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Le luci del giorno stanno fiocamente sfumando
e le mie un tempo floride fantasie sembrano petali avvizziti.
Il freddo, grigio novembre inonda di tristezza la mia anima
e mi sembra di non avere più niente da chiedere alla vita
e così, mi vedo come un solitario naufrago
su una zattera corrosa dalla salsedine,
alla deriva, in uno sconfinato mare aperto.
Ci sono momenti in cui ho la sensazione
di aver già esaurito gli anni che mi sono stati concessi
e disperatamente combatto per impossessarmi
di tutto il tormento che vibra nell’universo
e l’ansia, il disagio di questo mondo, mi aggrediscono.
A te rivolgo un’altra, fedele preghiera, Madre Celeste:
durante questo mio irto percorso terreno,
concedimi la catarsi nell’ordalia,
concedimi la forza nell’ordalia.
Stabat mater dolorosa
iuxta crucem lacrimosa
dum pendebat filius!
È ormai calata, silenziosa la sera
e gli acuminati cristalli di ghiaccio,
come denti di fiera selvaggia,
hanno azzannato i battenti,
i cristalli delle mie finestre
e così, dolorosamente, profondamente,
la mia anima!
I tuoi baci, le tue dolcezze,
Amore mio,
non ci sono più a riscaldarla,
non c’è più il tuo casto, lussurioso sorriso
a incendiare il cuore,
quel sorriso, che come sinuosa fiamma scarlatta,
un giorno vibrante ardeva, inesauribile,
noncurante del tempo.
In questa solitaria notte che nasce,
la lontananza ha fatto esplodere in me
quel lancinante tormento che se ne stava quieto,
sommerso, solo celatamente aspettando di riaffiorare.
Stille del mio pianto cadono,
come dal cielo ialine gocce ad aprile,
e si smarriscono, disorientate,
nell’oscurità del mio universo.
Ogni singolo istante tento di assalire il brullo,
arido deserto della mia vita,
illusoriamente tentando di bilanciare
l’oscillante dimensione della mia anima
e da nessuna parte, se non nel tormento,
riesco ricomporre la mia identità,
e così, incapace di reagire, vivo nel de profundis!
Le tenebre in gramaglie mi ammantano all’improvviso,
nella fragorosa quiete delle mie astratte chimere,
nelle illusioni oniriche
che cominciano a dileguarsi
nel lento progredir dell’aurora,
mentre ti sto chiamando,
Amore mio,
con echi di dignitosa malinconia.
Il tuo viso, tra i variopinti,
intangibili oceani del tempo,
è come un impetuoso maroso che corrode la battigia.
Senza esito, disperatamente
cerco di ridurre in minuscole schegge la mia tristezza
e identifico nel lacerante tormento la mia sola certezza esistenziale.
Pur insistendo in questa struggente trepidazione,
avverto che il cinico sorriso dell’aurora,
oggi si sveglierà, seppur lento, prima del tempo.
*
Tratta dal libro edito “Làbrys – Opus Hybridum de Labyrinthismo”
Aletti Editore
MAURO MONTACCHIESI
Làbrys-Opus Magnum de Labyrinthismo (Labirintismo), Mauro Montacchiesi