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Il Dispari 20230828 – Redazione culturale DILA APS
Il Dispari 20230828
VASCO E MEDEA
PARTE SECONDA
Capitolo C
[…]
Quando
un giorno avrai uno specchio
avrai due occhi
per ascoltare una canzone
in solitudine
Ah! Vasco
dimmi quel posto.
Io vengo.
Uhh Uhh Uhh.
Capitolo D
«Il mio mestiere di responsabile di un ufficio di vigilanza mi concede molte libertà, in special modo quando devo controllare l’operato delle guardie, e per me rende prive di segreti le persone e gli ambienti e tutti gli aspetti della vita notturna.
Mi dà inoltre spesso la possibilità di viaggiare, conoscere bella gente, località famose, modi di vita diversi: a volte patriarcali in altri casi finanche eccentrici.
Così è stato in questa occasione.
Effettuo un servizio di vigilanza a bordo della ammiraglia di tutta la flotta turistica italiana!
Su e giù per il mediterraneo carichi di milionari, petrolieri, avventurieri, signore vere, e signore false, signorine di grandi speranze, e signorine per modo di dire, tutta bella gente.
Li riconosco bene.
In più ho il senso dell’investigatore per deformazione professionale, la curiosità di controllare ogni azione, persona, oggetto, non perfettamente riconducibile a determinate abitudini.»
«Per ciò ti chiamano Manson?»
«Esatto.»
«Perché Red?»
«La camicia.»
«Rossa?»
«Esatto.»
«Sempre?»
«In questa occasione posso rivelare un grande segreto.
Per me grande.
Mai detto.
Mai detto prima.
Ne indossavo una uguale durante la repressione dell’Ungheria, nel periodo in cui facevo il giardiniere in una villa con un grande cancello di ferro battuto, un viale ed un pollaio e… »
«Va bene, va bene.»
«L’ho conosciuto come dirigente ufficio fidi di una banca di media grandezza che è nostra cliente per il trasporto valori.
Faccio anche questo.
Aveva optato per un profilo sociale e professionale decisamente anonimo, allo scopo di non dover subire pressioni o influenze da parte di nessuno.
Credo.
Finanche con i dipendenti non ha stabilito alcun rapporto, e, lui per loro, è quasi uno sconosciuto.
Così dicono.
Escludendo due segretarie e due contabili, tutte donne di mezza età che oltre l’ufficio sono solo casa e famiglia.
Conosco tutti.
Originario di un paesetto di cultura marinara, nello scegliere la sede definitiva del suo lavoro aveva privilegiato la cittadina rivierasca, né grande né piccola, per non privarsi della vicinanza con il mare.
L’ho visto spesso con la donna.
Neppure i giornali, neppure la benzina o le sigarette si possono considerare azioni del suo quotidiano.»
Capitolo E
Interrompo il vigilante Manson Red, mentre ci sta presentando un ritratto conciso delle particolari abitudini di Vasco, perché non voglio continuare a nascondere di essere stato turbato, e ve ne sarete certamente accorti, dalla opportunità di sedere accanto ad una donna, Aurora, tanto misteriosa quanto guascona.
Il particolare stato emotivo caratteristico di ogni prima volta ha confuso non poco la lucidità delle analisi che ho voluto proporre, e ciò, se non ha impedito che mi addentrassi nei cunicoli delle personalità di Vasco e Medea con una obiettività assolutamente predominante nei confronti di qualsiasi valutazione, ha di certo limitata la scorrevolezza dell’inserimento di pieghe comportamentali meno evidenti e comunque ugualmente rappresentative.
Durante questa prima parte della conversazione con Manson Red, e che il giustiziere rosso continuerà a proporci, quella mancanza è risultata per me evidente e dolorosa, proprio in virtù della precisione con la quale, lui, ha invece evidenziato e dato valore a minimi dettagli.
Ora che l’emozione dei primi momenti è parzialmente superata ripenso al difficile percorso, impervio per il fisico e tormentato per la mente, con cui mi sono fin qui confrontato e, per un verso mi ammanto di orgoglio, per un altro mi pungolo a non sciupare tutto.
Devo continuare tenendo ben presente la necessità di essere più incisivo nel tentativo di catturare la vostra completa attenzione anche verso i particolari apparentemente insignificanti.
Perché possiate valutare, ascoltando confidenze, superando buchi e approssimazioni, assegnando forme ad intuizioni, ricalcando contorni sbiaditi, volteggiando ancora con la fantasia, mimando pensieri, immedesimandovi, ecco, ora lo posso dire, per capire profanandovi, se questa che vi sto proponendo sia veramente una nuova bella storia d’amore.
Aurora, per alcuni è un nome che poco si addice al ruolo che ricopre.
Profanandosi.
Sono seduto accanto alla donna, guascona, Aurora, che tutti chiamano “La Signora».”
Profanandomi.
Capitolo F
L’uomo vestito di bianco con un anello di rubino al dito, dalla pedana del piano bar inizia a suonare “Never let me go”, un lento motivo di struggente malinconia, nel preciso momento in cui, sulla parete di fronte formata da uno specchio opaco di dimensione eccezionale, si materializzano, come fantasmi, come in un film, scene di vita di incredibile nitidezza srotolate con la stessa inquietante tristezza delle note semplicemente accennate.
La sua compagna con un ventaglio di seta giapponese a colori sgargianti e stecche di bambù che ondeggia in docili semicerchi, voltandosi e rivoltando il busto eretto infisso nelle lame del vestito, gli porge una birra, gli accende una sigaretta, gli accarezza i capelli.
L’uomo vestito tutto di bianco con un bocciolo di ginestra (ginestra, fiore amato dalla mia donna) all’occhiello del bavero non guarda.
Non vuole guardare.
Sa già tutto.
Nessuna meraviglia, neppure un briciolo di stupore.
Una vita ad ascoltare i pianti e le sciocchezze di gente che non gli ha mai chiesto “Ma tu?”
Ora suona ad intuito, senza bisogno di conoscere, e non vuole sapere, non guarda, batte i tasti, e ti immerge in una delle sue risposte: “Anche io”.
Ti confonde con un suono, è sua la tua emozione, angoscia, allegria.
Forse alza gli occhi, forse stringe il bicchiere, dondola la testa, sembra tanto vicino alla tastiera, rivolge un tenero sorriso alla compagna dalla pelle ambrata, insieme a lei anima e cervello, le mani quasi toccano il bocciolo di ginestra, non guarda e sa già tutto.
Ecco Vasco: è notte, ritorna al vecchio palazzo.
Vasco, che stringe una grossa coperta rossa arrotolata sotto un braccio, si avvicina con molte cautele al cumulo di rifiuti verso il punto preciso in cui poche ore prima l’aveva visto.
Lo scorge al di sotto di un mucchio di rami di ginestra (ginestra, fiore amato dalla mia donna) e glicini… libera le braccia poggiando la coperta sulle spalle ed inizia a…
«In ogni luogo il silenzio notturno appartiene ad una speciale categoria di sensazioni: quelle che si evidenziano attraverso una grande attenzione.
è una mia idea.
Non è come l’acqua fredda sul corpo nudo, il silenzio di un luogo è una miriade di vitalità miscelate in apparenti assenze.
Mi spiego?
In combinazioni differenti per ciascun angolo, piazza, terrazza, casa, albergo, barca, bosco, montagna, ed esso cambia, ma non tutti se ne accorgono… »
«Come una toccata di Bach? Quattro note per ventidue variazioni?»
«… non capisco ma se lo dice Lei!
Ammanta il territorio nella sua specificità, evidenzia gli oltraggi, si insedia, si intrufola, possiede la tua tranquillità senza che tu ne sia consapevole.
Non è il mio caso.
Mai.
Io l’ho studiato, li ho studiati, con costanza ed attenzione, con affetto, usando sensibilità fisiche e percettive custodite e difese con la maggiore cura e tenute separate da applicazioni volgari e banali.
è tutto vero.
Se un pullman passa in lontananza so chi lo guida, da dove viene e, forse, anche quante persone sta trasportando!
Esagero, solo fino ad un certo punto.
Certo è che conosco tutti i silenzi di tutte le ore di tutti i luoghi che ho frequentato.
Di tutta la mia isola.
Lui fu una specie di frammento che improvvisamente si spezza.
Entrava nel raggio di azione della mia particella notturna con cautela ed imperizia, movimenti d’aria, respiri, passetti rapidi, per avvicinarsi ai luoghi prescelti; e poi un lento spostare oggetti disarticolati, gracchianti, sconnessi, per riporli, infine, in vicine sporgenze, e di nuovo in auto con il motore a basso regime e luci fisse sugli anabbaglianti.
Non ho mai udito la sua invasione in una notte di pioggia.»
«Ha mai portato via qualcosa?»
«Solo una volta.
Una busta. Pareva un biglietto d’auguri.
E non mi sbaglio.»
Prosegue lunedì prossimo
ISBN 9781471081149, pagine 93, copertina morbida, A5 (148 x 210 mm), 14.00 €, acquistabile all’url:
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Il Dispari 20230824
A SARA BRESSY
(24/08/1917 – 27/01/1999)
Aurea amica
di spettacoli vivi,
perle d’affetto
per la famiglia.
Donna di umorismo
e ricchezze morali.
Tuo fu il SOLE
nel vivido giorno.
Tuoi gli incantesimi
per la famiglia.
Tu, un mondo
di vivacità
nel sentimento.
Tuo il dolore
sotto chiave.
Ritorno fanciullo
negli arcobaleni
della tua giostra.
Omaggio la tua memoria
nel giardino Sacro
e si accende
ogni AMARCORD
del tuo cuore!
A presto, Sara!
Biagio Di Meglio – scrittore poeta
Il Dispari 20230821
BRUNO MANCINI – VASCO E MEDEA
Terza puntata
Questo racconto “Vasco e Medea”, che stiamo pubblicando a cadenza settimanale, fa parte del primo volume della serie “Per Aurora” che ho scritto a partire dagli anni ’80 e che continuo a scrivere seppure con molte lunghe pause.
Terza edizione 22 agosto 2022, ISBN 9781471081149, pagine 93, rilegatura copertina morbida, dimensioni A5, 14.00 €, acquistabile all’url:
https://www.lulu.com/it/shop/bruno-mancini/per-aurora-volume-primo/paperback/product-29772m.html
Scrivendo un commento a questo articolo (di almeno 1000 battute), e inviandolo in formato word entro il prossimo 25 agosto a bruno@dilaaps.it (completo di nome, cognome e indirizzo postale) l’Associazione “Da Ischia L’Arte – DILA APS” regalerà una copia del libro ai primi 10 autori dei commenti ricevuti.
Buona lettura
VASCO E MEDEA
PARTE PRIMA
Capitolo decimo
Per tutto il percorso di ritorno, ed ancora sulla nave, Vasco cammina distante da lei, è agitato, irrequieto, è chiuso in un mutismo provocante, fremente, beve, fuma, l’avresti potuto scambiare per un condottiero prima della battaglia, il produttore dietro le quinte, un condannato a morte, l’aquila che vola sul coniglio… distratto da pensieri…
La tentazione di dirle tutto, aprirsi, togliere il velo ormai tenue che copriva i suoi anni di assenze notturne, gli tentava il centro, il motore dell’inconscio, mentre una forza diversa opponeva la vergogna della rappresentazione completa delle sue azioni.
Vergogna o pudore?
Spesso dipendono più che altro dal momento in cui viene attivata la domanda.
Il suo Vasco, l’idolo, non provava certo vergogna cantando “tu sola nella tua stanza” oppure “quanti anni hai bambina”, ma sappiamo poco, forse niente, certamente per pudore, dei suoi veri momenti, della realtà dei suoi approcci, dei suoi amplessi. A volte è il contrario.
Non sempre il contrario è l’opposto.
L’opposto del contrario?
Cos’è?
Se è opposto non è contrario e se non è opposto non è contrario
You are my melody.
A raffiche gli giungevano i simbolismi recuperati nelle notti più fortunate, obbligandolo a sorreggere il peso dei segreti di cui erano ammantati, scrigni di inganni e seduzioni, di dubbi e follie, di sogni e speranze, di offese e regali, di vita di morte di occasioni banali di viaggi di
incontri di sciocche manie di furti di attese, grandi, minuti, di grandi minuti, dipinti, squarciati, dipinti squarciati… basta!
Basta basta. Basta.
Capitolo undicesimo
Medea vedendolo nuovamente a disagio, raggiunge il convincimento che lui si stia preparando ad affrontare l’argomento delle avventure notturne.
Pronta è pronta.
Decisa è decisa.
Non solo ad ascoltare.
A giustificare.
Ma per ferirlo a sua volta rivelandogli la mancanza di inibizione delle notti che l’avevano vista protagonista.
Dopo il ritrovamento del biglietto ed i successivi allontanamenti sospetti di Vasco, aveva, infatti, iniziato a cercarlo, dapprima con molte cautele poi… visitando locali notturni, luoghi per soli uomini, bische ecc.
Tanto più frequentemente lui usciva, tanto più freneticamente lei lo cercava, ed a poco a poco il cercarlo era diventato solo la facciata moralistica che usava per soddisfare con maggiore audacia il profondo esibizionismo che la eccitava.
Gonne sempre più corte.
Trucco evidente.
Sguardi accecanti.
Frasi equivoche.
La sua passione: stupire.
Basta. Basta. Basta.
Capitolo dodicesimo
«Sono il padrone della notte e delle donne.
Sono mie le donne di notte.
Le femmine sguainate luccicanti sui marciapiedi e nei locali di prima grandezza.
Provare a togliermi il controllo, è un guaio.
Un guaio grosso.
Grossissimo.
Quasi come cercare di togliermi il fazzoletto rosso che porto da sempre intorno al collo.
Un guaio grossissimo che pochi hanno tentato ed ora sono pieni di sfregi.
Una volta la vidi passare indifferentemente in macchina davanti ai nostri posti di lavoro.
A Napoli è difficile lavorare.
Qui no. Qui se fai il bravo nessuno ti caca.
A Napoli ti squadrano subito.
Appena scendi di sera in una piazza, non dico in una strada, non dico in un vicolo, sei già pappone o puttana.
Ma Napoli è bella.
C’è il sole, la luna e Marechiaro.
La gente non si fa i fatti suoi.
Quella signora dopo i primi passi, come si dice… timidi, noi diciamo cazzimmosi, si ripresenta alle due di notte nel Club Italia con la gonna gialla sotto la patana, qui voi dite sopra le ginocchia.
Guarda tutti quanti, e pure me.
Me di più.
Pareva mi conosceva.
E ci ho dovuto provare per forza.
Stava a casa mia, nel mio territorio, con le cosce da fuori e mi guardava come se mi conosceva.
A me, Salvatore il puttaniere!»
Capitolo tredicesimo
Lasciargli sul corpo e nella mente i segni squassanti di una passione artificiale, artatamente impudica e violenta, tenera e vendicativa, ponendo in un solo amplesso tutti i registri delle sue esperienze, tutta la prorompente eccessiva sfacciata bellezza del suo corpo di donna non più bambina, i giochi estremi di mani esperte di labbra avvampate di pelle di luna, tenerezze ossessioni, morbidezze stupori, in una altalena di grida e di sussurri che per anni la sua mente aveva elaborato, posizionato, montato come in un film…
… con arte e per vendetta.
VASCO E MEDEA
PARTE SECONDA
Capitolo A
Ora che molti elementi strutturali sono definiti la trama è delineata i personaggi sono caratterizzati gli ambienti percepiti, non mi resta altro da fare che presentare la storia.
Solo perché conto nell’infinito carisma che ha la mia gloria su voi milioni di ascoltatori, tenterò questa nuova impresa.
Consapevole di andare contro le più elementari leggi (regole) narrative, mi lascio sedurre dall’unica sfida veramente globale, indefinibile, e nella quale anche i valori di merito sono in continua osmosi e si auto modellano scevri da apparenti turbative esterne, la sfida che ignora blasoni e teoremi, rifiuta dottrine madrine padrini fratellini la sfida…
«La sfida?»
- priva di forza:
STUPIRE
1
A cavallo dell’orso
scimmiotta
la folla disseminata
nel prato di uno stadio
Ah Vasco!
tra fumo stellare
il verso del lupo nella steppa
Uhh Uhh Uhh.
Capitolo B
So bene che il primo requisito che devo dimostrare di avere, è la mancanza assoluta di immaginazione. Niente può essere più chiaro di ciò che è.
Il passaggio forzoso attraverso strumenti esplicativi, amplificanti, ed anche solo riproduttivi, la mia testa fa anche tutto questo, viola, se non snatura addirittura, il “diritto d’autore” di qualsiasi… vi lascio pensare e decidere da soli a cosa alludo.
Tuttavia in questo caso se non applicassi un quantum di collante, Vasco e Medea apparirebbero, distaccati andare per strade diverse, uniti in apparenza da abitudini e condizionamenti.
Loro no.
Loro sono due forme della stessa natura, lo sono stato e lo saranno, loro sono anima e cervello, sono idee.
STUPIRE: anche se stessi.
PROFANARE: anche se stessi.
Fino ad essere accattoni anche di proprie sensazioni.
Simboli stupendi di persone particolari.
Mi manca il fiato, ho pensato troppo in fretta, ho perso il filo, ho tessuto troppo in fretta.
2
Ritorna assassino
nell’ombra ballerina dei vincenti
il fallo abbandonato nella doccia
Ah Vasco!
per uomini incerti
in teneri sguardi alla luna
Uhh Uhh Uhh.
Capitolo C
Il termine profanare è sempre stato inteso con riferimenti di sacralità.
Religiosa, umana, storica, una chiesa, un monumento, una ingenuità, una genuinità, il mio ricordo, il tuo sentimento, <Profanare il secchio dell’immondizia è possibile.>
Il nostro ideale, la loro stima, la banca, la banca no, la banca si svaligia.
E la valigia?
La banca è una valigia e la valigia non si svaligia, si profana. Avete seguito il pensiero?
<Breve preambolo per capire se il verbo profanare può essere riflessivo.>
<Se è lecito dire “Voleva profanarsi”.>
Lecito è lecito, coerente non so.
Comunque non è la coerenza che mi intriga.
Profanare se stessi è profanare?
Mi mangio un panino.
No!
Mangio un panino.
Mi mangio una mano.
ANCORA DI PIù NO!
Mangio una mano.
Anche se la mano è la mia?
Mangio una mia mano.
Mi profano.
No!
Profano la mia…
… il mio…
Profanare senza invadere, introdurre, inserire dall’esterno non ha senso.
Allora come faccio a profanarmi?
Introdurre, invadere, inserire dall’esterno, per esempio, qualcosa nella mia bocca potrebbe essere una profanazione.
Se l’azione la compio io in qualche modo, è lecito (lecito?) considerarla una profanazione?
Dovrei essere estraneo nel senso di entità diversa da me stesso.
Mi mordo la coda.
Mi chiudo in un angolo cieco (vicolo cieco) per non lasciare le parole al loro significato plausibile accettato corrente indiscusso, le parole si ribellano mi aggrediscono mi chiudono in un angolo e non mi lasciano dire che Medea voleva profanarsi.
Oltre la vendetta.
Senza dolcezza e senza violenza.
Come svuotare un secchio di immondizia.
Quando
un giorno avrai uno specchio
avrai due occhi
per ascoltare una canzone
in solitudine
Ah! Vasco
dimmi quel posto.
Io vengo.
Uhh Uhh Uhh.
CONTINUA lunedì prossimo.
Il Dispari 20230814
BRUNO MANCINI – VASCO E MEDEA
Seconda puntata
Questo racconto “Vasco e Medea”, che abbiamo iniziato a pubblicare lo scorso lunedì 7 agosto e che continueremo a pubblicare con cadenza settimanale nei prossimi lunedì, fa parte del primo volume della serie “Per Aurora” che ho scritto a partire dagli anni ’80 e che continuo a scrivere seppure con molte lunghe pause.
Dettagli: data di pubblicazione della terza edizione 22 agosto 2022, ISBN 9781471081149, pagine 93, rilegatura copertina morbida, dimensioni A5 (148 x 210 mm), prezzo 14.00 €, acquistabile all’url:
https://www.lulu.com/it/shop/bruno-mancini/per-aurora-volume-primo/paperback/product-29772m.html
Scrivendo un commento a questo articolo (di almeno 1000 battute), e inviandolo in formato word entro il prossimo 18 agosto a dila@emmegiischia.com (completo di nome, cognome e indirizzo postale) l’Associazione di Promozione Sociale “Da Ischia L’Arte DILA APS” regalerà una copia del libro ai primi dieci autori dei commenti ricevuti.
Buona lettura
VASCO E MEDEA
PARTE PRIMA
Capitolo settimo
«[…] Ho pianto molto in quei giorni.
La crisi.
Vasco spesso di notte usciva da casa per farvi ritorno quasi all’alba.
Assenze sempre più frequenti.
Tornava a volte macchiato, con strani odori sul corpo e sui vestiti.
Neppure attento a non farsene accorgere.
Non usava precauzioni, non nascondeva, ma non diceva. Almeno la curiosità di verificare se Medea lo stesse aspettando… se fosse ancora in casa, niente neanche questo. Un automa.
Un muto.
Un automa muto.
E certo lei soffriva.
“Lina aiutami. Che devo fare?” diceva le prime volte.
Dopo qualche giorno smise di piangere.
Al mio paese dicevano “Prima della luna nuova”.
Prima della luna nuova ho visto che usciva anche lei.»
Udite le accorate parole di Lina (Carmela, la ragazza di casa), che presentano senza fronzoli le fasi iniziali di questa vicenda, mi accingo ad effettuare la ricostruzione di un momento successivo, mettendo insieme diverse fonti tra cui le confidenze dei marinai imbarcati sulla nave crociera che la nostra coppia aveva scelto per tentare di superare il periodo travagliato provocato dal ritrovamento del biglietto.
è molto verosimile, quasi perfetta.
Capitolo ottavo
Il tavolo era ricoperto da una tovaglia orlata da arabeschi di un giallo molto simile ai fili di paglia che usavano, una volta l’anno, in primavera, porre ai margini della gabbia, per consentire alla coppia di canarini la formazione del nido su cui deporre le uova.
Cip e Ciop erano di un giallo molto intenso tanto che, specialmente la femmina, si potrebbe definire colore dell’oro vecchio.
Medea: «Speriamo che Carmela non dimentichi di cambiare l’acqua nella vaschetta. Domani, quando ci fermiamo, le telefono, ti pare? Vieni anche tu così la saluti.»
«Credi sia il caso?»
« Perché no.»
«Sai penso che in questi ultimi tempi non sia stata neutrale, cioè… »
«No guarda lei non è in causa, se tu qualche volta mi avessi avvisato che uscivi… »
«Uscivo, uscivo… »
«… dove andavi… »
«Così, andavo, ora lo sai, che cambia?»
«… perché… »
«Guarda, dammi una spiegazione, una risposta, mi trovi cambiato?
Vuoi ancora del vino?
A volte preferirei una bettola per non sentire il rumore di tante posate contemporaneamente.
In cosa sono diverso?
Uguale.
Dillo che sono uguale anche se sai qualcosa di nuovo.
Nella taverna si urla, qui il brusio è più invadente, avviluppante, è bello avviluppante, rende l’idea, l’idea che ho della gente ma… »
«La notte preferisci le taverne.»
«La notte, che c’entra la notte, parlo di locali per pranzare, cenare, trascorrere un’ora in compagnia di una bella donna come te, mi sembra che… »
«Che voglio sapere, sapere!
Niente più di quanto non vuoi dirmi, è giusto anche per me, anche per me, è giusto, non sei cambiato, una persona non deve essere considerata… »
«Una persona?
Io sono una persona?
Credevo qualcosa di più!»
«Sì certo, non volevo banalizzare… la persona amata non deve essere vista in maniera diversa se si viene a conoscenza di una parte della sua vita prima ignorata, non devo farlo con te, è così, bravo, anche per me… sì voglio ancora del vino, e un dolce di mandorle.»
-«Signore e Signori, buona sera, è il Capitano che vi parla.
Tra circa quattro ore getteremo l’ancora in una stupenda baia dell’isola d’Ischia.
Famosa in tutto il mondo.
Meglio conosciuta come, “L’isola della eterna giovinezza” per le sue miracolose acque minerali, ed anche “L’isola verde” per la rigogliosità della sua vegetazione.
Avrete l’opportunità di visitare questo splendido gioiello del Mediterraneo per circa due giorni.
Infatti, come sapete, salperemo dopodomani alle ore 10 per il prosieguo della nostra crociera.
Un ufficiale di turno è a Vostra disposizione per organizzare escursioni, visite guidate, ingressi a tutti i tipi di locali, by night, piscine, teatri ed altro, e… se vorrete… anche romantici pernottamenti… »
«Andiamo, prendiamo il dolce sul ponte.» Medea si alzò, poggiò il tovagliolo, guardò in direzione dell’altoparlante e disse «Non si fa così, non si fa.»
Capitolo nono
Quantunque la traversata fosse stata allietata da un mare piatto a perdita d’occhio, neanche una casa, un promontorio, un albero,
Un albero a mare!
e, tra sole e luna una brezza venticello, in parte fenomeno naturale in parte dovuta al movimento del bianco natante, avesse appiattito anche la temperatura dell’angolo tra le scialuppe ove erano soliti appartarsi, al primo impatto con i lastroni di lava vulcanica che pavimentavano il bordo terminale della banchina di ormeggio, entrambi barcollarono come due birilli con il fondo appesantito per un giocattolo infantile.
Medea «Oh!»
Vasco «Appoggiati!»
Medea «Fermiamoci un attimo.»
Vasco «Gira anche a te?»
«Mi manca la terra.»
«Proprio ora che sei atterrata.»
«Atterrata?»
«Posata sulla terra.»
«Oh!»
«Ancora?»
«Di nuovo.»
«Sta bene, appoggiati.»
«Fai tutto prima di me!»
I grossi lastroni di lava grigia levigati dai passi di migliaia di persone, contornavano un tratto minimo dello spiazzo destinato alle manovre di attracco; subito accanto, una macchia bruttura di asfalto sconnesso adduceva a diverse stradine, queste sì, già dal primo impatto, coreografiche, quasi personalizzate dagli abitanti e dalle attività annesse.
Scelsero, per me era facile intuirne il motivo, il viottolo a tratti in leggera pendenza incassato tra pareti di tufo verde chiazzate da prepotenti arbusti di gialle ginestre (ginestra, fiore amato dalla mia donna).
Su in cima, oltre filari di limoni ed oleandri carichi di frutti e di fiori, giunsero ad un gruppo di vecchie costruzioni tinteggiate con impasti di calce dai colori pastello, chiari, luminosi; prive di un ordine apparente e senza segni esterni identificativi che non fossero gerani rosso fuoco ai balconi, glicini appiccicati alle pareti.
Due pini e due palme tutti ultra centenari, quasi cingevano come baluardi il più vecchio palazzo, al cui ingresso un alto cancello di ferro battuto adornato da volute arabesche, mostrava in fondo ad un viale polveroso, tratti sconnessi di un muro di cinta in parte crollato, formato da pietre grigie semplicemente sovrapposte, che ostruiva, spezzava, limitava, la fitta boscaglia e le piante di alto fusto subito accanto predominanti.
Una strada di recente costruzione, sgradevole, sgraziata, stonata, si immetteva in quella minima piazzola dal lato opposto rispetto alla direzione del loro arrivo, a sinistra del cancello, completando il suo percorso in una specie di slargo appositamente adibito a deposito di rifiuti.
Assurdo.
Criminali.
La vecchia villa sfregiata.
Pazzi.
Stronzi.
L’incanto accecato.
Rimasero confusi tra ginestre (ginestra, fiore amato dalla mia donna) e pattume, entrambi fissi, con i sentimenti oltraggiati, tentando di capire se profanare è una vendetta o una maledizione, se il male sopravvive a se stesso per debolezza del suo antagonista oppure per sciocchi abbagli di clemenza.
Mai un silenzio li aveva visti così uniti, insieme indifesi, cruenti, aggressivi.
«Maledetti.
Siate maledetti.»
Da Vasco e Medea lo stesso grido.
Fu lì che lo rividero.
Un barbuto (custode?) con la camicia rossa, uscendo dal cancello, si diresse ad aggiungere, spingendolo su una carriola da muratore, un vecchio apparecchio radiofonico ai rifiuti del cumulo di immondizia.
NUSIV