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Per Aurora – volume quinto – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA
TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA
Dedica
La menopausa di mia sorella
Conversazione fra un totano ed una pantegana
CAPITOLO PRIMO
CAPITOLO SECONDO
CAPITOLO TERZO
CAPITOLO QUARTO
CAPITOLO QUINTO
CAPITOLO SESTO
Così fu
PARTE 1
CAPITOLO PRIMO
CAPITOLO SECONDO
CAPITOLO TERZO
CAPITOLO QUARTO
CAPITOLO QUINTO
CAPITOLO SESTO
CAPITOLO SETTIMO
CAPITOLO OTTAVO
CAPITOLO NONO
CAPITOLO DECIMO
CAPITOLO UNDICESIMO
CAPITOLO DODICESIMO
CAPITOLO TREDICESIMO
PARTE 2
CAPITOLO 1
CAPITOLO 1
Poesia sporca
Poesia sporca
Per Aurora – volume quinto – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA
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Per Aurora – volume quinto – Vetrina LULU
Per Aurora volume quinto di Bruno Mancini
seconda edizione
Version 5 | ID r99qmg
ISBN 9781471068423
Bruno Mancini
ISBN 9781471068423
Versione 4 | ID r99qmg
Creato: 31 ago 2022
Modificato: 31 ago 2022
Libro, 100 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00
Titolo Per Aurora volume quinto
Sottotitolo Alla ricerca di belle storie d’amore
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 9781471068423
Marchio editoriale Lulu.com
Edizione Nuova edizione
Seconda edizione
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022
prima edizione
Per Aurora volume quinto di Bruno Mancini
Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta.
Dettagli del prodotto
ISBN 978-1-4092-8184-9
Editore Bruno Mancini
Copyright ©2009 Bruno Mancini
Lingua Italian
Paese Italia
Data di pubblicazione 28 marzo 2009
Conto pagine 109 pagine
Formato Commerciale USA
Rilegatura Rilegatura termica
Libro a copertina morbida, 109 pagine
Viene spedito in 3–5 giorni lavorativi
La menopausa di mia sorella
Conversazione fra un totano ed una pantegana
La menopausa di mia sorella
Conversazione fra un totano ed una pantegana
Capitolo 1
….mi trovai pochi metri dietro il promontorio denominato Punta Pisciazza, sotto il costone che delimita a sud-est la baia di Cartaromana.
Ero quasi giunto in vista della conca che da quel punto si apre senza percettibili soluzioni di discontinuità fino al Castello Aragonese.
L’escursione subacquea mi sembrava appena iniziata anche se avevo le dita bianchicce, spugnate, le mani mollicce, spugnate, i piedi insensibili strizzati nelle pinne tipo rondine extra-large, il naso tumefatto, spiaccicato contro il vetro indeformabile della maschera “pinguino nero”.
Ogni parte del mio corpo si era conformata in una condizione fisica differente, se non addirittura opposta rispetto allo stato in cui si trovava al momento dell’immersione.
Prima no, prima di scendere in acqua le mie dita, le mani, erano arse, grinzose per le lunghe ore al sole, le narici erano atrofizzate dall’afa, i piedi dolenti per gli impervi percorsi sugli scogli, e non avevo il respiro rumoroso affrettato scomposto ansante a seguito delle apnee lunghe minuti senza fine sfilacciati nell’agguato all’enorme murena che m’era apparsa – intravista – in una fessura di roccia frammista a cespugli di alghe -ondulanti – da cui era formato il fondo del promontorio di Punta della Pisciazza, in direzione della Grotta del Mago lasciata la Baia di Cartaromana.
Per Aurora volume quinto di Bruno Mancini
La menopausa di mia sorella
Conversazione fra un totano ed una pantegana
Capitolo terzo
Quasi a fuggire da questi nuovi e vecchi invadenti ed inopportuni pensieri, effettuai di botto un profondo respiro, spinsi la testa sottacqua, ruotai il capo verso il basso, e, dando un deciso colpo di pinne, mi lasciai cadere nella profonda fenditura tra due masse rocciose.
Nel chiarore indeciso delle strisce di sole che, penetrando i circa otto metri di profondità, in una prospettiva parevano sciamare entro gruppi aghiformi tra i filari delle posidonie, mentre invece, in un angolo opposto, squarciavano il fondale trafiggendo l’incastro della falda sulla scogliera, come un fantasma di pura luce, seguendo la corrente sottomarina con un docile movimento a pendolo che non ne spostava granché la posizione, un fantastico enorme agglomerato, perfettamente mimetizzato tra le rare pietre, le variegate alghe, e gli spigoli di sabbia, giaceva come un polpo.
Un polpo?
Una piovra!
Otto metri circa sotto di me, un polpo di dimensioni mai prima affrontate sbatacchiava fra i suoi enormi tentacoli una macchia nerastra simile ad una delle rotondeggianti rocce laviche stracciate dai bordi del magma solidificato.
A meno che non si fosse trattato di un riccio gigante o di un grappolo di cozze, la macchia non mi sembrava giustificata in quel luogo.
Non ebbi in mente altre ipotesi.
Neppure che potesse trattarsi di un totano.
Le pulsazioni m’incalzavano risucchiando quanto più ossigeno possibile dai polmoni, l’adrenalina mi eccitò rendendo secchi e decisi i movimenti con i quali proseguii la discesa, gli occhi sbarrati dietro il vetro perlato della maschera molto compressa sulla faccia puntarono il centro dell’ammasso spiaccicato indifeso sul fondo, la mano destra strinse l’asta d’acciaio del tridente fino a procurarmi dolore per l’improvvida compressione, il braccio sinistro si mosse a cavare il pugnale dalla guaina legata al polpaccio.
Non ebbi un pensiero.
Che fosse un totano.
Così fu
PARTE 1
Capitolo 1
Ieri.
Soltanto ieri.
Finalmente, ho carpito dalle grinfie avide dei mercenari acquattati in ogni dove al soldo d’invadenti multinazionali, i tempi ed i modi per una voluta prigionia, ed ho serrato le porte nell’attesa di muovermi verso i luoghi delle mie origini.
Metaforicamente, praticamente, completamente.
L’assalto continuo, attraverso proposte indicanti modi d’essere adeguati agli inutili prodotti che i padroni universali del commercio e dei servizi inviano a pioggia di grappoli dai contorni impalpabili come foschia estiva di primo mattino, assume virulenze epidemiche una volta giunto a contatto con le blande aspirazioni di tranquillità e di serena assuefazione al ritmo quotidiano proprie di esistenze vissute senza sprechi e prive di inutili orpelli.
Semplici, essenziali, autonome.
Le menzogne ballerine, create ad immagine di lusinghe dai loro maghi prezzolati, saltellano allegramente ben oltre ogni perdonabile entusiasmo, frattanto che abbattono ostacoli a forma di evanescenti birilli ed ideologie di carta straccia, male, o per niente, supportate da nervose manovre atte a ripristinare condivisibili pretese di libertà individuali.
Senza ritrosie, in ragione della forza amorale ricevuta dalle loro strutture interdipendenti, superano, con vigliacca disinvoltura gli specifici spessori delle singole vite incontrate lungo le vie che percorrono.
Ne deriva una complessa organizzazione della socialità immemore dei suoi stessi scopi istitutivi.
Mentre srotola piacevolezze esistenziali frammiste ad essenziali bisogni cognitivi ed impellenti necessità comunicative, essa, la falsa dignità universale – quella degli uomini invisibili oltre le cortine delle organizzazioni finanziarie, quella degli innominabili padroni del vizio e della schiavitù dei deboli, quella dei tizi in doppio petto sproloquianti in pubblico senza cuori brucianti all’interno del torace per giustizia ed uguaglianza, quella di tutti gli uomini animali da sé stessi assurti a mortificanti auto glorificazioni, quella dei nuovi Dei, meschini e blasfemi – essa la falsa dignità universale accaparra, tutto intero, senza pentimenti, l’indivisibile legame tra le vite ed i singoli uomini.
Non ero convinto che fosse sufficiente, ma limitare il raggio di azione dei miei giorni futuri nel perimetro, orto compreso, di una vecchia casa colonica, mi era apparso il sistema più agevole per tentare la metempsicosi spirituale che intendevo costruire tra il mio passato ed il mio futuro…
Per Aurora volume quinto di Bruno Mancini
Così fu
PARTE 1
Capitolo 11
Prima di partire da Roma avevo prenotato l’alloggio presso un albergo di costruzione recente situato sullo sperone sporgente al confine tra la baia di Cartaromana ed il promontorio di Punta San Pancrazio.
Una scelta non casuale ma voluta per il desiderio di una notte serena, di silenzio assoluto infranto unicamente dalla risacca, dagli sbuffi dello scirocco lungo le pendici della collina ricoperta da ginestre (ginestra, fiore amato dalla mia donna) in piena fioritura, e da qualche sporadico monotono rimbalzare dei richiami che forse i grilli, forse le prime cicale, forse i gatti in amore, forse gli uccelli notturni, forse i roditori, avrebbero utilizzato per riconoscersi e difendersi.
Aspettando che mi fosse servita la cena al tavolo sulla terrazza a strapiombo sul mare, ho chiesto un gin tonic ed un sacchetto di anacardi, mi sono seduto nell’angolo meno illuminato, ho allungato le gambe poggiando i piedi tra i ghirigori formanti il disegno della ringhiera a pelo del baratro, ho socchiuso gli occhi, mi sono chiesto fino a che punto sarei stato in grado di ricordare, ricostruire, collegare, ed ho così iniziato il conto alla rovescia che avrebbe mutato il senso della mia vita portandomi, mediante una consapevole decisione, adesso a scriverne, ed in seguito ad indirizzarmi verso conclusioni difficili, ma ancora una volta coerenti con i sentimenti ai quali non ho mai inteso rinunziare…