Per Aurora – volume primo – L’appuntamento capitolo 8

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Per Aurora – volume primo – L’appuntamento capitolo 8

L’appuntamento capitolo 8

Per Aurora

volume primo

CAPITOLO OTTAVO

Fino a quel momento nessuno, tranne me, si districava in una quantità di informazioni sufficiente a consentire l’immaginazione degli eventi che da lì a poco si sarebbero collocati al culmine delle nostre partecipazioni emotive. Tintinnanti passioni umane.

Sapevo che per lui la sorpresa nel vederla giungere non sarebbe stata giustificata dal tempo trascorso: la vecchia promessa era scandita da un’ora precisa, unica, irripetibile, tiranna.

Neanche la puntualità gli consentiva spazi di titubanti perplessità.

Aspetti, entrambi, più  volte  valutati e considerati

assolutamente affidabili.

Ma sono sicuro?

Con la più semplice delle metamorfosi, Ella, le gambe accavallate, seguita e quasi spinta da un fascio di luci caleidoscopiche, si pose accovacciata tra i filati afgani che in parte schermavano ed in parte modellavano l’angolo del piano bar.

Come una bambolina americana a gesti lenti e sicuri tolse le scarpe dai tacchi enormi e puntuti, ma nessuno badò al colore rosa pastello delle dita e neppure alle unghie laccate con smalti dai toni sgargianti indefinibili.

Poggiando le braccia lungo i fianchi sfilò la camicia di taglio maschile e seta trasparente che aveva, di poco, celato capezzoli ora chiarissimi, scoppiettanti sopra due ampolle rotonde, vicine, forse morbide, ed a tutti sfuggì un gesto traditore dell’applauso che l’eccitazione stava proponendo.

Quando con seducente malizia da bambolina americana in costumino a stelle e strisce infine calò gli slip lasciando schizzare peluzzi biondi acconciati in bello ordine, il tatuaggio della tigre assassina fermò l’immagine, consentendo alla chioma attorcigliata in grappoli di nodi biondi lo snocciolarsi fino a coprire, come sipario, l’ultima scena.

Ella, la musa tentatrice, sculettava voluttuosamente.

Per qualche minuto.

Poi, di colpo, come folgorata, bloccato l’ondeggiare degli anelli inchiavardati sulla punta dei capezzoli, lasciò aperte le cosce modellate simili a colonne di burro da creme e massaggi, morbide chiare, tonde, lucenti.

Come incantata, mosse solo la parte interna degli occhi verdi – azzurri – neri – chiari – in direzione della spada di luce proveniente dalla porta in fondo alla sala che, finalmente, la donna dalle mani ambrate, lei, la parte femminile del nostro umano, l’anima che lui attendeva con un fiore di ginestra all’occhiello del bavero, lei, fuggendo con un ventaglio di seta giapponese a colori sgargianti e stecche di bambù, il busto eretto infisso nelle lame del vestito, apriva con entrambe le braccia alzate.

Egli con pochi passi la raggiunse, e prima che potesse abbracciarla lei gli disse «Non ero certa di trovarti ancora ad aspettarmi.»

E lui «Io non sapevo quando ti sarebbe giunta la notizia.»

Lei mosse dolcemente il capo per consentire che baciasse le labbra sfumate con un filo di rosso garanza, sussurrandogli .«Farfalla ti voglio, farfalla con me.»

E lui «Ricordi?»

Le mani ambrate gli accarezzarono la barba bianca intanto che le onde dei capelli, come un mantello, formarono una siepe all’emozione della sua risposta «Lo disse l’Anima al Cervello.»

E lui «Adesso sì.

Possiamo.»

Gli occhi ombreggiati dal tronchetto di matita per l’occasione spolverato dal piccolo cassetto del carillon con ballerina fissarono, in quelli di lui, la gioia del loro incontro, con una certezza «Vogliamo.»

 

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Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Capitolo 11

Capitolo 12

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Capitolo C

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ISBN 978-1-4710-8114-9

Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-8114-9
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Creato: 20 ago 2022
Modificato: 20 ago 2022
Libro, 93 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Titolo Per Aurora volume primo
Sottotitolo Alla ricerca di belle storie d’amore
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7278-9
Marchio editoriale Lulu.com
Edizione Nuova edizione
Seconda edizione
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Lasciargli sul corpo e nella mente i segni squassanti di una passione artificiale, artatamente impudica e violenta, tenera e vendicativa, ponendo in un solo amplesso tutti i registri delle sue esperienze, tutta la prorompente eccessiva sfacciata bellezza del suo corpo di donna non più bambina, i giochi estremi di mani esperte di labbra avvampate di pelle di luna, tenerezze ossessioni, morbidezze stupori, in una altalena di grida e di sussurri che per anni la sua mente aveva elaborato, posizionato, montato come in un film… … con arte e per vendetta.

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Cell. 3914830355 – 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
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Per Aurora – volume primo – L’appuntamento capitolo 7

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L’appuntamento capitolo 7

Per Aurora

volume primo

CAPITOLO SETTIMO

Fuggiva con un ventaglio di seta giapponese, a colori sgargianti e stecche di bambù, che agitava in semicerchi minacciosi, voltandosi e rivoltando il busto eretto infisso nelle lame del vestito.

Alla donna guascona mostrai i solchi che lui aveva sulla fronte, la forza della sua passione, i miei capelli bianchi; dissi la linea scura che avvolgeva gli occhi di lei, i sogni delle sue notti insonni, la storia delle mie dita ossute; con una sola frase illuminai la solitudine che entrambi avevano custodito con passione.

Le spiegai chi ero ed il motivo per il quale avrei voluto che lei, “La Signora”, accettasse.

Chiarii cosa volevo.

Al suo gesto (non mosse l’indice, non scosse il capo, ma chiuse gli occhi), un uomo di piccola statura, Petrus, fece pochi passi, tra uno strano brusio, verso l’angolo in cui venivano custodite le chiavi, aprì, scostò un pannello, e, così facendo, consentì che noi guardassimo, senza essere visti, l’interno del locale adiacente.

“La Signora” si mise al mio fianco.

Una sala curata nei particolari in modo speciale.

Al centro del soffitto un lampadario a cinquanta bracci, soffiato a Murano nei primi anni del dopo guerra mescolando sabbia e petrolio, troneggiava, aprendo la porta, riflesso in uno specchio, irregolare, leggermente opacizzato, gigantesco padrone assoluto dell’intera parete frontale.

Avrei potuto definirla come la splendida realizzazione di una meticolosa raccolta di noccioli culturali gelosamente custoditi in ogni angolo del mondo, poi assemblati e modellati da una fantasia disinibita e violenta.

Nello smoking bianco, la sua figura di maturo intellettuale era immediatamente individuabile: beveva birra e fumava, quasi fosse il soggetto messo in posa da un artista pittore.

Tra piccole anse ricavate sul lato del banco bar e pedana musicale, in rustiche grotte dei desideri, al centro sbalzava la chitarra rossa di Elvis, al bordo in basso a destra, fra i rami di una ginestra (ginestra fiore amato dalla mia donna), trecento quasi invisibili ciondoli: ricordi di melodie assimilate in altri luoghi ed in altri tempi.

Pensavo di trovarmi di fronte alla fantasia della fantasia.

Le più belle opere messe in ordine dalla più eccentrica stravaganza.

Quasi un percorso al femminile che nasceva e si esauriva in una unica posa, essenziale, patinata, ammantata da luci di un solo tono.

A pensarci la luminosità esterna risultava sbiadita, insignificante, sfocata.

Una luce spenta che illuminava la fantasia della fantasia.

Mi rifiuto di proseguire in una descrizione così puntigliosa e veristica, e preferisco lasciare alle diverse immaginazioni dei lettori i misteri di questo luogo, nel cui centro, su un divano nero dai bordi tondeggianti, contornato da cuscini di pelle di pantera, con le gambe accavallate…

… Ella, una musa tentatrice di sconvolgente bellezza, rimescolava i vermiciattoli colorati che aveva posato sulla tavolozza premendo involucri di plastica e di stagnola.

La lacca bianca al centro di un particolare arcobaleno.

Un braccio morbido intorno al collo e lo sguardo che attirava, avvicinandoli alla tela satura di emozioni, i lenti movimenti con i quali lui accompagnava l’attesa ormai quasi oppressiva.

L’olio e il catrame pendolanti dal cavalletto in direzione del vuoto lasciato dalle gambe leggermente divaricate.

In apparenza distratta:

-«Non sono felice di dipingere al chiuso.» diceva guardando i petali gialli della ginestra (ginestra fiore amato dalla mia donna) che squillavano sfacciati sull’asola del bavero mentre, con docile gesto, lui li accostava alla barba.

Sembrava parlasse solo a lui «Non sono felice di dipingere al chiuso.

All’aperto gli insetti, la gente, le nuvole, i rumori, impregnano la forza della mia ascesa alla immedesimazione con il sogno.

Come se in un blues essi fossero le spazzole trascinate sul tamburo, il picchiettio della bacchetta sulla campana più acuta, od anche il bombolone incalzante sulla grancassa. Non solo sottofondo della melodia, ma motivo conduttore, ritmo ed accordo.

Qui nella stanza la temperature non cambia mai, non c’è il silenzio avvolgente alternato ad una musicalità pulsante, gioiosa, orgogliosamente arrogante, le mosche fuggono per i profumi violenti, ed io sono intristita dal non avere davanti agli occhi come esempio e modello, l’opera, quella sì meravigliosa, che la natura ha posto come termine di paragone».

Continuava in un apparente soliloquio che a me invece parve seduzione.

Quasi come se Ella, le gambe accavallate, lo invitasse a donarle il fiore posato sul bavero «Sono infelice perché mi manca la quiete dei miei blues, gli insetti intorno, e, in mezzo a questa gente che ha in mano la sua birra fredda preferita, se chiudo gli occhi, imprimo sulla tela i tratti di un volto… un volto… sempre lo stesso!

Cambierebbe poco se invece di essere pittrice, io fossi scultrice, filosofo, falegname, fabbro, astronomo, oppure soltanto pensatrice.»

Lui accese una sigaretta con la fiamma del Ronson d’acciaio, e noi capimmo che si chiedeva se stava sbagliando oppure Ella, le gambe accavallate, gli stava offrendo di poter scoprire «Le tenerezze e le seducenti malinconie della mia femminilità mediante la forza plastica delle tue certezze; i misteri intriganti che fungono per me da seconda pelle, con la parte più suadente dei tuoi inni; il candore della mia giovane vita, con la tua lussureggiante invadenza.»

Udimmo che lui disse «Non basta, riprova».

 

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Version 3 | ID 29772m

ISBN 978-1-4710-8114-9

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Modificato: 20 ago 2022
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Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
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Per Aurora – volume primo – L’appuntamento capitolo 6

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L’appuntamento capitolo 6

Per Aurora

volume primo

CAPITOLO SESTO

Lei forse udì dapprima lo schiocco della frusta, mentre, china, era intenta, tra le rose le ortensie le ginestre (ginestra fiore amato dalla mia donna), a togliere le foglie che cominciavano ad assumere il colore ambrato delle sue mani.

Oppure il rotolare delle ruote del calesse, con il quale eravamo passati sul selciato sconnesso, aveva fatto tintinnare i vetri della veranda affacciata sul borgo antico, per lei rifugio di tanti momenti di vera malinconia.

Di certo riconobbe le note che dal violino suonato da Accardo, come un refolo di vento o uno spirito invisibile, avevano per qualche secondo inondate le stanze di antica fattura e dalle volte a vela.

Rimase immobile.

Il bracco alla punta nel giardino.

La venere di creta alla veranda.

La bambola di pezza sul cuscino.

Pietrificata, per un tempo senza dimensione.

Un attimo?

Un’ora?

Non so.

Ecco si muove.

Seguita dall’invisibile scia del profumo che aveva dedicato alla sua vita.

Seguendo, paziente, una visione stoicamente attesa.

Giunta allo specchio più grande, guardò i capelli, li sciolse con movimenti frettolosi delle dita, li smosse lasciando che coprissero parte del volto ed il collo con un mantello di onde rosseggianti.

Cambiò le scarpe, calzando le bianche laccate con tacco alto e punta acuta.

Le immagine riflesse allo specchio che non avevano avuto soste, presero a susseguirsi con ritmo più intenso, vorticoso, un gorgo, un doremifasollasido che altra volta aveva attraversato i suoi momenti.

Sembra pronta, sembra.

Si fermò come allo schiocco della frusta, al rotolare della ruota, alle note suonate da Accardo.

Bloccata in un solo pensiero “Se resto, se non vado, lui, prende l’ultimo battello e parte?

Mancare ad una promessa per propria scelta è come derubarsi di un concetto.

Io, preso a capire quale valore dare ad una promessa non mantenuta (oltre il candore viscido per una dimenticanza neanche giustificabile da impegni essenziali e definitivi), mi scoprivo impantanato in una prima sommaria differenza: la promessa è fatta da me?

O da altri?

Non erano questi interrogativi da poco per dare consistenza al senso che intendevo comprendere.

Volli così spingermi a delineare un confine di divisione, netto, tra le due ipotesi, valutando la mancata attuazione da parte altrui di una promessa per me coinvolgente come un furto ai miei danni, mentre, più negativamente, se l’inadempiente fossi stato io, allora, oltre ad essere ladro nei confronti di un bene altrui, mi sarei considerato anche il piromane di un mio concetto.

Per lei non andare all’appuntamento significava, in una dolorosa valutazione, dargli la giustificazione per un

ripensamento.

L’opportunità di un ritorno.

Nel suo mondo.

Ultimo minuto, ultima partenza.

In nessun caso accettava di tenerlo legato ad una promessa.

Fosse anche la più bella.

Oltre ogni immaginazione.

Rimaneva bloccata, immobile.

Le labbra con un filo di rosso garanza, gli occhi ombreggiati dal tronchetto di matita per l’occasione spolverato dal piccolo cassetto del carillon con ballerina, le mani con l’eterno anello di turchese ed oro bianco, immobili.

Bloccata immobile.

La scollatura non sembrava vibrare per il battito del cuore. Bloccata, immobile, impazziva senza tremare, accarezzava docile l’idea che non sapeva quale dubbio le avrebbe sciolto, (forse l’amore privo di possesso), intanto che aspettava, immobile, legata ad un’idea, immobile e seducente, attenta, resa pazza dall’attesa, aspettava… e venne.

Improvvisa, sferzante, acuta, venne a lacerare l’aria, la sirena della nave che ne segnalava l’avvenuta partenza.

Corse come poteva, fino a farsi scoppiare il cuore, lasciando le porte aperte.

 

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Per Aurora – volume primo – L’appuntamento capitolo 5

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CAPITOLO QUINTO

Non mi fu molto difficile, data l’esperienza, trovare una porta secondaria adibita ad ingresso degli addetti ai lavori e, comportandomi con la giusta naturalezza, salutando sconosciuti come fossero colleghi, chiamando capo l’uomo addetto al controllo dei pesi e delle qualità delle merci, rivolgendo un deferente “boss” al grasso individuo troneggiante alla cassa, giungere, senza insuperabili problemi dicevo, alla porta di divisione (tipo saloon dei film ambientati nel mitico west) posta tra i diversi ambienti di lavoro.

Non avevo, come mio solito, certezza di portare a compimento l’azione che mi ero riproposto quando, un attimo prima, lo avevo ascoltare pensare: “La sua bocca giurava”.

Tuttavia, per una volta privilegiai la praticità, la concretezza, l’essenziale, andando in cerca del responsabile per la organizzazione della struttura subito a ridosso della sala ove, da quando lo avevo lasciato, immaginavo che lui di tanto in tanto, con disincanto, sistemasse la ginestra (ginestra fiore amato dalla mia donna) all’occhiello del bavero.

Forse confuso, certo attento, paziente, determinato, pronto comunque, fra poco, al confronto con il suo destino.

Era una donna.

Da tutti chiamata “La Signora”, il capo era una donna.

Non bella, certamente intelligente, forse un po’ troppo guascona nonostante non avesse bisogno di dare molte istruzioni per ottenere la perfezione negli adempimenti che ordinava: le era sufficiente il segno con un dito, l’indice, per mostrare una direzione; il dondolare della testa, per affermare o negare.

Cosa sarebbe un uomo, voglio dire un individuo, se gli si potesse togliere un concetto?

A molti è capitato, me compreso, d’essere vittima di furti, e le cronache sono piene di indicazioni al riguardo: il portafoglio, lo stereo, un diritto, la vita.

Si conoscono le reazioni delle vittime forse meglio di quanto non si sappia relativamente ai comportamenti dei ladri.

Quasi paradossalmente, pur elaborando credibili e dettagliate indicazioni rilasciate da tutti i malcapitati di tutti i furti, anche i più estremi, non credo comunque che sarei in grado di rendere chiaro, trasparente, il comportamento conseguente alla sottrazione fraudolenta di un concetto.

Se guardo nel mio bagaglio di certezze vi trovo dei sentimenti, alcuni fatti, e poi volti e persone, ma vi rinvengo essenzialmente concetti.

È vero sono concetti di sentimenti, di fatti, di persone, di, forse, idee.

Essi hanno, tutti, indiscutibile valore, non fosse altro che per il fatto di rappresentare la definizione assoluta di specificità in altro modo non meglio caratterizzate.

Così mi chiedo, scegliendo a caso, quali sarebbero i vibrati dei miei risentimenti se mi sottraessero la cosa (il calesse?), e trovo, sebbene a fatica, risposte accettabili, ma non ho ancora osato sconvolgere la mia mente con l’ipotesi di un furto tanto incredibile e squassante.

E se accadesse?

Se un orso sulle note di uno spiritual della vera New Orleans, scovasse e sottraesse dalla mia roccia una pietra di concetto?

Ma sono sicuro?”

Lui era lì a pensarlo, (io sì ne sono sicuro), intanto che soffermava la sua attesa sui personaggi che affollavano la sala.

 

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Per Aurora – volume primo – L’appuntamento capitolo 4

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L’appuntamento capitolo 4

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volume primo

CAPITOLO QUARTO

L’isola era un frutto acerbo nel contesto dei luoghi limitrofi.

Nata dal botto di un novello dio vulcano, mostrava, in ogni aspetto, segni evidenti della sua natura.

Le colline tondeggianti e prive di asperità, le spiagge formate da sabbie a grana doppia che neppure aderivano alla pelle, sulla riva del mare scogli sporgenti dal classico colore scuro del magma solidificato.

Trine di anse e picchi e grotte, e dirupi e bordi di intagli di volute e di plaghe, formavano la parte sottostante al cono capovolto del vulcano che si ergeva con cime frastagliate a forma di una cresta.

Vista dal mare ricordava la linea tracciata tra la testa e la coda di un dromedario.

Non appena si lasciava la fascia costiera modellata dall’erosione marina, il poco terreno sedimentato appariva ingabbiato da muri di pietre scure sovrapposte che non avevano subito deformazioni evidenti con il passare degli anni.

Limoni, mandorli, alberi da frutta, e poi pini, oleandri, mimose, a formare un vasto campionario di vegetazione mediterranea.

Oltre il gradino del vecchio cancello la villa, per anni abbandonata, successivamente era diventata splendido ritrovo per personaggi in attesa di definitiva gloria.

La sala di ricezione, ovattata, dalle luci soffici, configurata per accogliere, come in una stazione ferroviaria durante l’ora di punta folle di viaggiatori in arrivo e partenza di diverse razze, sesso ed età, concedeva lo stesso tempo allo stupore per l’imponenza e per l’eleganza.

Nascosta alla vista ed all’udito, celata, la cucina, entrandovi, poteva apparire quasi infernale per ordini ed urlacci disumani, fumi intensi e bruciati, e spezie polverizzate, nebulizzate, per calori umidi ed asfissianti e pericoli di scoppi e di braci, di tagli e di cadute, di urti, di trappole, di inganni.

Una terrazza offriva la vista sulla bella cima del monte più alto, solcato dal greto di un torrentello, da boschi a chiazze asimmetriche e da burroni incisi come rughe sul volto di un vecchio pescatore ischitano.

Una terrazza con la vista sulla bella…

  • con trenta pizzi ad angolo giro; con foreste di alberi sconosciuti; con tre soli per i riflessi delle cascate, con tre voci per i rimbombi degli echi; con tre bionde, tre rosse, e tre nere; tre bionde, tre gialle, e tre nere; tre alte, tre basse, tre nere; tre magre, tre grosse, tre nere; tre donne, tre suore, tre nere.”

Erano le parole dello spiritual proveniente, con gradevolezza di sottofondo, dalla pedana ad angolo accanto al banco bar.

Fui io ad accompagnarlo nella carrozza con il mantice aperto che aveva, mesi prima, fatto restaurare in maniera perfetta, maniacale.

Un particolare impianto stereo ripeteva la musica di Felix Mendelssohn: Concerto in mi minore.

Una coppia di cavalli dal mantello rabicano con lunghe code e criniere sciolte, le ruote, i mozzi, il morso, finanche le redini riflettevano la poca luce del sole al tramonto e gli improvvisi bagliori scatenati dagli agrumi pendenti sui filari che incorniciavano la strada.

Non ricordo di averlo visto mai prima così bello e sicuro.

Non avrei potuto trovare una piega fuori posto allo smoking bianco senza sfumature, alla camicia sbottonata sul collo, alla barba tondeggiante, alle dita con l’inseparabile anello di rubino, alle mani adagiate sul bavero che inserivano all’occhiello una ginestra (ginestra fiore amato dalla mia donna).

Neppure le sue fantasticherie, le sue ostinazioni, i suoi dubbi, le sue speranze, se fossero venuti in superficie avrebbero tolto bellezza alla sfida che si accingeva ad accettare.

Verificare.

In maniera definitiva.

Senza alibi.

Senza veli.

Verificare.

Sapeva bene che andando all’appuntamento si sarebbe in modo irreversibile preclusa la possibilità di salire sull’ultimo battello in partenza dall’isola verso la certezza della sua vita.

Eppure mentre posava il piede sul primo gradino della villa… non so, mi turba l’ennesima incertezza.

Come se non bastasse, da solo, lo scivolare continuo di nuovo su nuovo che comprime prima, e sopprime poi, gran parte dei granuli essenziali alla composizione della mia storia.

Un giorno vidi una lucertola verde al sole, ne sono certo, ricordo anche di averlo scritto, ma se un altro Adamo o un’altra Eva si fosse trovato sulla riva di quel ruscello (era un ruscello?), e come calando un velo affermasse che era rossa?

La mia lucertola potrebbe tranquillamente immergersi nel ruscello (era un ruscello) e trasformarsi nella più bella delle fanciulle bionde con un nastro nei capelli, per poi sfrecciare sulla Ferrari rossa (sarebbe rossa?) nel centro di Parigi tra i Campi Elisi e la torre Eiffel (se i campi fossero di Elisa, cambierebbe qualcosa?) (e se la torre fosse di Michele?).

Eppure, mentre poggiava il piede sul primo gradino d’accesso all’antica villa, mi turbò l’anima il sentirlo pensare:

Quel giorno era un pomeriggio del mese di marzo o aprile: gli alberi proiettavano le ombre lunghe delle ultime ore sul prato già umido, poco curato e frammezzato a sassi squadrati in modo empirico da uno dei vari custodi che si erano succeduti nel tempo.

Pasqua era passata da pochi giorni.

Da allora ogni volta le immagini, scorrendo a ritroso, si fermano un attimo sulla cintura in cuoio grezzo del mio blue jeans con la borchia rettangolare di ottone scuro rappresentante il LAZO in volo verso una preda invisibile.

Aveva intorno la scritta a rilievo I AM.

Perché?

Poi inquadrano l’orizzonte, minimizzato dal muro di cinta, sagomato tra i tronchi rugosi dei pini e gli arabeschi mediterranei dei ferri battuti che orlano l’imponente cancello, ed esso appare per niente mortificato, bensì sgargiante nei contrasti di toni rosso–azzurro, anzi finanche sfacciato nell’irrispettoso insinuarsi tra il vuoto di un arco e lo slargo di una colonna.

Sempre le luci si bloccano sul volto di lei, ancora acerbo, spigoloso, spaurito, stupito; sui suoi occhi increduli, incredibili, innocenti; sulla bocca, carnosa, carnale, candida.

Quella sera di marzo o forse di aprile, sul prato bagnato, sotto i tronchi dei pini, con l’orizzonte limitato a pochi squarci, la mia cintura lontana dal suo viso e dai suoi occhi, la sua bocca giurava.

Giurava il nostro appuntamento.»

Qualcuno ha detto che il paradiso può attendere, loro lo lasciarono in quel pomeriggio del mese di marzo o forse di aprile.

In apparenza dimenticato come un guanto, abbandonato come un giocattolo rotto.

Sul prato bagnato tra strisce di orizzonte insinuato nei ferri battuti di un vecchio cancello.

Per una voglia di nuovo.

Egoisti?

Possessivi?

Neppure quella devozione palese e priva di pudori era stata sufficiente ad impedire la costituzione di una spinta verso nuove frontiera del mondo.

Sognando il paese dove tutto è possibile.

Un mesto abbandono.

L’anoressia dei sentimenti.

Ancora una volta giovani genti fuggivano, abbandonando i luoghi dei padri in cerca di fortuna.

È della gioventù tagliare i ponti e spingersi in voli non sempre sicuri.

Rappresenta parte essenziale del suo sviluppo.

Egoisti.

Verso il limite estremo consentito all’espandersi dell’ansia di libertà, fino al punto di non ritorno.

Possessivi.

Egoisti e possessivi, ciascuno di loro non solo voleva essere scevro da condizionamenti non sempre espliciti e dichiarati, ma negava, con repulsione epidermica, finanche di accettare proprie rigide strutture esistenziali.

Con semplicità posso dire che volevano essere liberi sopra tutto da se stessi.

Cosa significa?

Non so, vedremo.

Egoisti possessivi, giovani.

 

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica – Brevi commenti amichevoli

Così o come.

L’Appuntamento

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Capitolo 11

Capitolo 12

Vasco e Medea

Parte prima

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Capitolo 11

Capitolo 12

Capitolo 13

Parte seconda

Capitolo A

Capitolo B

Capitolo C

Capitolo D

Capitolo E

Capitolo F

Capitolo G

Capitolo H

Capitolo I

Capitolo dopo fine

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Per Aurora – volume primo

seconda edizione

Version 3 | ID 29772m

ISBN 978-1-4710-8114-9

Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-8114-9
Version 3 | ID 29772m
Creato: 20 ago 2022
Modificato: 20 ago 2022
Libro, 93 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Titolo Per Aurora volume primo
Sottotitolo Alla ricerca di belle storie d’amore
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7278-9
Marchio editoriale Lulu.com
Edizione Nuova edizione
Seconda edizione
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Lasciargli sul corpo e nella mente i segni squassanti di una passione artificiale, artatamente impudica e violenta, tenera e vendicativa, ponendo in un solo amplesso tutti i registri delle sue esperienze, tutta la prorompente eccessiva sfacciata bellezza del suo corpo di donna non più bambina, i giochi estremi di mani esperte di labbra avvampate di pelle di luna, tenerezze ossessioni, morbidezze stupori, in una altalena di grida e di sussurri che per anni la sua mente aveva elaborato, posizionato, montato come in un film… … con arte e per vendetta.

Per Aurora volume primo

seconda edizione

Il libro contiene

Così o come

L’appuntamento

Vasco e Medea

Aurora volume primo

Info: Bruno Mancini
Cell. 3914830355 – 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
emmegiischia@gmail.com

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