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Nunzia Binetti – Di chi è la colpa?
Nunzia Binetti
Di chi è la colpa?
Se penso alla Storia, mi torna facile considerarla solo il grafico della imperfezione umana, della cupidigia, della sete di potere dei singoli, del desiderio di un popolo o di uno stato di divorare un altro popolo o un altro stato.
Homo homini lupus… per intenderci!
La ingenuità dei cittadini, sudditi del potere o se vogliamo la loro incapacità di scegliere, anche in un sistema democratico, i loro rappresentanti, è un altro segno di questa imperfezione nata nello stesso giorno in cui sulla terra comparve il genere umano.
Ogni generazione ha le sue responsabilità storiche, ogni governante, nessuno escluso.
Le stesse età dell’oro, arcaiche, non furono che una colossale menzogna, capaci di assicurare il benessere a pochi (la ricchezza non è mai stata equamente distribuita tra le varie classi sociali) e di asservire i migliori intellettuali del momento al padrone di turno.
L’età augustea ad esempio, fece di Virgilio il miglior propagandista del suo imperatore e della sua politica, lo conferma con forza e a ragion veduta, Vittorio Alfieri nei suoi scritti.
Non c’è e non ci sarà mai soluzione a questi problemi.
Dov’è allora la colpa di tanta crisi sociale oltre che economica e politica dei nostri giorni e della disunità emersa drammaticamente in questi ultimi tempi, che celebrano in modo così contraddittorio il 150° anniversario dell’unità del nostro paese?
In noi stessi, e con esattezza in tutti coloro che hanno costruito ora dopo ora, giorno dopo giorno questo malsano presente.
Sembrò un miracolo il boom economico postbellico nel nostro paese ed il ritorno alla democrazia negli anni cinquanta, un‘età aurea, appunto, eppure non doveva esse tutt’oro quel luccichio, se già nel 68 le nuove generazioni, ovvero noi classi dirigenti d’oggi, chiedevano, a gran voce, altro e di più.
Tanta inaspettata opulenza insieme al suo sistema avevano prodotto infatti una profonda inquietudine in tutti noi giovani d’allora, il rifiuto di una trama sociale che disattendeva aspettative ideologiche e che oltretutto aveva snaturato attraverso il processo d’ industrializzazione le radici culturali di molta parte della popolazione, oltre che disgregato il suo corpo sociale, soprattutto nel settentrione.
La contestazione ci sembrò l’unica via di uscita, per esprimere il bisogno di un nuovo mondo e di una nuova aggregazione che solo qualche ideologia poteva rendere possibile, in primis l’ideologia marxista incentrata sulla lotta di classe del proletariato e su certe figure o miti (per lo più pensatori rivoluzionari, non esclusa la stessa Resistenza) che assumemmo come punti imprescindibili di riferimento.
Gli ideali furono trasposti però nella realtà, con la pretesa che tutto si dovesse conformare ad essi in un clima di condivisione obbligata che non prevedeva alcuna forma di dissenso.
Il mito stesso della Resistenza, poi, demonizzando la destra, intesa come naturale erede del fascismo portò alla teorizzazione della violenza e del terrorismo che si ritennero mezzi legittimi ma anche eticamente corretti, per contrastare qualunque avversario.
Fu così che il movimento giovanile del 68 si delineò fondamentalmente spaccato, maturando nel suo stesso grembo un’altra ideologia, diametralmente opposta alla prima, reazionaria e antimarxista, che incarnò di contro la destra giovanile, intollerante della egemonia comunista che ormai al suo apice seduceva pure tanti giovani cattolici, che non si riconoscevano più nella politica del partito democristiano o nelle posizioni della Chiesa “conciliare”.
Fu lotta tra i due schieramenti, diversi, ma sostanzialmente omologati da un anticonformismo rivoluzionario di massa che annullava e dissolveva ogni individualismo ed i principii pacifisti e liberali ai quali quelli si erano inizialmente ispirati; in modo eversivo si tentava di rovesciare i valori tradizionali, rivendicando l’amore libero, il libero ricorso alla droga, codici nuovi d’abbigliamento, il rifiuto per la famiglia e per ogni forma di cultura accademica.
Perché allora stupirci, oggi, se giovani protestano spesso “violentemente”, contro qualcosa o qualcuno e contro un governo che reputano incapace di attuare certe riforme e di governare, tanto più che siamo ancora noi stessi, ad affiancarli e sostenerli nelle piazze, dove le manifestazioni, nate con iniziali intenzioni pacifiche degenerano clamorosamente in atti di vandalismo e di estrema violenza contro ogni regola democratica?
D’altra parte oggi siamo costretti a subire le conseguenze di un nuovo fenomeno quello della globalizzazione, estrema conseguenza non solo della deculturalizzazione e perdita di identità che il 68 in nome della libertà, e dell’uguaglianza produsse ma anche frutto di un sistema capitalistico, mal gestito dai massimi rappresentanti del mondo politico e della finanza.
Da un tale processo, ormai avanzato, non sarà certo facile tornare indietro ed assistiamo piuttosto allo svilimento della possibilità dei nostri figli di esprimere le loro risorse e la loro voglia di fare nel mondo del lavoro e della produttività.
Ma Noi padri e madri sessantottini, lottando per la libertà sessuale e dei costumi, non abbiamo che ingenerato, a nostro tempo, liberismo; abbiamo inoltre sguazzato nel benessere e lo abbiamo finalmente avvicinato al proletariato, per un principio di giustizia, borghesizzandolo e cancellando, tuttavia in buona fede, le differenze di classe, fino a mutare e frantumare l’aspetto antropologico della nostra identità culturale; abbiamo infine generato e assecondato la globalizzazione, essendo stato il nostro primo desiderio quello, al di là di ogni slogan di piazza inneggiante all’egualitarismo, di possedere… possedere tutti, ogni cosa e ad ogni costo, anche ciò che non potevamo permetterci.
Rinunciare a qualcosa e al consumo era poi così difficile? Inoltre non ci bastava più ciò che noi stessi, producevamo e come dei beceri “Ulisse”, ci siamo portati oltre i nostri confini geografici e mentali, ed abbiamo aperto a tutti ed a tutto le nostre frontiere commerciali e non.
Ma le colonne d’Ercole sono pericolose da oltrepassare e questo è noto da sempre. Quindi padri e madri di questo presente, attribuiamoci con onestà le nostre colpe individuali e collettive e per tanta disunità e conflittualità politico-sociale e per tanta violenza che segna il nostro paese e per quella crisi economica, mai vista prima, della quale siamo autori ed insieme vittime inermi.
Ai nostri giovani, che vivono in questi giorni il dramma di sentirsi cittadini di una Italia ed di una Europa che non sono in grado di dar loro certezza di un futuro decoroso dico “ noi, vostri padri e vostre madri, siamo i colpevoli- innocenti del fallimento di quel progetto settantottino in cui abbiamo creduto.
Se l’Italia d’oggi piange il suo disastro, se voi, nostri figli, soffrite il dolore quotidiano che vi causa questo disastro, manifestando per esso talvolta intolleranza, cercate in noi, vostri genitori, i soli responsabili e se potete assolveteci”.