Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 8a puntata

Capitolo quinto

[…]

Molto probabilmente loro, gli emigranti erranti, al ritorno sull’isola compivano uguale servizio informativo per i miei familiari, i miei amici, e soprattutto per lei.

Non riuscivo ad immaginare quali novità carpissero nei fugaci incontri che ci concedevamo, né come le modellassero per renderle interessanti, ma certo ne facevano assiduo argomento lungo tutte le noiose giornate degli inverni ischitani trascorse al circolo sportivo giocando a maniglia:

Quando al Dottò gli ho confidato che è nato Isidoro, mi ha stretto il polso, fissato negli occhi e “Portami una foto. Non dirlo a nessuno. Ti prego” così ha detto “Ti prego”. Gliela porto. Me l’ha fatto giurare su mammà.»

In quegli anni di testarda determinazione, pur prestando scarsa attenzione alla cura della mia anima, compivo enormi sforzi tesi ad impedire che decelerassero gli intervalli delle pause di lavoro. Ne avevo bisogno. Esse erano necessarie a rendere accettabili le tenui ragioni in virtù delle quali riuscivo a non ribellarmi contro la serie di eventi, certamente per me spiacevoli, ma che nondimeno, se solo l’avessi voluto, sarei stato in grado di impedire anche con una semplice telefonata, un messaggio, una cartolina.

Fossi partito un anno dopo, il costo del mio dolore sarebbe stato il premio della mia attesa.

Soprattutto.

Il premio del suo dolore, la gioia della sua scelta.

Soprattutto.

Fossi partito un anno dopo, saremmo stati uniti e nostro figlio si sarebbe chiamato…

Giunse.

La telefonata con la quale Gilda accettava l’invito che le avevo scritto sul biglietto lasciato la sera prima alla cassa del bar, mi sembrò più un atto di cortesia che foriera di felici aspettative:

Disturbo? Sono Gilda.
Vado a prendere il pupo all’asilo, poi potremmo incontrarci alle giostre.
Alle cinque all’angolo della posta, va bene?»
Alle… Gilda… sì, sì va bene, benissimo…»

Tu tu tu tu…

La meraviglia per la rapidità con la quale mi aveva contattato, lo stupore per la docilità del suo seguire il mio desiderio senza porre domande, la scelta di andare in un luogo affollato dando adito a pettegolezzi, tutto ciò ed altro ancora, furono motivi che mi convinsero a credere che Gilda non aveva capito la ragione vera del mio invito.

Avvaloravo l’ipotesi che lei non aveva potuto comprendere le mie intenzioni in quanto non ero stato sufficientemente esplicito.

Esplicito?

Ammiccante.

Il Dottò vuole passare un po’ di tempo in giro prima di tornare nel castello della sua libertà.”, forse aveva pensato così.

Se il Dottò avesse una intenzione segreta non avrebbe scritto un biglietto, né tanto meno lo avrebbe consegnato aperto alla cassiera, dandole l’opportunità di leggerlo.

Uno che cerca un’amicizia più intima con una donna, non le chiede di uscire con il bambino.

Sarà in partenza per altri mille anni e vuole rinverdire ricordi passati.

Aveva ragione.
Tre, quattro, mille ragioni.
Decenni di raziocinanti eccessi, avevano inaridito finanche ogni mio elementare presupposto di comunicabilità.
Bravo!
Avevo speso gran parte della vita nella peggiore maniera.

Solo.

Solo, da solo.

Solo, da solo, senza essere solo.

Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.

Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:

Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli. Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»
 

Capitolo sesto

Lunedì 12 Agosto, ore dodici, alla civile formalità giuridica del nostro matrimonio mancavano solo cinque firme.

Meno cinque.

L’Assessore Delegato, doppio petto filo di scozia blu notte spagnola, cravatta parigina fucsia con animazioni americanizzate, camicia celeste cielo di primavera inoltrata lungo il fiume Danubio, calzini bianchi dei pastori greci di capre macedoni, scarpe con tacchi cinesi lacci coreani pelli di vacche australiane ed argentine e fodere d’antichi ricami persiani, egli, L’Assessore Delegato, baffo di limitate pretese ma oggetto d’innumerevoli caricature, democristiano, ex democristiano, felice sorridente, convinto assertore dei principi fondamentali ed inalienabili del matrimonio, del divorzio, della natura, della caccia e della pesca, delle zanzare e delle zoccole (topi, ratti, pantegane) giganti e ben nutrite, delle etnie marocchine e padane, della civiltà napoletana e padana, dell’Italia e della padania, della patria unita, della patria in pezzi regionali, della patria in pezzettini provinciali, della sua personalizzata minuscola patria comunale, egli, il Celebrante la Cerimonia Civile, terminato un breve discorsetto ufficiale (bella coppia, sono certo sarà un matrimonio modell… e simili cazzate), introdusse il rito laico delle firme sul registro.

Apponendovi la propria (elaborata in una schifezza d’immenso ghirigoro geroglifico) con ostentata teatralità, non creò disagio all’istantanea apparizione del ricordo nel quale mi rivedevo il pomeriggio dell’incontro alle giostre con Gilda.

Ho impegnato un secolo per decidermi a fare il primo passo.
Senza ribellarmi ho lasciato che la nostra amicizia giovanile, il nostro affetto, la reciproca irriducibile attrazione che ci dominava, scadessero in un algido rapporto tra il “Dottò” e la padrona dell’American bar.
Ho visto il tuo ed il mio amore, come su quella giostra, girare girare girare fino a perdere il senso dell’equilibrio, e non ho porto loro una mano a sostegno.
Devo recuperare non solo il tempo perduto, ma soprattutto il coraggio di esistere.
Sposiamoci domani.
Tu sai quanto ti amo.»

Così le avevo detto nel luna park aspettando che Isidoro terminasse un giro sul trenino.

-«Mamma mamma, è bellissimo, ci sono gli indiani e Manitù.»
Vuoi fare un altro giro?
Vai.
Dai il gettone all’uomo con la divisa rossa.
Vai.»

Gilda non mi aveva chiesto dove ci saremmo sposati o dove avremmo vissuto, né chi sarebbero stati i testimoni, nessuna domanda relativa al ristorante, al viaggio di nozze, alle foto, agli invitati, bomboniere, addobbi floreali, limousine, paggi paggetti, velo velette, musica cori coretti anelli… catene.

Nulla.

Gilda aveva iniziato dicendo:
Va bene…», poi aveva atteso che il pupo fosse lontano, ed allora, guardandomi negli occhi:
E lui?»

Sarà mio figlio.»

Continua lunedì prossimo

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Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

ARTEMENTE FLORENCE

Una stanza piena di fiori dipinti sull’armadio grigio.
Lampadario di fiori bianchi che addolcisce la tua presenza
nell’ambiente di una grande città medioevale “Firenze”.
Bell’Arno che scorre dolcemente verso il mare
come il flusso della vita che va inghiottito con la morte.
Volti sorridenti e profondi come i libri lasciati nelle stanze.
Artemente Florence è bello guardarti nello specchio della  stanza
di una porta che socchiude la tua intimità.
Vieni ed unisciti a noi per gustare queste dolci emozioni,
indelebili come il volto del nostro primo amore e del primo bacio,
colto come le primule di primavera che ricordano le lenzuola
profumate e riscaldate dal tepore della stanza, avvolgenti sulla pelle,
dopo una tempesta di tremenda pioggia notturna.

Angela Maria Tiberi
Presidente delegata Italia associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220117 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 7a puntata

Capitolo quinto

Da quel pomeriggio di sole arrogante e di buia solitudine, nel quale neanche il pudico esplicito invito di Gilda aveva ottenuto l’effetto di distogliere il mio proposito di partenza, non ero ritornato sull’isola se non in occasione di qualche festività, e non avevo mai cercato di incontrarla.

Neppure un contatto.

Nessuna corrispondenza, né una telefonata.

Perché farlo?

L’incontro dei nostri sentimenti avrebbe avuto necessità di ulteriore maturazione, d’altre vicende, per manifestare completamente l’attrazione che ci possedeva da sempre.

Un anno… due anni… il tempo indispensabile a che la fanciulla diventasse una donna.

Ma io ero partito troppo presto.

Lasciando incustodito l’unico fiore del mio giardino.

Tuttavia, ogni volta che gli strani incroci dei flussi migratori avevano condotto un qualche nostalgico compaesano dalle mie parti, dopo i convenevoli e le informazioni sulle condizioni delle nostre famiglie, immancabilmente, egli, chiunque fosse e per qualsiasi motivo si trovasse in viaggio,  mi parlava di lei.

Voci diverse in tempi a volte molto distanti tra loro, accontentando la mia inesauribile malcelata tristezza, riuscivano a farmi rivivere un lampo dell’essenzialità che avevo abbandonato con crudele autolesionismo.

Gilda la rossa.

Ha aperto un bar, il Ruk Ruk, frigge panzarotti ed arancini a bizzeffe.»

Ha fatto i soldi, si è comprata una casa con giardino e terrazzo, sai, nel vicolo della fontana.»

La notte di San Lorenzo si sono appostati quasi tutti i suoi pretendenti, una cinquantina, sul marciapiede di fronte al Ruk Ruk per farle sapere che se avessero visto cadere una stella, lei sarebbe stato il desiderio espresso.

Senza scorno.»

è sempre più focosa e appassionata, ma continua a non volere nessuno.»

Guglielmo ‘O Stuorto le ha detto che tu hai rinnovato il contratto di lavoro per altri cinque anni, si è messa a piangere e non si è vista in giro per tre giorni.»

 

Ha cambiato tutto il locale.

Ti spiegai com’era?

Adesso, come si dice, è un locale moderno.

Niente più panzarotti, sta aperto solo di notte, ha tolte le reti e le nasse dalle pareti, tutto nuovo, lucido, americano, la musica, i liquori, le sedie alte intorno al banco, le luci nascoste sotto i tavoli e dentro le bottiglie.

C’è scritto “GILDA, AMERICAN BAR.”»

Non si vede più a fare la spesa, a sculettare sul corso, a scegliere nei negozi una tovaglia da aggiungere al corredo.

Esce la sera e ritorna all’alba.

Da casa al locale e tutto il contrario.»

è venuto uno di un altro paese, parlava italiano spagnolo, si muoveva come una femmina, aveva una voce incupita e le mani più lunghe del normale, è entrato una sera da Gilda, e il domani in piazza comprava i fiori per lei.»

Gilda ha saputo che ti avevo incontrato e mi ha chiesto se era vero che avevi firmato per altri cinque anni.

Che le dovevo dire?

Le ho risposto “è vero”.

Mi ha detto “Vieni a bere una birra al nostro addio.” Che significava? Tu lo sai?»

Quel mezzo straniero le ronza intorno senza tregua.

Si vanta di aver combattuto in Viet Nam. Mostra spesso a tutti una ferita, secondo lui provocatagli dalle schegge di una mina.»

Ha la barba su tutta la faccia, si vede solo il naso e la fronte.

A me pare drogato.»

Rosina ha detto che Carmela ha detto che lei (Gilda) ha detto a lui (lo straniero) che lui le pareva una faccia conosciuta: “I tuoi occhi li ho già visti, la tua voce la conosco, ti muovi come… “ non ha specificato il nome, ma lei, Rosina, crede che Gilda stesse pensando a te.»

L’ha messa con la pancia, sì, come si dice, l’ha incinta, e appena l’ha saputo è sparito, squagliato. Nessuno ne ha più saputo niente… mi spiace per lei, ma è un grande stronzo, fa schifo.

Nemmeno un indirizzo ha lasciato. Un numero di telefono, nulla.

Svanito come al tocco di una bacchetta magica.»

Gilda lo chiama “Il Bastardo”.»

Il pupo è biondo, si chiama Isidoro.»

Continua lunedì prossimo

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Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Liga Sarah Lapinska intervista Ajub Ibragimov,

quinto classificato alla sezione “Arti grafiche” del Premio “Otto Milioni – 2021”

D: «Come fai a creare per così tanto tempo senza perdere il tuo sogno?
“Quali emozioni per il nostro Premio Made in Ischia “Otto milioni?»
R: «La cosa più importante nelle mie opere d’arte è l’idea.
L’arte digitale e la tecnologia digitale sono come una bacchetta magica nella mia mano, che mi permette di scegliere istantaneamente i colori e trasformare il mondo in cui viviamo.
Il mio stile di vita è: mi sveglio quasi ogni mattina con un’idea di cosa posso fare oggi. Mettermi in contatto, parlare e rimanere in contatto.
Ho creato circa 1000 opere d’arte. Ho regalato la maggior parte di loro. Quando vedo un sorriso e mi rendo conto che la mia opera sia piaciuta, ho la voglia subito di regalarla.
Circa 300 delle mie opere sono nella mia galleria personale.
Se non c’è segreto e scintilla nelle nostre opere d’arte, allora non sono commuoventi e vengono rapidamente dimenticate»
Ho partecipato al Premio”Otto milioni”organizzato dall’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” e io dico un grande grazie agli organizzatori invitando tutti a scrivere ancora e ancora di questo premio per non dimenticare. »
 
D: «Che cos’è il tempo?»
R: «Il tempo è un dono di Dio per noi.»

D: «Hai affrontato delle resistenze quando hai deciso di diventare un’artista?»
R: «Non ho incontrato resistenza attiva. Mio padre, che ora è morto, era un sacerdote musulmano. Secondo la religione musulmana non è permesso dipingere esseri viventi. Pertanto, mio ​​padre all’inizio non era contento della mia scelta, ma in seguito ha cercato di capirmi e mi ha persino sostenuto nello studio.»

D: «Come sei riuscito a stabilirti in Germania?»
R: «Sono in Germania da 19 anni e sto pensando di restare qui per tutta la vita.
Non appena sono arrivato, mi è stata data una casa in cui vivere e ho ricevuto assistenza medica per alleviare lo stress. Sono stato aiutato ad arrivare qui, ma mi sono impegnato molto.»

D: «Sei sempre rimasto in contatto con la tua gente nel Caucaso e con colleghi e amici in tutto il mondo?»
R: «Sono stato in contatto, in particolare, con l’artista Abu Pashaev e con il critico e storico d’arte Alvi Dakho.
In tutto il mondo, dall’India all’America, sono invitato alle mostre, ma non è possibile andare di persona ovunque.»
 
D: «Come riesci a organizzare le mostre?»
R: «A causa dei vincoli della pandemia di COVID ora è un problema organizzare mostre dal vivo. Le opere vengono toccate da adolescenti che hanno preferito quadri e grafiche a discoteche o concerti, così come da persone molto anziane che hanno desiderato guardarle.»

D: «Come vengono organizzate i master class?»
R: «Ai danzatori di lezginka viene mostrato un posto dove ballare. All’artista viene anche mostrato il suo posto per mostrare la sua maestria. Non importa quali colori sono a portata di mano in quel momento.»

D: «Quali idee hai come maestro di designi? Le tue astrazioni, così come la tua calligrafia, stanno benissimo su tessuti, costumi, tappeti, vasi, decorazioni per la casa. Ricevi suggerimenti?»
R: «L’interesse è grande e positivo. Tuttavia, nessun accordo è stato ancora raggiunto».

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

D: «Cosa ti dà la forza di vivere?»
R: «Possibilità di contatto e stima di creare. 
Va bene se l’artista ha la sua bottega, o almeno il suo spazio, dove può creare e sperimentare senza ostacoli. Energia e ispirazione diminuiscono nelle difficoltà della vita, così come quando non ci rendiamo più conto di ciò di cui abbiamo veramente bisogno. L’arte e la creazione sono lo stesso che l’amore.»

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

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Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

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Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

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Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110

 

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 6a puntata

Capitolo terzo

  […]
Forza, basta chiacchiere, vuttamm ‘e mane. A una voce.
Ohhh vai. Ohhh vai. Ohhh issa: Ohhh issa.
Metti uno scanno.
Vuttamme vuttamme.
Ohhh vai

I notturni lavoratori del fondo marino non si scandalizzarono più di tanto, quando notarono che mi ero steso a riva con scarpe e cravatta, mezzo dentro e mezzo fuori della risacca.

Le pratiche faticose della loro quotidianità non lasciavano balenare il flusso di emozioni che mi spingevano in quell’atteggiamento irrazionale e palesemente sconveniente.

Docile, m’immergevo tra i bisbigli della sabbia rotolante sulla sabbia e della spuma spruzzata sulla spuma, con la ragione offuscata dall’incontrollabile seducente rapimento di scrivere la prima poesia per Gilda.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda.

Mentre la risacca inzuppava gli indumenti che indossavo dalla mattina, e sussurrava tra i pensieri di una passione tanto antica quanto trascurata, procurandomi la sensazione di essere avvinghiato da un doppio gelido intruso, di colpo, l’inquietante dubbio di aver osato troppo mi fece barcollare e scivolare nel mare, fino alla gola.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda, quando ormai avevo già osato troppo!

Infatti, uscendo dal bar, la lunga malinconia cui avevo costretto, da sempre, la mia passione per la rossa inquilina di tutti i miei sogni, si era procurato un varco utile a lasciarle un biglietto.

Avevo lasciato per lei un biglietto alla cassa: “Quando potrò fare una passeggiata, cenare, andare alle giostre, al mare, con te ed il tuo bimbo?

Sarà bello.
Promesso.
Telefonami, 081081081.”

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Capitolo quarto

Le donne delle mie terre sono come le mie terre: arse e rigogliose, luccicanti discrete ed ammalianti, cangianti, vulcaniche, abbandonate sfruttate maltrattate vilipese, affascinanti nonostante tutto.

Le più belle del mondo per me che le vivo, fantastiche per i fortunati che riescono a raggiungerne le riservate essenze.

Tante volte mi ero invaghito delle une e delle altre!

Fin da ragazzo, durante ogni ritorno sull’isola, gustavo le metamorfosi, sia del caos cittadino da antichi equilibri pastorali, sia dei luminescenti palazzacci rapidamente mutati in scintillanti alberi stagliati tra un sole al tramonto e l’ombra di un ruvido promontorio.

Allo stesso modo, nei piacevoli abbandoni che permeavano i diversi percorsi d’avvicinamento alla mia isola, inserisco anche una lenta dissolvenza dell’incessante lamentoso miscuglio di suoni artificiali metropolitani.

Gli gnomi custodi degli antichi tesori naturali, e le gelose vestali addette alle tradizioni patriarcali, insieme abbarbicati sulle mie terre, lasciavano fluire, a poco a poco, bucolici chiarori ad incontaminati segnali acustici di ben definite presenze (pur se prodotti dai martelli e scalpelli vibranti fra le braccia indolenzite di baldi muratori), dai quali, l’attenzione con cui percorrevo le varie tappe che caratterizzavano i miei ritorni, distillava un fascinoso nettare di nostalgia.

Giungere una sera, una notte, da mille chilometri nel porto della mia infanzia era sempre stato uno scoppio d’amore per la mia attesa priva di lusinghe.

D’amore è troppo?
Va bene, allora, d’amore!

Ad ogni ripartenza, dopo una breve o lunga permanenza, quando ormai la contrada, i boschi e le marine già mi avevano riconsegnato il dono di trasformarsi nella mia seconda pelle, allora ogni volta, senza alcuna eccezione, mille volte, le ricordo tutte, poggiavo il piede sul battello con la triste certezza di amare una Maria Luisina Teresa Giuseppina… Gilda.

Gilda.

In un pomeriggio di luglio di tanti anni fa mi girava intorno, rincorsa dalla balia con in mano un piatto di polpettine, una bambina mingherlina e indisponente.

Gilda.

Non voleva mangiare, voleva mangiare alle sue condizioni, voleva mangiare ma sapeva che se avesse fatto meno moine non sarebbe stata inseguita, coccolata adulata.

Il giorno della mia promozione scolastica al ginnasio, avevo tredici anni, Gilda finì a rotolare veloce tra le ruote della bicicletta (che per quella occasione avevo ricevuto in regalo) ed i miei piedi, che a mala pena toccavano terra con la punta.

Ruzzolammo entrambi per terra.
Al Corso Colonna, davanti al bar Italia.
La balia mi ordinò, quasi un presagio: “Acchiappala.”

Crescendo, gli anni di differenza tra me e lei divennero meno vistosi, ma i percorsi delle nostre scelte si divaricarono in direzioni quasi mai congiunte.

Spilungona e scorbutica, da adolescente le prendeva e le dava senza piangere.

Come un vero maschiaccio rompeva il naso ai bulletti se la trattavano da femminuccia, salvo poi correre annaspando, una sera d’aprile, verso le mie gambe che reggevano la grossa moto avuta in regalo per l’ultimo esame universitario.

Il ragazzetto di turno, quasi un presagio, le urlò: “Acchiappalo, perché se parte rimani sola.”

Alcuni anni dopo, pur essendo consapevole di aver programmato una lunga, forse lunghissima lontananza, in me non vi era stata superbia decidendo di lasciare gli amici ed i luoghi cari senza voltarmi.

In quella occasione non fu assente dal caos del mio mondo interiore né il forte dispiacere di uscire dal palcoscenico delle spavalde passioni giovanili, né la consapevole testardaggine di rifiutare che mio padre continuasse a credersi padrone della mia vita.

L’aveva fatto per quasi un quarto di secolo, doveva bastargli.

Nel pomeriggio luminoso e silenzioso in cui, senza valigia e senza cappotto, m’incamminai verso il battello che mi avrebbe trasportato oltre il muro prigione dell’isolamento marino, sulla così detta terraferma, quel giorno, era il tre settembre di un anno bisestile, la mia partenza non mi apparteneva come una fuga superba, ma come il risultato della indomabile spinta di un dolore.

Gilda, nella sfacciata bellezza della sua fresca fioritura, rossa, accoccolata ad accarezzare una micina spelacchiata sulle scale di una banca, vedendomi camminare da solo e desiderando che le giungessi accanto, fece un cenno d’invito ed appoggiò la mano sul gradino, mostrando il posto al suo fianco dove avrei potuto sedere.

Tanto bastò alla gatta per scappare nella mia direzione.

Prima la bestiola e poi lei, non so se per inseguirla o per venirmi incontro di corsa, scivolarono rotolando tra le mie gambe.

Quasi fosse stato un presagio, la vicina chiesa sbatacchiò tutte le campane, la nave all’ormeggio fischiò con tutti i fumaioli, l’allarme antifurto sconquassò le vetrate dell’istituto di credito, mentre un tassista di passaggio pigiando il clacson come si usa al corteo di una sposa, rideva rideva rideva suonava suonava suonava diceva diceva diceva “Acchiappala acchiappalo acchiappala acchiappalo.”

https://www.emmegiischia.com/wordpress/bruno-mancini/prose/per-aurora-vol.3/

Continua lunedì prossimo

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

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LA VOCE DI CIRCE: “A Ischia l’incanto ti punge gli occhi per quanto è immenso.”

Il romanzo epistolare “La voce di Circe”, scritto da Lucia Fusco, edito da Senso Inversi, è il racconto dell’affascinante storia d’amore tra Mariano e Elettra.

Mariano vive a Caracas mentre Elettra vive a Roma.
Un racconto dell’emigrazione in Venezuela, avvenuta prima della seconda guerra mondiale, dei genitori di Mariano provenienti dalla Basilicata.

Elettra sposata, ma separata dal marito viziato e maldestro, incontra Mariano a Roma.

Il romanzo epistolare è ricco di altri personaggi importanti collegati ai due protagonisti.

Il ritmo della lettura segue l’avvicendarsi delle stagioni, travolge con la profondità delle passioni.

Lo stile è discorsivo, elegante e scorrevole.

L’autrice ci porta a conoscere le bellezze di Roma, dell’Agro Pontino, e dell’isola d’Ischia scrivendo, tra l’altro “A  Ischia l’incanto ti punge gli occhi per quanto è immenso. Non sai dove riposare lo sguardo. Salire sul monte Epomeo è stato emozionante, avevo tanti ricordi di questo luogo, ci ero stata da ragazzina con i miei genitori e con Ferruccio, mi ricordavi di questo tempio della natura, dicono che qui si trovi una porta magica, Agartha, che conduce al centro della terra dove esiste un mondo sotterraneo. Dalla cittadina di Serrara Fontana abbiamo […].

La Voce di Circe è una storia intensa, con finale da scoprire.

Facciamo gli auguri alla scrittrice Lucia Fusco, Vice Presidente delegata Italia dell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” per un sicuro successo editoriale.

Angela Maria Tiberi

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

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DILA

NUSIV

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Il Dispari 20220117 – Redazione culturale DILA

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Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 7a puntata

Capitolo quinto

Da quel pomeriggio di sole arrogante e di buia solitudine, nel quale neanche il pudico esplicito invito di Gilda aveva ottenuto l’effetto di distogliere il mio proposito di partenza, non ero ritornato sull’isola se non in occasione di qualche festività, e non avevo mai cercato di incontrarla.

Neppure un contatto.

Nessuna corrispondenza, né una telefonata.

Perché farlo?

L’incontro dei nostri sentimenti avrebbe avuto necessità di ulteriore maturazione, d’altre vicende, per manifestare completamente l’attrazione che ci possedeva da sempre.

Un anno… due anni… il tempo indispensabile a che la fanciulla diventasse una donna.

Ma io ero partito troppo presto.

Lasciando incustodito l’unico fiore del mio giardino.

Tuttavia, ogni volta che gli strani incroci dei flussi migratori avevano condotto un qualche nostalgico compaesano dalle mie parti, dopo i convenevoli e le informazioni sulle condizioni delle nostre famiglie, immancabilmente, egli, chiunque fosse e per qualsiasi motivo si trovasse in viaggio,  mi parlava di lei.

Voci diverse in tempi a volte molto distanti tra loro, accontentando la mia inesauribile malcelata tristezza, riuscivano a farmi rivivere un lampo dell’essenzialità che avevo abbandonato con crudele autolesionismo.

Gilda la rossa.

Ha aperto un bar, il Ruk Ruk, frigge panzarotti ed arancini a bizzeffe.»

Ha fatto i soldi, si è comprata una casa con giardino e terrazzo, sai, nel vicolo della fontana.»

La notte di San Lorenzo si sono appostati quasi tutti i suoi pretendenti, una cinquantina, sul marciapiede di fronte al Ruk Ruk per farle sapere che se avessero visto cadere una stella, lei sarebbe stato il desiderio espresso.

Senza scorno.»

è sempre più focosa e appassionata, ma continua a non volere nessuno.»

Guglielmo ‘O Stuorto le ha detto che tu hai rinnovato il contratto di lavoro per altri cinque anni, si è messa a piangere e non si è vista in giro per tre giorni.»

 

Ha cambiato tutto il locale.

Ti spiegai com’era?

Adesso, come si dice, è un locale moderno.

Niente più panzarotti, sta aperto solo di notte, ha tolte le reti e le nasse dalle pareti, tutto nuovo, lucido, americano, la musica, i liquori, le sedie alte intorno al banco, le luci nascoste sotto i tavoli e dentro le bottiglie.

C’è scritto “GILDA, AMERICAN BAR.”»

Non si vede più a fare la spesa, a sculettare sul corso, a scegliere nei negozi una tovaglia da aggiungere al corredo.

Esce la sera e ritorna all’alba.

Da casa al locale e tutto il contrario.»

è venuto uno di un altro paese, parlava italiano spagnolo, si muoveva come una femmina, aveva una voce incupita e le mani più lunghe del normale, è entrato una sera da Gilda, e il domani in piazza comprava i fiori per lei.»

Gilda ha saputo che ti avevo incontrato e mi ha chiesto se era vero che avevi firmato per altri cinque anni.

Che le dovevo dire?

Le ho risposto “è vero”.

Mi ha detto “Vieni a bere una birra al nostro addio.” Che significava? Tu lo sai?»

Quel mezzo straniero le ronza intorno senza tregua.

Si vanta di aver combattuto in Viet Nam. Mostra spesso a tutti una ferita, secondo lui provocatagli dalle schegge di una mina.»

Ha la barba su tutta la faccia, si vede solo il naso e la fronte.

A me pare drogato.»

Rosina ha detto che Carmela ha detto che lei (Gilda) ha detto a lui (lo straniero) che lui le pareva una faccia conosciuta: “I tuoi occhi li ho già visti, la tua voce la conosco, ti muovi come… “ non ha specificato il nome, ma lei, Rosina, crede che Gilda stesse pensando a te.»

L’ha messa con la pancia, sì, come si dice, l’ha incinta, e appena l’ha saputo è sparito, squagliato. Nessuno ne ha più saputo niente… mi spiace per lei, ma è un grande stronzo, fa schifo.

Nemmeno un indirizzo ha lasciato. Un numero di telefono, nulla.

Svanito come al tocco di una bacchetta magica.»

Gilda lo chiama “Il Bastardo”.»

Il pupo è biondo, si chiama Isidoro.»

Continua lunedì prossimo

https://www.emmegiischia.com/wordpress/bruno-mancini/prose/per-aurora-vol.3/

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Liga Sarah Lapinska intervista Ajub Ibragimov,

quinto classificato alla sezione “Arti grafiche” del Premio “Otto Milioni – 2021”

D: «Come fai a creare per così tanto tempo senza perdere il tuo sogno?
“Quali emozioni per il nostro Premio Made in Ischia “Otto milioni?»
R: «La cosa più importante nelle mie opere d’arte è l’idea.
L’arte digitale e la tecnologia digitale sono come una bacchetta magica nella mia mano, che mi permette di scegliere istantaneamente i colori e trasformare il mondo in cui viviamo.
Il mio stile di vita è: mi sveglio quasi ogni mattina con un’idea di cosa posso fare oggi. Mettermi in contatto, parlare e rimanere in contatto.
Ho creato circa 1000 opere d’arte. Ho regalato la maggior parte di loro. Quando vedo un sorriso e mi rendo conto che la mia opera sia piaciuta, ho la voglia subito di regalarla.
Circa 300 delle mie opere sono nella mia galleria personale.
Se non c’è segreto e scintilla nelle nostre opere d’arte, allora non sono commuoventi e vengono rapidamente dimenticate»
Ho partecipato al Premio”Otto milioni”organizzato dall’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” e io dico un grande grazie agli organizzatori invitando tutti a scrivere ancora e ancora di questo premio per non dimenticare. »
 
D: «Che cos’è il tempo?»
R: «Il tempo è un dono di Dio per noi.»

D: «Hai affrontato delle resistenze quando hai deciso di diventare un’artista?»
R: «Non ho incontrato resistenza attiva. Mio padre, che ora è morto, era un sacerdote musulmano. Secondo la religione musulmana non è permesso dipingere esseri viventi. Pertanto, mio ​​padre all’inizio non era contento della mia scelta, ma in seguito ha cercato di capirmi e mi ha persino sostenuto nello studio.»

D: «Come sei riuscito a stabilirti in Germania?»
R: «Sono in Germania da 19 anni e sto pensando di restare qui per tutta la vita.
Non appena sono arrivato, mi è stata data una casa in cui vivere e ho ricevuto assistenza medica per alleviare lo stress. Sono stato aiutato ad arrivare qui, ma mi sono impegnato molto.»

D: «Sei sempre rimasto in contatto con la tua gente nel Caucaso e con colleghi e amici in tutto il mondo?»
R: «Sono stato in contatto, in particolare, con l’artista Abu Pashaev e con il critico e storico d’arte Alvi Dakho.
In tutto il mondo, dall’India all’America, sono invitato alle mostre, ma non è possibile andare di persona ovunque.»
 
D: «Come riesci a organizzare le mostre?»
R: «A causa dei vincoli della pandemia di COVID ora è un problema organizzare mostre dal vivo. Le opere vengono toccate da adolescenti che hanno preferito quadri e grafiche a discoteche o concerti, così come da persone molto anziane che hanno desiderato guardarle.»

D: «Come vengono organizzate i master class?»
R: «Ai danzatori di lezginka viene mostrato un posto dove ballare. All’artista viene anche mostrato il suo posto per mostrare la sua maestria. Non importa quali colori sono a portata di mano in quel momento.»

D: «Quali idee hai come maestro di designi? Le tue astrazioni, così come la tua calligrafia, stanno benissimo su tessuti, costumi, tappeti, vasi, decorazioni per la casa. Ricevi suggerimenti?»
R: «L’interesse è grande e positivo. Tuttavia, nessun accordo è stato ancora raggiunto».

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

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D: «Cosa ti dà la forza di vivere?»
R: «Possibilità di contatto e stima di creare. 
Va bene se l’artista ha la sua bottega, o almeno il suo spazio, dove può creare e sperimentare senza ostacoli. Energia e ispirazione diminuiscono nelle difficoltà della vita, così come quando non ci rendiamo più conto di ciò di cui abbiamo veramente bisogno. L’arte e la creazione sono lo stesso che l’amore.»

Il Dispari 20220117

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Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110

 

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 6a puntata

Capitolo terzo

  […]
Forza, basta chiacchiere, vuttamm ‘e mane. A una voce.
Ohhh vai. Ohhh vai. Ohhh issa: Ohhh issa.
Metti uno scanno.
Vuttamme vuttamme.
Ohhh vai

I notturni lavoratori del fondo marino non si scandalizzarono più di tanto, quando notarono che mi ero steso a riva con scarpe e cravatta, mezzo dentro e mezzo fuori della risacca.

Le pratiche faticose della loro quotidianità non lasciavano balenare il flusso di emozioni che mi spingevano in quell’atteggiamento irrazionale e palesemente sconveniente.

Docile, m’immergevo tra i bisbigli della sabbia rotolante sulla sabbia e della spuma spruzzata sulla spuma, con la ragione offuscata dall’incontrollabile seducente rapimento di scrivere la prima poesia per Gilda.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda.

Mentre la risacca inzuppava gli indumenti che indossavo dalla mattina, e sussurrava tra i pensieri di una passione tanto antica quanto trascurata, procurandomi la sensazione di essere avvinghiato da un doppio gelido intruso, di colpo, l’inquietante dubbio di aver osato troppo mi fece barcollare e scivolare nel mare, fino alla gola.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda, quando ormai avevo già osato troppo!

Infatti, uscendo dal bar, la lunga malinconia cui avevo costretto, da sempre, la mia passione per la rossa inquilina di tutti i miei sogni, si era procurato un varco utile a lasciarle un biglietto.

Avevo lasciato per lei un biglietto alla cassa: “Quando potrò fare una passeggiata, cenare, andare alle giostre, al mare, con te ed il tuo bimbo?

Sarà bello.
Promesso.
Telefonami, 081081081.”

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Capitolo quarto

Le donne delle mie terre sono come le mie terre: arse e rigogliose, luccicanti discrete ed ammalianti, cangianti, vulcaniche, abbandonate sfruttate maltrattate vilipese, affascinanti nonostante tutto.

Le più belle del mondo per me che le vivo, fantastiche per i fortunati che riescono a raggiungerne le riservate essenze.

Tante volte mi ero invaghito delle une e delle altre!

Fin da ragazzo, durante ogni ritorno sull’isola, gustavo le metamorfosi, sia del caos cittadino da antichi equilibri pastorali, sia dei luminescenti palazzacci rapidamente mutati in scintillanti alberi stagliati tra un sole al tramonto e l’ombra di un ruvido promontorio.

Allo stesso modo, nei piacevoli abbandoni che permeavano i diversi percorsi d’avvicinamento alla mia isola, inserisco anche una lenta dissolvenza dell’incessante lamentoso miscuglio di suoni artificiali metropolitani.

Gli gnomi custodi degli antichi tesori naturali, e le gelose vestali addette alle tradizioni patriarcali, insieme abbarbicati sulle mie terre, lasciavano fluire, a poco a poco, bucolici chiarori ad incontaminati segnali acustici di ben definite presenze (pur se prodotti dai martelli e scalpelli vibranti fra le braccia indolenzite di baldi muratori), dai quali, l’attenzione con cui percorrevo le varie tappe che caratterizzavano i miei ritorni, distillava un fascinoso nettare di nostalgia.

Giungere una sera, una notte, da mille chilometri nel porto della mia infanzia era sempre stato uno scoppio d’amore per la mia attesa priva di lusinghe.

D’amore è troppo?
Va bene, allora, d’amore!

Ad ogni ripartenza, dopo una breve o lunga permanenza, quando ormai la contrada, i boschi e le marine già mi avevano riconsegnato il dono di trasformarsi nella mia seconda pelle, allora ogni volta, senza alcuna eccezione, mille volte, le ricordo tutte, poggiavo il piede sul battello con la triste certezza di amare una Maria Luisina Teresa Giuseppina… Gilda.

Gilda.

In un pomeriggio di luglio di tanti anni fa mi girava intorno, rincorsa dalla balia con in mano un piatto di polpettine, una bambina mingherlina e indisponente.

Gilda.

Non voleva mangiare, voleva mangiare alle sue condizioni, voleva mangiare ma sapeva che se avesse fatto meno moine non sarebbe stata inseguita, coccolata adulata.

Il giorno della mia promozione scolastica al ginnasio, avevo tredici anni, Gilda finì a rotolare veloce tra le ruote della bicicletta (che per quella occasione avevo ricevuto in regalo) ed i miei piedi, che a mala pena toccavano terra con la punta.

Ruzzolammo entrambi per terra.
Al Corso Colonna, davanti al bar Italia.
La balia mi ordinò, quasi un presagio: “Acchiappala.”

Crescendo, gli anni di differenza tra me e lei divennero meno vistosi, ma i percorsi delle nostre scelte si divaricarono in direzioni quasi mai congiunte.

Spilungona e scorbutica, da adolescente le prendeva e le dava senza piangere.

Come un vero maschiaccio rompeva il naso ai bulletti se la trattavano da femminuccia, salvo poi correre annaspando, una sera d’aprile, verso le mie gambe che reggevano la grossa moto avuta in regalo per l’ultimo esame universitario.

Il ragazzetto di turno, quasi un presagio, le urlò: “Acchiappalo, perché se parte rimani sola.”

Alcuni anni dopo, pur essendo consapevole di aver programmato una lunga, forse lunghissima lontananza, in me non vi era stata superbia decidendo di lasciare gli amici ed i luoghi cari senza voltarmi.

In quella occasione non fu assente dal caos del mio mondo interiore né il forte dispiacere di uscire dal palcoscenico delle spavalde passioni giovanili, né la consapevole testardaggine di rifiutare che mio padre continuasse a credersi padrone della mia vita.

L’aveva fatto per quasi un quarto di secolo, doveva bastargli.

Nel pomeriggio luminoso e silenzioso in cui, senza valigia e senza cappotto, m’incamminai verso il battello che mi avrebbe trasportato oltre il muro prigione dell’isolamento marino, sulla così detta terraferma, quel giorno, era il tre settembre di un anno bisestile, la mia partenza non mi apparteneva come una fuga superba, ma come il risultato della indomabile spinta di un dolore.

Gilda, nella sfacciata bellezza della sua fresca fioritura, rossa, accoccolata ad accarezzare una micina spelacchiata sulle scale di una banca, vedendomi camminare da solo e desiderando che le giungessi accanto, fece un cenno d’invito ed appoggiò la mano sul gradino, mostrando il posto al suo fianco dove avrei potuto sedere.

Tanto bastò alla gatta per scappare nella mia direzione.

Prima la bestiola e poi lei, non so se per inseguirla o per venirmi incontro di corsa, scivolarono rotolando tra le mie gambe.

Quasi fosse stato un presagio, la vicina chiesa sbatacchiò tutte le campane, la nave all’ormeggio fischiò con tutti i fumaioli, l’allarme antifurto sconquassò le vetrate dell’istituto di credito, mentre un tassista di passaggio pigiando il clacson come si usa al corteo di una sposa, rideva rideva rideva suonava suonava suonava diceva diceva diceva “Acchiappala acchiappalo acchiappala acchiappalo.”

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Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

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LA VOCE DI CIRCE: “A Ischia l’incanto ti punge gli occhi per quanto è immenso.”

Il romanzo epistolare “La voce di Circe”, scritto da Lucia Fusco, edito da Senso Inversi, è il racconto dell’affascinante storia d’amore tra Mariano e Elettra.

Mariano vive a Caracas mentre Elettra vive a Roma.
Un racconto dell’emigrazione in Venezuela, avvenuta prima della seconda guerra mondiale, dei genitori di Mariano provenienti dalla Basilicata.

Elettra sposata, ma separata dal marito viziato e maldestro, incontra Mariano a Roma.

Il romanzo epistolare è ricco di altri personaggi importanti collegati ai due protagonisti.

Il ritmo della lettura segue l’avvicendarsi delle stagioni, travolge con la profondità delle passioni.

Lo stile è discorsivo, elegante e scorrevole.

L’autrice ci porta a conoscere le bellezze di Roma, dell’Agro Pontino, e dell’isola d’Ischia scrivendo, tra l’altro “A  Ischia l’incanto ti punge gli occhi per quanto è immenso. Non sai dove riposare lo sguardo. Salire sul monte Epomeo è stato emozionante, avevo tanti ricordi di questo luogo, ci ero stata da ragazzina con i miei genitori e con Ferruccio, mi ricordavi di questo tempio della natura, dicono che qui si trovi una porta magica, Agartha, che conduce al centro della terra dove esiste un mondo sotterraneo. Dalla cittadina di Serrara Fontana abbiamo […].

La Voce di Circe è una storia intensa, con finale da scoprire.

Facciamo gli auguri alla scrittrice Lucia Fusco, Vice Presidente delegata Italia dell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” per un sicuro successo editoriale.

Angela Maria Tiberi

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20220103

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma. 5a puntata

Capitolo terzo

Troncai di botto elucubrazioni e sotto insiemi di pensieri, ansiti interiori per timorosi accumuli d’indecenti indecisioni e contrapposte mature certezze mai esaminate con compiutezza, virtuose virtù precipitate in una quotidianità brutalmente anonima e… uscii.

Uscii.

Non mi mossi in cerca di avventure.

Non avevo deciso di costruire la notte più bella della mia esistenza.

Ai miei passi mancava l’intenzione di reiterare assalti a Ciccioline con poche pretese ed illimitate dedizioni. Né tanto meno, la cadenza monotona dell’andatura mi spingeva verso l’alcova di qualche indimenticabile gheiscia trasferita nella mia isola dalle fantasticherie, finanche eccessive e perverse ma giammai sguaiate, disseminate tra le balere notturne nell’arrendevole Budapest degli anni ottanta.

Le notti senza stelle delle mie peregrinazioni epicuree!

Neppure volevo mortificare i teneri boccioli, o forse solo appendici irrilevanti, che piccoli corpi anonimi offrivano entro bettole, di facili identificazioni per le insegne con gli ideogrammi del lontano oriente, affogate nei fumi e nella coca.

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Ne avrei avuto buon motivo, considerando gli onori che il giorno prima mi aveva generosamente elargito la mia cara amica Aurora, la donna guascona, la “Signora”.

Oltre tutto, percepivo ancora, incalzante, scandito in un ticchettio mentale, ogni singolo minuto che aveva caratterizzato la fase finale di quell’avvincente incredibile avventura, iniziata, quasi per caso, dalla improvvisa ed inaspettata telefonata con la quale Aurora mi aveva comunicato di essere stato “convocato”.

Quei momenti mi apparivano ancora scandire le ansie, per tutti i densi fardelli di domande senza risposte e di desideri irrealizzabili, che mi avevano oppresso durante il conto alla rovescia iniziato da meno quindici alla presenza d’Ignazio.

Cosa sono quindici minuti per risolvere un passaggio dalla vita alla morte?

Sono molti?

Sono pochi?

Sono sufficienti?

A chi affidarsi nel quarto d’ora che un cieco destino ci conceda prima di traghettare la nostra mente in un sito ignoto?

Ai maghi?

Ai demiurghi?

Agli amici?

Nell’incalzante ossessione delle lancette, per novecento secondi, novecento battiti senza pause. Nella successione, tic tac, in altre occasioni ritenuta finanche monotona, ridicola.

Quali risorse attivare per trasformare l’origine del battito assassino degli ultimi minuti, in ordigno auto distruggente?

Soldi?

Potere?

Impegno?

Uscii per cercare una spiegazione alla improvvisa, inusuale, sensazione di solitudine

Piano piano, passo dopo passi, lemme lemme, lemme lemme, passo dopo passi, piano piano, mi ritrovai appoggiato al banco rivestito con formica azzurra del bar in Via Colonna, davanti al quale, poche ore prima, avevo imparato dalla bella Gilda che non tutte le birre si possono bere in un sorso solo.

Lei non c’era. Non era tardi. Le dieci di sera ad Ischia potrebbero essere paragonate alle ore antecedenti l’alba per Milano.

Non la vidi o non c’era?

Alla cassa una ragazzona squintalata.

Troppi gelati?

Poco sport?

Spaghetti a gogo?

Disfunzione Epomeidea?

Su uno sgabello giallo (tre piedi di ferro verniciato a fuoco, un cerchio di plastica rossa, lo stemma di una marca di gelati multinazionali super popolari come la mia birra), un bimbo biondo con boccoli sciolti fino alle spalle, dondolava le gambe, guardando la TV e succhiando un ghiacciolo.

Lo conoscevo.

L’uomo al tavolo d’angolo, con la sigaretta mai spenta bruciacchiata nei baffi e tra le dita, era noto a tutti.

Tre quarti degli indigeni, ed un terzo dei villeggianti, avevano almeno sentito parlare del Principe Innocente.

Lei non c’era o non la vedevo.

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Accostandomi con finta disattenzione alla porta semichiusa che introduceva al locale “Privato” (un mini ambiente adattato ad ufficio, spogliatoio, deposito, officina), vi detti una sbirciata. Lei non c’era.

Al banco bar, Gianni serviva da bere e folleggiava da solo…

E lei, Gilda?

Non lo sapevo, forse non lo sapevo, credo che forse non sapevo di essere lì per lei.

Ero lì per lei e non lo sapevo, penso che io non sapessi di essere lì per lei, credo ecc.

Gilda.

Tornai verso casa con una nuova euforia, poco consona sia al mancato incontro con l’esuberante vitalità della rossa Gilda, sia alla robusta delusione di non aver neppure tentato una soluzione per il quesito che mi aveva turbato all’uscita di Geltrude dalla stanza. Una serata nottata no, negativa, eppure non deprimente.

Era una specie d’infantile beatitudine, un compiacimento.

Una serata – nottata quasi goliardica, da filone scolastico. Mai successo da decenni.

Vi aggiungeva un pizzico di fisica piacevolezza anche il forte vento di ponente, che s’insinuava tra le barche cariche di nasse pronte a prendere il mare. Non era la solita brezza che rinfresca, un attimo prima dell’alba, le notti delle afose estati ischitane, no, non era una brezza passeggera.

Come una giovanile compagna d’avventure, chiacchierona, l’aria, fluendo, mi soffiava la sua vitalità nel naso tra gli occhi nella bocca e sulla pelle.

La salsedine portata dal vento, quasi riempiva le rughe lasciate scoperte sul mio viso dal taglio della barba – barbona – barbaccia che fino a pochi giorni prima infoltiva grigiastra.

Il profumo delle praterie di posidonie, nastriformi ripari per gli scorfani e le mormore durante gl’inseguimenti subacquei che avevo concluso quasi sempre senza prede nell’ultima estate trascorsa ad Ischia, ad ogni più forte refolo dell’incipiente buriana – Don Chisciotte contro i mulini -, si accaniva contro i malefici aromi di sigari e sigarette inzuppati nei peli e nelle cartilagini del mio naso nasone nasaccio.

Soffiava forte, non era una brezza, il vento di ponente, a raffiche dolorose per gli occhi che trattenevo aperti, ed intanto umettava, con una soffusa vaporosità, le mie labbra socchiuse, quasi in un bacio. Nell’abbraccio malizioso di una prima volta.

Avevo preferito ritirarmi passando sulle passerelle di legno a ridosso degli scogli scuriti dalla luna al tramonto oltre la collina, piuttosto che opprimere maggiormente, con un percorso più usuale, la delusione di non aver tolto neppure un grammo al dilemma del mio sentirmi solo.

Tutti i più anziani pescatori conservavano, in precisi ricordi, le stravaganze giovanili delle mie sortite notturne. Iniziando dai modi con i quali, di solito, avevo cercato fisicamente i contatti con la natura, fino alle domande che ponevo. Anch’esse, dal loro punto di vista, erano sempre state considerate ben strane e strampalate.

è bravo, ma è un po’ matto» dicevano di me parlando tra loro.

L’amante l’ha lasciato per un marocchino indiano. Io l’ho visto sul pontile, aveva i capelli come quelli dei film, lisci azzeccati e neri, non scuri, neri.

Lui era stato fuori per lavoro, lo sai com’è, viaggia, scrive, legge, cambia albergo.»

Non ha mai avuto amanti, che dici.»

Che ne sai tu, tutte balle…»

Mi chiamo Totonno ‘O Saragone perché so tutto di te di lui come dei saraghi e delle spigole.»

Non ci credo, è sempre stato sballato.»

Da piccolo me lo ricordo in bicicletta fare gare con la carrozza della buonanima di Bastiano.

Che ti credi che non lo conosco? Non ha mai avuto un’amante. Forse era una segretaria.»

Tutti lo sappiamo. Ne aveva tante.»

-« è stato sempre così. 

Bravo. Bravo. Brav’uomo. Buongiorno, buonasera, buonanotte, buono tutto, ma non si è mai sporcato le mani a spingere una barca.

Lui dice: “Buongiorno, vuoi una sigaretta? A chi appartieni? Quanti figli hai?”

Non capisce che le barche non funzionano con le parole. Ci vuole sudore e fatica.

E mo’ sta peggio, chi sa perché.»

Cirù, Ciruzzo O Schifo, tu e Totonno non avete capito nu’ cazzo.

Non siete informati.

Non devo chiamarmi più Emilio Tressette E Maniglia se non è vero che sta così per quello che iss ha scoperto ora che è tornato dall’ultimo viaggio. L’avevano chiamato apposta, loro dicono “convocato”.

La sapete la nipote di Nicola Sindacato? Parlava con l’amante di Nicola Sindacato, Rosita Cascettella, guardava le persiane chiuse del Dotto’ e diceva piano piano: “è figlio della colpa. Sicuro. Ho sentito che ascoltava… parlavano zitto zitto… con uno mai visto che però gli somigliava, e che gli diceva: tuo padre non è lui, tua madre è lei, noi siamo fratelli. Gli ha detto proprio così, io stavo dietro la porta, noi siamo fratelli.

Quando due sono fratelli si conoscono, è vero Rosita?

Se non si conoscono è perché non si sanno. O no?  E sono figli di puttana”

La nipote di Nicola così ha detto, proprio così: figli di puttana.»

Forza, basta chiacchiere, vuttamm ‘e mane. A una voce.

Ohhh vai. Ohhh vai. Ohhh issa: Ohhh issa.

Metti uno scanno.

Vuttamme vuttamme.

Ohhh vai

I notturni lavoratori del fondo marino non si scandalizzarono più di tanto, quando notarono che mi ero steso a riva con scarpe e cravatta, mezzo dentro e mezzo fuori della risacca.

Le pratiche faticose della loro quotidianità non lasciavano balenare il flusso di emozioni che mi spingevano in quell’atteggiamento irrazionale e palesemente sconveniente.

Docile, m’immergevo tra i bisbigli della sabbia rotolante sulla sabbia e della spuma spruzzata sulla spuma, con la ragione offuscata dall’incontrollabile seducente rapimento di scrivere la prima poesia per Gilda.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda.

Mentre la risacca inzuppava gli indumenti che indossavo dalla mattina, e sussurrava tra i pensieri di una passione tanto antica quanto trascurata, procurandomi la sensazione di essere avvinghiato da un doppio gelido intruso, di colpo, l’inquietante dubbio di aver osato troppo mi fece barcollare e scivolare nel mare, fino alla gola.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda, quando ormai avevo già osato troppo!

Infatti, uscendo dal bar, la lunga malinconia cui avevo costretto, da sempre, la mia passione per la rossa inquilina di tutti i miei sogni, si era procurato un varco utile a lasciarle un biglietto.

Avevo lasciato per lei un biglietto alla cassa: “Quando potrò fare una passeggiata, cenare, andare alle giostre, al mare, con te ed il tuo bimbo?

Sarà bello.

Promesso.

Telefonami, 081081081.”

 

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DILA

NUSIV

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Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 6a puntata

Capitolo terzo

  […]
Forza, basta chiacchiere, vuttamm ‘e mane. A una voce.
Ohhh vai. Ohhh vai. Ohhh issa: Ohhh issa.
Metti uno scanno.
Vuttamme vuttamme.
Ohhh vai

I notturni lavoratori del fondo marino non si scandalizzarono più di tanto, quando notarono che mi ero steso a riva con scarpe e cravatta, mezzo dentro e mezzo fuori della risacca.

Le pratiche faticose della loro quotidianità non lasciavano balenare il flusso di emozioni che mi spingevano in quell’atteggiamento irrazionale e palesemente sconveniente.

Docile, m’immergevo tra i bisbigli della sabbia rotolante sulla sabbia e della spuma spruzzata sulla spuma, con la ragione offuscata dall’incontrollabile seducente rapimento di scrivere la prima poesia per Gilda.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda.

Mentre la risacca inzuppava gli indumenti che indossavo dalla mattina, e sussurrava tra i pensieri di una passione tanto antica quanto trascurata, procurandomi la sensazione di essere avvinghiato da un doppio gelido intruso, di colpo, l’inquietante dubbio di aver osato troppo mi fece barcollare e scivolare nel mare, fino alla gola.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda, quando ormai avevo già osato troppo!

Infatti, uscendo dal bar, la lunga malinconia cui avevo costretto, da sempre, la mia passione per la rossa inquilina di tutti i miei sogni, si era procurato un varco utile a lasciarle un biglietto.

Avevo lasciato per lei un biglietto alla cassa: “Quando potrò fare una passeggiata, cenare, andare alle giostre, al mare, con te ed il tuo bimbo?

Sarà bello.
Promesso.
Telefonami, 081081081.”

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Capitolo quarto

Le donne delle mie terre sono come le mie terre: arse e rigogliose, luccicanti discrete ed ammalianti, cangianti, vulcaniche, abbandonate sfruttate maltrattate vilipese, affascinanti nonostante tutto.

Le più belle del mondo per me che le vivo, fantastiche per i fortunati che riescono a raggiungerne le riservate essenze.

Tante volte mi ero invaghito delle une e delle altre!

Fin da ragazzo, durante ogni ritorno sull’isola, gustavo le metamorfosi, sia del caos cittadino da antichi equilibri pastorali, sia dei luminescenti palazzacci rapidamente mutati in scintillanti alberi stagliati tra un sole al tramonto e l’ombra di un ruvido promontorio.

Allo stesso modo, nei piacevoli abbandoni che permeavano i diversi percorsi d’avvicinamento alla mia isola, inserisco anche una lenta dissolvenza dell’incessante lamentoso miscuglio di suoni artificiali metropolitani.

Gli gnomi custodi degli antichi tesori naturali, e le gelose vestali addette alle tradizioni patriarcali, insieme abbarbicati sulle mie terre, lasciavano fluire, a poco a poco, bucolici chiarori ad incontaminati segnali acustici di ben definite presenze (pur se prodotti dai martelli e scalpelli vibranti fra le braccia indolenzite di baldi muratori), dai quali, l’attenzione con cui percorrevo le varie tappe che caratterizzavano i miei ritorni, distillava un fascinoso nettare di nostalgia.

Giungere una sera, una notte, da mille chilometri nel porto della mia infanzia era sempre stato uno scoppio d’amore per la mia attesa priva di lusinghe.

D’amore è troppo?
Va bene, allora, d’amore!

Ad ogni ripartenza, dopo una breve o lunga permanenza, quando ormai la contrada, i boschi e le marine già mi avevano riconsegnato il dono di trasformarsi nella mia seconda pelle, allora ogni volta, senza alcuna eccezione, mille volte, le ricordo tutte, poggiavo il piede sul battello con la triste certezza di amare una Maria Luisina Teresa Giuseppina… Gilda.

Gilda.

In un pomeriggio di luglio di tanti anni fa mi girava intorno, rincorsa dalla balia con in mano un piatto di polpettine, una bambina mingherlina e indisponente.

Gilda.

Non voleva mangiare, voleva mangiare alle sue condizioni, voleva mangiare ma sapeva che se avesse fatto meno moine non sarebbe stata inseguita, coccolata adulata.

Il giorno della mia promozione scolastica al ginnasio, avevo tredici anni, Gilda finì a rotolare veloce tra le ruote della bicicletta (che per quella occasione avevo ricevuto in regalo) ed i miei piedi, che a mala pena toccavano terra con la punta.

Ruzzolammo entrambi per terra.
Al Corso Colonna, davanti al bar Italia.
La balia mi ordinò, quasi un presagio: “Acchiappala.”

Crescendo, gli anni di differenza tra me e lei divennero meno vistosi, ma i percorsi delle nostre scelte si divaricarono in direzioni quasi mai congiunte.

Spilungona e scorbutica, da adolescente le prendeva e le dava senza piangere.

Come un vero maschiaccio rompeva il naso ai bulletti se la trattavano da femminuccia, salvo poi correre annaspando, una sera d’aprile, verso le mie gambe che reggevano la grossa moto avuta in regalo per l’ultimo esame universitario.

Il ragazzetto di turno, quasi un presagio, le urlò: “Acchiappalo, perché se parte rimani sola.”

Alcuni anni dopo, pur essendo consapevole di aver programmato una lunga, forse lunghissima lontananza, in me non vi era stata superbia decidendo di lasciare gli amici ed i luoghi cari senza voltarmi.

In quella occasione non fu assente dal caos del mio mondo interiore né il forte dispiacere di uscire dal palcoscenico delle spavalde passioni giovanili, né la consapevole testardaggine di rifiutare che mio padre continuasse a credersi padrone della mia vita.

L’aveva fatto per quasi un quarto di secolo, doveva bastargli.

Nel pomeriggio luminoso e silenzioso in cui, senza valigia e senza cappotto, m’incamminai verso il battello che mi avrebbe trasportato oltre il muro prigione dell’isolamento marino, sulla così detta terraferma, quel giorno, era il tre settembre di un anno bisestile, la mia partenza non mi apparteneva come una fuga superba, ma come il risultato della indomabile spinta di un dolore.

Gilda, nella sfacciata bellezza della sua fresca fioritura, rossa, accoccolata ad accarezzare una micina spelacchiata sulle scale di una banca, vedendomi camminare da solo e desiderando che le giungessi accanto, fece un cenno d’invito ed appoggiò la mano sul gradino, mostrando il posto al suo fianco dove avrei potuto sedere.

Tanto bastò alla gatta per scappare nella mia direzione.

Prima la bestiola e poi lei, non so se per inseguirla o per venirmi incontro di corsa, scivolarono rotolando tra le mie gambe.

Quasi fosse stato un presagio, la vicina chiesa sbatacchiò tutte le campane, la nave all’ormeggio fischiò con tutti i fumaioli, l’allarme antifurto sconquassò le vetrate dell’istituto di credito, mentre un tassista di passaggio pigiando il clacson come si usa al corteo di una sposa, rideva rideva rideva suonava suonava suonava diceva diceva diceva “Acchiappala acchiappalo acchiappala acchiappalo.”

https://www.emmegiischia.com/wordpress/bruno-mancini/prose/per-aurora-vol.3/

Continua lunedì prossimo

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

LA VOCE DI CIRCE: “A Ischia l’incanto ti punge gli occhi per quanto è immenso.”

Il romanzo epistolare “La voce di Circe”, scritto da Lucia Fusco, edito da Senso Inversi, è il racconto dell’affascinante storia d’amore tra Mariano e Elettra.

Mariano vive a Caracas mentre Elettra vive a Roma.
Un racconto dell’emigrazione in Venezuela, avvenuta prima della seconda guerra mondiale, dei genitori di Mariano provenienti dalla Basilicata.

Elettra sposata, ma separata dal marito viziato e maldestro, incontra Mariano a Roma.

Il romanzo epistolare è ricco di altri personaggi importanti collegati ai due protagonisti.

Il ritmo della lettura segue l’avvicendarsi delle stagioni, travolge con la profondità delle passioni.

Lo stile è discorsivo, elegante e scorrevole.

L’autrice ci porta a conoscere le bellezze di Roma, dell’Agro Pontino, e dell’isola d’Ischia scrivendo, tra l’altro “A  Ischia l’incanto ti punge gli occhi per quanto è immenso. Non sai dove riposare lo sguardo. Salire sul monte Epomeo è stato emozionante, avevo tanti ricordi di questo luogo, ci ero stata da ragazzina con i miei genitori e con Ferruccio, mi ricordavi di questo tempio della natura, dicono che qui si trovi una porta magica, Agartha, che conduce al centro della terra dove esiste un mondo sotterraneo. Dalla cittadina di Serrara Fontana abbiamo […].

La Voce di Circe è una storia intensa, con finale da scoprire.

Facciamo gli auguri alla scrittrice Lucia Fusco, Vice Presidente delegata Italia dell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” per un sicuro successo editoriale.

Angela Maria Tiberi

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20220103

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma. 5a puntata

Capitolo terzo

Troncai di botto elucubrazioni e sotto insiemi di pensieri, ansiti interiori per timorosi accumuli d’indecenti indecisioni e contrapposte mature certezze mai esaminate con compiutezza, virtuose virtù precipitate in una quotidianità brutalmente anonima e… uscii.

Uscii.

Non mi mossi in cerca di avventure.

Non avevo deciso di costruire la notte più bella della mia esistenza.

Ai miei passi mancava l’intenzione di reiterare assalti a Ciccioline con poche pretese ed illimitate dedizioni. Né tanto meno, la cadenza monotona dell’andatura mi spingeva verso l’alcova di qualche indimenticabile gheiscia trasferita nella mia isola dalle fantasticherie, finanche eccessive e perverse ma giammai sguaiate, disseminate tra le balere notturne nell’arrendevole Budapest degli anni ottanta.

Le notti senza stelle delle mie peregrinazioni epicuree!

Neppure volevo mortificare i teneri boccioli, o forse solo appendici irrilevanti, che piccoli corpi anonimi offrivano entro bettole, di facili identificazioni per le insegne con gli ideogrammi del lontano oriente, affogate nei fumi e nella coca.

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Ne avrei avuto buon motivo, considerando gli onori che il giorno prima mi aveva generosamente elargito la mia cara amica Aurora, la donna guascona, la “Signora”.

Oltre tutto, percepivo ancora, incalzante, scandito in un ticchettio mentale, ogni singolo minuto che aveva caratterizzato la fase finale di quell’avvincente incredibile avventura, iniziata, quasi per caso, dalla improvvisa ed inaspettata telefonata con la quale Aurora mi aveva comunicato di essere stato “convocato”.

Quei momenti mi apparivano ancora scandire le ansie, per tutti i densi fardelli di domande senza risposte e di desideri irrealizzabili, che mi avevano oppresso durante il conto alla rovescia iniziato da meno quindici alla presenza d’Ignazio.

Cosa sono quindici minuti per risolvere un passaggio dalla vita alla morte?

Sono molti?

Sono pochi?

Sono sufficienti?

A chi affidarsi nel quarto d’ora che un cieco destino ci conceda prima di traghettare la nostra mente in un sito ignoto?

Ai maghi?

Ai demiurghi?

Agli amici?

Nell’incalzante ossessione delle lancette, per novecento secondi, novecento battiti senza pause. Nella successione, tic tac, in altre occasioni ritenuta finanche monotona, ridicola.

Quali risorse attivare per trasformare l’origine del battito assassino degli ultimi minuti, in ordigno auto distruggente?

Soldi?

Potere?

Impegno?

Uscii per cercare una spiegazione alla improvvisa, inusuale, sensazione di solitudine

Piano piano, passo dopo passi, lemme lemme, lemme lemme, passo dopo passi, piano piano, mi ritrovai appoggiato al banco rivestito con formica azzurra del bar in Via Colonna, davanti al quale, poche ore prima, avevo imparato dalla bella Gilda che non tutte le birre si possono bere in un sorso solo.

Lei non c’era. Non era tardi. Le dieci di sera ad Ischia potrebbero essere paragonate alle ore antecedenti l’alba per Milano.

Non la vidi o non c’era?

Alla cassa una ragazzona squintalata.

Troppi gelati?

Poco sport?

Spaghetti a gogo?

Disfunzione Epomeidea?

Su uno sgabello giallo (tre piedi di ferro verniciato a fuoco, un cerchio di plastica rossa, lo stemma di una marca di gelati multinazionali super popolari come la mia birra), un bimbo biondo con boccoli sciolti fino alle spalle, dondolava le gambe, guardando la TV e succhiando un ghiacciolo.

Lo conoscevo.

L’uomo al tavolo d’angolo, con la sigaretta mai spenta bruciacchiata nei baffi e tra le dita, era noto a tutti.

Tre quarti degli indigeni, ed un terzo dei villeggianti, avevano almeno sentito parlare del Principe Innocente.

Lei non c’era o non la vedevo.

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Accostandomi con finta disattenzione alla porta semichiusa che introduceva al locale “Privato” (un mini ambiente adattato ad ufficio, spogliatoio, deposito, officina), vi detti una sbirciata. Lei non c’era.

Al banco bar, Gianni serviva da bere e folleggiava da solo…

E lei, Gilda?

Non lo sapevo, forse non lo sapevo, credo che forse non sapevo di essere lì per lei.

Ero lì per lei e non lo sapevo, penso che io non sapessi di essere lì per lei, credo ecc.

Gilda.

Tornai verso casa con una nuova euforia, poco consona sia al mancato incontro con l’esuberante vitalità della rossa Gilda, sia alla robusta delusione di non aver neppure tentato una soluzione per il quesito che mi aveva turbato all’uscita di Geltrude dalla stanza. Una serata nottata no, negativa, eppure non deprimente.

Era una specie d’infantile beatitudine, un compiacimento.

Una serata – nottata quasi goliardica, da filone scolastico. Mai successo da decenni.

Vi aggiungeva un pizzico di fisica piacevolezza anche il forte vento di ponente, che s’insinuava tra le barche cariche di nasse pronte a prendere il mare. Non era la solita brezza che rinfresca, un attimo prima dell’alba, le notti delle afose estati ischitane, no, non era una brezza passeggera.

Come una giovanile compagna d’avventure, chiacchierona, l’aria, fluendo, mi soffiava la sua vitalità nel naso tra gli occhi nella bocca e sulla pelle.

La salsedine portata dal vento, quasi riempiva le rughe lasciate scoperte sul mio viso dal taglio della barba – barbona – barbaccia che fino a pochi giorni prima infoltiva grigiastra.

Il profumo delle praterie di posidonie, nastriformi ripari per gli scorfani e le mormore durante gl’inseguimenti subacquei che avevo concluso quasi sempre senza prede nell’ultima estate trascorsa ad Ischia, ad ogni più forte refolo dell’incipiente buriana – Don Chisciotte contro i mulini -, si accaniva contro i malefici aromi di sigari e sigarette inzuppati nei peli e nelle cartilagini del mio naso nasone nasaccio.

Soffiava forte, non era una brezza, il vento di ponente, a raffiche dolorose per gli occhi che trattenevo aperti, ed intanto umettava, con una soffusa vaporosità, le mie labbra socchiuse, quasi in un bacio. Nell’abbraccio malizioso di una prima volta.

Avevo preferito ritirarmi passando sulle passerelle di legno a ridosso degli scogli scuriti dalla luna al tramonto oltre la collina, piuttosto che opprimere maggiormente, con un percorso più usuale, la delusione di non aver tolto neppure un grammo al dilemma del mio sentirmi solo.

Tutti i più anziani pescatori conservavano, in precisi ricordi, le stravaganze giovanili delle mie sortite notturne. Iniziando dai modi con i quali, di solito, avevo cercato fisicamente i contatti con la natura, fino alle domande che ponevo. Anch’esse, dal loro punto di vista, erano sempre state considerate ben strane e strampalate.

è bravo, ma è un po’ matto» dicevano di me parlando tra loro.

L’amante l’ha lasciato per un marocchino indiano. Io l’ho visto sul pontile, aveva i capelli come quelli dei film, lisci azzeccati e neri, non scuri, neri.

Lui era stato fuori per lavoro, lo sai com’è, viaggia, scrive, legge, cambia albergo.»

Non ha mai avuto amanti, che dici.»

Che ne sai tu, tutte balle…»

Mi chiamo Totonno ‘O Saragone perché so tutto di te di lui come dei saraghi e delle spigole.»

Non ci credo, è sempre stato sballato.»

Da piccolo me lo ricordo in bicicletta fare gare con la carrozza della buonanima di Bastiano.

Che ti credi che non lo conosco? Non ha mai avuto un’amante. Forse era una segretaria.»

Tutti lo sappiamo. Ne aveva tante.»

-« è stato sempre così. 

Bravo. Bravo. Brav’uomo. Buongiorno, buonasera, buonanotte, buono tutto, ma non si è mai sporcato le mani a spingere una barca.

Lui dice: “Buongiorno, vuoi una sigaretta? A chi appartieni? Quanti figli hai?”

Non capisce che le barche non funzionano con le parole. Ci vuole sudore e fatica.

E mo’ sta peggio, chi sa perché.»

Cirù, Ciruzzo O Schifo, tu e Totonno non avete capito nu’ cazzo.

Non siete informati.

Non devo chiamarmi più Emilio Tressette E Maniglia se non è vero che sta così per quello che iss ha scoperto ora che è tornato dall’ultimo viaggio. L’avevano chiamato apposta, loro dicono “convocato”.

La sapete la nipote di Nicola Sindacato? Parlava con l’amante di Nicola Sindacato, Rosita Cascettella, guardava le persiane chiuse del Dotto’ e diceva piano piano: “è figlio della colpa. Sicuro. Ho sentito che ascoltava… parlavano zitto zitto… con uno mai visto che però gli somigliava, e che gli diceva: tuo padre non è lui, tua madre è lei, noi siamo fratelli. Gli ha detto proprio così, io stavo dietro la porta, noi siamo fratelli.

Quando due sono fratelli si conoscono, è vero Rosita?

Se non si conoscono è perché non si sanno. O no?  E sono figli di puttana”

La nipote di Nicola così ha detto, proprio così: figli di puttana.»

Forza, basta chiacchiere, vuttamm ‘e mane. A una voce.

Ohhh vai. Ohhh vai. Ohhh issa: Ohhh issa.

Metti uno scanno.

Vuttamme vuttamme.

Ohhh vai

I notturni lavoratori del fondo marino non si scandalizzarono più di tanto, quando notarono che mi ero steso a riva con scarpe e cravatta, mezzo dentro e mezzo fuori della risacca.

Le pratiche faticose della loro quotidianità non lasciavano balenare il flusso di emozioni che mi spingevano in quell’atteggiamento irrazionale e palesemente sconveniente.

Docile, m’immergevo tra i bisbigli della sabbia rotolante sulla sabbia e della spuma spruzzata sulla spuma, con la ragione offuscata dall’incontrollabile seducente rapimento di scrivere la prima poesia per Gilda.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda.

Mentre la risacca inzuppava gli indumenti che indossavo dalla mattina, e sussurrava tra i pensieri di una passione tanto antica quanto trascurata, procurandomi la sensazione di essere avvinghiato da un doppio gelido intruso, di colpo, l’inquietante dubbio di aver osato troppo mi fece barcollare e scivolare nel mare, fino alla gola.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda, quando ormai avevo già osato troppo!

Infatti, uscendo dal bar, la lunga malinconia cui avevo costretto, da sempre, la mia passione per la rossa inquilina di tutti i miei sogni, si era procurato un varco utile a lasciarle un biglietto.

Avevo lasciato per lei un biglietto alla cassa: “Quando potrò fare una passeggiata, cenare, andare alle giostre, al mare, con te ed il tuo bimbo?

Sarà bello.

Promesso.

Telefonami, 081081081.”

 

Continua lunedì prossimo

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

 

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

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Ischia Brasile Milano

trittico vincente nell’Arte culinaria

Lo so che inserire la culinaria nel gruppone delle Arti fa storcere il naso a qualcuno.

Ma forse si tratta in prevalenza di persone che non hanno mai vissuto nei fumi profumati delle cucine, oppure sono individui che, distratti dal turbine del Dio Denaro, non hanno mai valutato completamente le attitudini necessarie alla preparazione di gustose golosità che possono rendere luminosa una giornata uggiosa.

Comunque, poiché per me la culinaria è un’arte, in forza di questa determinante decisione ho manifestato a qualche amico l’intenzione di aprire una sezione del premio OTTO MKILIONI rivolta alla ricerca degli Artisti dei fornelli e dei frigoriferi.

Subito, nel tempo di una flambata, qualcuno mi ha ricordato che Lucio Filisdeo da alcuni decenni ha aperto a Milano uno dei più rinomati ristoranti di cucina brasiliana.

Lucio, mio carissimo amico di Liceo e poi di vita, è sempre stato particolarmente dotato nei rapporti umani, forte di una visione positiva della vita accompagnata da una solida cultura e da un  costante controllo morale.

Bene, con una semplice telefonata, ci siamo risentiti, sempre amici, dopo molti anni e così oggi posso narrarvi qualche particolare del successo di Lucio, ischitano, e di sua moglie Natalia Costa, brasiliana, nel regno dell’Arte culinaria.

In un ambiente curato e piacevole si possono gustare non solo il vero churrasco (rodizio di carni allo spiedo servite con una serie di contorni caratteristici) ma anche molti piatti tipici della tradizione brasiliana, soprattutto del Nordest, realizzati dalla Chef Natalia Costa.

In abbinamento alla cena vengono servite anche birre brasiliane, il classico Guaranà, i cocktail a base di frutta fresca tropicale creati da Pierre e un’ampia selezione di etichette di vini nazionali ed internazionali.

Il ristorante, aperto a Milano in via Agnesi Gaetana, 17 il 10 ottobre del 1999, si chiama “Churrascaria Oficina Do Sabor” e pochi giorni fa, precisamente il 23 novembre 2021, è stato presentato sulle pagine del Corriere della sera, anche in virtù della qualifica di “ottimo” ricevuta da Tripadvisor.

Nell’articolo pubblicato a cura del Responsabile di Redazione Martino Broglia si legge:

«Se volare Oltreoceano è più complicato, un po’ della magia del Brasile la si può comunque ritrovare anche a Milano.

In particolare in zona Porta Romana, dove dal 1999 va in scena la cucina di Natalia con i sapori tipici.

Non per altro il nome dell’insegna è Oficina do Sabor, letteralmente “laboratorio del gusto”.

“Con grande passione proponiamo le emozioni del churrasco: dalla tavola con le ricette tradizionali fino all’atmosfera fatta di colori, musica e allegria. In Brasile è un rituale”.

A parlare sono Lucio Filisdeo e Natalia Costa, al fianco nella vita e nel lavoro, rispettivamente titolare e chef. Il locale è studiato e rifinito in ogni particolare “ad iniziare dal bagno – raccontano sorridenti – dove abbiamo ricreato una piccola selva con pappagalli veri”

Le sale sono un tripudio di vivacità con opere in stile trompe-l’oeil e affreschi raffiguranti scenari paesaggistici e scorci di Bahia e Rio de Janeiro, con l’accogliente taverna, ribattezzata Amazzonia, ideale anche per ritrovi prenatalizi, feste o eventi privati.

Il menù è quello delle autentiche churrascarie, a partire da un susseguirsi di antipasti come il pão de queijo, deliziose pepite a base di farina di manioca e formaggio, insalate di verdure o di mare e sfiziosità come il soufflè di baccalà.

Dopo questo gustoso incipit arriva il piatto forte, con un sontuoso rodizio di carni per un totale di undici portate, cotte allo spiedo e poi servite direttamente al tavolo con i famosi spadoni: dalla picanha al controfiletto, dal diaframma con pancetta allo scamone di manzo.

In abbinamento contorni come farofa, polenta o manioca fritte, riso e feijoada.

A completare il tutto i dessert di Natalia, una interessante carta vini, birre locali e drink come caipirinha, caipiroska, batida e mojito.»

 

Già questo basterebbe per elogiare il coraggio, la determinazione e la professionalità dimostrata dal nostro concittadino, ma abbiamo preso visione anche di un corposo volume di “100 ricette facili da realizzare a casa proprio” scritto da Natalia Costa e pubblicato dall’Editore Gribaudo con il titolo “Brasile in cucina”.

L’introduzione a firma di Manuela Vanni termina con parole che sono molto più di una semplice descrizione perché sono una promessa, alla verifica della quale sarà molto difficile sottrarsi per chiunque inizia sfogliare le pagine del libro: «Con questo libro – scrive appunto Manuela Vanni – Natalia ha voluto condividere con voi lettori la magia dei piatti della sua terra. è un libo ghiotto che di più non si può! Fidatevi, perché avendo fotografato i piatti ho potuto assaggiarli tutti.»

Qualche pagina in gratuita lettura potete trovarla qui: https://www.emmegiischia.com/wordpress/brasile-in-cucina-arte-culinaria/

Chi intendesse assaporare, o anche solo avere notizie dei risultati dell’Arte culinaria proposta da Lucio Filisdeo e Natalia Costa può telefonare ai numeri 0258304965 /3383928867, oppure può inviare una e-mail a info@oficinadosabor.it

… e se passate per Milano concedetevi un’ora di gustosa cucina brasiliana con ospitalità ischitana.

Bruno Mancini

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

BRUNO MANCINI

Due mie poesie

 

Dalla raccolta di poesie
“Non rubate la mia vita”
(2005 – 2007):  

Quando sarò pensiero

 
Quando sarò pensiero
su cigli di visioni
dagli orizzonti nitidi
verso stele di mie antiche iscrizioni,
oppure anche
il tempo in cui sarò passione
nel buio ottuso
per lunghi sguardi amorosi
lasciati illanguidire dalle mie tristezze,
di certo o forse
il giorno che sarò ricordo
tra vociare arruffato
di vecchi amici alticci
sulle note matte delle mie sortite,
non posso, voglio,
quando sarò pensiero,
quando sarò pensiero
la docile coerenza
strappata a mani unite
dai cesti di delizie
per gli epigrammi delle tue certezze,
non posso, voglio,
il tempo in cui sarò passione,
il tempo in cui sarò passione
la mascherata tenerezza
oltre effimere apparenze
di abbracci mafiosi
interrata sotto il magna del tuo vulcano,
non posso, voglio,
il giorno che sarò ricordo,
il giorno che sarò ricordo
il giorno voglio
il nostro giorno voglio
intero
dal primo all’ultimo minuto
dal primo all’ultimo sorriso
dal primo all’ultimo tuo bacio.

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Dalla raccolta di poesie
“Agli angoli degli occhi”
(1962 – 1964): 

Tu non ignori

 
Tu non ignori
la polvere d’estate che t’acceca,
il brivido di stritolare ortiche,
angelo
rendersi
pietra.
Il suono delle ciaramelle
avanza per la tua notte,
ti trova tepore di piccole mani
rinchiuse caute
sulle bionde piume di un pulcino:
anche tu
povero
canti
ricco.
Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

DILA

NUSIV

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Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220103

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma. 5a puntata

Capitolo terzo

Troncai di botto elucubrazioni e sotto insiemi di pensieri, ansiti interiori per timorosi accumuli d’indecenti indecisioni e contrapposte mature certezze mai esaminate con compiutezza, virtuose virtù precipitate in una quotidianità brutalmente anonima e… uscii.

Uscii.

Non mi mossi in cerca di avventure.

Non avevo deciso di costruire la notte più bella della mia esistenza.

Ai miei passi mancava l’intenzione di reiterare assalti a Ciccioline con poche pretese ed illimitate dedizioni. Né tanto meno, la cadenza monotona dell’andatura mi spingeva verso l’alcova di qualche indimenticabile gheiscia trasferita nella mia isola dalle fantasticherie, finanche eccessive e perverse ma giammai sguaiate, disseminate tra le balere notturne nell’arrendevole Budapest degli anni ottanta.

Le notti senza stelle delle mie peregrinazioni epicuree!

Neppure volevo mortificare i teneri boccioli, o forse solo appendici irrilevanti, che piccoli corpi anonimi offrivano entro bettole, di facili identificazioni per le insegne con gli ideogrammi del lontano oriente, affogate nei fumi e nella coca.

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Ne avrei avuto buon motivo, considerando gli onori che il giorno prima mi aveva generosamente elargito la mia cara amica Aurora, la donna guascona, la “Signora”.

Oltre tutto, percepivo ancora, incalzante, scandito in un ticchettio mentale, ogni singolo minuto che aveva caratterizzato la fase finale di quell’avvincente incredibile avventura, iniziata, quasi per caso, dalla improvvisa ed inaspettata telefonata con la quale Aurora mi aveva comunicato di essere stato “convocato”.

Quei momenti mi apparivano ancora scandire le ansie, per tutti i densi fardelli di domande senza risposte e di desideri irrealizzabili, che mi avevano oppresso durante il conto alla rovescia iniziato da meno quindici alla presenza d’Ignazio.

Cosa sono quindici minuti per risolvere un passaggio dalla vita alla morte?

Sono molti?

Sono pochi?

Sono sufficienti?

A chi affidarsi nel quarto d’ora che un cieco destino ci conceda prima di traghettare la nostra mente in un sito ignoto?

Ai maghi?

Ai demiurghi?

Agli amici?

Nell’incalzante ossessione delle lancette, per novecento secondi, novecento battiti senza pause. Nella successione, tic tac, in altre occasioni ritenuta finanche monotona, ridicola.

Quali risorse attivare per trasformare l’origine del battito assassino degli ultimi minuti, in ordigno auto distruggente?

Soldi?

Potere?

Impegno?

Uscii per cercare una spiegazione alla improvvisa, inusuale, sensazione di solitudine

Piano piano, passo dopo passi, lemme lemme, lemme lemme, passo dopo passi, piano piano, mi ritrovai appoggiato al banco rivestito con formica azzurra del bar in Via Colonna, davanti al quale, poche ore prima, avevo imparato dalla bella Gilda che non tutte le birre si possono bere in un sorso solo.

Lei non c’era. Non era tardi. Le dieci di sera ad Ischia potrebbero essere paragonate alle ore antecedenti l’alba per Milano.

Non la vidi o non c’era?

Alla cassa una ragazzona squintalata.

Troppi gelati?

Poco sport?

Spaghetti a gogo?

Disfunzione Epomeidea?

Su uno sgabello giallo (tre piedi di ferro verniciato a fuoco, un cerchio di plastica rossa, lo stemma di una marca di gelati multinazionali super popolari come la mia birra), un bimbo biondo con boccoli sciolti fino alle spalle, dondolava le gambe, guardando la TV e succhiando un ghiacciolo.

Lo conoscevo.

L’uomo al tavolo d’angolo, con la sigaretta mai spenta bruciacchiata nei baffi e tra le dita, era noto a tutti.

Tre quarti degli indigeni, ed un terzo dei villeggianti, avevano almeno sentito parlare del Principe Innocente.

Lei non c’era o non la vedevo.

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Accostandomi con finta disattenzione alla porta semichiusa che introduceva al locale “Privato” (un mini ambiente adattato ad ufficio, spogliatoio, deposito, officina), vi detti una sbirciata. Lei non c’era.

Al banco bar, Gianni serviva da bere e folleggiava da solo…

E lei, Gilda?

Non lo sapevo, forse non lo sapevo, credo che forse non sapevo di essere lì per lei.

Ero lì per lei e non lo sapevo, penso che io non sapessi di essere lì per lei, credo ecc.

Gilda.

Tornai verso casa con una nuova euforia, poco consona sia al mancato incontro con l’esuberante vitalità della rossa Gilda, sia alla robusta delusione di non aver neppure tentato una soluzione per il quesito che mi aveva turbato all’uscita di Geltrude dalla stanza. Una serata nottata no, negativa, eppure non deprimente.

Era una specie d’infantile beatitudine, un compiacimento.

Una serata – nottata quasi goliardica, da filone scolastico. Mai successo da decenni.

Vi aggiungeva un pizzico di fisica piacevolezza anche il forte vento di ponente, che s’insinuava tra le barche cariche di nasse pronte a prendere il mare. Non era la solita brezza che rinfresca, un attimo prima dell’alba, le notti delle afose estati ischitane, no, non era una brezza passeggera.

Come una giovanile compagna d’avventure, chiacchierona, l’aria, fluendo, mi soffiava la sua vitalità nel naso tra gli occhi nella bocca e sulla pelle.

La salsedine portata dal vento, quasi riempiva le rughe lasciate scoperte sul mio viso dal taglio della barba – barbona – barbaccia che fino a pochi giorni prima infoltiva grigiastra.

Il profumo delle praterie di posidonie, nastriformi ripari per gli scorfani e le mormore durante gl’inseguimenti subacquei che avevo concluso quasi sempre senza prede nell’ultima estate trascorsa ad Ischia, ad ogni più forte refolo dell’incipiente buriana – Don Chisciotte contro i mulini -, si accaniva contro i malefici aromi di sigari e sigarette inzuppati nei peli e nelle cartilagini del mio naso nasone nasaccio.

Soffiava forte, non era una brezza, il vento di ponente, a raffiche dolorose per gli occhi che trattenevo aperti, ed intanto umettava, con una soffusa vaporosità, le mie labbra socchiuse, quasi in un bacio. Nell’abbraccio malizioso di una prima volta.

Avevo preferito ritirarmi passando sulle passerelle di legno a ridosso degli scogli scuriti dalla luna al tramonto oltre la collina, piuttosto che opprimere maggiormente, con un percorso più usuale, la delusione di non aver tolto neppure un grammo al dilemma del mio sentirmi solo.

Tutti i più anziani pescatori conservavano, in precisi ricordi, le stravaganze giovanili delle mie sortite notturne. Iniziando dai modi con i quali, di solito, avevo cercato fisicamente i contatti con la natura, fino alle domande che ponevo. Anch’esse, dal loro punto di vista, erano sempre state considerate ben strane e strampalate.

è bravo, ma è un po’ matto» dicevano di me parlando tra loro.

L’amante l’ha lasciato per un marocchino indiano. Io l’ho visto sul pontile, aveva i capelli come quelli dei film, lisci azzeccati e neri, non scuri, neri.

Lui era stato fuori per lavoro, lo sai com’è, viaggia, scrive, legge, cambia albergo.»

Non ha mai avuto amanti, che dici.»

Che ne sai tu, tutte balle…»

Mi chiamo Totonno ‘O Saragone perché so tutto di te di lui come dei saraghi e delle spigole.»

Non ci credo, è sempre stato sballato.»

Da piccolo me lo ricordo in bicicletta fare gare con la carrozza della buonanima di Bastiano.

Che ti credi che non lo conosco? Non ha mai avuto un’amante. Forse era una segretaria.»

Tutti lo sappiamo. Ne aveva tante.»

-« è stato sempre così. 

Bravo. Bravo. Brav’uomo. Buongiorno, buonasera, buonanotte, buono tutto, ma non si è mai sporcato le mani a spingere una barca.

Lui dice: “Buongiorno, vuoi una sigaretta? A chi appartieni? Quanti figli hai?”

Non capisce che le barche non funzionano con le parole. Ci vuole sudore e fatica.

E mo’ sta peggio, chi sa perché.»

Cirù, Ciruzzo O Schifo, tu e Totonno non avete capito nu’ cazzo.

Non siete informati.

Non devo chiamarmi più Emilio Tressette E Maniglia se non è vero che sta così per quello che iss ha scoperto ora che è tornato dall’ultimo viaggio. L’avevano chiamato apposta, loro dicono “convocato”.

La sapete la nipote di Nicola Sindacato? Parlava con l’amante di Nicola Sindacato, Rosita Cascettella, guardava le persiane chiuse del Dotto’ e diceva piano piano: “è figlio della colpa. Sicuro. Ho sentito che ascoltava… parlavano zitto zitto… con uno mai visto che però gli somigliava, e che gli diceva: tuo padre non è lui, tua madre è lei, noi siamo fratelli. Gli ha detto proprio così, io stavo dietro la porta, noi siamo fratelli.

Quando due sono fratelli si conoscono, è vero Rosita?

Se non si conoscono è perché non si sanno. O no?  E sono figli di puttana”

La nipote di Nicola così ha detto, proprio così: figli di puttana.»

Forza, basta chiacchiere, vuttamm ‘e mane. A una voce.

Ohhh vai. Ohhh vai. Ohhh issa: Ohhh issa.

Metti uno scanno.

Vuttamme vuttamme.

Ohhh vai

I notturni lavoratori del fondo marino non si scandalizzarono più di tanto, quando notarono che mi ero steso a riva con scarpe e cravatta, mezzo dentro e mezzo fuori della risacca.

Le pratiche faticose della loro quotidianità non lasciavano balenare il flusso di emozioni che mi spingevano in quell’atteggiamento irrazionale e palesemente sconveniente.

Docile, m’immergevo tra i bisbigli della sabbia rotolante sulla sabbia e della spuma spruzzata sulla spuma, con la ragione offuscata dall’incontrollabile seducente rapimento di scrivere la prima poesia per Gilda.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda.

Mentre la risacca inzuppava gli indumenti che indossavo dalla mattina, e sussurrava tra i pensieri di una passione tanto antica quanto trascurata, procurandomi la sensazione di essere avvinghiato da un doppio gelido intruso, di colpo, l’inquietante dubbio di aver osato troppo mi fece barcollare e scivolare nel mare, fino alla gola.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda, quando ormai avevo già osato troppo!

Infatti, uscendo dal bar, la lunga malinconia cui avevo costretto, da sempre, la mia passione per la rossa inquilina di tutti i miei sogni, si era procurato un varco utile a lasciarle un biglietto.

Avevo lasciato per lei un biglietto alla cassa: “Quando potrò fare una passeggiata, cenare, andare alle giostre, al mare, con te ed il tuo bimbo?

Sarà bello.

Promesso.

Telefonami, 081081081.”

 

Continua lunedì prossimo

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

 

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Ischia Brasile Milano

trittico vincente nell’Arte culinaria

Lo so che inserire la culinaria nel gruppone delle Arti fa storcere il naso a qualcuno.

Ma forse si tratta in prevalenza di persone che non hanno mai vissuto nei fumi profumati delle cucine, oppure sono individui che, distratti dal turbine del Dio Denaro, non hanno mai valutato completamente le attitudini necessarie alla preparazione di gustose golosità che possono rendere luminosa una giornata uggiosa.

Comunque, poiché per me la culinaria è un’arte, in forza di questa determinante decisione ho manifestato a qualche amico l’intenzione di aprire una sezione del premio OTTO MKILIONI rivolta alla ricerca degli Artisti dei fornelli e dei frigoriferi.

Subito, nel tempo di una flambata, qualcuno mi ha ricordato che Lucio Filisdeo da alcuni decenni ha aperto a Milano uno dei più rinomati ristoranti di cucina brasiliana.

Lucio, mio carissimo amico di Liceo e poi di vita, è sempre stato particolarmente dotato nei rapporti umani, forte di una visione positiva della vita accompagnata da una solida cultura e da un  costante controllo morale.

Bene, con una semplice telefonata, ci siamo risentiti, sempre amici, dopo molti anni e così oggi posso narrarvi qualche particolare del successo di Lucio, ischitano, e di sua moglie Natalia Costa, brasiliana, nel regno dell’Arte culinaria.

In un ambiente curato e piacevole si possono gustare non solo il vero churrasco (rodizio di carni allo spiedo servite con una serie di contorni caratteristici) ma anche molti piatti tipici della tradizione brasiliana, soprattutto del Nordest, realizzati dalla Chef Natalia Costa.

In abbinamento alla cena vengono servite anche birre brasiliane, il classico Guaranà, i cocktail a base di frutta fresca tropicale creati da Pierre e un’ampia selezione di etichette di vini nazionali ed internazionali.

Il ristorante, aperto a Milano in via Agnesi Gaetana, 17 il 10 ottobre del 1999, si chiama “Churrascaria Oficina Do Sabor” e pochi giorni fa, precisamente il 23 novembre 2021, è stato presentato sulle pagine del Corriere della sera, anche in virtù della qualifica di “ottimo” ricevuta da Tripadvisor.

Nell’articolo pubblicato a cura del Responsabile di Redazione Martino Broglia si legge:

«Se volare Oltreoceano è più complicato, un po’ della magia del Brasile la si può comunque ritrovare anche a Milano.

In particolare in zona Porta Romana, dove dal 1999 va in scena la cucina di Natalia con i sapori tipici.

Non per altro il nome dell’insegna è Oficina do Sabor, letteralmente “laboratorio del gusto”.

“Con grande passione proponiamo le emozioni del churrasco: dalla tavola con le ricette tradizionali fino all’atmosfera fatta di colori, musica e allegria. In Brasile è un rituale”.

A parlare sono Lucio Filisdeo e Natalia Costa, al fianco nella vita e nel lavoro, rispettivamente titolare e chef. Il locale è studiato e rifinito in ogni particolare “ad iniziare dal bagno – raccontano sorridenti – dove abbiamo ricreato una piccola selva con pappagalli veri”

Le sale sono un tripudio di vivacità con opere in stile trompe-l’oeil e affreschi raffiguranti scenari paesaggistici e scorci di Bahia e Rio de Janeiro, con l’accogliente taverna, ribattezzata Amazzonia, ideale anche per ritrovi prenatalizi, feste o eventi privati.

Il menù è quello delle autentiche churrascarie, a partire da un susseguirsi di antipasti come il pão de queijo, deliziose pepite a base di farina di manioca e formaggio, insalate di verdure o di mare e sfiziosità come il soufflè di baccalà.

Dopo questo gustoso incipit arriva il piatto forte, con un sontuoso rodizio di carni per un totale di undici portate, cotte allo spiedo e poi servite direttamente al tavolo con i famosi spadoni: dalla picanha al controfiletto, dal diaframma con pancetta allo scamone di manzo.

In abbinamento contorni come farofa, polenta o manioca fritte, riso e feijoada.

A completare il tutto i dessert di Natalia, una interessante carta vini, birre locali e drink come caipirinha, caipiroska, batida e mojito.»

 

Già questo basterebbe per elogiare il coraggio, la determinazione e la professionalità dimostrata dal nostro concittadino, ma abbiamo preso visione anche di un corposo volume di “100 ricette facili da realizzare a casa proprio” scritto da Natalia Costa e pubblicato dall’Editore Gribaudo con il titolo “Brasile in cucina”.

L’introduzione a firma di Manuela Vanni termina con parole che sono molto più di una semplice descrizione perché sono una promessa, alla verifica della quale sarà molto difficile sottrarsi per chiunque inizia sfogliare le pagine del libro: «Con questo libro – scrive appunto Manuela Vanni – Natalia ha voluto condividere con voi lettori la magia dei piatti della sua terra. è un libo ghiotto che di più non si può! Fidatevi, perché avendo fotografato i piatti ho potuto assaggiarli tutti.»

Qualche pagina in gratuita lettura potete trovarla qui: https://www.emmegiischia.com/wordpress/brasile-in-cucina-arte-culinaria/

Chi intendesse assaporare, o anche solo avere notizie dei risultati dell’Arte culinaria proposta da Lucio Filisdeo e Natalia Costa può telefonare ai numeri 0258304965 /3383928867, oppure può inviare una e-mail a info@oficinadosabor.it

… e se passate per Milano concedetevi un’ora di gustosa cucina brasiliana con ospitalità ischitana.

Bruno Mancini

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

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BRUNO MANCINI

Due mie poesie

 

Dalla raccolta di poesie
“Non rubate la mia vita”
(2005 – 2007):  

Quando sarò pensiero

 
Quando sarò pensiero
su cigli di visioni
dagli orizzonti nitidi
verso stele di mie antiche iscrizioni,
oppure anche
il tempo in cui sarò passione
nel buio ottuso
per lunghi sguardi amorosi
lasciati illanguidire dalle mie tristezze,
di certo o forse
il giorno che sarò ricordo
tra vociare arruffato
di vecchi amici alticci
sulle note matte delle mie sortite,
non posso, voglio,
quando sarò pensiero,
quando sarò pensiero
la docile coerenza
strappata a mani unite
dai cesti di delizie
per gli epigrammi delle tue certezze,
non posso, voglio,
il tempo in cui sarò passione,
il tempo in cui sarò passione
la mascherata tenerezza
oltre effimere apparenze
di abbracci mafiosi
interrata sotto il magna del tuo vulcano,
non posso, voglio,
il giorno che sarò ricordo,
il giorno che sarò ricordo
il giorno voglio
il nostro giorno voglio
intero
dal primo all’ultimo minuto
dal primo all’ultimo sorriso
dal primo all’ultimo tuo bacio.

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Dalla raccolta di poesie
“Agli angoli degli occhi”
(1962 – 1964): 

Tu non ignori

 
Tu non ignori
la polvere d’estate che t’acceca,
il brivido di stritolare ortiche,
angelo
rendersi
pietra.
Il suono delle ciaramelle
avanza per la tua notte,
ti trova tepore di piccole mani
rinchiuse caute
sulle bionde piume di un pulcino:
anche tu
povero
canti
ricco.
Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211220

Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Liga Sarah Lapinska intervista in esclusiva per IL DISPARI

pittore Abu Pashaev

“Non ci sono estranei tra noi”

 

Liga Sarah Lapinska: «Ci racconti la tua infanzia?»
Abu Pashaev: « Sono nato il 9 giugno 1966 nel villaggio ceceno di Chechen-Aul, Russia
Attratto dalle nostre montagne, sorgenti di fiumi veloci.
Ci piaceva giocare a calcio.
Fin dall’infanzia, sono rimasto stupito dall’immagine del cielo infinito e delle stelle notturne. 
Ho cercato di trovare risposte a domande relative al cambiamento del giorno e della notte, dell’inverno e dell’estate, della pioggia e della neve.
Quando avevo 14 anni, ho visto il film di Andrei Tarkovsky (regista e sceneggiatore sovietico), basato sul romanzo di Stanislav Lem (filosofo e scrittore di fantascienza),  “Solaris”.
Mi ha influenzato così tanto che ho avuto la sensazione di essere caduto in una sorta di “dirupo” spaziale temporale, simile al teletrasporto.
Questo incidente ha fatto una sorta di rivoluzione nel mio subconscio. 
Da quel momento in poi, ho avuto il desiderio di catturare con colori e matite i miei sentimenti e il mio stato psicologico, su pezzi di carta.
Durante i miei studi  ho appreso i primi sentimenti d’amore.
Un sentimento esaltato che mi ha spinto a creare un’intera serie di nuovi dipinti.
Ho organizzato a scuola la mostra intitolata  “La primavera nel mio cuore”.»

Liga Sarah Lapinska: «La guerra in Cecenia.»
Abu Pashaev: «In quei duri anni di guerra, sono riuscito a raccogliere tutta la mia volontà in un pugno.
Dopo aver studiato a fondo il mio percorso creativo, Alvi Dakho ha scritto nel suo articolo “Abu Pashaev usa coraggiosamente varie tecniche e direzioni della pittura. Le immagini raffigurate dall’artista nelle sue composizioni, sanno sorridere, parlare, piangere e prendere parte alla conversazione con noi.
L’ansia, il tormento e la tragedia nelle sua opere possono essere intese come un’eredità delle guerre crudeli che hanno avuto luogo nella Repubblica cecena e in cui il nostro popolo ha sofferto molto.
Invece, le sue opere successive sono piene di ottimismo, affermando le qualità della dignità e dei valori umani, il desiderio di un’umanità completa, la creazione di una convivenza armoniosa, invitandoci alla pace e all’amore per l’arte” (https://proza.ru/2021/11/16/1041).
Trovo gente simile mentalmente che pensano allo stesso modo, che apprezzano la mia creatività.
In quello che ho imparato oggi nella pittura, in una direzione astratta, una grande parte è merito di Ajub Ibragimov, mio Maestro. 
Mi ha mostrato la filosofia della direzione fluido-astratta nella pittura. »
 
Liga Sarah Lapinska: «Come affronti la depressione? »
Abu Pashaev: «Riesco di disegnare di più.
Faccio esercizi metafisici, insetti, uccelli  animali, alberi.
Questo mi dà certa sferzata di energia. »
 
Liga Sarah Lapinska: «Come puoi descriverti?»
Abu Pashaev: «Sono un artista sognatore.»
 
Liga Sarah Lapinska: « Quale delle tue opere d’arte ti piace di più?»
Abu Pashaev: «Sono tutte vicine a me.
Di più?
Ho una serie di opere chiamate “Genesis”.
Questa serie è stata dipinta da me nel momento in cui hanno iniziato a restaurare la nostra città di Grozny, la capitale della nostra Repubblica, e poi anche le mie composizioni dedicate ai motivi del manoscritto medievale ceceno Zhakhotan Teptar»
 
Liga Sarah Lapinska: «Le tue stime più recenti?»
Abu Pashaev: «La pittura astratta è la mia svolta creativa attuale.
Le mie opere riflettono i miei gesti e le mie espressioni facciali, il mio respiro, il mio battito cardiaco. Nelle mie trame artistiche cerco di essere sincero come un bambino.
Vorrei citare Bertold Brecht “Tutti i tipi dell’arte servono alla più grande delle arti: l’arte di vivere sulla Terra”.»
 
Liga Sarah Lapinska: «Il tuo motto e la poesia preferita?»
Abu Pashaev: «Una hokko giapponese “Non ci sono estranei tra noi, tutte le persone al mondo sono fratelli sotto i fiori di ciliegio .”
E per me?»

Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Luciano Somma e Gioia Lomasti

Quei giorni ischitani

Ischia è fonte inesauribile di ispirazione poetica per le sue incantevoli bellezze naturali e uno dei luoghi turistici più ambiti e visitati.

Infatti tra i tanti libri che abbiamo realizzato possiamo citare alcune poesie che raccontano luoghi caratteristici dell’isola, avendo appunto distinto la presenza di Luciano Somma a Ischia per moltissimi anni.

Chi ha buona memoria ricorderà anche le sue collaborazioni notturne alle emittenti radiofoniche locali.

Luciano Somma è stato,, inoltre, uno dei maggiori pionieri del felice progetto “Da Ischia L’Arte –  DILA” di Bruno Mancini.

Per chi desiderasse approfondire la poetica degli autori Luciano Somma e Gioia Lomasti, sono stati selezionati libri che hanno contraddistinto il loro percorso, dando vita a formati e-book, distribuiti da Youcanprinte disponibili sui maggiori webstore, cercando tra i tanti titoli degli autori attraverso il web e tramite le loro pagine DA NAPOLI CON AMORE LUCIANO SOMMA e GIOIA LOMASTI su facebook.

Gioia Lomasti nasce a Ravenna, appassionata di letteratura nel suo insieme sin da bambina conquista l’attenzione della critica letteraria con la partecipazione a concorsi di poesia ed eventi culturali che la vedono tra i posti d’onore.
È autrice di opere in poesia e prosa dedicando parte dei suoi scritti al cantautorato italiano.
Co-fondatrice del sito vetrinadelleemozioni.com, spazio che riserva all’arte e alla musica.
Ne sono intercorse collaborazioni con volti noti della letteratura e del panorama giornalistico italiano.
È articolista per molte redazioni dove promuove la scrittura e l’arte a 360 gradi.
L’amore verso la letteratura, l’emozione che ne deriva in ogni suo scritto, i vari riconoscimenti che nel tempo ha conseguito, permettono al lettore di entrare in una dimensione in cui la scrittura di Gioia Lomasti diviene anima.

Luciano Somma è nato a Napoli, diversi anni or sono, ha iniziato a scrivere testi per canzoni e poesie dall’età di 13 anni.
All’attivo moltissime pubblicazioni poetiche singole o in antologie anche scolastiche.
Ha scritto e scrive su un numero imprecisato di periodici, centinaia i premi vinti, 2 volte medaglia d’argento del presidente della Repubblica e Laurea nel 1987 H.C. in lettere e filosofia.
Oggi più volte in giuria nei concorsi di poesia e narrativa, iscritto alla SIAE come autore e compositore sono circa 2000 le canzoni prodotte con vari collaboratori ed interpreti.
Per anni conduttore radiofonico, più volte in Tv locali e, su Rai 2, nella trasmissione NON E’ MAI TROPPO TARDI nel 2005.
Direttore artistico della Italian Way Music di Cusano Milanino, del Project Team Antorva, di Vivicentro, pioniere dei progetti Made in Ischia “LENOIS” e “Mondomancini” e di altre organizzazioni artistico letterarie.
è il poeta più presente in internet, decine i titoli accademici.
Attualmente collabora con vari siti, radio e TV online con poesie e canzoni.
Luciano Somma e Gioia Lomasti

Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

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DILA

NUSIV

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Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20211227

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

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Ischia Brasile Milano

trittico vincente nell’Arte culinaria

Lo so che inserire la culinaria nel gruppone delle Arti fa storcere il naso a qualcuno.

Ma forse si tratta in prevalenza di persone che non hanno mai vissuto nei fumi profumati delle cucine, oppure sono individui che, distratti dal turbine del Dio Denaro, non hanno mai valutato completamente le attitudini necessarie alla preparazione di gustose golosità che possono rendere luminosa una giornata uggiosa.

Comunque, poiché per me la culinaria è un’arte, in forza di questa determinante decisione ho manifestato a qualche amico l’intenzione di aprire una sezione del premio OTTO MKILIONI rivolta alla ricerca degli Artisti dei fornelli e dei frigoriferi.

Subito, nel tempo di una flambata, qualcuno mi ha ricordato che Lucio Filisdeo da alcuni decenni ha aperto a Milano uno dei più rinomati ristoranti di cucina brasiliana.

Lucio, mio carissimo amico di Liceo e poi di vita, è sempre stato particolarmente dotato nei rapporti umani, forte di una visione positiva della vita accompagnata da una solida cultura e da un  costante controllo morale.

Bene, con una semplice telefonata, ci siamo risentiti, sempre amici, dopo molti anni e così oggi posso narrarvi qualche particolare del successo di Lucio, ischitano, e di sua moglie Natalia Costa, brasiliana, nel regno dell’Arte culinaria.

In un ambiente curato e piacevole si possono gustare non solo il vero churrasco (rodizio di carni allo spiedo servite con una serie di contorni caratteristici) ma anche molti piatti tipici della tradizione brasiliana, soprattutto del Nordest, realizzati dalla Chef Natalia Costa.

In abbinamento alla cena vengono servite anche birre brasiliane, il classico Guaranà, i cocktail a base di frutta fresca tropicale creati da Pierre e un’ampia selezione di etichette di vini nazionali ed internazionali.

Il ristorante, aperto a Milano in via Agnesi Gaetana, 17 il 10 ottobre del 1999, si chiama “Churrascaria Oficina Do Sabor” e pochi giorni fa, precisamente il 23 novembre 2021, è stato presentato sulle pagine del Corriere della sera, anche in virtù della qualifica di “ottimo” ricevuta da Tripadvisor.

Nell’articolo pubblicato a cura del Responsabile di Redazione Martino Broglia si legge:

«Se volare Oltreoceano è più complicato, un po’ della magia del Brasile la si può comunque ritrovare anche a Milano.

In particolare in zona Porta Romana, dove dal 1999 va in scena la cucina di Natalia con i sapori tipici.

Non per altro il nome dell’insegna è Oficina do Sabor, letteralmente “laboratorio del gusto”.

“Con grande passione proponiamo le emozioni del churrasco: dalla tavola con le ricette tradizionali fino all’atmosfera fatta di colori, musica e allegria. In Brasile è un rituale”.

A parlare sono Lucio Filisdeo e Natalia Costa, al fianco nella vita e nel lavoro, rispettivamente titolare e chef. Il locale è studiato e rifinito in ogni particolare “ad iniziare dal bagno – raccontano sorridenti – dove abbiamo ricreato una piccola selva con pappagalli veri”

Le sale sono un tripudio di vivacità con opere in stile trompe-l’oeil e affreschi raffiguranti scenari paesaggistici e scorci di Bahia e Rio de Janeiro, con l’accogliente taverna, ribattezzata Amazzonia, ideale anche per ritrovi prenatalizi, feste o eventi privati.

Il menù è quello delle autentiche churrascarie, a partire da un susseguirsi di antipasti come il pão de queijo, deliziose pepite a base di farina di manioca e formaggio, insalate di verdure o di mare e sfiziosità come il soufflè di baccalà.

Dopo questo gustoso incipit arriva il piatto forte, con un sontuoso rodizio di carni per un totale di undici portate, cotte allo spiedo e poi servite direttamente al tavolo con i famosi spadoni: dalla picanha al controfiletto, dal diaframma con pancetta allo scamone di manzo.

In abbinamento contorni come farofa, polenta o manioca fritte, riso e feijoada.

A completare il tutto i dessert di Natalia, una interessante carta vini, birre locali e drink come caipirinha, caipiroska, batida e mojito.»

 

Già questo basterebbe per elogiare il coraggio, la determinazione e la professionalità dimostrata dal nostro concittadino, ma abbiamo preso visione anche di un corposo volume di “100 ricette facili da realizzare a casa proprio” scritto da Natalia Costa e pubblicato dall’Editore Gribaudo con il titolo “Brasile in cucina”.

L’introduzione a firma di Manuela Vanni termina con parole che sono molto più di una semplice descrizione perché sono una promessa, alla verifica della quale sarà molto difficile sottrarsi per chiunque inizia sfogliare le pagine del libro: «Con questo libro – scrive appunto Manuela Vanni – Natalia ha voluto condividere con voi lettori la magia dei piatti della sua terra. è un libo ghiotto che di più non si può! Fidatevi, perché avendo fotografato i piatti ho potuto assaggiarli tutti.»

Qualche pagina in gratuita lettura potete trovarla qui: https://www.emmegiischia.com/wordpress/brasile-in-cucina-arte-culinaria/

Chi intendesse assaporare, o anche solo avere notizie dei risultati dell’Arte culinaria proposta da Lucio Filisdeo e Natalia Costa può telefonare ai numeri 0258304965 /3383928867, oppure può inviare una e-mail a info@oficinadosabor.it

… e se passate per Milano concedetevi un’ora di gustosa cucina brasiliana con ospitalità ischitana.

Bruno Mancini

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

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BRUNO MANCINI

Due mie poesie

 

Dalla raccolta di poesie
“Non rubate la mia vita”
(2005 – 2007):  

Quando sarò pensiero

 
Quando sarò pensiero
su cigli di visioni
dagli orizzonti nitidi
verso stele di mie antiche iscrizioni,
oppure anche
il tempo in cui sarò passione
nel buio ottuso
per lunghi sguardi amorosi
lasciati illanguidire dalle mie tristezze,
di certo o forse
il giorno che sarò ricordo
tra vociare arruffato
di vecchi amici alticci
sulle note matte delle mie sortite,
non posso, voglio,
quando sarò pensiero,
quando sarò pensiero
la docile coerenza
strappata a mani unite
dai cesti di delizie
per gli epigrammi delle tue certezze,
non posso, voglio,
il tempo in cui sarò passione,
il tempo in cui sarò passione
la mascherata tenerezza
oltre effimere apparenze
di abbracci mafiosi
interrata sotto il magna del tuo vulcano,
non posso, voglio,
il giorno che sarò ricordo,
il giorno che sarò ricordo
il giorno voglio
il nostro giorno voglio
intero
dal primo all’ultimo minuto
dal primo all’ultimo sorriso
dal primo all’ultimo tuo bacio.

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

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Dalla raccolta di poesie
“Agli angoli degli occhi”
(1962 – 1964): 

Tu non ignori

 
Tu non ignori
la polvere d’estate che t’acceca,
il brivido di stritolare ortiche,
angelo
rendersi
pietra.
Il suono delle ciaramelle
avanza per la tua notte,
ti trova tepore di piccole mani
rinchiuse caute
sulle bionde piume di un pulcino:
anche tu
povero
canti
ricco.
Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211220

Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Liga Sarah Lapinska intervista in esclusiva per IL DISPARI

pittore Abu Pashaev

“Non ci sono estranei tra noi”

 

Liga Sarah Lapinska: «Ci racconti la tua infanzia?»
Abu Pashaev: « Sono nato il 9 giugno 1966 nel villaggio ceceno di Chechen-Aul, Russia
Attratto dalle nostre montagne, sorgenti di fiumi veloci.
Ci piaceva giocare a calcio.
Fin dall’infanzia, sono rimasto stupito dall’immagine del cielo infinito e delle stelle notturne. 
Ho cercato di trovare risposte a domande relative al cambiamento del giorno e della notte, dell’inverno e dell’estate, della pioggia e della neve.
Quando avevo 14 anni, ho visto il film di Andrei Tarkovsky (regista e sceneggiatore sovietico), basato sul romanzo di Stanislav Lem (filosofo e scrittore di fantascienza),  “Solaris”.
Mi ha influenzato così tanto che ho avuto la sensazione di essere caduto in una sorta di “dirupo” spaziale temporale, simile al teletrasporto.
Questo incidente ha fatto una sorta di rivoluzione nel mio subconscio. 
Da quel momento in poi, ho avuto il desiderio di catturare con colori e matite i miei sentimenti e il mio stato psicologico, su pezzi di carta.
Durante i miei studi  ho appreso i primi sentimenti d’amore.
Un sentimento esaltato che mi ha spinto a creare un’intera serie di nuovi dipinti.
Ho organizzato a scuola la mostra intitolata  “La primavera nel mio cuore”.»

Liga Sarah Lapinska: «La guerra in Cecenia.»
Abu Pashaev: «In quei duri anni di guerra, sono riuscito a raccogliere tutta la mia volontà in un pugno.
Dopo aver studiato a fondo il mio percorso creativo, Alvi Dakho ha scritto nel suo articolo “Abu Pashaev usa coraggiosamente varie tecniche e direzioni della pittura. Le immagini raffigurate dall’artista nelle sue composizioni, sanno sorridere, parlare, piangere e prendere parte alla conversazione con noi.
L’ansia, il tormento e la tragedia nelle sua opere possono essere intese come un’eredità delle guerre crudeli che hanno avuto luogo nella Repubblica cecena e in cui il nostro popolo ha sofferto molto.
Invece, le sue opere successive sono piene di ottimismo, affermando le qualità della dignità e dei valori umani, il desiderio di un’umanità completa, la creazione di una convivenza armoniosa, invitandoci alla pace e all’amore per l’arte” (https://proza.ru/2021/11/16/1041).
Trovo gente simile mentalmente che pensano allo stesso modo, che apprezzano la mia creatività.
In quello che ho imparato oggi nella pittura, in una direzione astratta, una grande parte è merito di Ajub Ibragimov, mio Maestro. 
Mi ha mostrato la filosofia della direzione fluido-astratta nella pittura. »
 
Liga Sarah Lapinska: «Come affronti la depressione? »
Abu Pashaev: «Riesco di disegnare di più.
Faccio esercizi metafisici, insetti, uccelli  animali, alberi.
Questo mi dà certa sferzata di energia. »
 
Liga Sarah Lapinska: «Come puoi descriverti?»
Abu Pashaev: «Sono un artista sognatore.»
 
Liga Sarah Lapinska: « Quale delle tue opere d’arte ti piace di più?»
Abu Pashaev: «Sono tutte vicine a me.
Di più?
Ho una serie di opere chiamate “Genesis”.
Questa serie è stata dipinta da me nel momento in cui hanno iniziato a restaurare la nostra città di Grozny, la capitale della nostra Repubblica, e poi anche le mie composizioni dedicate ai motivi del manoscritto medievale ceceno Zhakhotan Teptar»
 
Liga Sarah Lapinska: «Le tue stime più recenti?»
Abu Pashaev: «La pittura astratta è la mia svolta creativa attuale.
Le mie opere riflettono i miei gesti e le mie espressioni facciali, il mio respiro, il mio battito cardiaco. Nelle mie trame artistiche cerco di essere sincero come un bambino.
Vorrei citare Bertold Brecht “Tutti i tipi dell’arte servono alla più grande delle arti: l’arte di vivere sulla Terra”.»
 
Liga Sarah Lapinska: «Il tuo motto e la poesia preferita?»
Abu Pashaev: «Una hokko giapponese “Non ci sono estranei tra noi, tutte le persone al mondo sono fratelli sotto i fiori di ciliegio .”
E per me?»

Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Luciano Somma e Gioia Lomasti

Quei giorni ischitani

Ischia è fonte inesauribile di ispirazione poetica per le sue incantevoli bellezze naturali e uno dei luoghi turistici più ambiti e visitati.

Infatti tra i tanti libri che abbiamo realizzato possiamo citare alcune poesie che raccontano luoghi caratteristici dell’isola, avendo appunto distinto la presenza di Luciano Somma a Ischia per moltissimi anni.

Chi ha buona memoria ricorderà anche le sue collaborazioni notturne alle emittenti radiofoniche locali.

Luciano Somma è stato,, inoltre, uno dei maggiori pionieri del felice progetto “Da Ischia L’Arte –  DILA” di Bruno Mancini.

Per chi desiderasse approfondire la poetica degli autori Luciano Somma e Gioia Lomasti, sono stati selezionati libri che hanno contraddistinto il loro percorso, dando vita a formati e-book, distribuiti da Youcanprinte disponibili sui maggiori webstore, cercando tra i tanti titoli degli autori attraverso il web e tramite le loro pagine DA NAPOLI CON AMORE LUCIANO SOMMA e GIOIA LOMASTI su facebook.

Gioia Lomasti nasce a Ravenna, appassionata di letteratura nel suo insieme sin da bambina conquista l’attenzione della critica letteraria con la partecipazione a concorsi di poesia ed eventi culturali che la vedono tra i posti d’onore.
È autrice di opere in poesia e prosa dedicando parte dei suoi scritti al cantautorato italiano.
Co-fondatrice del sito vetrinadelleemozioni.com, spazio che riserva all’arte e alla musica.
Ne sono intercorse collaborazioni con volti noti della letteratura e del panorama giornalistico italiano.
È articolista per molte redazioni dove promuove la scrittura e l’arte a 360 gradi.
L’amore verso la letteratura, l’emozione che ne deriva in ogni suo scritto, i vari riconoscimenti che nel tempo ha conseguito, permettono al lettore di entrare in una dimensione in cui la scrittura di Gioia Lomasti diviene anima.

Luciano Somma è nato a Napoli, diversi anni or sono, ha iniziato a scrivere testi per canzoni e poesie dall’età di 13 anni.
All’attivo moltissime pubblicazioni poetiche singole o in antologie anche scolastiche.
Ha scritto e scrive su un numero imprecisato di periodici, centinaia i premi vinti, 2 volte medaglia d’argento del presidente della Repubblica e Laurea nel 1987 H.C. in lettere e filosofia.
Oggi più volte in giuria nei concorsi di poesia e narrativa, iscritto alla SIAE come autore e compositore sono circa 2000 le canzoni prodotte con vari collaboratori ed interpreti.
Per anni conduttore radiofonico, più volte in Tv locali e, su Rai 2, nella trasmissione NON E’ MAI TROPPO TARDI nel 2005.
Direttore artistico della Italian Way Music di Cusano Milanino, del Project Team Antorva, di Vivicentro, pioniere dei progetti Made in Ischia “LENOIS” e “Mondomancini” e di altre organizzazioni artistico letterarie.
è il poeta più presente in internet, decine i titoli accademici.
Attualmente collabora con vari siti, radio e TV online con poesie e canzoni.
Luciano Somma e Gioia Lomasti

Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211213

Il Dispari 20211213 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211213 – Redazione culturale DILA

Maria Francesca Mosca sezione Poesia

Milena Petrarca sezione Arti Grafiche

vincono la decima edizione del premio internazionale

OTTO MILIONI – 2021

Durante la cerimonia di premiazione avvenuta in contemporanea a Roma c/o “Interno 4” di Chiara Pavoni e a Ischia nella Biblioteca comunale Antoniana, il 4 dicembre 2021, è stata comunicata la classifica finale della decima edizione del Premio internazionale di Arti varie OTTO MILIONI 2021, e sono stati consegnati i relativi premi.

Il Premio OTTO MILIONI, ideato da Bruno Mancini, dedicato al compianto armatore Agostino Lauro, quest’anno è stato organizzato dall’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” in collaborazione con la testata giornalistica IL DISPARI di Gaetano Di Meglio, con l’Associazione algerina ADA di Dalila Boukhalfa e con la Casa Editrice IL SEXTANTE e il Magazine EUDONNA entrambi di Mariapia Ciaghi.

Maria Francesca Mosca con la poesia “Bianco petalo” è la vincitrice assoluta della sezione Poesia.

Seguono al secondo posto Angela Maria Tiberi con la poesia “Donna leopardo”; al terzo posto ex aequo si sono piazzate Natalina Stefi con la poesia “Il marchio dell’anima” e Liga Sarah Lapinska con la poesia “Notre Dame”; al quarto posto troviamo Lucio Rinaldini con “Non ha mare”; e al quinto ex aequo si sono piazzati Eduards Aivars con “Su cuscini di gelsomini” e Luciana Capece con “La guerriera dell’amore”.

Bianco petalo

Sabbia lontana custodisce i miei passi,
colline dai profili di muschio
odorano di giorni non vissuti
e un ovattato silenzio incornicia
sorrisi di occhi senza più paura
nascosti in sguardi disperati.
Una rosa bianca
sulla mia bara senza nome
a raccogliere frettolose lacrime
spese nello spazio di un secondo
per illuminare,
qual sconosciuta rugiada,
il mio tramonto.
Scriveranno di me
su tutti i giornali,
regaleranno la mia anima
al vento,
bianco petalo di innocenza tradita
diventerà la mia vita.
Profumo d’amore
mi regaleranno
dorate ali di Angelo Bambino,
un soffio lontano, sospiro d’immenso
sfumerà in un dolce rimpianto
il mio ricordo.
Bianco Petalo di luce infinita,
messaggio di pace,
vorrei diventasse la mia vita.

Per quanto riguarda la sezione Arti Grafiche, Milena Petrarca ne è la vincitrice assoluta con lo splendido quadro che vi proponiamo in questa pagina.

Seguono al secondo posto Guillermo Lopez Alonso De Linaje, al terzo Gianfranco Cilento, al quarto Liga Sarah Lapinska e al quinto posto Ajub Ibragimov con le opere di Arte grafica che vi proponiamo nel collage di questa pagina.

Ai complimenti rivolti a tutti i partecipanti da parte della Direzione e della Redazione di questo giornale, da parte dell’Associazione DILA, da parte dell’Associazione ADA, da parte della Casa Editrice IL SEXTANTE, aggiungo il mio augurio personale di lusinghieri successi in particolar modo per i due vincitori.

Bruno Mancini

  1. Presidente Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”
Il Dispari 20211213 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211213 – Redazione culturale DILA

 

Il Dispari 20211213 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211213 – Redazione culturale DILA

Mattatrice e Mattatore

Nei mesi scorsi, a partire dalla fine dell’estate, abbiamo più volte valutati i rischi derivanti dalla organizzazione della cerimonia di premiazione della decima edizione del Premio di Arti Varie “Otto milioni” organizzato dall’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” con la collaborazione dell’Associazione italo-algerina ADA di Dalila Boukhalfa, con il Magazine EUDONNA di Mariapia Ciaghi e con la testata giornalistica IL DISPARI di Gaetano Di Meglio.

A causa delle difficoltà facilmente immaginabili, siamo sempre giunti alla conclusione che fosse prudente aspettare tempi migliori, fino a quando, interpellata Chiara Pavoni, lei si è detta propensa ad operare in totale sicurezza organizzando la premiazione nel suo salotto-studio “Interno 4” di Roma.

Parlandone con Gaetano Di Meglio abbiamo deciso di sdoppiare la cerimonia di premiazione o, forse è meglio dire “raddoppiarla”, accettando la soluzione proposta e aggiungendo un analogo incontro a Ischia nella Biblioteca Antoniana.

Oggi, poco giorni dopo la conclusione degli eventi, è facile dire che il loro chiaro successo è stato caratterizzato dalla tenacia e dalla professionalità dei due organizzatori- conduttori.

Chiara Pavoni è stata la MATTATRICE dell’evento romano e Gaetano Di Meglio è stato il MATTATORE dell’incontro ischitano.

Il Dispari 20211213 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20211213 – Redazione culturale DILA

2857 Vincitori premio OTTO MILIONI 2021

Maria Francesca Mosca sezione Poesia

Milena Petrarca sezione Arti Grafiche

vincono la decima edizione del premio internazionale

OTTO MILIONI – 2021

 

Durante la cerimonia di premiazione avvenuta in contemporanea a Roma c/o “Interno 4” di Chiara Pavoni e a Ischia nella Biblioteca comunale Antoniana, il 4 dicembre 2021, è stata comunicata la classifica finale della decima edizione del Premio internazionale di Arti varie OTTO MILIONI 2021, e sono stati consegnati i relativi premi.

Il Premio OTTO MILIONI, ideato da Bruno Mancini, dedicato al compianto armatore Agostino Lauro, quest’anno è stato organizzato dall’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” in collaborazione con la testata giornalistica IL DISPARI di Gaetano Di Meglio, con l’Associazione algerina ADA di Dalila Boukhalfa e con la Casa Editrice IL SEXTANTE e il Magazine EUDONNA entrambi di Mariapia Ciaghi.

 

Maria Francesca Mosca con la poesia “Bianco petalo” è la vincitrice assoluta della sezione Poesia.

Seguono al secondo posto Angela Maria Tiberi con la poesia “Donna leopardo”; al terzo posto ex aequo si sono piazzate Natalina Stefi con la poesia “Il marchio dell’anima” e Liga Sarah Lapinska con la poesia “Notre Dame”; al quarto posto troviamo Lucio Rinaldini con “Non ha mare”; e al quinto ex aequo si sono piazzati Eduards Aivars con “Su cuscini di gelsomini” e Luciana Capece con “La guerriera dell’amore”.

 

Bianco petalo

 

Sabbia lontana custodisce i miei passi,

colline dai profili di muschio

odorano di giorni non vissuti

e un ovattato silenzio incornicia

sorrisi di occhi senza più paura

nascosti in sguardi disperati.

Una rosa bianca

sulla mia bara senza nome

a raccogliere frettolose lacrime

spese nello spazio di un secondo

per illuminare,

qual sconosciuta rugiada,

il mio tramonto.

Scriveranno di me

su tutti i giornali,

regaleranno la mia anima

al vento,

bianco petalo di innocenza tradita

diventerà la mia vita.

Profumo d’amore

mi regaleranno

dorate ali di Angelo Bambino,

un soffio lontano, sospiro d’immenso

sfumerà in un dolce rimpianto

il mio ricordo.

Bianco Petalo di luce infinita,

messaggio di pace,

vorrei diventasse la mia vita.

 

Per quanto riguarda la sezione Arti Grafiche, Milena Petrarca ne è la vincitrice assoluta con lo splendido quadro che vi proponiamo in questa pagina.

Seguono al secondo posto Guillermo Lopez Alonso De Linaje, al terzo Gianfranco Cilento, al quarto Liga Sarah Lapinska e al quinto posto Ajub Ibragimov con le opere di Arte grafica che vi proponiamo nel collage di questa pagina.

 

Ai complimenti rivolti a tutti i partecipanti da parte della Direzione e della Redazione di questo giornale, da parte dell’Associazione DILA, da parte dell’Associazione ADA, da parte della Casa Editrice IL SEXTANTE, aggiungo il mio augurio personale di lusinghieri successi in particolar modo per i due vincitori.

 

Bruno Mancini

Presidente Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”

DILA

NUSIV

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