania.

Ha partecipato a varie trasmissioni radiofoniche e televisive: “Poltronissima” e “La Barcaccia” condotte da Enrico Stinchellae, e alla diretta mondiale su Rai uno in occasione dell’incontro nazionale di Azione Cattolica con il Papa Wojtila presso Piazza San Pietro in Vaticano.
Come solista ha accompagnato il cantante Cusumano in quattro puntate su Rai due, nel programma “Scalo76 talent”.
Come pianista solista ha fatto parte di una puntata della fiction televisiva “Furore”; è stata ospite di “La prosa di RADIODUE; si è esibita in performance musicali al “Fiuggi Festival” sotto la direzione di Pippo Franco; e nella rassegna “I concerti al teatro delle Erbe” di Milano con la Direzione artistica di Antonio Bonello.
Pianista in vari concerti del clarinettista Nicola Bulfone (primo clarinetto dell’orchestra del Friuli Venezia Giulia); pianista accompagnatrice del Coro “Novi Cantores” diretto dal M° Giandomenico Gravina; pianista accompagnatrice in sessioni di esami in Conservatori tra cui il “G: Verdi” di Milano e, per il canto, alla Scala.
Vanno segnalate, inoltre, numerose sue esibizioni con la Corale “Beata Maria De Matthias” di Frosinone, ed altre, ugualmente numerose, con il coro polifonico “Josquin Des Pres” diretto dal M° Mauro Gizzi e, tra le sue numerose attività, è degna di nota la sua partecipazione in concerto con orchestra con il M° Marco Frisina al “Festival Dei Due Mondi” di Spoleto del 2012.

Primo premio al concorso internazionale musicale di Cortemilia; Commissario di commissione esaminatrice nei concorsi musicali della Città di Tradate.
Insegnante di pianoforte principale presso la scuola “Green Music” di Segrate, l’Accademia filarmonica di Cardano al campo, il “Fabro Armonioso” di Saronno.

Organizzatrice di eventi e concerti lirici e strumentali, in collaborazione con Enti pubblici e strutture private, Giovanna Santoro, sensibile ai temi sociali, ha suonato in diverse occasioni per serate benefiche, anche per associazioni animaliste.

Ci sarebbe molto altro da dire sulla carriera e sui premi ricevuti da Giovanna Santoro, ma, per ora, l’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” la ringrazia per la disponibilità e per la professionalità, rivolgendole un caloroso “BENVENUTA”.

D’altra parte, crediamo che avremo presto l’opportunità di ascoltarla a Ischia, in presenza, poiché la dinamica e volitiva Chiara Pavoni nutre l’ambizione di riproporre il concerto, qui da noi sull’isola, non appena la situazione sanitaria e le norme relative agli eventi pubblici lo consentiranno, invitando, fin da ora, i responsabili delle strutture pubbliche e private ischitane a proporre la candidatura delle loro location.
E per finire questi sono i testi delle tre canzoni eseguite nel concerto:

Il Dispari 20210621 – Redazione culturale DILA

Bruno Mancini
TRA EUTANASIA E GHIGLIOTTINA

Tra eutanasia e ghigliottina,
le mie sbizzarrite molecole,
tra sortilegi
avvenenti attese
improbe rincorse nella nebbia
oppure disincanti
monotone certezze
tranquille soste sulle spiagge,
le mie sfavillanti molecole,
hanno fermato il tempo all’improvviso.

E così sia.

———-°°°°°°°°°°°—————

Bruno Mancini
QUANNO

Quanno chest’ora
‘e primma matina griggia
appicciarrà
spèrcianno all’uocchie tuoje
quanno ‘e palumme
farranno ‘ammore
int’’o nivo deserto
e tu trapassarraje
int’’o ggelo ‘e chesta vita scura
quanno ‘e mmane meje, ‘e ddete
nun mangiarranno cchiù ll’aria
inutilmente suppliccanno
ammore ammore…

Questa traduzione in napoletano
è stata effettuata da Luciano Somma
————-°°°°°°°°°______
Bruno Mancini
E SENTO JASTEMMÀ ‘O CIELO

E sento jastemmà ‘o cielo
e sento l’aria che pogne sta carne
e sento ‘o gallo ‘nfame
vicino ‘a morte ‘e Cristo
a me ricorda ‘o tradimento.

Sona ancora ‘a campana mia
sona ‘ncopp’’a sta pelle
‘a sinfonia ‘e nu silenzio d’alba,
ma me riporta mo cu’’o primmo sole
l’angoscia ‘e me sentì sultanto n’uosso.

Questa traduzione in napoletano
è stata effettuata da Luciano Somma

INFO:
Giovanna Santoro <giovannalapo@yahoo.it>
Chiara Pavoni <Artistapavoni@gmail.com>
DILA <dila@emmegiischia.com>

Il Dispari 20210621 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210621 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210621 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210621 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210614 – Redazione culturale DILA

Le attività culturali e sociali di Paola Occhi con l’Associazione “Da Ischia L’Arte – DILA”

Una serie di notizie di tutto rispetto per il loro valore, non solo artistico – culturale ma anche sociale, ci giunge dalle iniziative realizzate con tenacia da Paola Occhi.
Infatti Paola Occhi, nelle sue molteplici funzioni di Presidente della Nazionale cantanti lirici, Presidente delle Sedi dell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte” attive nelle Regioni Emilia Romagna, Toscana e Basilicata nonché in Florida, California e Connecticut e Ambasciatrice di Pace della stessa DILA, ha perfezionato un accordo con l’Ospedale Santa Maria Goretti di Latina per la donazione di un pianoforte da ubicare nella sala d’attesa dell’Ospedale, con l’intento di alleviare le sofferenze dei degenti tramite musicoterapia e concerti.

Oltre all’Associazione “Da Ischia L’Arte – DILA” e alla Nazionale cantanti lirici, diversi cittadini e il Gruppo bandistico Gabriele De Julia di Pontinia hanno contribuito all’acquisto del pianoforte.
Ora si aspetta solo il momento propizio, restrizioni COVID permettendo, per effettuare la cerimonia di consegna che avverrà nel Reparto di Chirurgia Oncologica di Senologia Breast Unit diretta dal Professore Fabio Ricci.

Non è la prima volta che Paola Occhi si impegna per compiere una simile donazione, in quanto già da alcuni anni lei si è attivata per donare analoghi pianoforti, sempre con la partecipazione dell’Ass. “Da Ischia l’Arte – DILA” in Ospedali di Mirandola e di Roma.

Paola Occhi, portata a termine brillantemente questa iniziativa, si è già messa in azione per la pubblicazione di due libri, uno di favole in poesia con la poetessa Orietta Bellomo (finalista della decima edizione del premio internazionale di poesia “Otto milioni”), e un altro avente per tema la narrazione della storia di una famiglia italiana emigrata in America verso la fine dell’800.
Inutile dire che una parte dei proventi realizzati con la vendita di questi libri sarà impegnata in attività di sostegno ai progetti socialmente utili programmati da Paola Occhi con la sua DILA.
Non è inutile, però, invitarvi a prenotare le copie dei libri poiché ne è prevista la stampa di una prima edizione (con tutte le copie firmate dagli Autori e dal Presidente dell’Associazione DILA) che avrà un costo contenuto e una tiratura limitata.
INFO e PRENOTAZIONI: Paola Occhi <presidenti.dila@emmegiischia.com>.

Il Dispari 20210614 – Redazione culturale DILA

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Quinto e ultimo gruppo poesie finaliste decima edizione

Premio internazionale “Otto milioni”

Il premio internazionale “Otto milioni”, ideato da Bruno Mancini e giunto alla decima edizione, anche quest’anno è stato affidato alla gestione e alla organizzazione dell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” con la collaborazione della testata giornalistica IL DISPARI di Gaetano Di Meglio, dell’Associazione culturale algerina ADA di Dalila Boukhalfa, del Magazine trimestrale EUDONNA e della Casa Editrice IL SEXTANTE entrambe di Mariapia Ciaghi.

Il Premio si sviluppa in sei sezioni (poesia, arti grafiche, musica, giornalismo, narrativa, recitazione) e, nei giorni scorsi, un’apposita Giuria ha definito il gruppo delle finaliste della sezione “Poesia” che gareggeranno per la vittoria finale attraverso due ulteriori  differenti sistemi di votazione (web e giurie tecniche).

Il gruppo è composto da 40 delle circa 300 poesie provenienti da tutto il mondo.

Il 3 maggio ne abbiamo pubblicate undici, il 10 maggio ne abbiamo pubblicate sette, il 17 maggio ne abbiamo pubblicate nove, il 31 maggio ne abbiamo pubblicate nove, e oggi, con l’avvertenza che i testi di alcune poesie contengono imperfezioni linguistiche in quanto sono stati tradotti da idiomi piuttosto desueti grazie alla versatilità della poetessa Liga Sara Lapinska, completiamo la pubblicazione con le ultime quattro poesie invitandovi ad esprimere i vostri gradimenti accedendo alla pagina web che contiene tutti i link per le votazioni:

https://www.emmegiischia.com/wordpress/finaliste-premio-poesia-otto-milioni-2021/

Il Dispari 20210614 – Redazione culturale DILA

Poesia 37 Natalina Stefi
Terza età

Per quanto l’aspettassi, per quanto
la temessi,
per quanto ha ossessionato
i tuoi pensieri,
ora, che è ormai giunta,
ti sorprende,
in quel tuo corpo stanco
e i no di ieri.
Eppure, in te, c’è ancora
l’entusiasmo
di mille idee, mille progetti
in piedi;
ma il domani già sorride
con sarcasmo dei nuovi sogni
e le mete che intravedi.
T’imponi di scacciare  la paura
e, alla tua vita, di continuare
il gioco.
Ma il tempo tuo vissuto è, per natura,
ormai maggiore di quello
che verrà dopo.
E ancor ti affannerai con mille
impegni,
chiedendo agli anni tuoi
spensieratezza;
ma il cielo avrà tracciato i suoi
disegni:
che, dei domani, ormai ,
non c’è certezza!!

—-°°°—-

Poesia 38 Emanuela Eleonora Di Stefano
Titina

Posa i cuscinetti sulla mia spalla
ed il tremolio allegro delle vibrisse
m’invita al gioco.
La mia rosea mano persa
in quei gesti cerimoniosi
tra le morbide fibre tricolori,
ma lei mi agguanta
come un fascio di rose
il dorso indifeso,
ed io mi concedo la gioia
di avere la sua felina amicizia
mentre con i suoi baci e
dolciastri  lamenti mi lenisce.

—-°°°—-

Poesia 39 Anita Zvaigzne
Voglio di nuovo

Voglio dire di nuovo parole buone,
quando la costa lontana aspetta già all’estero.
Sì, lascia, avvolgendo con pensiero leggero,
che il mio albero di ritorno è visto nella nebbia.
Voglio dire di nuovo parole buone,
quando il semaforo è già in verde acceso.
Resta, aspetta con pensieri gentili a casa,
quando la strada sarà camminata rocciosa.
Voglio di nuovo tacere… sì, lasciami andare via,
senza rimproveri ulteriori, senza accuse ulteriori.
Solo pochi momenti di gioia e comprensione,
e le mie mani che chiedono l’amore.

—-°°°—-

Poesia 40  Virginio Sannino
Zolle di terra

Il tempo e la vita
azzannano feroci
carne e spirito,
profonde cicatrici.

Le chiamano rughe
quei solchi scavati
altalenanti pieghe
di sorrisi e di pianti

In parte celati
da composto contegno
in parte ostentati
da ridicolo sdegno

Zolle di terra
in un campo di guerra
Arate e rivoltate,
di sogni seminate.

 

Il Dispari 20210607 – Redazione culturale DILA

DILA

NUSIV

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