Per Aurora – volume terzo – Così o come Parte Prima CAPITOLO SECONDO

Per Aurora – volume terzo – Così o come Parte Prima CAPITOLO SECONDO

Così o come Parte Prima CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO SECONDO

Il risveglio è a volte imbarazzante per i tanti enigmi nei quali era rimasto imbrigliato durante la sonnolenza.
Mi rendo conto di quanto sia assurda l’ambizione di regalarmi, volontariamente, un’atroce ossessione, eppure, nessun oblio mi tenta.
Il comodo abbandono di una risalita in ascensore si annulla di fronte alla vorticosa bellezza della scala acchiocciolata.
Voglio il mio.
Aspro e bollente.
Che sia il mio.
Gli architetti della vita non hanno predisposto ermetismi sufficienti ad impedire le fughe della mia fantasia.
Resterà negra e ribelle, piuttosto che conformarsi ai candori delle false fattrici di misteri.

Ai comodi abbandoni (2)

Ai comodi abbandoni
di sbalzi
in ascensore,
vorticose bellezze
di scale acchiocciolate.

Voglio la mia.

Dalle false fattrici di misteri
insufficienti compromessi,
o principi
o Caini.

Voglio la mia
aspra e bollente.

Per assurde ambizioni
invento
atroci ossessioni:
orridi
oscuri
oblii.

Voglio la mia
aspra e bollente
negra e ribelle.

I veri architetti della vita
dileggiano
con antichi ermetismi,
o corde
o grotte
o celle.

Voglio la mia
aspra e bollente
negra e ribelle,
che sia la mia.

Imbrigliati da enigmi
di torpori,
risvegli imbarazzanti
osteggiano.

Voglio la mia fantasia
aspra e bollente
negra e ribelle,
che sia la mia,
in fuga solitaria.

Io sono acqua, ovverosia, il risultato di un fatto: ossigeno e idrogeno s’incontrano in una scarica elettrica.
L’uomo, la donna, idem.
A volte mi chiedo come mi comporterei, e quali scelte effettuerei, nella improbabile eventualità che un magnifico marchingegno scientifico biologico elettronico spaziale sfavillante (sfavillante è sì fuorviante ma attinente), sconvolgente e dissacrante, insomma iper moderno globalizzato (l’attrezzo di una estrema concezione della vita, il pomo del nuovo peccato originale, il sogno di ogni folle ricercatore artista autista di viaggi impossibili madre di flotte frignanti magnifici regnanti e scomodi accattoni utili servi e pavidi legionari…), rendesse possibile la retro metempsicosi.
Poter scegliere, prima di dissociare i contorti meccanismi molecolari che mi governano, in quale “X” già vissuto volermi riprodurre per proseguirne le abitudini e sopportarne i difetti. Un cane, una pietra, un uomo?

Ai comodi abbandoni (1)

Ai comodi abbandoni
di sbalzanti ascensori,
vorticose bellezze
di scale acchiocciolate

Voglio la mia.

Per assurde ambizioni
m’invento atroci ossessioni:
orridi
oscuri oblii.

Voglio la mia
aspra e bollente.

Dalle false fattrici di misteri
insufficienti compromessi,
o principi
o Caini.

Voglio la mia
aspra e bollente
negra e ribelle.

I veri architetti della vita
dileggiano
con i loro antichi ermetismi,
o corde o grotte o celle.

Voglio la mia
aspra e bollente
negra e ribelle,
che sia la mia

Imbrigliati da enigmi
di torpori,
risvegli imbarazzanti
osteggiano.

Voglio la mia fantasia
aspra e bollente
negra e ribelle,
che sia la mia,
in fuga solitaria.

Ma non scherziamo!
È già tanto se l’ippocampo non risulta inserito nella lista dei protetti, a guisa (che sciccheria “a guisa”) dei pentiti pluri extra super assassini.
I pipistrelli ci sono riusciti.
Forse con qualche raccomandazione, oppure, com’è documentato nell’archivio storico della mia immaginazione, con larvate minacce di penetrazioni notturne nelle quiete stanze dei rampanti animalisti ambientalisti autonomisti assolutisti accreditati difensori di tutto quanto esiste, fu, esistette, fu stato, è.
Un pipistrello in cambio di cento zanzare sarebbe un affare?
Nelle cities (plurale di city: città!) dagli immensi stadi di benessere malessere ossessi o sessi o calci nelle palle, sollecitati sbirri dondolano chiappe bucate per soldi e per potere.
Si sbaglia chi crede che ogni violenza è vincente, “così o come” un dito nel culo, ma non è per nulla certa la sacrale conquista da parte di ogni desolata pietà.
Ma non scherziamo!
Giulio era un uomo d’onore o di onore?
Ne farò una poesia.

Le guardie notturne

Le guardie notturne
attaccano all’alba
la chiave alla bacheca,
i nostri giornali
il prode ed il bislacco.

Ma non scherziamo!
Attacco all’alba

Gl’ippocampi sguazzano
in ogni polla
al pari di pesci,
i nostri Giulio Generale
tra i baci dei prudenti.

Ma non scherziamo!
Attacco all’alba
con sciami di zanzare.

Ossessi dondolanti
per soldi e fra poteri
bucano chiappe cittadine,
i nostri uccelli neri
ronfanti animalisti.

Ma non scherziamo!
Attacco all’alba
con sciami di zanzare
per la sacrale conquista.

A Roma si scopre il
bianco alla finestra
sbaglia chi crede,
a Cuba
il rosso nella cella.

Ma non scherziamo!
Attacco all’alba
con sciami di zanzare
per la sacrale conquista
della vostra libertà.

 

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica – Brevi commenti amichevoli

Only you

Only you

Così o come

Parte Prima

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

Così o come

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

Parte Terza

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO FINALE

Only you 2

Only you 2

La sesta firma

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

CAPITOLO FINALE

Poesia sporca

Poesia sporca

Per Aurora – volume terzo – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora – volume terzo di Bruno Mancini

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Per Aurora – volume terzo – Vetrina LULU

Per Aurora volume terzo di Bruno Mancini

seconda edizione

ID 29y6wr

ISBN 9781471074813


Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7481-3
Versione 2 | ID 29y6wr
Creato: 26 ago 2022
Modificato: 27 ago 2022
Libro, 135 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm), Standard Bianco e nero, 60# Bianco, Libro a copertina morbida, Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Informazioni sul copyright
Revisiona le informazioni sul copyright
Titolo
PER AURORA volume terzo
Sottotitolo
Alla ricerca di belle storie d’amore
Collaboratori
Bruno Mancini
ISBN
978-1-4710-7481-3
Marchio editoriale
Lulu.com
Edizione
Edizione arricchita
Dichiarazione dettagliata di edizione ( / 255)

Licenza
Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright
Bruno Mancini
Anno del copyright
2022


Descrizione
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.
Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

Tabella dei contenuti
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.

“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

Per Aurora volume terzo

seconda edizione

Info: Bruno Mancini
Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
emmegiischia@gmail.com

 

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Per Aurora – volume terzo – Così o come Parte Terza CAPITOLO PRIMO

Per Aurora – volume terzo – Così o come Parte Terza CAPITOLO PRIMO

Così o come Parte Terza CAPITOLO PRIMO

Parte terza

CAPITOLO PRIMO

Toc toc.
Pausa.
Toc toc toc.
Crcrrrrrrrrr
-«Signor Bruno!»
-«Ciao Petrus, come stai?»
-«Grazie, bene, come un vecchietto.
Entrate presto, fuori è pericoloso.»
-«Pericoloso?»
-«Forse non lo sapete ancora, di là è scoppiata una guerra nucleare.
Potrebbero arrivare delle radiazioni fin quassù.»
-«Non sei per nulla cambiato, mattacchione.»
-«Il signore è Vostro amico?
Sì?
Prego entrate…
…Signor…?»
-«Ignazio di Frigeria e D’Alessandro… grazie.»
-«Aurora c’è?»
-«Certo per Voi, Signor Bruno, c’è sempre.
Vado a chiamarla.
Intanto gradite una birra ghiacciata?
La solita popolare?»
-«Grazie ma non ghiacciata… inizia a darmi problemini… fredda, popolare… anche per Ignazio.
Vero?
E tu non bevi un boccale con noi?»
-«Certo!
Se Vi è gradito, certo.
Vengo subito, accomodatevi, siete a casa Vostra.
Sapete bene quanto
Vi stimi la nostra “Signora”.
Vado e vengo. Subito.»
-«Non correre Petrus, non abbiamo fretta, siamo in anticipo.»
Appena Petrus si allontanò, Ignazio:
-«Siamo?
Perché siamo?
Io, sono convocato.
Io sono.»
L’assegnazione dei personaggi agli interpreti è un’arte che solo l’esperienza insegna.
Il ruolo del burbero, del tirchio, del bello Antonio, della serva, non vengono sempre carpiti con immediatezza da tutti i figuranti.
Si è bravi generici quando si è propensi all’adattabilità.
Chi soffia nel flauto ne cava le note.
Conoscevo il luogo nei dettagli.
La facciata della vecchia villa schiusa dal cancello di ferro battuto, la sala d’attesa con l’angolo bar: divani di pelle nera e pianoforte sulla pedana semi tonda.
La terrazza dalla bella vista sulle cascate sul monte e verso le foreste.
Sapevo bene che nessuno avrebbe osato fermare i miei passi.
Ero in anticipo.
Ero un amico.
Di Aurora.
La “Signora”.
Ansioso irrequieto schizzato nevrotico, mi dimenavo come un leone in gabbia durante lo spettacolo circense della vigilia di Natale.
Ero anche certo che in nessuno si sarebbe mai, neppure lontanamente, insinuato il sospetto che le mie palesi curiosità fossero, in qualche modo, substrato d’indagini negative, oppure, peggio, potessero essere di contrasto alla migliore immagine del perfetto regno diligentemente diretto dalla Donna Guascona, Aurora, la Signora.
Avevo tempo, potevo farlo, mi spinsi oltre il cartello “Uffici, Vietato Entrare”.

-«Vieni con me e taci» così intesi rispondere al silenzio inquietato di Ignazio.
In epoche recenti, il nobile vezzo antico dell’esplorazione, è “scompisciato” in una grande collettiva scientifica analisi di percorsi (variabili, variati, allusivi) tra “supposte supposizioni”.
Per scoprire l’Antartide, il bel sistema mondo visivo attuale ne assegna la ricerca in porzioni, non superiori ad un metro quadrato, a favore di ciascuno dei milioni di prezzolati assistenti degli assistenti dei ricercatori assistiti.
I dominatori dei laboratori vincenti, chiedono ottanta zecchini, per una manciata di polveri medicamentose.
Le puttane di Venezia la davano per meno al Grande Casanova.
Altra razza altra gente.
Non avrei mai immaginato che fosse possibile rendere funzionale un centro operativo come quello presente nei locali delimitati dal cartello “Uffici ecc…”.
Dimensioni enormi.
Assolutamente unico.
Non siate tristi piccoli fiori di loto dagli enormi occhi a mandorla, artefici di tante applicazioni tecnologiche, in quanto il vostro impegno al banco di lavoro non è mai responsabile per gli utilizzi del grammo di silicio che intrappolate ed irreggimentate.
Lì, nei locali “Uffici. Vietato Entrare.”, né granelli di polvere, né minimi corpi estranei avrebbero potuto intrufolarsi più avanti degli innumerevoli sbarramenti chimici nucleari biologici.
Concepiti per rimanere immacolati, gli ambienti si aprirono, accogliendoci, immediatamente dopo che alcuni specifici addetti ebbero provveduto a sterilizzare completamente ogni parte del nostro corpo, seguendo un elaborato procedimento senza dubbio previsto dal protocollo d’accesso.
Lì dentro tutti i cablaggi si visualizzavano mediante raggi laser diversificati per bande cromatiche.
-«Segui me.
Non parlare.
Non toccare.
Non ora.»

“Centro elaborazione dati DNA.”
Entriamo.

Non ho particolare soddisfazione nella stesura di questa sezione della storia, in quanto, la didascalica semplificazione che necessita la comprensione dei cardini ad essa relativi, opprime fantasiosi movimenti letterari che da sempre considero maggiormente piacevoli delle gabbie di coerenze stilistiche che ne limitano l’espressività.
Comunque, Aurora tardava a raggiungerci e noi frattanto consentivamo che zelanti burocrati incappucciassero le nostre teste con l’ultima novità nata nel settore delle trasmissioni audio visive.
Parlo del nobile “Cip-Ciop”, commercializzato successivamente ai vari ex (tam tam telefono telefonino radiografia ecografia radar televisore infrarosso infra tutto) che erano già invecchiati da tempo.
A detta della pubblicità intergalattica: “Cip-Ciop ti fa parlare con chi vuoi e controllare visivamente anche i neutroni.
Cip-Ciop è senza fili e senza antenne.
Il rivoluzionario apparecchio, Cip-Ciop opera mediante un rivoluzionario collegamento neurologico.
Cip-Ciop, se vuoi, non parli e la tua lei ti ascolta.
Oppure se preferisci, tu vedi lei, vedi e lei non lo sa.
Cip-Cip, è in vendita nei migliori negozi spaziali.
Cip-Ciop, apre il tuo futuro”.
La nuova Venere di ambiziose conquiste digitali!
Per la verità, nei locali del regno di Aurora, esso, l’aggeggio, discendente dell’illustre “tam tam”, assolveva un compito particolare: consentire la trasmissione delle informazioni tra gli stagionati impiegati fossilizzati nelle specifiche sezioni, non creando nel contempo spiacevoli turbolenze verso i comunicati provenienti dall’esterno.
Insomma, con “Cip-Ciop”, i pensieri miei si sarebbero trasferiti nel cervello di colui o coloro che avrei selezionato quale ricevente, e soltanto nel loro.
Nessun altro avrebbero potuto in alcun modo intercettarli.
Al solo scopo di non deludere l’aspettativa di aiuto richiestomi in lacrime da Ignazio, feci in modo che i silici dei nostri strumenti stabilissero, unicamente tra noi due, un permanente contatto reciproco.
Lo sviluppo di un bruco in farfalla.
Le sensazioni furono di trovarmi ad Atene nella Placa piuttosto che nell’Acropoli, nella curva sud durante la celebre partita tra Napoli e Verona (sotto lo striscione “Giulietta è una zoccola”), nello sguaiato flusso di scioperanti incazzati, invece che al seguito di un rassicurante crocifisso esposto, durante religiosi festeggiamenti, in occasione dell’anniversario relativo alla resurrezione dell’uomo seminudo che ne aveva patita la sofferenza.
Mi sedetti alla prima postazione vacante nell’arena delle futuribili tecnologie, confuso fra una quasi interminabile schiera di professionisti di ogni razza proiettati in complesse, ed apparentemente astruse analisi, utilizzando visualizzatori in grado di introdurli in dimensioni temporali e spaziali prive di ogni limite.
Seguendo una semplice informazione, digitai un clic che consentiva l’accesso a tutte le possibili informazioni -scientifiche, grafiche, genetiche, storiche, ed altre ancora-, riguardanti la complessa struttura fisica, chimica e biologica, sia della totalità e sia dei particolari riferibili al mio DNA.
-«Eccolo».

Nell’ottocento, per non andare oltre e scomodare così l’archeologia del sociale, quasi nessuno sarebbe stato in grado di riconoscere fisicamente il Grande Capo di un paese limitrofo:
-«Chi sei?»
.«Sono il Re dei Canneti.»
-«Dimostralo.»
E che vuoi dimostrare!
Il Re dei Canneti bisognava si affidasse ad un amico comune, un messaggero di professione, un principotto viaggiatore, una rinomata donna di compagnia notturna, cinquecento fucilieri in divisa giallo – rossa (Romani Papalini), nero – azzurra (Longobardi di Moratti), gialla o verde (Padani per Bossi), celeste cielo (Brigate Maradona).
Nell’ottocento, meno di duecento anni fa, i riconoscimenti si perfezionavano attraverso conoscenze di terzi.
C’è sempre stato un poi a tutto, e il poi di questa gestione dei rapporti personali si andò evolvendo con devastante, collettiva, sistematica, indolore, subdola, lenta classificazione ed appropriazione pubblica di minime peculiarità personali.
I documenti di riconoscimento o le impronte digitali possono agevolmente servire da esempio.
Una minima oggi una minima domani una minima dopodomani, dopo duecento anni io tu lei noi voi essi colui coloro costoro chi altro non so, siamo stati infine schedati ed incatenati con il nostro DNA, non falsificabile, non ripetibile, indiscutibile.
Le foto tessere, i gruppi sanguigni, i riconoscimenti vocali, olfattivi, il neo sulla guancia destra, sono ormai strumenti di controllo relegati nelle bacheche dedicate ai nobili ante – nati.
La nuova agnizione avviene mediante il personalissimo,
affidabilissimo DNA.
Io sono un DNA
Tu sei un altro DNA
Ripeto “Nessun uomo è paragonabile ad una donna.
Non c’è uomo simile ad un altro uomo.
Non esistono due gravidanze uguali.
Nelle belle famiglie campagnole il gatto era gatto.
L’agnello, agnello
Il cavallo, cavallo.”

-«Eccolo. Arriva.»
Sul visore invisibile, le immagini si materializzarono simili ad
ectoplasmi, pura luce in movimento… ma non voglio dilungarmi su queste particolari teorie teorio teoritu teorilui… l’effetto collaterale di un loro rinvio sine die, mi consente di ritornare alla rotella essenziale per liberare dalla clandestinità il ricamo filigranato che ho celato fino a questo momento.
-«Eccolo, arriva, ci siamo».
Insieme ad una catena incomprensibile di simboli numeri sigle spazi vuoti tratti trattini tratteggi tortuose concezioni, insieme alla visione tri quadri dimensionale del mio DNA, una freccetta indicante “Continua” (non lampeggiava né splendeva), riuscì, ugualmente ad incuriosire la mia ormai prossima rassegnazione.
-«Manca poco alle venti.
Manca poco.
Manca.
Però manca».
-«Ecco le birre Signor Bruno e Signor Ignazio.
La nostra Signora Vi chiede di scusarla, poiché il recente conflitto mondiale le sta procurando molto lavoro supplementare.
Accogliere tanti in così breve tempo necessita grande organizzazione e professionalità.
Posso bere con voi?
Un boccale di birra popolare?
Salute.
Hic!»
-«Petrus cosa significano tutti questi bip che sentiamo?»
-«Energie finite, terminate.
Segnali di arrivi: Un bip, una fine.
Hic!
Prego, signor Bruno, spostiamoci nell’angolo bar dove ci sono due vostri amici che mi hanno pregato di potervi incontrare prima del passaggio di là.
Hic!»
Dissi:
-«Manca poco, è tardi.» poi aggiunsi «Chi sono?» e quasi meccanicamente feci clic sulla freccetta, non lampeggiante e non splendente, che indicava “Continua”.
Il clic aprì una finestra di presentazione della logica in ragione della quale era stato messo a punto il programma relativo agli arrivi: “…… l’efficiente tecnologia elaborata ed in seguito trasportata fino a noi da opportunistiche appendici umane, decide arrivi e partenze sulla base di speciali analisi dei campioni di DNA.
Essi vengono diversificati con probabilistici fattori di rischio indicati da generalizzati rapporti statistici (ambientali ereditari assicurativi sociali asociali climatici tellurici professionali), e quindi inseriti in un unico complesso disegno di arrivi e partenze adeguato alle direttive inflazionistiche, finanziarie, multinazionali, politiche, ed ambientali che, comunque rispettoso dei diritti delle minoranze linguistiche e religiose, opera in assoluta indipendenza da gerarchie, titoli nobiliari, accademici, professionali -veri o falsi-, da corruzioni o da inganni.
Così decidendo in maniera indiscriminata ecc. ……”
Per fuggire dal saccente pragmatismo di quelle astruse alchimie, accettai l’invito di Petrus, ritenendo che per me sarebbe stato più piacevole spendermi insieme ad amici, tra birre e canzoni.
-«Andiamo Petrus.
Tu vieni Ignazio?»
-«Se mi è consentito, preferirei rimanere qui, dove mi sento poco coinvolto, asettico.»
-«Puoi.
Andiamo Petrus.»
È bello dopo un lungo periodo di assenza, tornare a casa, a condizione che i luoghi e le persone abbiano conservato almeno una goccia dei sentieri d’acqua che avevano infiammato, prima che partissimo, i nostri sentimenti.
Riprovare a leggere al lume della lampada verde, quasi mia coetanea, dopo violenze di neon internazionali sbattuti oltre i filtri di lenti brunite!
Lo paragono alla vincita di un bonus da utilizzare quale recupero per i giorni gettati in inutili sfide.
Il feudo abbandonato libera proprie energie ed accetta confronti, pur senza pretese di successi.
Non sempre è così.
Tornassi ora, dopo una lunga assenza, le mie Pinete (non erano mie), i miei Canneti (non erano miei), il mio Castello (non era mio), mi procurerebbero solo dolore e delusione.
Seguendo Petrus mi preparavo alla spiacevole eventualità di aprire la porta su una scena differente da quella del mio ricordo.
Con cautela, con la discrezione di chi non intendeva disturbare, mossi, lentamente, la maniglia, e spinsi.
Nulla era diverso.
Nulla.
Quasi si fosse trattato di un’antica scultura.
Il pianoforte, le luci, il lampadario, le piccole anse ricavate sul lato del banco bar, le rustiche grotte dei desideri con al centro la chitarra rossa di Elvis, i trecento quasi invisibili ciondoli tra i rami di una ginestra (ginestra, fiore amato dalla mia donna) che io, anni prima, avevo interpretato come ricordi di melodie assimilate in altri luoghi ed in altri tempi.
La fantasia della fantasia.
Le più belle scelte, messe in ordine dalla più eccentrica stravaganza.
Al centro del soffitto l’antico lampadario a cinquanta bracci, di una mescola ottenuta con sabbia e petrolio, ancora troneggiava, aprendo la porta, riflesso nello stesso specchio, irregolare, ambrato.
Gigantesco padrone assoluto dell’intera parete frontale, continuava a sbalordirmi come la prima volta.
I due amici che mi stavano aspettando, due cari compagni, non si erano accorti del mio ingresso e più innamorati di mai, nella naturalezza del tenero sentimento che li univa, seguitavano a creare atmosfere musicali difficili da dimenticare.
Lui, con l’immancabile ginestra (ginestra, fiore amato dalla mia donna) al bavero, e lei con l’identico ventaglio giapponese che aveva nel giorno del loro ricongiungimento.
Per me, erano stati la mia Anima e il mio Cervello.
Ebbi forte la tentazione di effettuare un balzo ed abbracciarli con un simpatico effetto sorpresa.
Tutto ciò durò solo qualche attimo, poiché all’improvviso, guardando la mia figura nell’immenso specchio, ebbi un sussulto.
Un tremore generalizzato dalla testa ai piedi.
Gli occhi impietriti, le labbra sbiancate, la testa un macigno, il respiro ansimante.
Pareva stessi morendo.
Sentivo un’eccitazione simile a quella che avevo vissuto nel Viet Nam, quando per sopravvivere uccidevo uomini donne bambini animali tutto quanto si muoveva uscendo da un fosso una palude un tronco d’albero.
Ma non ero io, Ignazio aveva combattuto nel Viet Nam!
Mi stava aggredendo l’ansia che anni addietro avevo percepita al tavolo da gioco “Rien ne va plus” in quell’ultimo colpo, o vincente o prodromo del proiettile terminale.
Ma non ero io, Ignazio era stato preda di ogni azzardo!
Ignazio.
E l’eroina schiaffata nella vena?
Lo stupro?
Il maledetto inganno?
Tra me e Ignazio si andavano via via cancellando i confini.
Non avendo mai chiuso tra noi due il collegamento “Cip-Ciop”, ero ancora in grado di vedere ciò che lui guardava e udire i suoi pensieri.
Ignazio, seduto al posto che avevo lasciato vacante nell’arena delle futuribili tecnologie, ripeteva le stesse azioni che erano state compiute da me in precedenza, e in quel preciso momento stava fissando con curiosa attenzione la rappresentazione tridimensionale del suo DNA.
Incredibile!!
Assolutamente incredibile!
È perfettamente identico al mio!
… quindi… forse… devo controllare… subito… subito… di corsa…
-«Non farlo!» gli urlai mentalmente «Non farlo!
Non toccare niente.»
-«Aurora, Aurora aiutami» ripetei più volte con tutta la voce che avevo «Aiutamiiiiiiiii.»
La Donna guascona giunse in un attimo:
-«Come?
In che modo?
Certo.
Che succede?
Sono pronta.»
-«Quanto manca?»
-«Trentacinque minuti.»
-«Cazzo! Devo sbrigarmi. Andiamo nella sala controllo.
Chiama il Capo Burocrate.
Petrus, prego, una birra ghiacciata super popolare.
Uomo dal fiore di ginestra, suona per me «indifferentemente». Signora dalle mani ambrate rinfrescami la nuca con il soffio del tuo ventaglio giapponese a strisce di bambù.
Fatemi sentire i cuori pulsare per amore.
Corriamo, corriamo.
Il tempo è tiranno.»

Anticipando le reazioni di loro tutti:
-«Il nostro DNA è totalmente uguale» urlai con la voce profonda di mio padre.

Io per natura non accetto gratuite caramelle, ma non sopporto neppure che mi svuotano il frigorifero senza consenso.
Il mio cervello matematico aveva suonato la carica…
«AVANTI…» per un soldato solitario contro un potere generale.
Io sono un essere.
Io sono napoletano.
Masaniello era napoletano.
I poteri sono dovunque.
Fece una brutta fine il Masaniello a Napoli, però!
Io sono napoletano.
Il mio cervello matematico e la mia anima poetica, da giovani se le erano date di santa ragione.
Paccari coltellate e sputazzate in faccia.

-«Voglio diventare un fisico nucleare»
-«Desisti, regaleremo emozioni»
-«Che vuoi regalare, non regalo niente»
-«Piccolo provincialotto»
-«Grande illusa»

e via a scaricarsi le peggiori offese.
Tante se ne dissero e tante se ne dettero che non giunsero ad alcun accordo, ed ora mi guadagno da campare facendo il “Lettore di giornali in pubblico”.
Non esiste?
Forse non esisteva.
Esiste, esiste.
Mi sono inventato una libera professione con molta dignità e talento, seguendo un ragionamento diciamo “pragmatico”.
Perché, mi chiedevo, i giornali pagano la pubblicità per se stessi su altre forme di comunicazione ed anche su testate a volte acerrime concorrenti?
Risposta: per farsi leggere.
Perché, mi chiedevo, un quotidiano di tiratura nazionale viene distribuito gratis annesso ad un foglio di cronaca locale?
Per farsi leggere, rispondevo.
Per quale ragione, nel mio paese di origine, il notiziario di pettegolezzi comunali, unito ad uno storico giornale filo monarchico e ad un quotidiano politico nazionale affiliato alle gerarchie di un potente costruttore finanziere editore presidente politicante, perché mi chiedevo, tutti e tre insieme vengono venduti al prezzo di un solo?
Si sa bene che non bada a spese il potente costruttore finanziere editore presidente politicante proprietario del quotidiano politico nazionale, e che neppure sono in cerca di soldi i referenti politici dello storico vessillo monarchico.
Il notiziario locale di pettegolezzi comunali, li regala entrambi ed acquisisce nuovi lettori.
O.K.
Perché?
Risposta: vogliono essere letti…
Ed io mi sono proposto nella specifica mansione di “Lettore di giornali in pubblico”.
Il loro ufficio gestione rapporti col pubblico mi fissa un itinerario, con rotazione mensile, per la cui precisa attuazione i dirigenti addetti alla struttura finanziaria mi pagano viaggi trasferte pernottamenti cene pranzi e colazioni, scarpe nuove ogni mese, venti consumazioni il giorno ai tavoli dei bar più prestigiosi, due concerti a settimana, ventuno pacchetti di sigarette marca… (omissis)… a settimana (poi vi spiego perché), un nuovo accendino ed un orologio ogni cambio di stagione, e, considerato il disagio dei continui trasferimenti, l’Azienda mi concede una femmina a piacere ogni quindici giorni, un mese di ferie l’anno, ed il barbiere quotidiano.
La mia giornata lavorativa di solito inizia alle otto di mattina e termina alle sedici.
Al mattino, nella portineria della locanda albergo pensione residence villaggio in cui ho trascorso la notte, trovo un mucchio di giornali: stessa marca stavo per dire, stessa testata è invece corretto.
Li ripongo in una borsa busta contenitore carpetta, ne lascio fuori uno, mi reco ad una vicina fermata di autobus tram metro funicolare sciovia traghetto e, come se attendessi un particolare mezzo di trasporto, spiego il giornale in bella vista, con la prima pagina ed il titolo in perfetta evidenza, e fingo di leggere con interesse fingendo di aspettare.
-«Perbacco, i C.R.I.C. vogliono le elezioni…»
-«Come? Berlisco ha detto che…»
-«… sono una vera schifezza questi P.R.O.C.».
Coloro che mi sono vicini sbirciano, incamerano, si schierano.
Un attivista di avversa parte politica, nemico dichiarato dei padroni della testata e della sua impostazione socio economica, mi guarda e mi sfida.
Fine della prima tappa, anzi no, perché, ancora fingendo, in questo caso distrazione, lascio il giornale sulla spalla della pensilina, così che altri possano continuare sbadatamente ad appropriarsi delle notizie che mi pagano per far leggere.
Seconda tappa, estraggo dalla borsa un secondo giornale identico al primo, e mi avvio a ripetere la funzione verso il parco pubblico.
Terza sosta, identico cerimoniale ed uguale messa in scena, al bar salotto buono, poi alla mensa ferroviaria, al circolo del ludico paranormale, dei baffoni giganti, dei coglioni in motocicletta.
Alle ore sedici, stop.
Serata libera.
Domani, un nuovo itinerario, forse pomeridiano serale, con sosta a cinema o a teatro.
Domani un nuovo posto per guadagnare i miei trenta denari. Sì, è vero, ho dimenticato di chiarire che anche le sigarette fanno parte del patrimonio di furbizie utilizzate dal dirigente organizzatore, il quale, scegliendone la marca, merita una “cagnotta” (tangente?) (provvigione?) simpaticamente offerta da quell’azienda di tabacco, naturalmente all’insaputa dell’editore per il quale lavora.
Cose che capitano anche in televisione.
A me che importa?
Trenta denari e fingo di fumare (ho smesso da tre anni) perfino la paglia secca degli ex Canneti della mia ex Isola Verde.

Ho costruito questa lunga divagazione, per introdurre il sunto di un ampio e dotto saggio che il mio cervello matematico aveva fatto rimbalzare, con perfetto tempismo, non appena si era reso conto della incoerente identicità del mio DNA con quello di Ignazio.

Lo sfoglio quotidiano di giornali previsto dalla mia ultima relativa professione, tra tante baggianate e scempiaggini bazzecole e pettegolezzi di rado, ma a volte, mi aveva concesso l’opportunità di aggiungere un tassello alla collezione delle teorie preferite.
Un fedele scudiero dei miei pensieri mi aveva fornito una lancia.
Un’idea che avevo attinta dalla quinta pagina dell’organo di stampa nazionale utilizzato per il mio lavoro durante l’ultimo mese di agosto.
Pareva forgiata apposta!
Da quel concetto ero rimasto particolarmente colpito.
Per la sintesi e per il rigido schematismo, amalgamato ad un probabilismo assolutamente incontrollato, che esso avvalorava come imparziale strumento decisionale.
Un dotto estensore di cui non ricordo il nome, l’aveva espresso scrivendo (ed io avevo recepito il testo come la sfacciata seduzione di un tango argentino nello struggente abbandono di ogni illusione):
“…Ogni azione che compie ogni individuo, fisica mentale o di qualunque altro tipo, trasferita nel super elaboratore della natura, riduce, di una determinata percentuale, il carburante attivo (come nei video giochi) a svantaggio dello stato vitale complessivo.
In proporzione, ciò avviene anche per le parti, una o più di una, oppure infinite, che compongono il presente di chiunque (uomini, animali, vegetali, minerali ecc.).
Quindi il cuore, le ossa, no meglio, la sopravvivenza del cuore, delle ossa, insomma di ogni elemento, ad ogni azione che lo vede coinvolto, restituisce una porzione della vis vitale di sua pertinenza, fino al completo esaurimento.”

Due più due fa quattro.
Quattro più quattro fa otto.
Io volevo capire se un’analoga valutazione era alla base della nostra convocazione.
Ad ogni azione una diminuzione di carburante.
Ciò per ogni individuo identificato comparando il suo esclusivo DNA.
Il mio DNA identico a quello di Ignazio.
Perché coincideva l’anno il mese il giorno e l’ora delle nostre convocazioni?
Perché non supporre la… … ….

Sììììì.
Sììììì.
È così.
Sìììì è cosììììì.
-«Aurora. Auroraaaaaa… … aiutami.
Rendi efficienti tutti i sistemi d’informazione, convoca i direttori dei reparti, i responsabili di zona, gli analisti, i tecnici e tutti i grandi burocrati.
FERMA IL TEMPO.
Ne resta poco.
Non può bastarmi.
Blocca i bip.
Fidati.
C’è un grosso sbaglio.»
E lei: -«Una sola volta ho deciso l’interruzione dello sviluppo naturale della evoluzione e, grazie a te, essa risultò provvidenziale.
Ripeterla, potrebbe significare per me l’angoscia di un irrimediabile errore.
È vero, anche i regni più antichi possono finire.
Sappi comunque che la mia decisione di dare credito alla tua sicurezza, ha origine dalla stima che ho per te, più che dal nostro affetto.
FERMATE IL TEMPO.
Per quindici minuti nessuno arrivi e nessuno parta.
Non ci siano bip.
FERMATE IL TEMPO.
Quindi, se non verificherete errori di funzionamento del nostro sistema… allora… allora nominerete un altro responsabile al mio posto.
I milioni d’anni della mia coscienza non accettano di deludere un amico.

A qualunque costo.
FERMATE IL TEMPO.
HO DETTO.»

Meno quindici:

Tornai sulla schermata che al mio arrivo avevo attivato, quasi meccanicamente, facendo clic sulla freccetta (non lampeggiante e non splendente) indicante “Continua”: e potei rileggere il messaggio allo scopo di controllare se ne risultava specificato il collaterale modello di attuazione: “L’efficiente tecnologia trasportata di là da nostre opportunistiche appendici… … ecc. ecc.”
Altro clic, ancora, altro clic e, proprio come avevo letto in quell’articolo nel mese di agosto, sullo schermo fu indicata la struttura operativa del progetto: “Ogni azione che compie ogni individuo, fisica mentale o di qualunque altro tipo, trasferita nel super elaboratore, riduce di una percentuale il carburante attivo (come nei video giochi) per una sua singola forma vitale; per una o più di una, od anche per tutte insieme.
Cioè il cuore, le ossa, no meglio, la sopravvivenza del cuore, delle ossa. Insomma ogni elemento a seguito di ogni azione restituisce una parte della sua vis vitale, fino ad esaurimento ecc.”

Meno dodici:

-«Compariamo Il mio DNA e quello di Ignazio.»
-«Comparazione in atto.
Comparazione eseguita.»
-«Risultato?»
-«Perfettamente identici.»
Aurora si accostò alla mia spalla.

Meno dieci:

-«Confrontiamo, i diagrammi di decremento energetico relativo a tutte le mie funzioni, con gli stessi assegnati ad Ignazio.»
-«Elaborazione in atto.
Diagrammi elaborati.»
-«Risultato?»
-«Le loro funzioni sono assolutamente identiche nello spazio, nel tempo, e nella quantità.»
Aurora, mi respirava nei capelli.

Meno otto:

-«Analizziamo il diario di Aurora.»
-«Impossibile, è segreto.»
Aurora, la Donna Guascona, non permise la mia sconfitta, puntò l’indice contro il Capo Burocrate:
-«Prima, fermando il tempo, ho detto di farlo a qualunque costo.
Eseguite.
Nessun segreto potrà impedirmi di rispettare l’impegno assunto.
Nessuno.
Distruggete il sigillo.
Aprite il mio diario»
Il tesoriere dei segreti, scattò sull’attenti, ed ubbidì impartendo il comando.

Meno sei:

Una voce disse:
-«Diario in rete.
Diario aperto.»

Meno quattro:

-«Aurora, ricordi la volta che venni a presentarti “L’Appuntamento” tra l’uomo dal fiore di ginestra e la donna dalle mani ambrate?
Che giorno era?»

Meno cinque:

-«Cercatelo.
Ditemi la data.»

Meno quattro:

–«Ricerca in corso.
Ricerca ultimata.»
-«Risultato?»
-«Ventiquattro marzo mille novecento novanta due, ore diciotto.
Annotazione: ospite Bruno.»
-«Aurora, vuoi chiedere se c’era anche Ignazio?»
-«Controllate.»

Meno tre:

-«Controllo in corso.
Controllo effettuato.»
-«Risultato?»
-«No, non c’era.»

Meno due:

-«È certo?»
-«Confermato.
Non c’era.»
-«Aurora hai inteso?
Non c’era Ignazio insieme con noi quando accompagnai da te l’uomo dal fiore di ginestra e la donna dalle mani ambrate che sai considero la mia Anima e il mio Cervello.
Giusto?
Chi potrà spiegarmi perché nel diagramma del suo DNA viene scaricato questo incontro?
Ed anche nel mio?
O lui o io!»

Meno uno:

-«In quanti eravamo, Aurora?
Ricorda e decidi, manca un attimo.»
-«STOP. Tutto fermo.
Tutti fermi.
Si faccia avanti il responsabile.
SUBITO!»

Non furono parole, furono imperativi categorici ed io pensai: “Si salvi chi può, è l’ora del giudizio universale”.

Un suono di ciaramelle accompagnò la mia anima deliziosa che ancora prima del verdetto, senza indugio, iniziò a declamare i versi, dedicati un tempo al nostro “Arrivederci”:

Ed oggi ascoltare
venerdì di piazze
domeniche di folle
e il resto,
tutto rifatto
scotto:
segna nuovo equilibrio
per non staccare stampe
da muri di nuovo imbiancati.

Sedersi su un albero,
presso un’onda chiara, scura,
ai piedi del viale del nostro viaggio,
nella poltrona di fronte al fuoco,
su un angolo del letto
a luci ancora spente,
non oltre,
noto:
lasciamo ad altri
tratteggi di scie di lumache
storie di applausi e di avventure
scolpite… per Uno.

Ora se vuoi è l’ora di andare.

Il nostro DNA assolutamente identico aveva richiamato nell’elaboratore, senza distinzione, le mie e le sue azioni!
Ecco la ragione della nostra chiamata simultanea.
Lo stesso fatto era stato assegnato sia a me sia a Lui, quindi, noi due, avevamo subito il carico del logorio non solo nostro proprio, cioè io della mia e lui della sua vita, ma io della mia più la sua e lui della sua più la mia.
Concorrendo quindi, essendo gemelli, ad esaurire entrambi nello stesso momento!
Eccitato e sollevato, non persi di vista Aurora neppure un istante, intanto che lei, la mia Amica immensa, nella riconfermata autorità di una “Signora”, ancora più potente, ordinava di effettuare innumerevoli verifiche, controlli, prove e contro prove.
Fino a quando, accertato l’errore, la vidi giudicare i responsabili, licenziare, degradare, defenestrare.
Infatti, “L’efficiente tecnologia trasportata di là da nostre opportunistiche appendici… … ecc. ecc.” le cui caratteristiche operative mi era capitato di leggere nella schermata, quando quasi meccanicamente avevo attivato il clic sulla freccetta (non lampeggiante e non splendente) indicante “Continua”, affidata alla decrepita fossilizzata burocrazia onnipresente, “così o come” da sempre avviene a seguito di questo innaturale connubio, aveva elaborato, essa l’efficiente tecnica spersonalizzata, decisioni certo indiscriminate, ma purtroppo prive della luce di una intelligente, umana, morale e sofferta, responsabile valutazione.
Basta così.
Gli insensibili mezze maniche avevano combinate “cose dell’altro mondo”.

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica – Brevi commenti amichevoli

Only you

Only you

Così o come

Parte Prima

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

Così o come

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

Parte Terza

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO FINALE

Only you 2

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La sesta firma

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

CAPITOLO FINALE

Poesia sporca

Poesia sporca

Per Aurora – volume terzo – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora – volume terzo di Bruno Mancini

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Per Aurora – volume terzo – Vetrina LULU

Per Aurora volume terzo di Bruno Mancini

seconda edizione

ID 29y6wr

ISBN 9781471074813


Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7481-3
Versione 2 | ID 29y6wr
Creato: 26 ago 2022
Modificato: 27 ago 2022
Libro, 135 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm), Standard Bianco e nero, 60# Bianco, Libro a copertina morbida, Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Informazioni sul copyright
Revisiona le informazioni sul copyright
Titolo
PER AURORA volume terzo
Sottotitolo
Alla ricerca di belle storie d’amore
Collaboratori
Bruno Mancini
ISBN
978-1-4710-7481-3
Marchio editoriale
Lulu.com
Edizione
Edizione arricchita
Dichiarazione dettagliata di edizione ( / 255)

Licenza
Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright
Bruno Mancini
Anno del copyright
2022


Descrizione
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.
Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

Tabella dei contenuti
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.

“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

Per Aurora volume terzo

seconda edizione

Info: Bruno Mancini
Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
emmegiischia@gmail.com

 

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Per Aurora – volume terzo – Così o come Parte Seconda CAPITOLO SECONDO

Per Aurora – volume terzo – Così o come Parte Seconda CAPITOLO SECONDO

Così o come Parte Seconda CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO SECONDO

Non poter descrivere nei dettagli la serie di virulente emozioni che mi procurò il prosieguo dell’incontro con il mio gemello Ignazio, è il prezzo che voglio pagare per non derogare dalla militaresca sottomissione al principio di essenzialità nel quale ho deciso di rinchiudere l‘esposizione di questa storia.
Ero certo “Alle venti sarò da Aurora.
Non un minuto oltre”.
E come potrei esaurire, con locuzioni brevemente tratteggiate, la descrizione del patos -posso dire a mala pena celato-, che lui mi aveva procurato definendo con frasi stringate la precisa e dolorosa ricostruzione dell’intrigata vicenda che aveva determinato la nostra separazione, nel 1943, tra guerra, fame, tradimenti?
Avevo ascoltato un Ignazio finalmente privo di reticenze.
Albeggiava.
Il gallo, i passeri, la fresca brezza che in tempi andati forse spegneva le lampade a petrolio sulle vie, il primo discreto avvicinarsi di un pullman di linea, il rombo soffuso del volo aereo Venezia Napoli, segnalavano con sufficiente precisione lo sviluppo delle ore.
Le quattro e venticinque.
Ero certo “Alle venti sarò da Aurora”.
Se mi sarà concesso, quantunque in un luogo differente e con altra penna, colmerò le tante lacune di questa ricostruzione, cimentandomi in una impresa narrativa che non potrà in quel caso essere ridotta ad un breve racconto.
Se sarà.

In sintesi, il suo racconto iniziò dall’età di cinque anni, nel 1948, quando io vivevo ad Ischia senza luce elettrica e senza acqua corrente.

Ignazio abitava, con la famiglia dalla quale a sua insaputa era stato adottato, in una sfarzosa tenuta spagnola assegnata, in segno di cameratismo, dal “Franco” allora dominante all’amico gerarca fascista che si era rifugiato sotto la sua protezione subito dopo la fuga del re dall’Italia.
Nel 1948 la balia gli svelò una prima parte del segreto:
-«Sei un bimbo adottato.»
Lui non capì e proseguì nella sua infanzia.
O non volle comprendere?
A me quell’anno non dissero niente.
Tutto, così, proseguì uguale a sempre.
Nella solita consuetudine.
Nel 1961, compivamo diciotto anni.
L’invecchiato comandante in esilio convocò il giovane Ignazio nello studio tappezzato da grossi volumi di libri mai letti, ed in quella occasione parato a festa con stendardi sfilacciati di una unica etnia svolazzanti tra tazzine da caffè rigorosamente nere, per comunicargli, adagiando rispettosamente la mano destra sulla banderuola che tra tutte figurava il riconoscimento per il maggiore atto di eroismo bellico, ufficialmente formalmente:
-«Tu hai un fratello gemello.»
La frontiera nazionale del Montecarlo passa attraverso la struttura edilizia d’alcuni alberghi, cosicché ai privilegiati clienti è sufficiente spostarsi di una camera nello stesso ambito residenziale per godere degli effetti giuridici di un altro stato. Simile trasferimento fece Ignazio.
Solo?
Con un fratello?
Io sono, lui è.
E tutto proseguì nella stessa identica ripetitività quotidiana.
A me nel 1961 non dissero nulla e nulla mutò.
Nessun particolare era rimasto inciso nei miei pensieri.
Mi chiesi quanti parenti ed amici avrebbero avuto la facoltà d’aiutarmi provvedendo alla discreta ricostruzione dei segnali che forse io non avevo recepito, oppure che invece, in una ipotesi maggiormente attendibile, nessuno di loro in tanti anni si era mai proposto di far balenare davanti alla mia mente. Neppure sotto una qualsiasi forma allegorica o mediante l’ambigua divinazione di un improbabile oracolo.
La gente che mi era stata vicina, spesso amica, a volte finanche unita da un vincolo d’intimità, e che sapeva, la gente delle mie terre, delle mie case, dei miei rifugi, non aveva, fino ad allora, illuminata un’ombra sufficiente affinché potessi impossessarmi delle vicende essenziali alla comprensione di questa parte della mia storia personale!
Ignazio era stato davvero tutto nella vita: un gran colpo di sfida perenne.
Non mi svelò alcun particolare somatico o caratteriale della sua madre adottiva, neppure durante il sofferto ricordo del segreto che lei gli aveva voluto rivelare, mentre oramai le sfuggiva la vita, dicendogli:
-«Tuo fratello è Bruno Mancini.»
Poco dopo, serenamente, finì.
Sono il fratello, ma per lui non cambiò nulla.
Non ne ero a conoscenza, e per me fu ancora come prima.
Tutto uguale per noi.
Veniamo al dunque.
La sua confessione ebbe termine alle cinque e trentotto.
Era suonata la sveglia dell’inquilino, di professione muratore, che alloggiava nei locali adiacenti alla parete del mio angolo di complicate meditazioni.
Era male tarata, può darsi volontariamente, altrimenti perché avrebbe strimpellato alle cinque e trentotto?
Cinque e trenta va bene.
Cinque e trentotto non va bene.
Non collima.
Non si spiega.
Siamo tutti formalisti.
Lui disse:
-«Sono qui perché mi hanno convocato.
Aiutami.
Voglio il tuo aiuto.»

-«Che incredibile coincidenza!
Quando?»
-«Fra poco, alle venti.»
Quanto tempo occorre per arrostire una catasta di funghi campagnoli d’origine dubbia, e mangiarli tra fette di pane pugliese e litri di birra popolare?
Quanto tempo ci vuole per fare uscire dallo scroto i coglioni distrutti e sbatterli nel ventre della puttanaccia internazionale?
Per salutare gli amici?
Mortificare i nemici?
Stringere al petto la donna amata?
Bere, bere, bere. scrivere, scrivere?
Guardare le stelle?
Troppo.
Neppure intendo dilungarmi intorno alle priorità che tentavano di occupare un posto nelle poche ore disponibili.
In questo contesto potrebbe risultare un elenco penoso, lacrimevole, mentre invece, con una differente atmosfera, sono sicuro di non aver difficoltà a dimostrarne la bellezza emotiva, pur nelle contrastanti armonie.
A titolo di esempio: avrei dovuto provvedere a cambiare l’acqua nella boccia di vetro dei miei amici pesciolini rossi ed aggiungere qualche razione supplementare di scaglie Goldfish Food, non senza irritante dispendio di minuti preziosi, oppure dare precedenza alla chiusura dei rubinetti?
Gas, acqua, luce, finestre, spazzatura, garage.
Ritirare i depositi dai conti bancari postali azionari, oppure effettuare una fuga in taxi per una foto in autoscatto sul ponte del Castello Aragonese, all’ombra dell’ultimo pino, tra le canne del vigneto, sulla cresta del monte Epomeo? Telefonare?
Incontrare?
Lasciare biglietti?
Spiegando, allarmando, creando apprensioni?
Troppe cose, troppe azioni, troppe persone, troppi affetti, fino alle ore venti.
Non un minuto oltre.
Ei, Ignazio, mio gemello, non immaginava il destino comune del nostro prossimo percorso.
“Aiutami” erano state le sue prime parole “Aiutami”, e fu subito pronto, non chiese spiegazioni, nessuna titubanza, allorché vide le mie dita affusolate cingergli il collo, il mio corpo armonioso muovere verso l’uscita, ed udì la mia voce profonda dire:
-«Andiamo.
Non aspettiamo oltre. Ora o le venti, è uguale.
Andiamo.»

Non chiusi la porta, spensi solo la luce.

 

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Creato: 26 ago 2022
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Libro stampato: A5 (148 x 210 mm), Standard Bianco e nero, 60# Bianco, Libro a copertina morbida, Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

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PER AURORA volume terzo
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Collaboratori
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978-1-4710-7481-3
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Anno del copyright
2022


Descrizione
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.
Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

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“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

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Per Aurora – volume terzo – Così o come Parte Seconda CAPITOLO PRIMO

Per Aurora – volume terzo – Così o come Parte Seconda CAPITOLO PRIMO

Così o come Parte Seconda CAPITOLO PRIMO

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

Avevo da poco terminato di scrivere le pagine che avete letto, e mi accingevo ad un primo approccio con il capitolo cinque ancora vuoto quando uno squillo, dallo strano sapore di mandorle o nocciole tostate e zucchero nasprato, fece sobbalzare, non solo il segnale d’avviso del mio videotelefono, non solo i pesciolini rossi nella boccia trasparente casualmente aderente all’appoggio rumoroso e traballante (per loro fu quasi un terre-mare-aria moto secondo la teoria fisica della propagazione delle onde nei liquidi), non solo gli occhiali sul mio naso per il repentino movimento della testa, e la bionda schiuma di birra commerciale versata distrattamente nel bicchiere arrotondato a forma di bocca di vulcano spento, e poi la lunga scia di fogli sparpagliati sovrapposti disordinati in equilibri provvisori ed instabili, e la cenere della sigaretta che stringevo tra i denti per il tiro tiraccio tirone tiretto finale, ma, se volessi dire tutta la verità, dovrei aggiungere particolari perfino sulla rottura sobbalzo sballottamento scatenamento giramento girotondo di… parti basse del mio ventre, mentre, invece, mi voglio limitare ad affermare che quello squillo, la cui provenienza avevo identificato sul minuscolo schermo tecnologico luminoso, creava un potente sbarramento per ogni via di fuga della mia solitudine notturna.
Cercavo di distrarmi, quantunque l’aggeggio continuasse a vibrare, squillare, tormentare i pesciolini rossi, con un forte odore di odissea nello spazio intriso di sfumature all’incenso e vino cotto tanto invadente che, insinuandosi nei lobi auricolari, attraversava incudini e martelli per biforcarsi maleficamente (i miei amici Indiani chiamavano l’uomo bianco lingua biforcuta) tra una papilla gustativa spugnata di birra popolare ed un pigmento olfattivo catramato nicotinizzato bruciacchiato.
Ero stanco, avevo martoriato mortificato martellato per ore lo strumento della mia incapacità, della mia disperazione, del mio sublime aver voluto: il sassofono tenore di marca Orsi ed ancia selezionata in faticosi esperimenti.
Ero suonato, per l’accesso intermittente ininterrotto intenso alla cassetta caverna cassaforte caveau del grosso stipone stipato nell’angolo dietro la porta della cucina: silenzioso bianco latte frigorifero custode delle mie birre popolari.
Ero nel panico per mancanza di appigli appoggi appelli, apriti Sesamo, a chi mi rivolgo, aprimi Sesamo aprimi uno spiraglio speranza abbaglio, per la matita spuntata nell’ultima riga. E lui suonava!
Mi correggo.
Correggo la frase plebea.
E lui suonava, significa che un lui, quindi un individuo di sesso maschile usava uno strumento adatto a produrre piacevoli onde sonore ecc, in vero io volevo dire che lui, il telefono, esso, continuava ad emettere vibrazioni sgradevoli sgradite sgraziate, grazie.
Lui, esso, squillava, e la curiosità, onde scoprirne il motivo, sculettava per sedurre indurre il pigro indolente rotore del mio sistema ad attivare uno sforzo punto X punto Y, tale da movimentare delicatamente l’unghione della mia mano oppure il pistillo della penna, fin sulla mini tastiera del cellulare mignon, in tal modo connettendo, con sua soddisfazione, le due utenze.
Ero spossato spompato sbolinato annacquato svaporato distrutto da “Così o come”, racconto docile ed irrequieto che mi aveva assecondato per sfuggirmi, e mi aveva illuminato per trattarmi come il pennello di un oscilloscopio relegato a registrare le intensità dei terremoti eruzioni vulcaniche maremoti bradisismi onde cosmiche venti solari. L’elettroencefalografo di uno, trenta, quaranta, due emozioni cerebrali.
Ero tutto ciò per la imminente immanente forse immemore non immortale, immateriale fine della mia semplice nutrizione mentale.
Aurora, la Signora, la Donna Guascona, non avrebbe fatto schiaffeggiare il mio silenzio notturno dallo stupido gracchiare di un cellulare se non avesse trovata la cacca nella marmellata, oppure la marmellata nella cacca, che non significano lo stesso quid.
Quanto avrei potuto resistere?
Neppure cinquecento squilli.
Addormentarmi?
Neppure con trenta caffè!
Tanto valeva affrontare l’ignoto, e speriamo bene.
-«Pronto.»
-«Ignazio?»
-«Sì Aurora, sono io.
Ma perché mi chiami Ignazio anche in privato?»
-«È Il tuo nome d’arte.
Ricordi “La Notizia virgola la Condanna punto”?
Tu non mi chiamavi “Signora”, io scelsi per te il nome Ignazio.
Un nome d’arte.»
-«Come stai Aurora?»
-«Così!… Sei solo?»
-«Sempre a questa ora.»
-«Lo so che è tardi, però anch’io non…
… mi sono posto il problema… domani sarebbe inutile…
… Ricordi l’uomo dal fiore di ginestra all’occhiello del bavero?
…Parla sempre di te…»
-«Perché mi hai chiamato?
… Anche per me lui è un punto di riferimento importante «così o come» la sua donna dalle mani ambrate.
… Perché hai chiamato?»
-«Lei, adorabile, se potesse riabbracciarti sarebbe la felicità assoluta.
È Aurora che ti parla, l’amica.
Non ho dimenticato la spontanea disponibilità con la quale ti sei proposto, nel momento per me più delicato, contrastando l’agguato che Snob Rob ed i suoi compari di luride merende avevano tentato nei confronti di me SIGNORA…»
-«Aurora, ho capito, amica, è tardi, se vuoi ne parliamo domani, lo so, amica, sei amica, mia amica e basta.
Aurora, perché hai telefonato?»
-«Così vuoi, così sia.
Sei stato convocato.»
-«Io?
Quando?!»
-«Domani sera alle venti.»
-«Così poco tempo?»
-«È già tanto saperlo.»
-«Allora ci vedremo presto!»
-«Già.
Ho ottenuto che ti sia concesso il privilegio di un accompagnatore ufficiale.
Sarà da te fra poco.»

Tu tu tu tu tu tu tu tu tu tu tu tu.
Fine della telefonata.
Fine della trasmissione.
Fine di cos’altro.
Fine.

Aurora, in virtù dei nostri precedenti ottimi rapporti di complici intese, aveva chiamato per dirmi di aver inviato “Qualcuno” a prelevarmi, con lo scopo affettuoso di non lasciare che effettuassi da solo il difficile viaggio di trasferimento che mi chiedeva di compiere.
Giusto?
Giusto.
Preparare i bagagli o sistemare i bordi sconnessi delle pagine già scritte?
Abbozzare il mancante capitolo cinque, titolandolo: “Bozzetti di famiglia”?
Di quanti Castelli, Pinete, Canneti, Tagliacapelli, Carrozzai Carrozzieri Uomini e Donne, presenti nel mio cuore con bandierine mascherate piuttosto che luminescenti, vorrei scrivere un “senza fine”?
E mia madre, mio padre, le sorelle?
Gilda?
Troppi.
Troppi, fino a domani sera alle venti.
Dei bagagli ne faccio a meno.
Bevo una mega birra super popolare.

Era di certo a breve distanza da me, a pochi metri se non addirittura in una delle stanze attigue.
Se avessi chiesto l’avrei saputo con precisione.
Le mie prime reazioni di stupore incredulità sorpresa “È così o no?”, malinconia sconforto abbandono “Che ci posso fare!”, immobilità fisica mentale sentimentale “Doveva accadere prima o poi”, vennero inghiottite insieme alla bella schiuma gialla della birra popolare e furono soppiantate da brevi fugaci emozioni mai dimenticate: i tesori ed i retaggi degli incontri determinanti per la indiscutibile amicizia tra me e la “Signora”.
La fama della mia amicizia con Aurora, in modo particolare dopo la pubblicazione di “La Notizia virgola la Condanna punto”, unitamente a tutta una serie di pettegolezzi urbani riguardanti il mio sistema di vita imbottito, dicevano, di estrema pigrizia indolenza disattenzione distrazione (io direi, invece, giusto impegno parsimonia e saggio economizzatore di beni importanti quali il tempo e lo spazio), “così o come” accadde per i films di Rochy, avevano posto la mia immagine all’apice del consenso, ma la mia vita privata nell’infernale sfera della popolarità.

-«È lui, è lui!»
-«L’amico di Aurora, venite…»
-«Ignazioooooo…»
-«Una birra popolare al signor Ignazio.
Mi permette una foto?
Sì grazie.
Scatta, fai presto, il signor Ignazio ha fretta.»

Un bestione alto due metri e trentacinque centimetri, tra pollice e mignolo, un giorno mi ha poggiato affettuosamente la mano sulla spalla e per poco non m’inchiodava al suolo come una palina di fermata autobus.
Una bagascia dai giochini veloci – ultra veloci – rapidi – urgenti tariffe maggiorate, mi ha baciato quasi sulla bocca nel supermercato gremito di gente e, forse peggio, ha spalmato sulle mie braccia con le sue ascelle sudaticce un indefinibile odore di capre e di pesci, di fattrici e di stalloni, di sessi e di colonie.
La bimbetta non ancora ragazzina stentava a comprendere gli ordini della mamma, però mi guardava come se fossi stato un vecchio Babbo Natale, intanto che mi tirava i pantaloni mostrando un blocchetto ed una penna per pretendere un autografo.
Sì forse è meglio cambiare programma, dicevo a me stesso durante ogni pausa di lavoro che mi consentivo (già non lo sapete, ma io lavoro, faccio il “A”.
“B” faccio l’assaggiatore di birre.
“C” faccio l’avvocato del diavolo.
“D” faccio l’uomo della provvidenza.
“E” faccio il servo degli istinti.
“F” faccio Ignazio di Frigeria e D’Alessandro.
“G” faccio l’uno e il trino più tre.

Bussano alla porta ……
L’apnea è la scommessa perduta, la spirale avvolgente, il lusso svogliato.
Nei mari dei Caraibi la preda è il pescatore che non utilizza adeguate protezioni.
Soltanto un lusso svogliato lo porta a privarsi di bombole e boccaglio per la pesca dei barracuda.

Il Tirreno era considerato dagli antichi un mare “nostro”.
Noi umani moderni lo abbiamo squamato devitalizzato disinfettato colonizzato, reso una fogna, riciclato in mare “morto”.
Era in esso (avrei preferito scrivere in lui) che spesso sguazzavo, intrepido e naturalista, imbozzimato tra le spire coinvolgenti delle immersioni.
Con maschera e pinne.
Sempre senza bombole.
Nella settima edizione delle mie incursioni tra le gole marine di San Pancrazio, alla ricerca di una mitica tana di cernia che ricordavo ricoperta da alghe e licheni, per non concedermi un respiro, l’apnea avrebbe potuto togliermi la vita prima della risalita.
Più giù.
Più più.
Più tempo.
Più volte.
Più sempre, più tutto, più giovane, più forte, più solo, più assurdo, più io, più meno.
Dietro alla porta chiusa del mio rifugio, che certo non bussava da sola, come braccata dalla muta camaleontica di un sub, la mia apnea, per me ad un tratto trasformato in cernia indifesa, non era altro ormai che scommessa perduta.
Non voglio, non posso, non apro, non sono, la mia perdita di respiro è spirale avvolgente.
La mia apnea si asserviva al lusso svogliato di prolungare un calvario per una determinazione che non era in mio potere modificare.

-«Chi bussa alla porta?
Chi è?»
Accomodati amico, gli dissi, e lui sedette.
Gradisci una birra popolare, gli chiesi, e lui bevve.
Accendiamo una sigaretta?
Fumammo.
Nessun uomo è paragonabile ad una donna.
Non c’è uomo simile ad un altro uomo.
Non esistono due gravidanze uguali.
Nelle belle famiglie campagnole il gatto era gatto.
L’agnello, agnello
Il cavallo, cavallo.
Il maschio adulto era il padrone di casa.
Anche di tutto il suo contenuto.
Matriarche comprese.
Il lutto della diretta è la corsa in avanti senza ripetizione.
Io, mentre scrivo un racconto, posso superare l’ostacolo, recuperando l’omesso.
Lui diceva “me ne fotto”.
Io ci provo. Aggiungendo.
Accomodati amico, gli dissi.
Aveva la faccia pallida di un uomo ormai fantasma.
Gradisci una birra popolare, gli chiesi.
La sua bocca si aprì a fatica quasi fosse incollata da un immenso terrore.
Accendiamo una sigaretta americana turca napoletana?
La prese con la mano tremante del cacciatore di tigri, disarmato, al cospetto della splendida bestia immobile in un agguato traditore.
Non mi spiegavo né l’origine, né la natura, di tali incontrollate manifestazioni esteriori d’emozionalità espresse, per altro, da colui che identificavo come il professionista inviato dalla mia amica Aurora per rendermi meno penoso il passaggio al suo di “Là”.
Sul tavolo sgangherato a seguito dei continui sbilanciamenti del mio corpo scoppiettante di bollicine gialle, la figura sconosciuta aveva poggiato i gomiti per trattenere la testa ciondolante come il pendolo capovolto di un orologio del tardo ottocento.
Triste, oscuro, silente, non osava guardarmi.
La mia preoccupazione non era certo lo stato d’animo nel quale egli si proponeva.
Figuriamoci!
Ciò che Aurora voleva, la “Signora” poteva.
Vestisse pure i panni del melodrammatico sentimentale, affari suoi.
Il comune mister Pinkerton, Donoval, Smith, Rossi, Giallo, Verde, Forza Napoli, mi fissò con lo sguardo di un maniaco sessuale di fronte alla evidente prossima maternità della più bona del paese.
“L’hai fatto” pareva pensasse, “Adesso lo farai di nuovo con me” sembrava volesse imporre.
Schiacciava il suo volto pallido, le sue mani tremanti, le sue labbra asciutte contro la mia, dicono, pigrizia indolenza disattenzione distrazione.
Eppure i suoi tratti somatici appartenevano a qualche ricordo passato che avevo apparentemente rimosso.
Ho dimenticato il nome del cane che ha diviso per venti anni la mia gioventù, ma non mi sfugge, tra la folla di una stazione ferroviaria durante l’ora di punta, il volto di chi ho frequentato anche saltuariamente anni addietro.
È vero, sono fisionomista.
Al chiaro del sole.
Con molta luce.
-«Aiutami» così iniziò: «Aiutami».

Il volo di un calabrone indispone per il ronzare privo di pause ed invita ad una caccia disinvolta.
A me le frasi incomplete nel senso e nella forma invogliano alla fuga ingiustificata.
Erano tre ore che non muovevo un passo, schiacciato con il culo sulla estremità di una sedia, e con le caviglie sul bordo di un’altra ricoperta da un cuscino di gommapiuma sottile come un cartone da imballaggio.
Neppure mi ero alzato per aprirgli la porta, era socchiusa, bastava spingere.
Erano tre ore che non pisciavo le birre popolari stipate a botti nella vescica, erano tre ore che non respiravo un litro d’aria denicotinizzata semi naturale leggermente frizzante per le bollicine provocate dalle onde sbattute sulle scogliere apparecchiate con stupidi blocchi d’indecente calcestruzzo.
Mi alzai, andai nel cesso, aprii la finestra pisciai e l’aria fresca fredda della notte non lasciò dubbi al mio dubbio che forse Mister Ford, Esposito, Mac Carty, Ciun Ciun, Senegal, Pilato, Coglione… fosse una donna… … non cambia nulla… … è tutto uguale.
Non c’è passione solitaria senza un passato di voglie inappagate.
Spesso essa è solo l’ultimo traguardo, il morbido poggiatesta della pennichella pomeridiana.
Ben altro è ingannare, fingere, sbiadire, rotolare in panni di chi non sei, non disdegnando di porre il dito nella ferita e lasciarlo marcire insieme ad essa.
La fuga e la salvezza.
-«Aiutami» così iniziò: «Aiutami» con una voce simile a quella di mio padre.
Profonda.
E disse:
-«Ho letto di te ed ho seguito da molto tempo in silenzio la tua vita avventurosa.
I tuoi libri e gli articoli di giornali che seguivano le tue azioni in difesa di libertà e debolezze.
Ti ho ammirato senza averti mai visto.
“Il bel maschione conquista la star…”, “È lui l’uomo dell’anno…”, “Trenta milioni di copie vendute…”..
Hai una birra per me?»
I complimenti offerti bene sono tuoni a ferragosto.
Attrazioni di energia esplosiva.
Le lusinghe sono petardi che scoppiano in mano devastando pollici ed indici.
Il suo porgermi frasi banali già udite, di semplice contenuto, inutilmente adulatrici, prive di fronzoli non fu sufficiente a distogliere la mia attenzione dalle dita affusolate che gli reggevano il capo ciondolante.
Così le aveva mia madre.
Affusolate.
Più che la birra, andai a prendere una pausa di riflessione.
Avevo necessità di concretizzare quell’incontro.
Dimensionarlo, affidarlo a linearità geometriche.
C’era la luna, e i motorini che passavano rumoreggiando per la fretta e la cattiva manutenzione, m’indicavano l’ora.
Quarto più quarto meno, il bar all’angolo chiudeva alle due, ed allora il personale addetto al turno finale ne usciva passando disordinatamente sotto le mie finestre.
Così da anni in questi mesi.
Considerai che stavo scegliendo di costruire da solo risposte per domande che non ponevo: la talpa.
Nessuno sopravvive alla sua storia.
A me non è mai bastata viverla, ho sempre voluto possederla, controllarla, fino a tentare di anticiparne le costellazioni degli eventi casuali.
L’individuo venuto da lontano, l’uomo d’Aurora mi stava chiedendo aiuto con la voce profonda di mio padre, difendendo la testa tra le mani con le dita affusolate di mia madre.
Dov’era il nesso?
Quale era il significato, se c’era?
Passai accanto allo scaffale dove erano riposti gli album fotografici, ed un fugace pensiero me li fece abbinare a reperti, già fossili, destinati a futuri mercanteggiamenti di archeologia sociale.
Seguivo la traccia di piastrelle, color rosso vinaccia indicante sul pavimento la linea di separazione tra la zona di casa preferita per i miei contorcimenti mentali, e la cucina ospitante file di lunghi colli gonfi di liquido giallastro.
Al buio.
Tutto al buio, anche al buio.
Ho smesso di chiamarla birra.
La bottiglia dal collo alto non imponeva rivincite.
Pumm: Fzzzz.
Come una biglia nel castello dei birilli, avevo creato un effetto
domino, ed una bottiglia piena mi cadde dalle mani spiaccicandosi a terra.
Accade.
Accadde.
L’uomo? La donna?
Ei senza nome, udito il tonfo, si mosse veloce per aiutarmi.
Il secchio la scopa la paletta, «Che m’importa!», dicevo, «Lascia così. », «Ne ho altre.», Ei con voce profonda e dita affusolate -«Faccio in un attimo.» disse, «Non ci vuole molto.» e poi «Perché no».
I suoi erano movimenti scattanti ed eleganti, di una particolare armonia che mi richiamava alla memoria i gesti di mia sorella.
Armonico.
“Così o come” fosse stata mia sorella.
Chi aveva bussato alla mia porta?
Io dissi: -«Perché sei qui?»
Lui pianse.
Pianse come un poeta, ricordando l’infanzia, narrando l’amore, sognando la pace.
Una enorme confusione inzuppò di filamenti disordinati ed instabili il cesto di sparute tracce che avevo creduto di recepire dalla telefonata della mia amica «Signora».
Il traghettatore, Lui o Lei, Ei senza nome, con la voce di mio padre, le mani affusolate di mia madre, il movimento armonico di mia sorella, piuttosto che assecondare i miei desideri, piangeva sul pavimento di piastrelle gialle raccattando i cocci di una inutile bottigliaccia di liquido commerciale, mentre io contavo con ansia le ore i minuti secondi attimi mancanti al momento in cui avrei dovuto presentarmi alla convocazione.
I bulbi oculari mi facevano male, forse per la scarsa luce, forse per il poco sonno, forse per le tante ore trascorse a scrivere, forse per l’età, ma certamente andava ascritta al mio disordine mentale una qualche responsabilità per aver provocato il loro roteare senza punti fissi di riferimento.
Fermò le dita affusolate di mia madre, piegò verso l’alto il corpo armonico di mia sorella, e con la voce profonda di mio padre:
-«Io sono Ignazio.» disse.
-«Ignazio?»
-«Sì Ignazio»
-«E allora?
Con ciò?
Che cazzo significa?
Basta indovinelli.
Parla o vai.
Ignazio, Filippo, Marco Aurelio, Giulio Cesare che me ne fotte del tuo nome!
Parla o vai.
Bevi, fuma e vai di corsa.
Non ho mai tempo per nessuno, figuriamoci oggi.
Non ne ho abbastanza neppure per me!»
«Io sono Ignazio di Frigeria e D’Alessandro.
Tuo fratello gemello.»

Scolorire al buio.
Perdere battiti cardiaci.
Stoppare il respiro.
Chiusi gli occhi e mi chiesi se credere che i sogni si generino prima dei fatti, oppure se persuadermi che ne siano una rappresentazione.
Le fantasie germogliano da oniriche trasgressioni mai metabolizzate, oppure ne costituiscono le origini?
Prima l’uovo o la gallina?
Ignazio di Frigeria e D’Alessandro: il mio passato di sfrontate personificazioni dei mali del mondo.
La droga, la guerra, l’azzardo, lo stupro, si erano, tramite lui (visto da sempre quale compendio d’ogni maleficio), materializzati nella persona del traghettatore piagnucoloso che si dichiarava mio fratello e del quale mi impressionavano alcune caratteristiche fisiche: la voce profonda di mio padre le dita affusolate di mia madre ed il corpo armonioso di mia sorella.
Nel mio passato era stato un sogno, una visione?
A raccogliere i cocci di una bottiglia era la presenza di un incubo, d’una allucinazione?
Allora, quando scrivevo di Ignazio il combattente in Viet Nam, mi sfidava una forza di coesione che non si lasciava cancellare dal tempo e dalla distanza?
Il richiamo di una energia sconosciuta?
Nella situazione che stavo vivendo per il trasferimento che mi accingevo a compiere, ero oppresso dall’ossessione di pretendere una vicinanza familiare?
Ignazio, per me, padre madre sorella?
Mi chinai nell’atto di sollevarlo, ponendo i gomiti fra tronco e braccia, e quando il suo viso, assecondando i movimenti che compivo, giunse ad un palmo dalla mia bocca:
-«Non ho fratelli» sentenziai «Non ho mai avuto gemelli, tu sei il parto della mia fantasia, tu sei mio.
Ignazio di Frigeria e D’Alessandro mi appartiene.
Tu mi appartieni.», attesi l’attimo necessario a che deglutisse l’assoluta determinazione da cui mi sentivo invaso, e stringendo i polsi fra i pugni chiusi ai lati del suo torace, con la calma della follia, «Perché sei qui?» gli chiesi.

Finalmente, sul soffitto, al centro del mio mondo, accesi il faro delle grandi occasioni.

 

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica – Brevi commenti amichevoli

Only you

Only you

Così o come

Parte Prima

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

Così o come

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

Parte Terza

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO FINALE

Only you 2

Only you 2

La sesta firma

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

CAPITOLO FINALE

Poesia sporca

Poesia sporca

Per Aurora – volume terzo – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora – volume terzo di Bruno Mancini

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Per Aurora – volume terzo – Vetrina LULU

Per Aurora volume terzo di Bruno Mancini

seconda edizione

ID 29y6wr

ISBN 9781471074813


Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7481-3
Versione 2 | ID 29y6wr
Creato: 26 ago 2022
Modificato: 27 ago 2022
Libro, 135 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm), Standard Bianco e nero, 60# Bianco, Libro a copertina morbida, Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Informazioni sul copyright
Revisiona le informazioni sul copyright
Titolo
PER AURORA volume terzo
Sottotitolo
Alla ricerca di belle storie d’amore
Collaboratori
Bruno Mancini
ISBN
978-1-4710-7481-3
Marchio editoriale
Lulu.com
Edizione
Edizione arricchita
Dichiarazione dettagliata di edizione ( / 255)

Licenza
Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright
Bruno Mancini
Anno del copyright
2022


Descrizione
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.
Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

Tabella dei contenuti
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.

“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

Per Aurora volume terzo

seconda edizione

Info: Bruno Mancini
Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
emmegiischia@gmail.com

 

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Per Aurora – volume terzo – Così o come Parte Prima CAPITOLO SESTO

Per Aurora – volume terzo – Così o come Parte Prima CAPITOLO SESTO

Così o come Parte Prima CAPITOLO SESTO

CAPITOLO SESTO

“…
Ti benedica la Musa
mentre
non senza titubanti tenerezze
liberi suoni e silenzi
da
orpelli congeniti
che
trascinano con affanno.
…”.

“Così o come” (la mia nuova libidine esistenziale), non è
ancora terminato, né so se e quando avrò ancora palpiti che m’indurranno ad aggiungere respiri e forme al suo cuore ormai pulsante, direbbe un cardiologo.
Comunque, se vuoi: Lui disse alla Musa

“……
non sia condanna, per le mie idee ansie
che nutro con poche scoregge di vita
liberate dai miasmi generali
cardinali
multinazionali
… ,
la tolleranza.
Che io sia follia,
non folle.”

Per dire che la voglia di consenso non dovrebbe convincere l’autore a togliere la scoreggia dal verso, “Così o come” nessun lettore, quantunque privilegiato, dovrebbe rompergli i coglioni con le “sue” idee, ansie, e tutto il resto. Fin che posso, non allargo le gambe nel ruolo dell’autore, e non le accavallo in quello del lettore.

 

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica – Brevi commenti amichevoli

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Così o come

Parte Prima

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

Così o come

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

Parte Terza

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO FINALE

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La sesta firma

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

CAPITOLO FINALE

Poesia sporca

Poesia sporca

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Per Aurora volume terzo di Bruno Mancini

seconda edizione

ID 29y6wr

ISBN 9781471074813


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ISBN 978-1-4710-7481-3
Versione 2 | ID 29y6wr
Creato: 26 ago 2022
Modificato: 27 ago 2022
Libro, 135 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm), Standard Bianco e nero, 60# Bianco, Libro a copertina morbida, Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Informazioni sul copyright
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Titolo
PER AURORA volume terzo
Sottotitolo
Alla ricerca di belle storie d’amore
Collaboratori
Bruno Mancini
ISBN
978-1-4710-7481-3
Marchio editoriale
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Edizione
Edizione arricchita
Dichiarazione dettagliata di edizione ( / 255)

Licenza
Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
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Bruno Mancini
Anno del copyright
2022


Descrizione
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.
Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

Tabella dei contenuti
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.

“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

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