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Ifigonia in Culide – Atto primo
IFIGONIA INCULIDE
Legge Antonio Mencarini
Il dramma si svolge a Corinto nell’anno 69 d.C. Questi sono i personaggi:
IL RE DI CORINTO
IFIGONIA, sua figlia
ALLAH BEN DUR, primo pretendente
DON PEDER ASTA, secondo pretendente
UCCELLONE, CONTE DI BELMANICO, terzo pretendente
KIRO HITO, SAMURAI, quarto pretendente
ENTER O’CLISMA, gran sacerdote
IN MAN LAH, gran cerimoniere
BEL PISTOLINO, elefante sacro
CORO, di nobili vergini e popolo
ATTO I
SCENA: Sala del Trono. Le porte sono spalancate per dare accesso al popolo.
Entra il Gran Cerimoniere.
GRAN CERIMONIERE: Popolo bruto, orsù snuda il banano, non vedi che giunge l’amato sovrano? E’ il sir di Corinto dal nobile augello qual mai fu visto più duro e più bello; il sir di Corinto dall’agile pene terrore e ruina del fragile imene; il sir di Corinto dal cazzo peloso del buco del culo ognora goloso.
POPOLO: Noi siamo felici, noi siamo contenti, le chiappe del culo porgiam riverenti. Al nostro gentile ed amato sovrano sia dono gradito lo buco dell’ano.
(Entra il re seguito dalla Corte)
RE: La gioia che mi doni, o popolo, è si grande che più l’uccello regio non sta nelle mutande; per mio real decreto da stamattina distribuite ai poveri gratis la vaselina. Voglio sian compensati i sudditi fedeli: In cul pigliatel pure, ma state attenti ai peli. (Segni di manifesta gioia)
GRAN CERIMONIERE: Ed ora fuori tutti dai coglioni per lasciar posto a principi e baroni.
(Il popolo fa largo ed entrano i nobili che si dispongono ai lati del trono; Ifigonia entra, seguita dalle vergini, e si butta piangente ai piedi del trono.)
CORO DELLE VERGINI: Noi siamo le vergini dai candidi manti, siam rotte di dietro ma sane davanti; i nostri ditini son tutti escoriati a furia di cazziche abbiamo menati. Nell’arte sovrana di fare i pompini battiamo le troie di tutti i casini; la lingua sapiente e l’agile mano dan gioia e sollievo al duro banano.
IFIGONIA: Padre mio, padre mio, già son presa dal desio ; ho giò un dito che fa male per l’abuso del ditale, ho la fica che mi tira come corda di una lira, sto soffrendo atroci pene pel prurito dell’imene, nella fica mi son messa la manopola del cesso, mi ficcai nella vagina la più grossa colubrina, mi son messa dentro il buso sino il cero di Caruso; padre mio, sì forte e bello, ho bisogno di un uccello, di un uccel di nobil schiatta che mi sballi la ciabatta, di una fava grossa e dura che mi spelli la natura. Padre mio se non mi sposo, finirò nel water closo.
RE: Giuste son le tue brame, o figlia beneamata, se non ti fossi padre forse t’avrei chiavata; alla regal consorte, tua madre, la regina, ne ho fatte diciassette soltanto stamattina. E debbo alle mie brame io stesso porre freno, se no ogni tre minuti il bandolo mi meno. Or sento già un prurito nel fondo dei coglioni vedendo tanti culi di principi e baroni.
POPOLO: Noi siamo felici, noi siamo contenti, si rizzino i cazzi tuttora pendenti, Madonna Ifigonia, soave e pudica, già sente prurito nell’inclita fica; che Giove possente, che Venere bella le facciano dono di tale cappella che il culo le rompa, le rompa l’imene e in fine la tolga da tutte le pene. Sia pago il desio della vergine cara meniamoci il cazzo in nobile gara.
(Tutti eseguono)
IFIGONIA: Quanta fava, quanta fava, ma perché nessun mi chiava? Su ficcatemi l’uccello nella fica o nel budello; nella fica o nel sedere ve lo chiedo per piacere. Deh! Non fatemi soffrire, ve lo chiedo per tre lire.
RE: Udendo queste ataviche e oneste aspirazioni d’orgoglio mi ribolle lo sperma nei coglioni. Con animo commosso vedo dai bianchi veli spuntare lunghe e nere le punte dei tuoi peli. Il sacerdote venga, si appresti al sacrificio. Enter O’ Clisma tosto ne tragga lieto auspicio.
GRAN CERIMONIERE: S’avanzi Enter O’ Clisma, il sacerdote, dal culo più vezzoso delle gote.
(Entra il sacerdote)
GRAN SACERDOTE: Al sire di Corinto, signore degli Achei, auguro cazzi in culo non men di centosei
RE: Al grande sacerdote d’ogni rispetto degno. si doni come omaggio un bel cazzo di legno
GRAN SACERDOTE: Il tuo omaggio, o sire, mi rende il cuore gaio però l’avrei più caro di ben temprato acciaio.
POPOLO: Noi siamo felici, noi siamo contenti, prendiamo l’uccello ben stretto fra i denti; al gran sacerdote quel cazzo d’acciaio il culo riduca sì come un mortaio.
GRAN SACERDOTE: Son corso immantinente alla regal chiamata lasciando così a mezzo la settima chiavata. Sono però sicuro, se il ciel non me lo nega, che mi compenserete con una bella sega. Esprimi i tuoi voleri, o sire venerando, in fretta, te ne prego, non vedi come bando?
RE: Alla mia figlia amata, la pallida Ifigonia, da qualche tempo prude la lucida begonia. Oh sacerdote eccelso, chiuditi in sacrestia, prendi l’uccello in mano e fanne profezia
GRAN SACERDOTE: Immantinente eseguo i tuoi voleri, o re! nel regal culo t’auguro cazzi novantatre.
IFIGONIA: Santo Dio, santo Dio, questa volta l’avrò anch’io! Sospirando quel bel lino, voglio farmi un ditalino, ve lo chiedo con permesso, vo’ a tirarmelo nel cesso. (Fa per avviarsi)
RE (trattenendola): Rimanti, o sconsigliata; il padre tuo diletto innanzi al popol tutto ti gratterà il grilletto, mentre il cerimoniere, memore del mio impegno, m’inculerà di dietro col suo cazzo di legno. Se con le bianche mani mi tieni su i coglioni vedrai nella mezz’ora quaranta polluzioni.
POPOLO: Noi siamo felici, noi siamo contenti, il re ce l’ha duro in tutti i momenti; seguiamo l’esempio del caro sovrano, facciamoci forza , pigliamolo in mano!
GRAN SACERDOTE (entrando): Nel filtro del futuro apersi uno spiraglio, mettendomi nel culo un mezzo spicchio d’aglio.
RE: I detti tuoi sapienti son rapidi e fatali come fuori dall’ano i nodi emorroidali.
GRAN SACERDOTE: Seguendo il tuo consiglio, o re buono e sapiente, misi l’uccello duro sopra un braciere ardente, lessai il coglion sinistro, ne bevvi poscia il brodo, grande e divino auspicio traendone in tal modo: tra i principi del sangue dal ben tornito uccello bandito sia il concorso con un indovinello; che in fica di Ifigonia la bella non si vada, se pria non verrà sciolta almeno una sciarada!
(Cala rapida la tela sul primo atto)
Ifigonia in Culide Atto secondo
ATTO II
SCENA: La stessa sala. Sono presenti i principi pretendenti di Ifigonia colloro seguito.
GRAN CERIMONIERE: Ecco sire immantinente vi presento il pretendente : ecco il primo Allah Ben Dur.
ALLAH BEN DUR: Ho riempito un orinale col sudore delle bale!
GRAN CERIMONIERE: Il secondo ecco s’appresta; il suo nome è Peter Asta
DON PEDER ASTA: Ho riempito un gran mastello colla broda dell’uccello!
GRAN CERIMONIERE: Viene poscia, mi vien panico, vi presento Uccellone di Belmanico.
UCCELLONE: Ho riempito tre bidoni colla broda dei coglioni!
GRAN CERIMONIERE: Dal Giappone pervenuto, ecco il quarto, Kiro Hito.
KIRO HITO: Ho riempito una caserma solamente con lo sperma!
GRAN CERIMONIERE (imponendo il silenzio): S’avanzino senz’altro i pretendenti; (rivolto al popolo) voi fate largo, ed al culo state attenti.
ALLAH BEN DUR: Io sono Allah Ben Dur dal poderoso uccello e vengo dall’Arabia a dorso di cammello; il viaggio fu assai lungo e senza tappe sicché dal gran sudore mi bruciano le chiappe. Raggiunta in fin la meta di sì tremendo viaggio ho piedi, culo e fava che puzzan di formaggio. Sul dorso di cammello so far mille esercizi, infransi più di un culo all’ombra dei palmizi. I miei coglion lucenti, senza badare al puzzo, sembrano per volume le uova di uno struzzo; son bruno, ardito e forte, devoto mussulmano, son dell’Arabia intera certo il miglior banano. Ai vostri piè depongo il mio ferrato uccello. Con l’aiuto di Allah sciorrò l’indovinello.
IFIGONIA: Avvenne un dì che un nobile prelato lo mise tutto in culo a un capriolo; un figlio dal connubio essendo nato, e si domanda: com’era tal figliolo?
(Allah da segni di incertezza)
GRAN CERIMONIERE: Se non mi rispondi nella settimana mi faccio del tuo scroto una sottana.
(Allah è sempre più confuso)
ALLAH BEN DUR: Veramente… quel prelato… dentro il cul del capriolo… non so dire…mah ! avrà pigliato… perlomeno un po’ di scolo…
POPOLO (furente, facendo gli scongiuri): Noi siamo infelici, noi siamo scontenti, ti secchino il cazzo i nostri accidenti! Gli uccelli si affloscino in segno di duolo, quel brutto vigliacco ci parla di scolo!
(Il principe è trascinato via a viva forza)
GRAN CERIMONIERE: Il primo pretendente è bell’e e fritto, venga il secondo con il cazzo ritto.
DON PEDER ASTA: Io son Don Peder Asta, gran nobile spagnuolo, astuto oltre ogni dire; viaggio col protargolo e sei preservativi per non subire l’onta di prendermi lo scolo all’atto della monta.
IFIGONIA: Principe saggio, devi dire a me da quanti giorni non fo’ più il bidet!
DON PEDER ASTA: Fidandomi del senso dell’olfatto, ti debbo dire che non l’hai mai fatto.
POPOLO (incazzatissimo): Lo sanno le troie, lo sanno i lenoni i cazzi lo sanno, lo sanno i coglioni! Nel dì di Giunone, con mossa pudica madonna Ifigonia lavossi la fica; coi suoi venti chili di augusto formaggio fu fatta una palla di un metro di raggio. Al prence sia data la pena infamante di prenderlo in culo dal sacro elefante!
RE: Voglio siano esauditi del popolo i voleri; venga Bel Pistolino, coi suoi cento staffieri; quaranta archibugieri, intanto, piano piano, lo aiutino un pochino col palmo della mano; e nel caso imprevisto che non gli venga duro, lo sfreghino senz’altro contro il muro.
(S’avanza Bel Pistolino con evidenti segni di giubilo)
POPOLO (in delirio): Pompa, pompa come un mulo fagli tremare le chiappe del culo! Daglielo molle, daglielo duro, fagli tremare quel buco oscuro! Daglielo duro, daglielo molle, fagli tremare quel buco folle!.
GRAN SACERDOTE: A quanto sembra anche il secondo è fritto, ben venga il terzo Però a cazzo ritto!
UCCELLONE: Sono il nobile Uccellone sono conte e son barone; la mattina, appena desto, me lo meno lesto lesto, poi mi sparo a colazione, qualche rapido raspone; quattro seghe a mezzogiorno non fan male per contorno; alla sera, per divario, rompo qualche tafanario, ed alterno con pompini, il culetto dei bambini. Sulla punta del mio pene, mille infransi fiche amene; vedi? Bando come un mulo alla vista del tuo culo!
IFIGONIA: Sai dirmi il mistero della sfinge la quale prima caga e poi spinge?
UCCELLONE: Mi colma, oh Ifigonia, la tua parola oscura i corpi cavernosi di gelida paura! Già sento roteare, con ratto alterno moto, i possenti testicoli entro il peloso scroto; ho nel profondo cuore una puntura sorda quasi una dozzina di piattole mi morda. Oh nobile fanciulla, alle parole altere sento che si rilascia persino lo sfintere.
RE: E brami, o tracontante, la mano di mia figlia? Col culo pieno d’aglio farai la Mille Miglia!
GRAN SACERDOTE: Sia subito eseguito il sovrano volere. Si porti senza indugio, d’aglio un gran paniere.
(Uccellone di Belmanico scoppia in una fragorosa risata)
RE: E ridi, o sconsigliato, al pensier di gran travaglio di far la Mille Miglia col culo pieno d’aglio?
UCCELLONE: Mi fate solo pena, oh poveri coglioni, ché per riempirmi il culo ne occorron tre vagoni! Pieno d’aglio il sedere come l’errante ebreo, io batterò in volata la rossa Alfa Romeo!
(Si allontana baldanzoso)
IFIGONIA (nostalgica): Addio nobile Uccellone, mio prode Signore! La tua robusta fava mi giunge fino al cuore. Non hai colpa veruna se con l’uccello dritto, giammai non scandagliasti le Sfingi dell’Egitto, se solo mille fiate alla tua chioma fulva s’intrecciaron tenaci i peli della vulva.
RE: Non piangere Ifigonia, lustro dei peli miei, sii paziente e devota ai detti degli Dei.
KIRO HITO: Io sono Kiro Hito, e son mandrillo; lo metterei nel culo a un coccodrillo. Son figlio del Giappone, Kiro Hito, ho un paio di coglioni di granito. Ma facciam presto con le spiegazioni, che temo non star più nei pantaloni.
IFIGONIA: Stavasi un eremita in Poggibonsi che non cacava e non faceva stronzi; or dimmi: quando un rutto egli tirava, ai suoi fedeli che impressione dava?
KIRO HITO: A simile domanda una risposta sola: avea quell’eremita il retto nella gola! La storia già ci narra del Principe Gargiulo, il quale nella faccia rassomigliava a un culo. Ne son più che sicuro e dirlo posso lieto: dell’eremita il rutto puzzava più di un peto!
(Il Gran Cerimoniere apre una pergamena e da’ segni di approvazione)
RE: Un uomo siffatto che ha tanto cervello ragiona certamente con l’uccello. Eccoti dunque figlia bene amata, la fava ritta, tanto sospirata! Sii degna dell’uccello conquistato, mai obliando i lustri del passato. Ricorda Bertolina, tua germana, ch’arrossiva sbucciando una banana, ma che un dì, presa da furor demente, cacciossi nella fica un ferro ardente perché al Baron Carlo dei Baroni furon tagliati il cazzo ed i coglioni; mentre la Filiberta illustre e saggia il culo s’incendiò con acqua raggia: aveva scelto la morte al nero duolo di curarsi lo scol col protargolo; e la nobil Figonia, tua bisava, sempre invitta nel gioco della fava, morì vetusta d’anni in un bordello, col cuore trapassato da un uccello.
IFIGONIA: Il sorriso della fica la mia gioia alfin ti dica, son felice e sonbeata perché al fin sarò chiavata. Ma vi giuro sugli Dei di pensare ancora ai miei; al re, come alla regina che mi lecca la mattina: a lui dono un sospensorio come stemma provvisorio, ed a lei l’originale di un bel cazzo artificiale.
POPOLO: Noi siamo felici, noi siamo contenti, si rizzin di gioia i cazzi frementi; l’uccello del prence di gioia ci inonda mettiamoci tosto il culo di sponda.
VERGINI: Noi siamo le vergini dai candidi manti, s’intreccin le danze, s’innalzino i canti: lasciamo le seghe, lasciamo i pompini, mettiamo da parte i bei ditalini! E’ giorno di festa: l’azzurra pervinca mettiamo all’occhiello del muso di tinca!
GRAN CERIMONIERE: E risuoni nella reggia, perlomeno una scorreggia! (esegue)
(cala rapida la tela sul secondo atto)
Ifigonia in Culide Atto terzo
ATTO III
SCENA: La camera nuziale. A destra una porta che da nell’appartamento del re; in fondo a sinistra, si nota un elegante water-closed con catena pendente.
IFIGONIA: Mio Kiro Hito, prence samurai il tempo passa e non mi chiavi mai!
KIRO HITO: Desisti dalle inutili e vane spiegazioni, non vedi che cominci a rompermi i coglioni?
IFIGONIA: Fammi veder le palle di solido granito, fammi toccare l’uccello almeno con un dito! Dimmi cosa brami mio nobile signore: ti bacio le palline o vuoi fare all’amore?
KIRO HITO: C’è una cosa che ancora non ti ho detto, un terribile segreto che brucia nel mio petto!
IFIGONIA: Deh, parla Kiro Hito, mio divino! T’ascolto col canal di Bartolino!
KIRO HITO: Un giorno, or son quattr’anni, soffrendo per un callo, stavo prendendo un bagno nel grande Fiume Giallo e, come è sempre in uso tra i nobili signori, stavo rompendo il culo a paggi e valvassori. Quand’ecco di lì passa un bonzo di Visnu (allor mio caro amico, ci davam del tu) il quale mi propose un sordido cinismo, di fare nel suo culo, un giro di turismo. Di meglio non bramavo, e come ardente toro, soffiando a testa bassa mi butto dentro il foro. Ma quel vigliacco aveva, nel nero tafanario lungo, rapace e impavido, un verme solitario, che, mentre mi godevo il morbido budello, pian piano mi sbafava, la fava dell’uccello. Eccoti ormai svelato alfin tutto l’arcano: il bruno Kiro Hito è privo di banano, ed ora, mia diletta, quando voglio godere, non ho altra risorsa che il buco del sedere.
IFIGONIA: Ignobile fellone, infame traditore! La misera Ifigonia piombi nel disonore! Fui vittima innocente di un infame tranello: potea mangiarti, il verme, il cuore, non l’uccello! Mi sento soffocare dal duolo che mi stringe, per poco non mi scoppia di rabbia una salpinge.
KIRO HITO: Tristissime giornate col resto del mio uccello passai sulla torre sovrastante il castello; ed intanto, tutto avvolto in tristi, neri veri, strappavo singhiozzando i miei lucenti peli. Alfine non rimase un pelo sul coglione, così senza conforto mi buttai dal balcone. Ma appena giunto al suolo dilegua il mio tormento: volle il cielo benigno che nel rapido giro cadessi a culo nudo sul cazzo di un fachiro, che da circa vent’anni restava contro il muro muto, scarno, impassibile, ma con l’uccello duro. Così da quel momento girai tutte le Corti e di cazzi ne ho presi di dritti, lunghi e storti.
IFIGONIA: Furie d’Averno, o voi che anguicrinite chiavar vi fate in pose pervertite da quei ciclopi che hanno un occhio solo perché non vi pigliate mai lo scolo? E tu, Giunone, che sull’Elicona ti fai dal Can leccar sulla poltrona, perché non mangia un pezzo di grilletto il cucciolo fetente e prediletto?
KIRO HITO: Frena i tuoi detti alteri, o Ifigonia, basta! Abbi rispetto almeno per l’arte pederasta. Tu non lo sai la gioia che ascende l’intestino: questo lo dice un vecchio ed esperto culattino!.
RE (entrando con una scatoletta in mano): Ho sentito rumore dalla stanza vicina; forse state cercando un po’ di vaselina?
IFIGONIA: Anche la vaselina, duro scherno! O padre maledetto, va’ all’inferno! (gettandosi sui coglioni paterni) Ecco ti mangio il tuo coglione destro ed ancora insisto: ed ora sta’ sicuro, neppure Cristo se pietà si prendesse del tuo guaio ridar tene potrebbe un altro paio. Castrato sei, e se vorrai godere, godrai tu pure usando il buco del sedere!
RE: Ahimé ahimé, o qual vista orrenda! Mia figlia fa’ dei miei coglion merenda! (si accascia piangendo)
GRAN CERIMONIERE (entrando di corsa): Accorrete cortigiani, duchi, principi, baroni, nobiluomini, esercenti dai bei nobili coglioni, voi, pulzelle e maritate, nobildonne e castellane che battete di gran lunga le più celebri puttane, tralasciate le chiavate, tralasciate anche i pompini, sospendete, i consueti ditalini! Ifigonia, la sovrana, impazzita dal dolore, si mangiò le grosse palle dell’astuto genitore!
(entrano i cortigiani e le cortigiane in costume adamidico)
RE: Addio mio prode cazzo, piega da questa sera, la rossa, audace testa un giorno tanto fiera! Finirono le giostre e le dolci tentazioni: non val robusta fava se priva di coglioni. Addio vergini belle, che lasciaste l’imene sopra la forte punta del mio robusto pene! Addio, culi rosati di donne e di bambini, addio, lingue sapienti, maestre di pompini! Da oggi tu negletto starai nelle mutande, né attingerà alle stelle, il tuo potente glande! Meglio sarebbe stato perdere anche il cazzo, ma perderlo da prode nel gioco del rampazzo! Perir tu ben dovevi, ma in singolar tenzone invece, ahimé, peristi da povero coglione!
GRAN CERIMONIERE (rivolgendosi ad Ifigonia): Io ti punisco col tormento duro d’esser legata colla faccia al muro: passerà tutto il popolo, e, con l’ano, farai da monumento vespasiano.
IFIGONIA (avanzandosi alla ribalta come in estasi): Sognavo un cazzo forte, da bambina, e supplicavo Giove ogni mattina, affinché, come accadde un giorno a Eunica, mi accadesse di rompermi la fica. Così non fu; la Provvidenza grande, che gioia e dolore in terra spande, mi volle sposa a te, che sei carino, ma col difetto di esser culattino. Da prode morirò, come Raniere, che non poté inculare lo sparviere; Addio Kiro Hito, un dì mio sposo; e tira l’acqua, l’acqua al water-closo!
(attraversa la scena di corsa e si getta dentro il water-closed; Kiro Hito impassibile tira l’acqua; il popolo si inginocchia e piange).
Cala definitivamente la tela