Il Dispari 20221003 Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20221003 Redazione culturale DILA

Il Dispari 20221003

Il Dispari 20221003 Redazione culturale DILA

Dal mio racconto “La sesta firma” inserito nel libro
PER AURORA VOLUME TERZO


Costui, con un inizio strascicato e pensante, quasi paladino della necessaria concentrazione che doveva lentamente liberarsi dalle velleitarie sovrapposizioni d’altri futili pensieri e preoccupazioni, più o meno attuali, che durante la breve pausa si erano celati nelle menti dei provvisori ascoltatori, Lui, concesse il bis alla maniera del migliore Ungaretti, con un irripetibile ed unico stile televisivo:
-«…o distanti, nel formulario delle loro composizioni scientifiche filosofiche, da ubriacanti teoremi destituiti di credibilità.
Io credo…»

Questo fu l’incipit con cui avviò la successiva narrazione spettacolo.
Quindi ne proseguì l’esposizione in un suo personale folcloristico parossistico edonismo.
Vagando tra due birre commerciali bionde fredde indifferenti, e nebulizzandosi fra sigarette bionde fuoco aspirate violentemente attraverso i baffi di colore giallo arancione indaco nero.
Incipriandola con effetti mutuati dalla storia della cinematografia: il polso del protagonista alla fronte (nel gesto dello sconforto per la notizia di una disfatta), il cammina e cammina di Monica nel mitico Deserto Rosso, John Waine alle prese con Jane Russel (pareggio ai punti).
Quando tutto ciò non gli parve sufficiente ad ammattire i docili astanti, utilizzò iconologie riconducibili al bagno nella fontana di Trevi, a Totò, ad Albertone e la pastasciutta.
Fino al punto da osare d’inserirvi anche sporadiche fragili simbologie canore tipo “Voooolareee…”.
Non ricordo di averlo notato proporsi con allegorici riferimenti politici, religiosi.
Li schifava entrambi.
-«… io credo che il vero disastro per il “cattivo” abbia avuto origine nella vanitosa attesa di un applauso.
Chi avrebbe potuto assecondarlo?
Chiaro, un altro “cattivo” meno potente.
Quasi sempre è per questo motivo che il numero Uno consente ad un piccolo inferiore di seguirlo nelle feste, nei festini, nelle orge, ed in quanto altro è prodotto dalla libidine di potenza, lasciando che lui ne apprezzi le molliche.
Devo dire che le briciole non sono uguali per tutte le valutazioni!
Piccole porzioni di pane non hanno evidentemente ugual pregio di minime elargizioni territoriali.
L’impero!
Un impero, anche se inutile, è pur sempre un impero.
Se ci regalano l’Isola d’Ischia in cambio del vilipendio di uno sputo in faccia, ci sembra di aver fatto un ottimo affare? Dipende!
Dipende da chi – come – io – tu – se – ma – quando – dove – e via così.
Nel caso in esame, al Piccolo Inferiore era stato promesso che avrebbe potuto fare quello che voleva: Capo, Presidente, Duce, Super Duce, Super Capo, Extra Presidente.
Va bene, ma non basta, l’Africa non è niente di fronte all’Albania la Grecia Nizza e Savoia.
Vieni con me, caro, – disse il numero Uno – e sarai il faro dell’immenso golfo del Nuovo Mediterraneo, da Nizza a Cipro da Trieste a Gibilterra.
Per te mari e coste e Porti-giane più sensuali e variegate delle tue belle Corti-giane Abissine.
Il diavolo disse al diavoletto.
E il diavoletto che era bravo (alle elementari aveva avuto sei in storia), rispose “Obbedisco”.»

Costui, in fondo, era un uomo gioioso e collerico, sensuale rude e tenero, bislacco e profondo, futile e sottile.
Un brivido per donne di sani tradizionali principi, per maschi timorosi di confronti e per tutte le belle statuine dei presepi viventi allestiti nelle piazze e nelle feste di paese.
Nessuna persona provvista di buon senso avrebbe voluto provocare un confronto con la sua dissacrante, violenta ed anarchica mancanza d’auto ironia…

Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7481-3
Versione 2 | ID 29y6wr
Pagine 135, formato A5
https://www.lulu.com/shop/bruno-mancini/per-aurora-volume-terzo/paperback/product-29y6wr.html
Prezzo di vendita: EUR 14.00
https://www.emmegiischia.com/wordpress/bruno-mancini/prose/per-aurora-vol.3/

Il Dispari 20221003 Redazione culturale DILA

BRUNO MANCINI |Florinda Sorrentino
nuova Amica dei progetti culturali Made in Ischia

Noi dell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” siamo orgogliosi di poter annoverare Florinda Sorrentino tra i nuovi amici della nostra Associazione.
Allo scopo di presentarla adeguatamente ai lettori di questa pagina, abbiamo chiesto alla cantante Angela Prota (voce lirica del Teatro del San Carlo di Napoli che a luglio ci ha donato due deliziosi pomeriggi musicali nella Biblioteca Comunale Antoniana) di intervistarla e di illustrarci le sue principali caratteristiche umane, professionali e culturali.
L’intervista realizzata da Angela Prota la trovate qui di seguito, mentre una interessante presentazione, ugualmente realizzata da Angela Prota ve la proporremo lunedì prossimo.
Ringraziamo Angela Prota per la sua disponibilità e, ovviamente, vi invitiamo ad accogliere Florinda Sorrentino con tutta l’amicizia che noi ischitani siamo in grado di esprimere.

Angela Prota intervista Florinda Sorrentino

Prota: Cara Florinda vuoi presentarti ai lettori del quotidiano IL DISPARI con una tua riflessione sulla Musica?
R: «Certamente.
Ma prima desidero ringraziare te per avermi invitata e il Direttore Gaetano Di Meglio per questo spazio che mi concede, senza dimenticare Bruno Mancini, Presidente DILA, per avermi accolta con tanta amicizia nel gruppo di Artisti internazionali che ha riunito sotto il simbolo del Made in Ischia.
Per me, posso dirlo in tutta chiarezza, la Musica è parte integrante della mia esistenza.
Gli aspetti formali e sostanziali di quest’arte, di ogni epoca e stile, confluendo l’uno nell’altro, creano uno strumento e un linguaggio che favoriscono lo sviluppo e la crescita individuale e sociale che appartiene non solo ai musicisti, ma all’umanità intera.
Noi docenti abbiamo un ruolo importante nella formazione dei nostri alunni e dobbiamo far conoscere con professionalità, coscienza e passione il prezioso valore della musica, che va promossa, ascoltata e praticata sin dalla prima infanzia attraverso esperienze che stimolino la libera creatività e che permettano lo sviluppo e l’arricchimento della personalità»

Il Dispari 20221003 Redazione culturale DILA

Prota: Quale pensiero ti senti di esprimere in relazione alla frase “Non c’è peggiore ingiustizia che far parti eguali tra diversi “di Don Milani (“Lettera a una professoressa”, 1967)?
R: «Compito della scuola, e soprattutto del docente di sostegno, è divulgare e promuovere l’idea di vivere “la diversità come ricchezza”, insegnando la cultura dell’accoglienza e della gentilezza.
La forza e la crescita di un gruppo è data non dagli elementi comuni, ma da tutto ciò per cui c’è differenza.
La comunità ha valore solo se è fatta di tante diversità, che vanno rispettate e valorizzate.
La scuola è il cuore della comunità».

Prota: Vuoi chiudere questo primo contatto con i lettori della pagina culturale del quotidiano IL DISPARI con una valutazione sulla figura del docente?
R: «Ogni docente deve riconoscersi come uno “specialista” della cultura e della formazione dei giovani, esprimendo un’etica fondata su comportamenti, riflessioni e scelte sempre e ovunque guidati dalla centralità dell’alunno e dall’idea di non dover solo trasmettere saperi, ma di dover formare persone con senso civico, capacità critica e di giudizio, amore verso se stessi, verso il prossimo, AMORE PER LA VITA.
Reputo fondamentale per tale ruolo una continua formazione, per un proficuo nutrimento nell’esercizio della professione.
Occorre dunque garantire il rispetto della professionalità con professionalità.
La scuola, e quindi il docente, ha una grande responsabilità verso l’umanità e verso il futuro che non può né deve essere MAI trascurata.»

Ringraziando Florinda Sorrentino, e contando sulla sua prossima partecipazione agli eventi che DILA vorrà realizzare ad Ischia – e non solo ad Ischia – vi diamo appuntamento alla prossima settimana.

Il Dispari 20221003 Redazione culturale DILA

Florinda Sorrentino – Angela Prota

Il Dispari 20220926

Il Dispari 20220926 Redazione culturale DILA

 

La Notizia virgola
La Condanna punto

Premessa

Ho scritto anche questo racconto dando per scontato che vi siano noti, ipotetici lettori, i modi di procedere disarticolati e quasi mai esplicativi della mia scrittura, che abbiate la pazienza di effettuare frequenti retromarce ed accelerazioni repentine, siate propensi ad accettare palesi contraddizioni, e sappiate, infine, che alcuni personaggi (la donna guascone, l’autore, l’anima ecc.) hanno già fatto parte di precedenti avventure.
Diversamente dal solito, in questo caso, intendo privilegiare la trama a discapito della costruzione formale.
Rischiando finanche di non consentire una eventuale piacevolezza nel districare la storia transitando per le omissioni volute ed i non chiari e non consequenziali passaggi.
Solo per questa scelta vanitosa ho deciso di preparare un prologo in grado di fornire un aiuto al chiarimento di alcuni possibili dubbi ed equivoci.
Il mio consiglio, comunque, è di non leggerlo, ma, scavalcandolo, farvi tentare  direttamente dalla tortura del racconto.
Poi fate voi.

Prologo

In un luogo non specificato, il professore Edoardo, forse la proiezione fantasiosa di Edoardo Malagoli, è impegnato a presentare in un sobrio allestimento scenico il racconto intitolato “La Notizia”.
Con lui, mente della formazione critica e letteraria (quasi il “Cervello”), partecipano alla rappresentazione, Edith (forse Edith Piaf “l’Anima?”), simbolica proiezione del sentimento artistico, e Tom (un tipo all’americana “Zio Tom?”), indiscusso emblema di pragmatismo dogmatico, ed altri personaggi che paiono proiezioni di realtà sociali.
Al di qua del palcoscenico, in un ambiente anch’esso dalle caratteristiche mai chiarite, ma che certo non è una platea nel senso classico, siede Aurora (la donna guascona, “La Signora”) in compagnia del suo amico autore (la vita nella forma più ampia del termine).
L’io narrante, che altre volte (L’Appuntamento, Vasco e Medea) aveva proposto all’attenzione della Signora storie d’amore particolarmente intense, in questo caso era stato invitato da lei a presentarle, nel modo che avesse preferito, il suo nuovo racconto pubblicato soltanto da poco.
Strano, in quanto esso, intitolato “La Notizia”, non aveva alcuna valenza sotto il profilo degli umani sentimenti amorosi.
Sospetto sembra anche l’intervento della “Signora”, la quale, mentre i primi tre dicitori erano ancora impegnati a leggere una parte iniziale e per nulla esplicativa della trama nel suo complesso, aveva ordinato, senza un apparente motivo, l’interruzione immediata della rappresentazione, invitando contemporaneamente il suo assistente Petrus ad elencare tutti gli eventi generati dalla semplice “notizia” dell’avvenuta stampa del racconto.
Da ciò, protagonisti e fatti descritti nella storia narrata, ed accadimenti realmente verificatisi, risultano talmente sovrapponibili da lasciare presumere essere, gli uni e gli altri, originati da una identica segreta volontà.
Fino a quando al nostro autore diventa chiaro che la sua amica Aurora lo aveva invitato allo scopo di vedere personalmente, attraverso le reazioni e gli atteggiamenti che egli avrebbe avuto, confermato o smentito un dubbio per lei inquietante.
Ed allora…
Detto ciò, penso che il finale possa essere letto senza ulteriori informazioni.
Ciao se ci siete.
https://www.emmegiischia.com/wordpress/bruno-mancini/prose/per-aurora-vol.2/

Il Dispari 20220926 Redazione culturale DILA

POESIE finaliste undicesima edizione Premio OTTO MILIONI 2022 – primo gruppo

Il premio internazionale “Otto milioni”, ideato da Bruno Mancini e giunto alla undicesima edizione, è stato definito in quattro sezioni: poesia, arti grafiche, giornalismo, recitazione.
Queste che offriamo oggi alla vostra lettura sono quattro delle venti poesie finaliste.
Nei successivi lunedì pubblicheremo tutte le altre poesie finaliste.
Con l’avvertenza che i testi di alcune di esse, contengono imperfezioni linguistiche in quanto non siamo intervenuti nella correzione delle traduzioni effettuate, grazie alla versatilità della poetessa lettone Liga Sara Lapinska, da idiomi piuttosto desueti, vi invitiamo ad esprimere i vostri gradimenti accedendo alle pagine web indicate nei titoli di ciascuna poesia.

Premio POESIA “Otto milioni” 2022

https://www.emmegiischia.com/wordpress/poesia01

Il Dispari 20220926 Redazione culturale DILA

Poesia01 Anita Zvaigzne “Alzati nelle ali” – Lettonia

Alzati nelle ali

Noi, in nostri momenti di uccelli
alzati sulle ali,
noi incontrandoci
nascosti sotto le ali,
attraverso di noi come un fulmine
l’amore è corso
e la fiducia candida sacra degli uccelli.
Noi alzati nelle ali
sotto il cielo azzurro,
noi dicendo addio
tra le centinaia di uccelli scomparsi
abbiamo bevuto la bevanda del fulmine
con l’amore nel petto
e siamo per una vita bianca consacrati.

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https://www.emmegiischia.com/wordpress/poesia02

Poesia02 Viesturs Āboliņš “Il presentimento” – Lettonia

Il presentimento

Settembre striscia come un’estate stanca e arrugginita.
Vuole addormentarsi, vuole l’inverno,
sogni bianchi e pace.
Da qualche parte nel cielo di nuovo si rompe
grande primavera.
Tutto intorno scorre , tutto cigola.
I vivi fingono di essere morti,
nascondendosi dal freddo, si congela.
I pensieri volano sulle loro ali – non possono fingere
“Dietro – vai! Tutti in fila!” – segnale acustico in due battute,
in due sillabe, breve, comodo, –
i nomi dei Capi sa istintivamente riconoscere,
proprio come la colonna sonora dell’otturatore –
sei “nostro” o “nemico”.
Per non andare a letto prima di dormire,
per timore che si svegli, e invano.
Accetta la sfida senza esitazione,
perché l’inverno non aspetta per la prima volta,
e dopo il gelo primavera – perché qualcuno sopravviverà già,
vedremo
come torna a soffiare la terra, come svanisce il sogno
nell’oscurità.
Com’è la vita in pieno svolgimento e quanto è bella
è un uomo Ragionevole!

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https://www.emmegiischia.com/wordpress/poesia03

Poesia03 Aslambek Tuguzov “Nella maturità” – Russia

Nella maturità

E nella maturità appare
tutto ciò che non si è avverato.
Perché non si può dormire
come prima era possibile,
perché tu sei più vecchio
e di altri più profondo,
in marcia rimanendo,
insieme ai tuoi fratelli.
E appare nei sogni, e finisce,
nella nostra vita li zittisco,
poi di nuovo oscilla
la tua culla.
Tutto è nella vita uguale,
sia i sogni sia la veglia reale,
sia nella festa le vertigini,
sia nella primavera i desideri.
Alzati all’alba
e guarda nella nebbia…
E le moschee ascolta,
l’anziano lontano.
E la voce come un rasoio
attraverso l’oscurità tirato,
e, credimi, la preghiera.
C’è per tutto la base vera.

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https://www.emmegiischia.com/wordpress/poesia04

Poesia04 Elita Viškere “Felice” – Lettonia

Felice

Si dice, le persone felici non scrivono le poesie.
La sera cammino verso le stelle, io.
Per me e per un momento che c’è
dico felicità e gratitudine.
Felice perché il sole nuovo
e il mio domani sta arrivando.

Il Dispari 20220926 Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220919

Il Dispari 20220919 Redazione culturale DILA

BRUNO MANCINI – IL LIBRO DI SONIA

Cap. 5

Anche è stata

una scure

sul pendio

il nostro rotolare avvinti

per erbe»

Così, con cinque miei versi ti inserisci al di sopra del più intimo velo di ricordi che anche Sonia con me si appresta a sollevare, e poi, subito di seguito continui:

-«Il rappresentante non si muove, resta immobile nel suo errore di timido; si torce sulla sedia.

È imbarazzato.

Ogni tanto guarda per cercare un sorriso, un cenno di complicità ai suoi gesti di savia pazienza.

Io ti compatisco, povero ometto con la valigia; no il mio non è disprezzo.

Non potrei.

Anche se per te sarebbe più gratificante.

Io ti piango ragazzo-vecchio perché vedo te come Gino.

Strano.

Lo lascerò”.

Ed intanto passano i giorni.

Lenti giorni.

Lenti giorni, sempre più vuoti.

Io e Gino in macchina.

Io e Gino in spiaggia.

Io e Gino e il silenzio.

La prima volta d’agosto.

Sulla spiaggia libera di Sant’Angelo non c’è molta gente.

Sto sulla sabbia umida con gli occhi chiusi, immobile verso il sole.

Silenzio.

Lui si annoia, vorrebbe parlare ma sarebbe inutile.

Silenzio.

Rimane concentrato nella sua orribile fissità, quasi tema il più piccolo movimento.

Silenzio.

Guardo il mare, triste.

Penso di tuffarmi per attrarre la sua attenzione.

Mi piacerebbe strappargli dalle labbra quella immobilità con un bacio violento.

Gino

Sì?

No meglio tuffarsi in modo discreto.

Silenzio.

Mi alzo in silenzio e vado in acqua in modo discreto.

Mi ripiomba addosso con tutta la sua intensità quel silenzio, mi straccia, si rende importante.

Mi alzo e vado in acqua lentamente gustando il rito.

Mi tuffo e so che non s’è accorto di essere rimasto solo – in silenzio – sulla spiaggia.

Penso che tornando, sdraiandomi, mi prenderà le mani – sciocca -, mi coprirà di baci – illusa -, mi dirà tante piccole sciocchezze – tenera -, che mi pensa – non è così -, che mi desidera – non come vorrei -, magari che mi ama – è solo una parola -.

Sarebbe come chiedere a questo scoglio di muoversi.

Ritorno su, mi agito, vado su e giù per la riva.

Silenzio.

È sempre quel silenzio.

Sempre più completo, ora sento che attraverso lui inalo la lentezza della vita perdendone l’entusiasmo, muoio piano piano.

Lui è immobile come un morto.

Lui sulla spiaggia. LUI.

Solo LUI.

Penso che il sole gli ha cotto quel poco di cervello che gli resta.

Il rappresentante resta immobile.

Ora guardo la mia mente diventare ogni giorno più vuota, i miei pensieri più cupi e intanto non posso muovermi, non ce la faccio.

È come quando in un sogno sei rincorsa, e vorresti correre ma non c’è il senso del movimento.

È vero, così, io vivo.

Ogni tanto riprovo a strappare un pizzico dei suoi pensieri, mi illudo di trovarli, di poter un giorno aprirli e gustarli, e so che mi illudo e so che non potrò mai inebriarmi di sensazioni che non possiede, che rimarrò, con lui, con Gino, sempre più guscio, magari sempre più vuoto… ma io aspetto.

Ecco la parola che mi ha sempre terrorizzata: aspettare.

Forse perché nella vita ho atteso troppo.

Anche ora, per esempio, sto aspettando.

Anche delle attese, come per i silenzi, mi è restato ancora il sapore, prima tenue, di quando continuavo a pettinarmi lentamente aspettando che venisse a prendermi, oppure facevo le smorfie nello specchio con tutte le luci della casa accese; quando aspettavo in macchina le ore, e le volte che la voglia di scappare era irrefrenabile immaginavo la sua faccia, avrebbe avuto una reazione, infine!

Finalmente!

Poi aspettavo che qualcosa cambiasse.

E aspett… che cazzo aspetto?

Allora ero forse molto più stupida o forse più innamorata.

E forse era ancora coerente aspettare.

Ma oggi?

Forse è vero, vorrei essere ancora, meglio, di nuovo, no, né ancora né di nuovo, essere e basta, essere perdutamente innamorata.

Vorrei provare quel batticuore ad ogni squillo del telefono, cercare con gli occhi tra la gente, per la strada, pensare e pensare solo con la massima intensità, appassionatamente.

https://www.emmegiischia.com/wordpress/bruno-mancini/prose/come-i-cinesi-vol.1/

Il Dispari 20220919 Redazione culturale DILA

Liga Sarah Lapinska | TWITTERONE

La professoressa lettone di agricoltura Baiba Rivža ha accettato con entusiasmo una copia del nostro giornale “Il Dispari” diretto da Gaetano Di Meglio.

Lei è già stata menzionata tante volte nelle pagine di “Il Dispari” come ottima organizzatrice con un gusto delicato per l’arte.

Insieme alla sua amica, poetessa e scrittrice Rasma Urtāne ha scritto la sua autobiografia “Baiba” in lingua lettone.

Occorrerebbe tradurre questo libro in lingua italiana e probabilmente mi assumerò l’incarico di farlo.

Auguriamo a Baiba e a Rasma tanta forza e  creatività!

Il Dispari 20220919 Redazione culturale DILA

Finaliste Premio Arti grafiche OTTO MILIONI – ultimo gruppo

Il Premio internazionale di Arti Varie “Otto milioni” -definito in quattro sezioni: poesia, arti grafiche, giornalismo, recitazione- ideato da Bruno Mancini e dedicato alla memoria del Comm. Agostino Lauro, pioniere del trasporto marittimo ischitano, è giunto alla undicesima edizione ed anche quest’anno è stato affidato alla cura dell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA“, con la preziosa collaborazione della testata giornalistica IL DISPARI di Gaetano Di Meglio e dell’Associazione culturale algerina ADA di Dalila Boukhalfa.

A partire dallo scorso 18 agosto, e fino ad oggi con questo ultimo gruppo, ogni lunedì, abbiamo pubblicate tutte le 50 opere di Arti grafiche finaliste tra le oltre 300 iscritte.

Potrete esprimere i vostri gradimenti accedendo alla pagina web https://www.emmegiischia.com/wordpress/premio-arti-grafiche-otto-milioni-2022/

arg41 Fabaries Vasquez Cile

arg42 Giusy Donini Italia

arg43 Indulis Zālīte Lettonia

arg44 Irina Befa Germania

arg45 Loris Giorgini Italia

arg46 Mark Illukpitiya Maldives

arg47 Maurizio Pedace Italia

arg48 Melinda Horvath Ungheria

arg49 Miguel Pinero Venezuela

arg50 Mirjana Milanovic Serbia

Il Dispari 20220919 Redazione culturale DILA

DILA

NUSIV

Per Aurora – volume quinto – POESIA SPORCA

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Per Aurora – volume quinto – POESIA SPORCA

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora – volume quinto – POESIA SPORCA

Poesia sporca

La radio avanza sulle curve magnetiche.
Nel suo frantoio
spirano avanzi
innominabili
di belle speranze.
Nessun arpeggio interrompe la macina.
Stritolata
da robuste ganasce
sporca poesia mi imbratta.

Per Aurora – volume quinto – Così fu PARTE 2 CAPITOLO SECONDO

Dedica

La menopausa di mia sorella

Conversazione fra un totano ed una pantegana

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

Così fu

PARTE 1

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

CAPITOLO SETTIMO

CAPITOLO OTTAVO

CAPITOLO NONO

CAPITOLO DECIMO

CAPITOLO UNDICESIMO

CAPITOLO DODICESIMO

CAPITOLO TREDICESIMO

PARTE 2

CAPITOLO 1

CAPITOLO 2

Poesia sporca

Poesia sporca

Per Aurora – volume quinto – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

ACQUISTA COM www.lulu.com

Per Aurora – volume quinto – Vetrina LULU

Per Aurora volume quinto di Bruno Mancini

seconda edizione

Version 5 | ID r99qmg

ISBN 9781471068423

Bruno Mancini
ISBN 9781471068423
Versione 4 |  ID r99qmg
Creato: 31 ago 2022
Modificato: 31 ago 2022
Libro, 100 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Titolo Per Aurora volume quinto
Sottotitolo Alla ricerca di belle storie d’amore
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 9781471068423
Marchio editoriale Lulu.com
Edizione Nuova edizione
Seconda edizione
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

E allora la bacia con violenza. Sulla bocca trattenendole la testa – come una bambola di pezza -, sul collo comprimendole le guance – come il morso per una cavalla-, sul seno acerbo – strappandole stoffe e bottoni.
“Lasciami bastardo. Vigliacco bastardo”.
E allora la getta per terra – come un sacco di roba vecchia -, le blocca le gambe – come un lottatore di judo -, le lega i polsi- come uno stupratore -.
“Lasciami bastardo. Vigliacco bastardo, Non farlo”.

Per Aurora volume quinto

seconda edizione

Racconti

La menopausa di mia sorella

Così fu

Info: Bruno Mancini

Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
emmegiischia@gmail.com

 

Per Aurora – volume quinto – Così fu PARTE 2 CAPITOLO SECONDO

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Per Aurora – volume quinto – Così fu PARTE 2 CAPITOLO SECONDO

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora – volume quinto – Così fu PARTE 2 CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO 2

Ora non mi chiedo quanto può valere determinare la matrice della mia perdita di coscienza, né tanto meno mi pare a questo punto determinante dare la corretta interpretazione scientifica della mia assenza da me stesso, in quanto sarà certamente più utile, affinché io passa prendere le decisioni opportune, che sforzi la mia memoria, nella faticosa opera necessaria ad inanellate le scene ed i dialoghi secondo il loro corretto sviluppo.
Forse, scrivendo, ometterò qualche particolare connesso a questa ricostruzione delle vicende relative a quel giorno della mia vita che mi sono apparse, come ho già detto, non so bene se in sonno o nel corso di un momento della mia morte.
Ebbene, accanto al cadavere scheletrito, un filaccio di corda, quantunque annodato, era stato tranciato utilizzando la punta formata da una mano della sagoma umana rappresentata sul crocefisso.
Poco distante, un foglio di giornale ingiallito, scritto in inglese, presentava la foto di un mercenario ricercato per aver ucciso un suo superiore di grado che l’aveva colto mentre smerciava sostanze stupefacenti.
Una coperta in parte arrotolata, con evidenti segni di essere stata, tempo addietro, intrisa di un liquido scuro, inondava il maleodorante olezzo dal quale ero stato attratto come da una calamita, stordito come da un etere, reso ciondolante come un ubriaco, il capo chino come un cane, le braccia pendule come una scimmia, gli occhi fissi come un ebete, prima che raggiungessi la scala di comunicazione tra il piano terra e gli ambienti sottostanti: cantina, dispensa, lavanderia, chiesa, tugurio.
Sangue.
Un effluvio di sangue.
Un effluvio di sangue macerato.
Un effluvio di sangue macerato da almeno venti anni.
Una pentola di stagno con residui secchi di olio, adagiata su alcuni rinsecchiti tronchetti di legno – come uno schermo – tratteneva immagini catturate durante il loro antico passaggio – come uno scrigno di nature incorporee -, per riprodurle ai miei sensi inariditi,
al mio sguardo stupito, alla mia razionalità incredula, alla mia mente eretica – secondo un processo di trasmigrazione delle anime, una metempsicosi.
Ecco.
Un uomo, approfittando del buio, s’introduce nella cascina.
Nascondendosi come un legionario, coglie alle spalle l’unica persona, una donna poco più che ragazzina, presente nella casa.
Le pone una mano sugli occhi, le sussurra un nome all’orecchio, le bacia il collo teneramente.
Lei riconosce la voce.
Lei riconosce le mani.
Lei riconosce l’amore.
Lei sospira felice.
L’uomo le cinge la vita con un braccio – come un soldato di ventura-, la solleva dolcemente – come un amante -, continua a sussurrarle parole – come un traditore.
Giunti, insieme abbracciarti, accanto all’altare, le dice “Sposami”, lei risponde “Sì”.
E allora le bacia le labbra.
Un bacio breve.
Interrotto.
Non è sentimento, non è tormento, non è passione, non è amore, non è… lui non è.
Per lei è stupore, terrore, angoscia… per lei è impotenza. Immaginava di vivere la favola con l’arrivo del suo principe azzurro, nel ricordo di quand’era bambina. “Tu non sei lui. Lasciami”.
“Non potrai sfuggirmi.
Arrenditi”.
“Lasciami, bastardo”.
E allora la bacia con violenza.
Sulla bocca trattenendole la testa – come una bambola di pezza -, sul collo comprimendole le guance – come il morso per una cavalla-, sul seno acerbo – strappandole stoffe e bottoni. “Lasciami bastardo.
Vigliacco bastardo”.
E allora la getta per terra – come un sacco di roba vecchia -, le blocca le gambe – come un lottatore di judo -, le lega i polsi- come uno stupratore -.
“Lasciami bastardo.
Vigliacco bastardo.
Non farlo”.
Tutta nuda, le mani legate, le gambe divaricate a forza, la testa schiacciata con vigore su una vecchia coperta, gli occhi del lupo appena sopra la faccia, l’alito caldo della violenza sul suo respiro affannoso e ansante, le mani assassine sui seni sui fianchi sulle cosce sui seni sui fianchi sulle cosce sui seni sui fianchi sulle cosce… e piange.
“Ti prego lasciami”.
Non basta un fuscello a fermare una valanga.
Non basta una nota d’arpa ad ingentilire un colpo di grancassa.
Non basta una preghiera a convincere il fato.
Non basta, non basta, non basta mai credere per giovarsi della verità.
Bisogna CAPIRE.
L’uomo dai tratti simili ai miei e dalla voce simile alla mia si toglie la camicia, si abbassa i jeans, schiaccia il suo corpo rude sulla bella pelle candida, ormai pronto a gettare il suo estremo abuso contro la serena fanciullezza, il suo vigore vigliacco contro l’ingenua tenerezza, il suo sesso straziato da mille bagasce puttane fin dentro la purezza dell’innocenza.
“Se lo fai ti uccido”.
Lo fece.
Certo, lo fece.
Ora io so bene cosa accadde, conosco la verità.
Infatti, le ombre impresse nel tugurio-tomba non hanno più interrotto l’infinito vagare tra le tenebre delle loro dimensioni esistenziali, inanellando le scene ed i dialoghi secondo il loro corretto sviluppo.
Ora io possiedo la chiave di ferro, la cui riconsegna al Notaio nelle prossime ore, se lo farò, provocherà l’immediata demolizione della casa, della chiesa, del tugurio dello scheletro… della storia, e detengo anche
-«Una chiave, ideale, idonea a che si apra – il Notaio disse – la corretta lettura per una parte ignota della sua vita: la parola “CAPIRE”.»
-«Una parte ignota della mia vita?»
-«Appunto».
Le ho utilizzate entrambe, spingendomi molto al di là dei miei limiti, posso dirlo ormai, fisici e spirituali.
Lo scrigno di nature incorporee ha composto, forse per me solo, le azioni finali del dramma, anzi della tragedia vissuta venti anni prima su una coperta parzialmente arrotolata.
Ora io so bene cosa accadde, conosco la verità, e quel che più conta ho CAPITO, ma, poiché ora io so altrettanto bene cosa farò, quali saranno le mie scelte immediate, e quali quelle future, aggiungo il mio personale finale a questo manoscritto, prima di seppellirlo per sempre accanto al cadavere, e di avviarmi a riconsegnare la chiave di ferro.
L’altra, quella ideale, mi sarà ancora d’aiuto.
Riprendo da: ”Se lo fai ti uccido”.
Lo fece.
Certo, lo fece.
Per tutto il tempo che volle.
Sollazzando il suo barbaro istinto sul corpo, nel corpo, e nella mente e nella vita di una donna, poco più che fanciulla, ormai immobile più che una morta.
“Madre… aiutami.”
Lo fece.
Certo lo fece.
“Madre… aiutami.”
Per tutto il tempo che volle, fino a sentire prepotente il getto di liquido caldo uscirgli dai coglioni e schizzare attraverso il pene ben oltre le labbra aperte dallo stupro senza fine.
Nella pancia, nell’utero.
E come un toro quando tenta di sollevare la muleta, l’uomo dell’inganno, il peccato del mondo, la violenza, l’arroganza, il mercenario dalle grinfie avide, il mago truffatore, il maledetto, Ignazio di Frigeria, nel preciso momento dell’orgasmo, per la tensione della eiaculazione, alzò la testa, cozzando contro il telo bianco che sosteneva la sabbia sull’altare.
“Madre… aiutami.”
Lo fece.
Certo che lo fece.
Fin quando. al limite dell’eccitazione, alzando la testa come un toro nell’arena, cozzò contro il telo bianco che sosteneva il simbolo del martirio e del sacrificio, procurando, con la lacerazione della stoffa, lo schianto in verticale del corposo crocefisso di ferro forgiato a mano.
Tra la sua spalla e la sua testa.
Sulla giugulare.
La punta formata dai piedi in croce, gli penetrò violentemente nella carne – come lui stava ancora facendo -, lacerò la sua vena gonfia di sangue – come lui aveva fatto -, l’uccise – come lui fece -.
Ora, io so bene cosa farò.
E Gilda, vedendomi. saprà CAPIRE.

FINE

Dedicato a mia madre, dopo tanto tempo.

Per Aurora – volume quinto – Così fu PARTE 2 CAPITOLO SECONDO

Dedica

La menopausa di mia sorella

Conversazione fra un totano ed una pantegana

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

Così fu

PARTE 1

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

CAPITOLO SETTIMO

CAPITOLO OTTAVO

CAPITOLO NONO

CAPITOLO DECIMO

CAPITOLO UNDICESIMO

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CAPITOLO TREDICESIMO

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Poesia sporca

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Per Aurora volume quinto di Bruno Mancini

seconda edizione

Version 5 | ID r99qmg

ISBN 9781471068423

Bruno Mancini
ISBN 9781471068423
Versione 4 |  ID r99qmg
Creato: 31 ago 2022
Modificato: 31 ago 2022
Libro, 100 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Titolo Per Aurora volume quinto
Sottotitolo Alla ricerca di belle storie d’amore
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 9781471068423
Marchio editoriale Lulu.com
Edizione Nuova edizione
Seconda edizione
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

E allora la bacia con violenza. Sulla bocca trattenendole la testa – come una bambola di pezza -, sul collo comprimendole le guance – come il morso per una cavalla-, sul seno acerbo – strappandole stoffe e bottoni.
“Lasciami bastardo. Vigliacco bastardo”.
E allora la getta per terra – come un sacco di roba vecchia -, le blocca le gambe – come un lottatore di judo -, le lega i polsi- come uno stupratore -.
“Lasciami bastardo. Vigliacco bastardo, Non farlo”.

Per Aurora volume quinto

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Racconti

La menopausa di mia sorella

Così fu

Info: Bruno Mancini

Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
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Per Aurora – volume quinto – Così fu PARTE 2 CAPITOLO PRIMO

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Per Aurora – volume quinto – Così fu PARTE 2 CAPITOLO PRIMO

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora – volume quinto – Così fu PARTE 2 CAPITOLO PRIMO

PARTE 2

CAPITOLO 1

Sangue.

Un effluvio di sangue.
Un effluvio di sangue macerato.
Un effluvio di sangue macerato da almeno venti anni.

Non che io ne avessi già avuto la percezione in precedenza, e se anche per caso, chi sa quando, mi fossi altra volta imbattuto in tale sgradevole esalazione, certo non ne avevo associato al lezzo l’origine.
Eppure, compiuti pochi passi oltre il focolare, ho avuta una inspiegabile cognizione di dover seguire quel tenace effluvio di sangue macerato da almeno venti anni.
Attratto come da una calamita, stordito come da un etere, ciondolando come un ubriaco, il capo chino come un cane, le braccia pendule come una scimmia, gli occhi fissi come un ebete, ho raggiunto la scala di comunicazione tra il piano terra e gli ambienti sottostanti: cantina, dispensa, lavanderia, chiesa.
Esatto, un ambiente consacrato, ove, almeno due volte l’anno fin quando la Signora Aurora fu in vita, un sacerdote, con barba bianca e tanta voglia delle golosità alcoliche disponibili in casa, diceva messa alla presenza delle famiglie di tutti i domestici al completo (me compreso).
Per la verità, se non altro nelle ultime occasioni in cui fui presente, più che seguire il rito proposto dall’officiante, la mia attenzione divagava tra le futilità proposte dalle situazioni contingenti e le movenze di Gilda, che ogni anno di più sentivo appartenermi interamente.
Ignazio, molto meglio di me, sapeva fingere di aver fede e di pregare mia madre avrebbe voluto accelerare la liturgia, ad esempio eliminando la bevuta del sangue che invece rappresentava il pezzo forte di Petrus, per riprendere i lavori domestici.
La Signora svestiva i panni di Donna Guascone, solo in quelle occasioni, e poggiava le dita alle tempie quasi a dotarsi di un paraocchi che ampliasse la sua concentrazione verso l’altare, nell’attesa di essere liberata, mediante il gesto della croce, dai peccati di cui si era pentita in confessione.
Tutti gli altri, comparse, vestiti sempre con gli stessi abiti della festa, ripetevano sempre le stesse scene, alzandosi, inginocchiandosi, e cantando e pregando sempre con gli stessi toni di voce, ogni volta che l’uomo sull’altare, Petrus, ne dava l’imput.
L’altare, un marmo bianco lungo non meno di tre metri e largo circa due metri, poggiava solo sui tre lati frontali sagomati utilizzando mattoni ricavati squadrando pietre verdi presenti in una località chiamata Cavallaro.
Al suo centro era stata scalpellata un’ampia buca rotonda come un’ostia, nella quale la Signora Aurora, ad ogni cerimonia, voleva fosse collocato un contenitore di tela anch’essa bianca ripieno di sabbia raccolta durante la notte precedente lungo la marina antistante il vecchio cimitero di Sant’Anna a Cartaromana. Appena Petrus raggiungeva l’altare, in essa, cioè nella sabbia depositata nella buca a forma di ostia, lei, e solo lei, la Signora Aurora, conficcava un pesante crocifisso di ferro lavorato a mano che mi colpiva per aver le quattro sporgenze tutte a forma di punta. Potevo comprendere che ne fosse provvisto il lato lungo, dovendo penetrare nella sabbia per reggerne il peso, ma non riuscivo a dare una spiegazione agli altri aculei, anche perché la sagoma umana non era rappresentata né inchiodata né adagiata alla croce, bensì proprio le sue fattezze costituivano la geometria del simbolo, e quindi i suoi piedi – accavallati -, le sue braccia – distese-, la sua testa – eretta -, terminavano tutti in una struttura volutamente appuntita, forse per apparire come emblematici elementi indicanti pungoli morali e spirituali.
Discesa, non so come, la scala, fiancheggiata la dispensa e la cantina, mi sono avvicinato all’altare, e forse inciampando, forse per una perdita di equilibrio, forse per una ulteriore mancanza di forze, mi sono trovato inginocchiato con le mani aggrappate al bordo di marmo consacrato.
Mancava il crocefisso.
Ho chiuso gli occhi, ho stretto i pugni per non piangere, ho espresso un desiderio, un’esigenza, una ragione di vita: CAPIRE.
“Perché Gilda, la vita mia, la figlia di Aurora, il mio amore, la verità, la parte giusta della mia umanità, perché Gilda, la mia croce, la mia delizia, perché Gilda, la mia anima, la mia poesia… tutto passato, tutto finito, tutto passato, tutto finito con un addio incomprensibile, ingiusto, immeritato, immotivato, venti anni fa…”.
Neppure avevo terminata la frase ed ho udito, o forse solo sentito nella mia mente, chiaramente, la voce inconfondibile di Aurora rimbalzare da una parete all’altra, dal soffitto al piano di calpestio, passando e ripassando davanti e dietro la mia testa, roteando, ondeggiando, oscillando, esatto oscillando, l’ho sentita ripetere tre, cento, mille volte: “Ancora pochi passi e la metempsicosi spirituale che intendevi costruire tra il tuo passato ed il tuo futuro sarà completata”.
È stato come il vento forte che anticipi l’arrivo del temporale mentre si è intenti, fermi sul lembo estremo della scogliera, ad ammirare il sole scomparire oltre un orizzonte sempre ambito e mai raggiunto.
Che fare?
Restare ad accogliere la nuova dimostrazione di forza della natura, con il corpo passivo e la mente eccitata?
Cercare riparo tornando, correndo, fuggendo?
Andare incontro alla tempesta, a braccia aperte, sforzandosi d’individuarne la provenienza scrutando i primi barlumi di lampi oltre le nubi squarciate dagli ultimi raggi rossi?
Mia madre ci portava laggiù, sotto l’altare, in fondo alla botola segreta, nel tugurio utilizzato un tempo quale ricovero dai bombardamenti ed occasionale rifugio per combattenti della resistenza anti nazista.
Mia madre portava laggiù me e Ignazio durante la guerra, lasciandoci soli per non sottrarci spazio. Una tomba.
Limitata in alto dal sacco di sabbia contenete la croce, di poco più alta di una tomba e di essa poco più spaziosa, la grotta tugurio riusciva ad accogliere al massimo due adulti in posizione distesa.
Finita la guerra, passato il pericolo nazista, solo Ignazio ed io conservavamo il ricordo di quei giorni e di quel luogo, rivisitandolo di tanto in tanto per fumare le prime sigarette proibite.
“Appena posso, partirò per diventare un nuovo partigiano, un vero combattente – mi disse Ignazio nell’ultima occasione della nostra discesa -, e se dovrò fuggire, verrò a nascondermi qui.”
Raccolse una vecchia coperta… una pentola di stagno… dei tronchetti di legno… una corda… una bottiglietta d’olio, ed altri oggetti che immaginava potessero essergli utili in una tale eventualità e stipò tutto, ordinatamente, nell’angolo in fondo alla grotta.
Intanto che in me si sono accavallati simili ricordi, la voce di Aurora non ha smesso di ripetere ossessivamente, senza tregua “Ancora pochi passi e la metempsicosi spirituale che intendevi costruire tra il tuo passato ed il tuo futuro sarà completata”, ed io ho caricato nel mio cervello l’ultimo brandello di coraggio, muovendomi carponi verso il retro dell’altare.
Gli ultimi passi sono i più faticosi, l’ultimo boccone è il più indigesto, l’ultima speranza è la più dolorosa.
Uno scheletro in posizione prona.
Trafitto alle spalle da un crocifisso.
Il crocifisso della Signora Aurora, di ferro lavorato a mano, penetrato attraverso uno squarcio nel telo bianco che reggeva la sabbia nella buca a forma d’ostia al centro del marmo.
Ho fatto appena in tempo a leggere il nome sulla piastrina di riconoscimento legata alla catena che avevamo avuto in regalo il giorno della prima comunione, Ignazio ed io, e non so ancora se sono morto durante tutto il tempo seguente in cui ho sognato.

Per Aurora – volume quinto – Così fu PARTE 2 CAPITOLO PRIMO

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CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

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CAPITOLO SESTO

Così fu

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CAPITOLO OTTAVO

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CAPITOLO DODICESIMO

CAPITOLO TREDICESIMO

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CAPITOLO 1

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Per Aurora – volume quinto – Così fu PARTE 1 CAPITOLO TREDICESIMO

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Per Aurora – volume quinto – Così fu PARTE 1 CAPITOLO TREDICESIMO

CAPITOLO 13

Adesso che la retrospettiva del fatuo e del vanesio si dibatte all’interno del collo dell’imbuto formato, per un bordo, dalla infallibile ricostruzione totale fatta da sensi ignoti che superano il limite della memoria, e per un altro orlo, dalla debole intraprendenza che il rispetto per la verità impone alla sincerità ed all’orgoglio della mia passione, adesso dunque mi resta meno arduo assecondare l’impulso assassino verso il frastuono incontrollato delle attese giovanili.
E lascio statica una scena nella quale Gilda, ancora seduta sul gradino di pietra ruvida e grigia, avvolge un lembo della gonna intorno all’indice della mano sinistra – le ginocchia quasi fino al mento, le rose stampate sulla stoffa di cotone accartocciate tra le pieghe e le cuciture-, e nella quale sono io che manco.
I topi e le blatte, nel salone polveroso e fuligginoso, non si limitavano a considerare quello un luogo proibito per il cui accesso si sottintendessero numerosi controlli e prudenze, ma, per la loro quotidiana frettolosa ricerca di cibo, lo frequentavano come un luogo di transito simile alle moderne piazze principali di ogni di sobborgo.
Dove la gente va e viene, e l’insieme d’impettiti funzionari e lerci barboni, di atleti e di disabili, si muove in un continuo intrecciare contatti superficiali e quasi sempre privi di contenuti.
Altra cosa rispetto ai paradigmi che ci siamo tramandati relativi alla Agorà.
Le piazze sono state pulsanti di vita fino a quando non esistevano ancora le automobili per poi degenerare in semplici o complessi punti di svincolo in funzione dei mezzi di locomozione.
La piazza era vita, quando non esistevano né le cabine telefoniche né i cellulari, e quando gli appuntamenti, programmati con congruo anticipo, si usava fissarli nel luogo
comune per antonomasia all’angolo della piazza.
Quei luoghi erano animati di vita, quando i bambini giocavano senza guinzagli, quando gli anziani utilizzavano bastoni e non badanti extra comunitarie, e quando le belle di giorno e di notte diffondevano tracce di profumi parigini in locali poco distanti sia dagli edifici adibiti ad ambienti di culto e sia dai locali attrezzati per la pubblica amministrazione, e quando gli uccelli, per riposare di notte, avevano disponibili distese enormi di boschi e di pinete e non cercavano, in migliaia, provvisori disagevoli rifugi nei quattro alberi centenari che oggi disegnano il perimetro degli spazi adibiti ad isole pedonali.
Ricordo Piazza Maggiore nel giorno in cui fu nazionalizzata la produzione e la distribuzione di energia elettrica.
Il fermento di voci al passaggio dello strillone che annunciava l’evento.
Fu molto simile all’agitarsi dei fagioli nel pentolone senza coperchio ribollente sulla fornace di carboni che mia madre, di tanto in tanto, alimentava con un ventaglio di paglia nella cucina attigua al salotto.
Nel novero delle pseudo allucinazioni cataloghiamo di norma ogni nostra esperienza personale che non abbia conforto nei più ampi riscontri di una consistente parte della collettività.
Tuttavia, fin quando si tratti di percorsi semplicemente mentali, fantasiosi o sognanti che siano, i nostri interlocutori appaiono sempre propensi a benevoli ascolti e ad indulgenti interpretazioni, mentre, nei rari casi in cui un tale, qualcuno, riferisca il materializzarsi di una situazione pratica, tangibile, oggettiva, inspiegabile per le conoscenze del momento, ecco che scattano sistemi di auto difesa collettiva i quali, se pure non apportando benefici al progresso generale delle conoscenze comuni, tuttavia permettono la stabilizzazione di apparati atti ad avviare coprifuochi preventivi, e finanche essi, in casi estremi, attivano apposite strutture cui affidare il disorientato protagonista per la cura di presunte malattie mentali.
Penso al polpo che, in un giorno particolare, stanai senza procurargli alcun danno fisico da una grotta ricavata nella fenditura di due macigni precipitati dalla parete sovrastante la baia di Cartaromana a seguito d’interventi speculativi.
Lo trasportai con la massima delicatezza fino a riva, accettando la pressione delle ventose procurata dal suo difensivo avvolgersi al mio braccio.
Giunto a riva, lo immisi in una vasca trasparente, non tanto profonda, ma ben sufficiente a contenerlo tutto, ebbene, mi fermai a notare che il polpo restava quasi costantemente con la testa fuori acqua.
Rimasi stupito, non perché stessi assistendo ad un atteggiamento sconosciuto, ma per l’improvvisa consapevolezza che non avrei mai tentato di dare una spiegazione a tale modo di agire forse solo apparentemente contraddittorio con la natura marina del polpo.
Con l’intento di assegnare un preciso contenuto di analisi comportamentale ai mutamenti delle sue azioni, preparai una tanica trasparente piena d’acqua di mare, lo presi per la testa, lo trasferii in essa, chiusi il lato superiore del contenitore mediante una rete a maglie larghe sì, ma non tanto da permettergli di attraversarle, ed in questo stato lo trasportai in un tour di conoscenza del “nostro” mondo attraverso tappe puntigliosamente preordinate.
Il polpo poté guardare vari programmi televisivi tra cui il telegiornale di Emilio Fede e un documentario avente per oggetto il mondo sommerso della costa tirrenica, fece conoscenza con le cagnette – cucciole curiose – Rotty e Lola che l’intimidirono sbuffandogli aria calda con le lingue penzoloni, ebbe modo di ammirare erbe, cespugli, fiori, alberi, nuvole, cielo, sole, luna stelle, automobili, strade, piazze, suoni, vento.
Ebbe contatto fisico con molte specie di animali mai prima incontrati né immaginati: i gatti del ristorante con locanda sulla banchina, i canarini i cardellini ed i pappagallini del barbiere di Via Colonna, le galline i conigli le oche ed i tacchini della contadina con piscina termale ed impianto foto voltaico posizionato sul tetto della stalla.
Ascoltò in presa diretta suoni e rumori, senza le distorsioni provocate dalle onde frangenti sulle scogliere, dal rotolare dei sassi sui fondali marini per le irrequiete risacche, dalle eliche dei gommoni, motoscafi, navi crociera cariche di pseudo sfaccendati amanti del mare ma che incoerentemente avevano scelto d’immergersi nelle piscine sul ponte di prima classe e cibarsi con gamberi, aragoste e molluschi – polpi compresi purché piccoli e teneri -.
Udì il suono di campane a festa per la gloria di Sant’Anna, il contemporaneo tripudio della processione durante il tragitto verso l’omonima antica chiesetta abbandonata, semi diroccata ed invasa da bisce topi ed insetti di ogni dimensione. Percepì i collettivi sussurri gloria – amen – deo gratia della folla di fedeli in simbiosi con le omelie dei sacerdoti e del vescovo.
Ebbe giorno e notte diversamente sfolgoranti rispetto alle ottenebrate ripetitività dei suoi fondali marini.
Quando mai aveva annusato il letame degli animali da cortile, il sudore del suonatore di tuba ingabbiato nella divisa delle grandi occasioni, il fumo magico dell’incenso, gli olezzi artificiali a base di fiori d’arancio – gelsomino – rosa antica – giglio – tabacco cubano – hashish – marijuana dei penitenti in processione, i fumi bianchi e sudici di salsicce alla brace – pesci fritti – polpi in casseruola esalati durante una festa di ringraziamento per il patrono locale durante le ore antecedenti lo spettacolo dei fuochi pirotecnici?
Ho detto polpi in casseruola, poiché in un anno furono effettivamente serviti in casseruola e non all’insalata come in tutti gli anniversari precedenti.
Il termine della lunga immersione nell’aria che gli concessi, coincise con il momento in cui mi parve di aver appagato la mia sete di conoscenza per i suoi comportamenti, e quando finalmente decisi che avrebbe avuto una quantità innumerevole d’informazioni da ripetere ai suoi, devo dire con-terranei se non posso dire con-sabbinei o con-scoglierei.
Lo rimisi in mare nella stessa identica buca dello stesso scoglio dalla quale l’avevo prelevato, soddisfatto di sapere che in poche ore gli avevo elargito tutta una serie di esperienze, i cui racconti, una vota illustrati ai suoi simili, l’avrebbero fatto apparire alla loro incredulità, né più né meno simile ad un umano che tentasse di far credere ad un gruppo di concittadini d’essere stato trasportato in una dimensione extra terrestre.
Naturalmente se i molluschi avessero lo stesso nostro distorto rapporto con la realtà.
L’amore è negli occhi di chi ti guarda.
Le confusioni sono nella mente di chi non ti ascolta.
Sono durate solo pochi minuti, tra fantasia e ricordi, queste stravanti divagazioni che mi avevano reso assente dalla realtà, poiché ben presto l’evidenza dell’immobilità temporale che permeava tutto il locale, pigiò tanto forte alla radice al nervo scoperto della mia tensione emotiva da farmi scuotere la testa tre volte in rapida successione.
In un sobbalzo, gli occhi ripresero movimenti indagatori alla ricerca di ciò che immaginavo, o forse veramente sapevo, essere lì in attesa che io lo trovassi per CAPIRE.
Nel salone nulla era sfuggito alla polverosa coltre propria degli ambienti chiusi per decenni.
Un manto copriva tutto.
Impalpabile, invisibile al primo sguardo, esso si evidenziava con il tenero gesto del dito mosso a seguire le pieghe dell’oggetto situato in bella mostra sul tavolo in cucina, oppure lambendo l’alto ninnolo posto a sostenere una foto scattata il giorno del matrimonio.
Velata era anche la panca sistemata accanto al rialzo dell’informe blocco lavico piazzato come separazione tra il fuoco, un tempo alimentato nel camino, ed il resto della
stanza–cucina.

Era un pulviscolo tanto sottile, e tanto lento nella sedimentazione, da lasciare intravedere la sagoma di Gilda seduta sullo scanno ed appoggiata con le spalle alla parete laterale.
Un’orma impolverata con la stessa lentezza di sedimentazione cui era stata sottoposto tutto il resto della casa, e non ancora sopraffatta da uno spiffero di corrente d’aria provocata da una porta che, aprendosi, rimescoli insieme alle particelle aeree anche le forme composte dalle loro deposizioni.
Un’impronta parlava di Gilda alla mia immaginazione, o forse al mio ricordo.
Gilda quel giorno aveva provveduto personalmente a sistemare i tizzoni sotto la cenere e le carbonelle in fondo alla bocca del camino. Prima di uscire.
Con i gesti di chi sa di non poterli mai più ripetere, aveva lasciato che la paletta di ferro verniciato, spostata e rimossa continuamente, accarezzasse la cenere accumulata in quantità superiore alle normali consuetudini.
E la guardava.
Fissava lo strusciare del metallo sulle crespature della pietra.
I piccoli sedimenti lignei ammantarsi del colore grigio chiaro.
Le briciole di tizzoni spegnersi ad uno ad uno.
Il gracchiante stridore del ferro trascinato in avanti verso il fondo del camino.
Fissava gli attimi dei suoi movimenti, intanto che nella sua mente le venivano riprodotte interminabili immagini della vita che si accingeva ad abbandonare.
L’ombra lunga sulla parete non lo diceva, ma Gilda non mi avrebbe più rivisto.

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