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Io fui mortale
Io fui mortale – Terza edizione – Solo 7.90 €
Io fui mortale
Io fui mortale – copertina anteriore
INTRODUZIONE
Bruno Mancini è nato a Napoli nel 1943 e risiede ad Ischia dall’età di tre anni.
Si potrebbe agevolmente iniziare e concludere la presentazione di questo volume “Io fui mortale” aggiungendo a poesia l’aggettivo “vera”, peraltro di difficile collocazione nella moltitudine di voci che si muovono incontrollate attraverso la quasi infinita prateria contenuta nel recinto della Poesia.
Oppure si potrebbe equiparare la discontinua plasticità dei toni espressi nelle liriche proposte, con le note a volte quasi imperative ma anche effimere, fragili e fuggevoli, dei migliori spartiti di George Gershwin , oppure amalgamare le parole con le quali lo scrittore c’induce a godere per il peso di continue emozioni, con i decisi colpi di pennello con cui un grande sognatore ad occhi aperti come Paul Cézanne immortalava scorci in apparenza anonimi di borghi e di esistenze.
E’ il tempo il suo sospiro.
Il sospiro poetico di Bruno Mancini è il tempo, che pur non mostrandosi con battiti d’ali improvvisi, s’incunea nella sua vita come un turbine entro il quale la sua anima si trova a fissare volti indefiniti, in antitesi ed in lotta contro ignoti mausolei, mentre, in assoluta autonomia, sentimenti irrefrenabili proseguono nella loro essenza, precisi e chiari, attenti a riempire ogni minimo attimo, quasi fossero regolati da un orologio svizzero.
Mancini è in una quotidiana altalena tra il suo “sono” ed il suo “voglio”, intanto che, appena un palmo sotto di lui, l’erba delle vicissitudini che sfuggono al controllo continua a muoversi pur senza trasmettergli segnali di certezze.
La turbolenta semplicità del suo porgersi in una dimensione umana e per niente fittizia nell’elaborazione culturale, induce, chi lo conosce personalmente, a spostare sempre con maggiore evidenza l’attenzione verso l’essenza della realtà esistenziale che egli esprime, piuttosto che andare incontro solo alla proiezione fantastica realizzata dai suoi versi.
Così, infine, è la sua immagine “reale” – più che la lettura delle sue poesie, più che la serie dei volumi pubblicati o degli attestati di stima ricevuti, più che tanti ricordi delle incantevoli seducenti malie proposte dalle recitazioni dei suoi versi -, l’accattivante essenza che lascia affermare la convinzione con la quale ho iniziato ad elaborare questo articolo scrivendo di essere in presenza di un volume di “vera” poesia.
“Tra eutanasia e ghigliottina” musicata da Roberto Prandin
Letture dell’attrice
Lucia D’Ambra
Lucia D’Ambra legge la poesia -Se le tue chiavi – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Scrivo poesie – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Ora conosco – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Le ombre per vivere – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Un taglio – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Davanti al tempo – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Non rubate la mia vita – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Del dopo gioventù – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Nel manto unisono – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – La pozza, ossia l’addio – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Pericolo – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – E venne l’ora del disincanto- di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – La grande circonflessa – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Forse così va il mondo – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – La pausa – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Ristoro – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Nei boschi di castagni – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – La dominanza – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Eppure se – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Ignazia’s day – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Macroscopiche assoluzioni – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – La lista – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Ma dove sei – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Le onde orizzontali di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Dunque tu esisti – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – L’ultima rivista in voga – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – Che giunga da lontano – di Bruno Mancini
Lucia D’Ambra legge la poesia – La zingara – di Bruno Mancini
Macroscopiche assoluzioni
per chiodi infissi nella mia coscienza,
Padre,
con benna estirpo ad una ad una
tra scricchiolanti cantilene,
e strascico avvolti
in folti fogli fitti di poesie,
Madre,
nel nostro tempo d’inutili menzogne.
Né sia truce in questi occhi non più asprigni
lo sguardo austero dei tuoi decreti,
Padre,
nel banno affisso sul muro di gomma
impiastricciato dalle mie storie fascinose,
dov’io m’illudo
in voglie e volti in veglie,
Madre,
fra dolci inganni che non sono tradimenti.
Ci sia indulgenza se non perdono
per la mano che respinge i miei sorrisi
per la mano che raccoglie le mie lacrime.
Io fui mortale.
Io fui mortale -Castello Aragonese – Immagine interna
Un taglio
Un taglio alla fune del timone
sobbalza come la trottola sulle molliche di pane.
Sfugge corda indefinita.
Movenza soffice d’ora di sole.
E’ vortice di fantasia di specchi.
Se invece sei colpevole
e mentisti
se sei colpevole
e fuggi
e verso luci te ne fuggi
ossessive,
se sei colpevole
e premi
respiri e sangue
t’annulli avvilendoti
tu mi rincontrerai
acerbi altari a lustrare
indifferenti vuoti a credere
parole a piangere
sfide a creare
curvi colori oscuri e matti a muovere
in malinconie
tossiche
più di un fumo giallo e denso.
Ed io ti parlerò
di cani e di animali
delle mie pallide albe di sconfitte
di ore mai vissute
di stelle.
Ed io ti creerò bellezze
e ti richiamerò ricordi
e la mia mente
lenti accordi espia.
Un taglio – A split
Traduzione di Pamela Allegretto Franz
A split at the helm’s rope
pops like the crust on bread.
The boat escapes the eternal cord
and is set gently adrift on a sunlit day
into a fantasy whirl of prismatic mirrors.
If instead you’re guilty
and lied
f you’re guilty
and flee
and toward the light you escape
obsessed,
if you’re guilty
and squash
breath and blood
cease humiliating yourself,
you’ll see me again,
undeveloped altars to glaze
frivolous indifferences to create
words to cry
challenges to conceive
warped colors dark and wild to move
downhearted
toxic
more so than a yellow and dense fog.
And I’ll speak to you
of dogs and animals
of my pale defeated dawns
of hours never lived
of stars.
And I’ll create splendors for you
and I’ll evoke memories
as my compassion
repents slowness to concede harmony.
Agli angoli degli occhi
Agli angoli degli occhi
sotto pigrizie amiche
prepara a morte
nostalgia.
Passa più parti
lampo di tempo indietro
indietro secoli
e sempre come sempre.
Cambia
se non adesso
a morte.
Alla viola nasce il pensiero
e posso ancora muovermi
venirti accanto
e senti la corteccia
vecchia e inutile.
Agli angoli degli occhi – All’angule ‘e ll’uocchie
Traduzione in Napoletano di Luciano Somma
All’angule ‘e ll’uocchie
na musciaria amica
pripara ‘a morte
nustalgia.
A cchiù parte
‘o lampo d’’o tiempo areto
areto ‘e secule
e sempe comme a sempe.
Cagna
ma no subbeto
‘a morte.
‘Nccopp’’a viola nasce ‘o penziero
me pozzo ancora movere
venì vicino
‘e senti ‘a scorza
vecchia e inutile.
Io fui mortale – Riposo – Atene
Riempi il mio grembo
di Liga Sarah Lapinska
Piepildi manu klēpi
ar bezvārda zvaigznēm skarbām
ar aizmirstiem, gurdeniem vējiem
ar aizvērtām nākotnes sejām
varbūt, ka modīsies
varbūt kāds vārdā sauks
citādi-bieži man liekas
ka manis vispār vairs nav
mazliet spoguļos, pasēs, zemapziņaš
laimīgā-tas ir tik maz
citādi-tieši man liekas
ka tevis nekad nav bijis
starp pelēku, samītu granti
un sudraba zvaigznēm tālām
sai haosā, kur nav ceļu
ko neviens vēl nav izpētījis
seja, ko neredz spoguļos
adrese neatrodama
nav ceļu, un lēni iet vēji
nav ceļa, ja atgriežos.
Piepildi manu klēpi –
Riempi il mio grembo
Libera interpretazione di Bruno Mancini
Riempi il mio grembo
con stelle truci,
senza nome,
con venti dimenticati e logori
e chiusi volti del futuro.
Forse si desteranno.
Forse qualcuno li chiamerà per nome.
Altrimenti,
spesso,
saprei
che sono in genere “non più”.
Un po’ di specchi, i passaporti, inconsciamente,
altrimenti,
proprio,
saprei che tu
non sei mai stato
tra griglia e calpestata ghiaia.
E le stelle d’argento, lontane.
In questa baraonda dove svaniscono i tragitti,
la faccia fugge dagli specchi,
manca la meta,
e solo i venti vanno lentamente.
E’ senza strada il mio ritorno
da te che mi riempi il grembo.
Nel manto unisono che scioglie i tuoi silenzi
in sordi affanni della mente,
io vate,
dileggio
il fato e il nulla
e sosto sugli appigli del pudore.
Avviso intero un moto,
a tromba d’aria,
risucchio turbinoso
di apparenze terrene
mentre tu trami un ritornello,
cicala,
ti voglio.
Ancora più si spandono
tra incastri attanagliati,
nessuno sa fermarli,
contorti frammenti
di un dissennato puzzle dei sentimenti,
ma il centro è immobile.