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Io c’ero
Io c’ero!
Belga o danese o olandese calamitò la mia attenzione
Il 23 Maggio 1959 avevo da poco compiuti i 16 anni, andavo in bicicletta da oltre 10 anni e ad Ischia circolavano più carrozzelle che automobili.
Ricordo ancora che il mio primo incidente stradale consistette proprio nel tamponamento ad una carrozza che transitava sul primo tratto di strada che da Piazza Degli Eroi conduce al porto.
Spericolato come lo sono la maggioranza dei ragazzi di quella età, andavo ad andatura veloce tanto che i freni non riuscirono ad evitare l’impatto.
Mi infilai tra le due ruote posteriori della carrozza impattando contro la balestra che le reggeva per poi, sbattendo la fronte sul cuscino del sedile, rotolare a terra per qualche metro.
Il cocchiere, spaventatissimo dall’incidente che a sua memoria non si era mai visto prima (sic!), dopo essersi assicurato della mia incolumità, mi dette la pessima notizia che avrebbe dovuto riferire l’accaduto a mio padre anche per ottenere il risarcimento del danno subito alla “carrozzeria”.
Detto fatto, mio padre mi requisì la bici per un periodo indeterminato… ossia fino ad un mio totale ravvedimento che, tuttavia… non indicava quando lui avrebbe deciso che fosse avvenuto!
Sapeva di avermi dato un enorme dispiacere, ma la sua tenacia nel pretendere il rispetto di noi figli per tutte le forme di educazione sociale era più forte in lui di qualsiasi benevolenza per i nostri errori.
Fu durante tale mia forzata astinenza che il Giro d’Italia giunse sulla nostra isola!
Cosa avrei potuto desiderare di più che parteciparvi in maniera diretta?
Nulla.
E mio padre lo sapeva.
Così, il giorno prima della partenza della tappa, mi disse che la punizione continuava… ma che avrei potuto seguire la tappa del Giro d’Italia in diretta su un’auto dell’organizzazione!
E vaiiiiiiiiii! Una notte insonne!
All’alba già ero a Piazza degli Eroi.
Ora. chiaramente, dopo oltre 50 anni molti ricordi sono svaniti, alcuni sono offuscati, ma altri sono restati nella mia mente più saldi di tanti avvenimenti, anche recenti, che hanno costellato in maniera pure importante l’arazzo della mia vita.
Quella mattina, la ricordo luminosa, forse assolata, la temperatura tiepida come spesso a maggio, quella mattina presi posto sul sedile posteriore di un nuovo modello di auto Fiat che in quegli anni era stato immesso sul mercato con la sigla di “Nuova 500”.
Tettuccio in tela apribile.
Alla guida c’era il veterano della commercializzazione delle auto ad Ischia, tale Aurelio Bondavalli, padre degli attuali noti gestori di night.
Io, in piedi sul sedile posteriore con tutto il corpo ad di fuori del tettuccio apribile.
Il compito del team presente nell’auto consisteva nel seguire un corridore, di cui non ricordo il nome, essendo tutti pronti ad intervenire in caso di guasti meccanici, cadute, forature, cambio ruote ecc.
Ovviamente, io non ero in grado di effettuare nessuna di quelle mansioni, ma mio padre, chi sa come, era riuscito a “sistemarmi” in quella che sapeva benissimo essere una posizione da me ambita come nessuna altra. Si era fatto perdonare molto abbondantemente l’intransigenza per l’astinenza alla quale mi aveva condannato.
La tappa (era l’ottava di quel Giro) come ormai tutti sapranno era una cronometro individuale sul circuito esterno dell’isola d’Ischia: partenza da Piazza degli Eroi in direzione Casamicciola ed arrivo nella stessa piazza dopo aver attraversato tutti i sei Comuni ed essere transitati per la Piazza di Serrara Fontana.
Vi partecipavano più di un centinaio di corridori e tra essi il mattatore delle salite Charly Gaul.
Erano gli anni in cui i “vecchi ” Bartali, Magni, Coppi (Coppi morirà l’anno successivo nel 1960) venivano sostituiti da personaggi emergenti come Nino Defilippis e Baldini che opponevano però scarsa resistenza ai campioni stranieri quali l’eccezionale scalatore Federico Bahamontes (soprannominato l’aquila di Toledo, fortissimo in salita fino a vincere per sei volte la classifica della montagna al Tour, ma che in discesa era una frana tanto da scendere sovente dalla bici!) mentre si affaccia sul palcoscenico internazionale un tizio dal nome “Anquetil” che avrebbe monopolizzato la scena ciclistica per molti lustri.
Fin dal primo momento dell’incontro con il nostro “Capo equipaggio” tutta la mia attenzione fu presa dall’incarico ottenuto e dalle attenzioni per il corridore che avevamo ricevuto in consegna, e che, poiché come ho detto non ricordo il cognome, per comodità, o forse per un barlume di memoria, indicherò come DIK.
Era di nazionalità belga o danese o olandese.
Né campione né brocco calamitò la mia attenzione distogliendomi da qualsiasi altra curiosità.
Quando gli fu dato il via, DIK si alzò sui pedali spingendo un rapporto che mi resi subito conto essere mostruoso se paragonato a quelli presenti sul cambio Campagnolo a tre rapporti con il quale era attrezzata la mia fantastica bici nera “Bianchi”.
Con cinque pedalate era giunto al punto del mio impatto con la carrozzella e nel frattempo noi ci eravamo mossi solo di pochi centimetri dal punto di partenza!
Il “Capo” si rese conto con costernazione, non imprecava ma borbottava in bolognese, che bisognasse chiedere prestazioni eccezionali alla piccola auto per tener dietro il missile su due ruote… tanto che il povero motore a due cilindri fu quasi sul punto di fondere, uscendo fuori giri, nell’ardua impresa di farci raggiungere DIK, ossia di metterci nella sua scia, nei pressi del rione Snt’Alessandro, circa all’altezza del primo belvedere.
Fu lì che, calmata la nostra furia inseguitrice, potei fissare la mia attenzione alla sua pedalata.
DIK aveva polpacci non tanto grandi ma con i muscoli che ad ogni pedalata parevano venir fuori dalla pelle, ed aveva una vena piuttosto marcata a forma di doppia esse sul polpaccio della gamba destra, la quale, simile ad un palloncino si gonfiava in sincronia con lo sforzo richiesto dalla pedalata.
Fu un momento indimenticabile ed ora posso affermalo, indimenticato, che durò fin dove attualmente c’è il Parco Termale Castiglione.
Per circa un chilometro, infatti, ebbi il grande privilegio di seguire a ruota un ciclista professionista partecipante al Giro d’Italia… poi giunti al Castiglione, DIK iniziò a sfrecciare in discesa tanto velocemente che non lo raggiungemmo più fino ben oltre la Chiesa del Ciglio.
Non lo raggiungemmo, però durante quello sfrenato inseguimento la mia posizione simile a quella di una vedetta sull’albero maestro di un veliero me lo faceva intravvedere sbucare in fondo a curve distanti anche qualche chilometro da noi.
Aurelio Bondavalli pigiava sull’acceleratore con tutta la tenacia e con tutta l’esperienza dei suoi anni di giuda e mi chiedeva continue informazioni: “Dov’è? Dov’è?” in una cantilena senza soste; il terzo membro dell’equipaggio, seduto al suo fianco, veniva sballottolato a destra e a sinistra come una carta in una corrente d’aria nel vento di scirocco e forse per la paura della folle corse era completamente ammutolito; io provavo il brivido della velocità e nello stridore delle ruote durante le derapate gustavo l’estasi di ammirare quei rari fotogrammi in cui DIK sbucava da una curva inclinato di almeno 30° sull’asse della strada!
Facevo il tifo per il ciclista in fuga dalla nostra auto, come ero solito fare quando i film western in voga durante quegli anni proponevano scene di indiani (presentati come i “cattivi”!) inseguiti dalla cavalleria (ovviamente “buona” e composta da gentiluomini!) che li braccava per privarli (a giudizio dei conquistatori “giustamente”) delle loro terre e delle loro donne.
Lo raggiungemmo sui tornati che conducono a Serrara Fontana faticando anche in salita a stargli dietro fino a quando, giunti nella piazza di Serrara, DIK si alzò per tre secondi togliendo le mani dal manubrio, respirò forte, si chinò sulla leva del cambio, fece scattare la catena sul rapporto più esterno… e non lo vedemmo più!
Arrivati al traguardo, seppi che era giunto da qualche minuto e che ormai si trovava forse già in albergo!
Nemmeno un autografo mi è restato di quel giorno!
Poi, da successive informazioni, seppi che non si era classificato nemmeno tra i primi 30, cosi che, per molti anni, continuai a domandarmi cosa fossero stati capaci di fare i corridori che l’avevano preceduto!
Tornai a casa con gli occhi che vedevano solo biciclette, tanto che non riuscii a capire subito se quella che scorgevo parcheggiata davanti al cancello del nostro ingresso fosse veramente, e lo era, la mia “Bianchi” nera con cambio Campagnolo a tre rapporti, finalmente messa di nuovo a mia disposizione dalla tenerezza di un burbero cuore paterno.
Io c’ero!
Bruno Mancini
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“Un video da Vermiglio“
L’avallo personale del grande Don Backy per il nuovo progetto culturale
Don Backy: intervista esclusiva
per “Il Dispari”
“Sì, tornare a Ischia, per un bel concerto non mi dispiacerebbe affatto.”
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