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Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA
Il Dispari 20220103
Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”
La sesta firma. 5a puntata
Capitolo terzo
Troncai di botto elucubrazioni e sotto insiemi di pensieri, ansiti interiori per timorosi accumuli d’indecenti indecisioni e contrapposte mature certezze mai esaminate con compiutezza, virtuose virtù precipitate in una quotidianità brutalmente anonima e… uscii.
Uscii.
Non mi mossi in cerca di avventure.
Non avevo deciso di costruire la notte più bella della mia esistenza.
Ai miei passi mancava l’intenzione di reiterare assalti a Ciccioline con poche pretese ed illimitate dedizioni. Né tanto meno, la cadenza monotona dell’andatura mi spingeva verso l’alcova di qualche indimenticabile gheiscia trasferita nella mia isola dalle fantasticherie, finanche eccessive e perverse ma giammai sguaiate, disseminate tra le balere notturne nell’arrendevole Budapest degli anni ottanta.
Le notti senza stelle delle mie peregrinazioni epicuree!
Neppure volevo mortificare i teneri boccioli, o forse solo appendici irrilevanti, che piccoli corpi anonimi offrivano entro bettole, di facili identificazioni per le insegne con gli ideogrammi del lontano oriente, affogate nei fumi e nella coca.
Ne avrei avuto buon motivo, considerando gli onori che il giorno prima mi aveva generosamente elargito la mia cara amica Aurora, la donna guascona, la “Signora”.
Oltre tutto, percepivo ancora, incalzante, scandito in un ticchettio mentale, ogni singolo minuto che aveva caratterizzato la fase finale di quell’avvincente incredibile avventura, iniziata, quasi per caso, dalla improvvisa ed inaspettata telefonata con la quale Aurora mi aveva comunicato di essere stato “convocato”.
Quei momenti mi apparivano ancora scandire le ansie, per tutti i densi fardelli di domande senza risposte e di desideri irrealizzabili, che mi avevano oppresso durante il conto alla rovescia iniziato da meno quindici alla presenza d’Ignazio.
Cosa sono quindici minuti per risolvere un passaggio dalla vita alla morte?
Sono molti?
Sono pochi?
Sono sufficienti?
A chi affidarsi nel quarto d’ora che un cieco destino ci conceda prima di traghettare la nostra mente in un sito ignoto?
Ai maghi?
Ai demiurghi?
Agli amici?
Nell’incalzante ossessione delle lancette, per novecento secondi, novecento battiti senza pause. Nella successione, tic tac, in altre occasioni ritenuta finanche monotona, ridicola.
Quali risorse attivare per trasformare l’origine del battito assassino degli ultimi minuti, in ordigno auto distruggente?
Soldi?
Potere?
Impegno?
Uscii per cercare una spiegazione alla improvvisa, inusuale, sensazione di solitudine
Piano piano, passo dopo passi, lemme lemme, lemme lemme, passo dopo passi, piano piano, mi ritrovai appoggiato al banco rivestito con formica azzurra del bar in Via Colonna, davanti al quale, poche ore prima, avevo imparato dalla bella Gilda che non tutte le birre si possono bere in un sorso solo.
Lei non c’era. Non era tardi. Le dieci di sera ad Ischia potrebbero essere paragonate alle ore antecedenti l’alba per Milano.
Non la vidi o non c’era?
Alla cassa una ragazzona squintalata.
Troppi gelati?
Poco sport?
Spaghetti a gogo?
Disfunzione Epomeidea?
Su uno sgabello giallo (tre piedi di ferro verniciato a fuoco, un cerchio di plastica rossa, lo stemma di una marca di gelati multinazionali super popolari come la mia birra), un bimbo biondo con boccoli sciolti fino alle spalle, dondolava le gambe, guardando la TV e succhiando un ghiacciolo.
Lo conoscevo.
L’uomo al tavolo d’angolo, con la sigaretta mai spenta bruciacchiata nei baffi e tra le dita, era noto a tutti.
Tre quarti degli indigeni, ed un terzo dei villeggianti, avevano almeno sentito parlare del Principe Innocente.
Lei non c’era o non la vedevo.
Accostandomi con finta disattenzione alla porta semichiusa che introduceva al locale “Privato” (un mini ambiente adattato ad ufficio, spogliatoio, deposito, officina), vi detti una sbirciata. Lei non c’era.
Al banco bar, Gianni serviva da bere e folleggiava da solo…
E lei, Gilda?
Non lo sapevo, forse non lo sapevo, credo che forse non sapevo di essere lì per lei.
Ero lì per lei e non lo sapevo, penso che io non sapessi di essere lì per lei, credo ecc.
Gilda.
Tornai verso casa con una nuova euforia, poco consona sia al mancato incontro con l’esuberante vitalità della rossa Gilda, sia alla robusta delusione di non aver neppure tentato una soluzione per il quesito che mi aveva turbato all’uscita di Geltrude dalla stanza. Una serata nottata no, negativa, eppure non deprimente.
Era una specie d’infantile beatitudine, un compiacimento.
Una serata – nottata quasi goliardica, da filone scolastico. Mai successo da decenni.
Vi aggiungeva un pizzico di fisica piacevolezza anche il forte vento di ponente, che s’insinuava tra le barche cariche di nasse pronte a prendere il mare. Non era la solita brezza che rinfresca, un attimo prima dell’alba, le notti delle afose estati ischitane, no, non era una brezza passeggera.
Come una giovanile compagna d’avventure, chiacchierona, l’aria, fluendo, mi soffiava la sua vitalità nel naso tra gli occhi nella bocca e sulla pelle.
La salsedine portata dal vento, quasi riempiva le rughe lasciate scoperte sul mio viso dal taglio della barba – barbona – barbaccia che fino a pochi giorni prima infoltiva grigiastra.
Il profumo delle praterie di posidonie, nastriformi ripari per gli scorfani e le mormore durante gl’inseguimenti subacquei che avevo concluso quasi sempre senza prede nell’ultima estate trascorsa ad Ischia, ad ogni più forte refolo dell’incipiente buriana – Don Chisciotte contro i mulini -, si accaniva contro i malefici aromi di sigari e sigarette inzuppati nei peli e nelle cartilagini del mio naso nasone nasaccio.
Soffiava forte, non era una brezza, il vento di ponente, a raffiche dolorose per gli occhi che trattenevo aperti, ed intanto umettava, con una soffusa vaporosità, le mie labbra socchiuse, quasi in un bacio. Nell’abbraccio malizioso di una prima volta.
Avevo preferito ritirarmi passando sulle passerelle di legno a ridosso degli scogli scuriti dalla luna al tramonto oltre la collina, piuttosto che opprimere maggiormente, con un percorso più usuale, la delusione di non aver tolto neppure un grammo al dilemma del mio sentirmi solo.
Tutti i più anziani pescatori conservavano, in precisi ricordi, le stravaganze giovanili delle mie sortite notturne. Iniziando dai modi con i quali, di solito, avevo cercato fisicamente i contatti con la natura, fino alle domande che ponevo. Anch’esse, dal loro punto di vista, erano sempre state considerate ben strane e strampalate.
-«è bravo, ma è un po’ matto» dicevano di me parlando tra loro.
-«L’amante l’ha lasciato per un marocchino indiano. Io l’ho visto sul pontile, aveva i capelli come quelli dei film, lisci azzeccati e neri, non scuri, neri.
Lui era stato fuori per lavoro, lo sai com’è, viaggia, scrive, legge, cambia albergo.»
-«Non ha mai avuto amanti, che dici.»
-«Che ne sai tu, tutte balle…»
-«Mi chiamo Totonno ‘O Saragone perché so tutto di te di lui come dei saraghi e delle spigole.»
-«Non ci credo, è sempre stato sballato.»
-«Da piccolo me lo ricordo in bicicletta fare gare con la carrozza della buonanima di Bastiano.
Che ti credi che non lo conosco? Non ha mai avuto un’amante. Forse era una segretaria.»
-«Tutti lo sappiamo. Ne aveva tante.»
-« è stato sempre così.
Bravo. Bravo. Brav’uomo. Buongiorno, buonasera, buonanotte, buono tutto, ma non si è mai sporcato le mani a spingere una barca.
Lui dice: “Buongiorno, vuoi una sigaretta? A chi appartieni? Quanti figli hai?”
Non capisce che le barche non funzionano con le parole. Ci vuole sudore e fatica.
E mo’ sta peggio, chi sa perché.»
-«Cirù, Ciruzzo O Schifo, tu e Totonno non avete capito nu’ cazzo.
Non siete informati.
Non devo chiamarmi più Emilio Tressette E Maniglia se non è vero che sta così per quello che iss ha scoperto ora che è tornato dall’ultimo viaggio. L’avevano chiamato apposta, loro dicono “convocato”.
La sapete la nipote di Nicola Sindacato? Parlava con l’amante di Nicola Sindacato, Rosita Cascettella, guardava le persiane chiuse del Dotto’ e diceva piano piano: “è figlio della colpa. Sicuro. Ho sentito che ascoltava… parlavano zitto zitto… con uno mai visto che però gli somigliava, e che gli diceva: tuo padre non è lui, tua madre è lei, noi siamo fratelli. Gli ha detto proprio così, io stavo dietro la porta, noi siamo fratelli.
Quando due sono fratelli si conoscono, è vero Rosita?
Se non si conoscono è perché non si sanno. O no? E sono figli di puttana”
La nipote di Nicola così ha detto, proprio così: figli di puttana.»
-«Forza, basta chiacchiere, vuttamm ‘e mane. A una voce.
Ohhh vai. Ohhh vai. Ohhh issa: Ohhh issa.
Metti uno scanno.
Vuttamme vuttamme.
Ohhh vai.»
I notturni lavoratori del fondo marino non si scandalizzarono più di tanto, quando notarono che mi ero steso a riva con scarpe e cravatta, mezzo dentro e mezzo fuori della risacca.
Le pratiche faticose della loro quotidianità non lasciavano balenare il flusso di emozioni che mi spingevano in quell’atteggiamento irrazionale e palesemente sconveniente.
Docile, m’immergevo tra i bisbigli della sabbia rotolante sulla sabbia e della spuma spruzzata sulla spuma, con la ragione offuscata dall’incontrollabile seducente rapimento di scrivere la prima poesia per Gilda.
Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda.
Mentre la risacca inzuppava gli indumenti che indossavo dalla mattina, e sussurrava tra i pensieri di una passione tanto antica quanto trascurata, procurandomi la sensazione di essere avvinghiato da un doppio gelido intruso, di colpo, l’inquietante dubbio di aver osato troppo mi fece barcollare e scivolare nel mare, fino alla gola.
Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda, quando ormai avevo già osato troppo!
Infatti, uscendo dal bar, la lunga malinconia cui avevo costretto, da sempre, la mia passione per la rossa inquilina di tutti i miei sogni, si era procurato un varco utile a lasciarle un biglietto.
Avevo lasciato per lei un biglietto alla cassa: “Quando potrò fare una passeggiata, cenare, andare alle giostre, al mare, con te ed il tuo bimbo?
Sarà bello.
Promesso.
Telefonami, 081081081.”
Continua lunedì prossimo
Il Dispari 20211227 – Redazione culturale DILA
Ischia Brasile Milano
trittico vincente nell’Arte culinaria
Lo so che inserire la culinaria nel gruppone delle Arti fa storcere il naso a qualcuno.
Ma forse si tratta in prevalenza di persone che non hanno mai vissuto nei fumi profumati delle cucine, oppure sono individui che, distratti dal turbine del Dio Denaro, non hanno mai valutato completamente le attitudini necessarie alla preparazione di gustose golosità che possono rendere luminosa una giornata uggiosa.
Comunque, poiché per me la culinaria è un’arte, in forza di questa determinante decisione ho manifestato a qualche amico l’intenzione di aprire una sezione del premio OTTO MKILIONI rivolta alla ricerca degli Artisti dei fornelli e dei frigoriferi.
Subito, nel tempo di una flambata, qualcuno mi ha ricordato che Lucio Filisdeo da alcuni decenni ha aperto a Milano uno dei più rinomati ristoranti di cucina brasiliana.
Lucio, mio carissimo amico di Liceo e poi di vita, è sempre stato particolarmente dotato nei rapporti umani, forte di una visione positiva della vita accompagnata da una solida cultura e da un costante controllo morale.
Bene, con una semplice telefonata, ci siamo risentiti, sempre amici, dopo molti anni e così oggi posso narrarvi qualche particolare del successo di Lucio, ischitano, e di sua moglie Natalia Costa, brasiliana, nel regno dell’Arte culinaria.
In un ambiente curato e piacevole si possono gustare non solo il vero churrasco (rodizio di carni allo spiedo servite con una serie di contorni caratteristici) ma anche molti piatti tipici della tradizione brasiliana, soprattutto del Nordest, realizzati dalla Chef Natalia Costa.
In abbinamento alla cena vengono servite anche birre brasiliane, il classico Guaranà, i cocktail a base di frutta fresca tropicale creati da Pierre e un’ampia selezione di etichette di vini nazionali ed internazionali.
Il ristorante, aperto a Milano in via Agnesi Gaetana, 17 il 10 ottobre del 1999, si chiama “Churrascaria Oficina Do Sabor” e pochi giorni fa, precisamente il 23 novembre 2021, è stato presentato sulle pagine del Corriere della sera, anche in virtù della qualifica di “ottimo” ricevuta da Tripadvisor.
Nell’articolo pubblicato a cura del Responsabile di Redazione Martino Broglia si legge:
«Se volare Oltreoceano è più complicato, un po’ della magia del Brasile la si può comunque ritrovare anche a Milano.
In particolare in zona Porta Romana, dove dal 1999 va in scena la cucina di Natalia con i sapori tipici.
Non per altro il nome dell’insegna è Oficina do Sabor, letteralmente “laboratorio del gusto”.
“Con grande passione proponiamo le emozioni del churrasco: dalla tavola con le ricette tradizionali fino all’atmosfera fatta di colori, musica e allegria. In Brasile è un rituale”.
A parlare sono Lucio Filisdeo e Natalia Costa, al fianco nella vita e nel lavoro, rispettivamente titolare e chef. Il locale è studiato e rifinito in ogni particolare “ad iniziare dal bagno – raccontano sorridenti – dove abbiamo ricreato una piccola selva con pappagalli veri”
Le sale sono un tripudio di vivacità con opere in stile trompe-l’oeil e affreschi raffiguranti scenari paesaggistici e scorci di Bahia e Rio de Janeiro, con l’accogliente taverna, ribattezzata Amazzonia, ideale anche per ritrovi prenatalizi, feste o eventi privati.
Il menù è quello delle autentiche churrascarie, a partire da un susseguirsi di antipasti come il pão de queijo, deliziose pepite a base di farina di manioca e formaggio, insalate di verdure o di mare e sfiziosità come il soufflè di baccalà.
Dopo questo gustoso incipit arriva il piatto forte, con un sontuoso rodizio di carni per un totale di undici portate, cotte allo spiedo e poi servite direttamente al tavolo con i famosi spadoni: dalla picanha al controfiletto, dal diaframma con pancetta allo scamone di manzo.
In abbinamento contorni come farofa, polenta o manioca fritte, riso e feijoada.
A completare il tutto i dessert di Natalia, una interessante carta vini, birre locali e drink come caipirinha, caipiroska, batida e mojito.»
Già questo basterebbe per elogiare il coraggio, la determinazione e la professionalità dimostrata dal nostro concittadino, ma abbiamo preso visione anche di un corposo volume di “100 ricette facili da realizzare a casa proprio” scritto da Natalia Costa e pubblicato dall’Editore Gribaudo con il titolo “Brasile in cucina”.
L’introduzione a firma di Manuela Vanni termina con parole che sono molto più di una semplice descrizione perché sono una promessa, alla verifica della quale sarà molto difficile sottrarsi per chiunque inizia sfogliare le pagine del libro: «Con questo libro – scrive appunto Manuela Vanni – Natalia ha voluto condividere con voi lettori la magia dei piatti della sua terra. è un libo ghiotto che di più non si può! Fidatevi, perché avendo fotografato i piatti ho potuto assaggiarli tutti.»
Qualche pagina in gratuita lettura potete trovarla qui: https://www.emmegiischia.com/wordpress/brasile-in-cucina-arte-culinaria/
Chi intendesse assaporare, o anche solo avere notizie dei risultati dell’Arte culinaria proposta da Lucio Filisdeo e Natalia Costa può telefonare ai numeri 0258304965 /3383928867, oppure può inviare una e-mail a info@oficinadosabor.it
… e se passate per Milano concedetevi un’ora di gustosa cucina brasiliana con ospitalità ischitana.
Bruno Mancini
BRUNO MANCINI
Due mie poesie
Dalla raccolta di poesie
“Non rubate la mia vita”
(2005 – 2007):
Quando sarò pensiero
Quando sarò pensiero
su cigli di visioni
dagli orizzonti nitidi
verso stele di mie antiche iscrizioni,
oppure anche
il tempo in cui sarò passione
nel buio ottuso
per lunghi sguardi amorosi
lasciati illanguidire dalle mie tristezze,
di certo o forse
il giorno che sarò ricordo
tra vociare arruffato
di vecchi amici alticci
sulle note matte delle mie sortite,
non posso, voglio,
quando sarò pensiero,
quando sarò pensiero
la docile coerenza
strappata a mani unite
dai cesti di delizie
per gli epigrammi delle tue certezze,
non posso, voglio,
il tempo in cui sarò passione,
il tempo in cui sarò passione
la mascherata tenerezza
oltre effimere apparenze
di abbracci mafiosi
interrata sotto il magna del tuo vulcano,
non posso, voglio,
il giorno che sarò ricordo,
il giorno che sarò ricordo
il giorno voglio
il nostro giorno voglio
intero
dal primo all’ultimo minuto
dal primo all’ultimo sorriso
dal primo all’ultimo tuo bacio.
Dalla raccolta di poesie
“Agli angoli degli occhi”
(1962 – 1964):
Tu non ignori
Tu non ignori
la polvere d’estate che t’acceca,
il brivido di stritolare ortiche,
angelo
rendersi
pietra.
Il suono delle ciaramelle
avanza per la tua notte,
ti trova tepore di piccole mani
rinchiuse caute
sulle bionde piume di un pulcino:
anche tu
povero
canti
ricco.
Il Dispari 20211220 – Redazione culturale DILA
Il Dispari 20211220
Liga Sarah Lapinska intervista in esclusiva per IL DISPARI
pittore Abu Pashaev
“Non ci sono estranei tra noi”
Liga Sarah Lapinska: «Ci racconti la tua infanzia?»
Abu Pashaev: « Sono nato il 9 giugno 1966 nel villaggio ceceno di Chechen-Aul, Russia
Attratto dalle nostre montagne, sorgenti di fiumi veloci.
Ci piaceva giocare a calcio.
Fin dall’infanzia, sono rimasto stupito dall’immagine del cielo infinito e delle stelle notturne.
Ho cercato di trovare risposte a domande relative al cambiamento del giorno e della notte, dell’inverno e dell’estate, della pioggia e della neve.
Quando avevo 14 anni, ho visto il film di Andrei Tarkovsky (regista e sceneggiatore sovietico), basato sul romanzo di Stanislav Lem (filosofo e scrittore di fantascienza), “Solaris”.
Mi ha influenzato così tanto che ho avuto la sensazione di essere caduto in una sorta di “dirupo” spaziale temporale, simile al teletrasporto.
Questo incidente ha fatto una sorta di rivoluzione nel mio subconscio.
Da quel momento in poi, ho avuto il desiderio di catturare con colori e matite i miei sentimenti e il mio stato psicologico, su pezzi di carta.
Durante i miei studi ho appreso i primi sentimenti d’amore.
Un sentimento esaltato che mi ha spinto a creare un’intera serie di nuovi dipinti.
Ho organizzato a scuola la mostra intitolata “La primavera nel mio cuore”.»
Liga Sarah Lapinska: «La guerra in Cecenia.»
Abu Pashaev: «In quei duri anni di guerra, sono riuscito a raccogliere tutta la mia volontà in un pugno.
Dopo aver studiato a fondo il mio percorso creativo, Alvi Dakho ha scritto nel suo articolo “Abu Pashaev usa coraggiosamente varie tecniche e direzioni della pittura. Le immagini raffigurate dall’artista nelle sue composizioni, sanno sorridere, parlare, piangere e prendere parte alla conversazione con noi.
L’ansia, il tormento e la tragedia nelle sua opere possono essere intese come un’eredità delle guerre crudeli che hanno avuto luogo nella Repubblica cecena e in cui il nostro popolo ha sofferto molto.
Invece, le sue opere successive sono piene di ottimismo, affermando le qualità della dignità e dei valori umani, il desiderio di un’umanità completa, la creazione di una convivenza armoniosa, invitandoci alla pace e all’amore per l’arte” (https://proza.ru/2021/11/16/1041).
Trovo gente simile mentalmente che pensano allo stesso modo, che apprezzano la mia creatività.
In quello che ho imparato oggi nella pittura, in una direzione astratta, una grande parte è merito di Ajub Ibragimov, mio Maestro.
Mi ha mostrato la filosofia della direzione fluido-astratta nella pittura. »
Liga Sarah Lapinska: «Come affronti la depressione? »
Abu Pashaev: «Riesco di disegnare di più.
Faccio esercizi metafisici, insetti, uccelli animali, alberi.
Questo mi dà certa sferzata di energia. »
Liga Sarah Lapinska: «Come puoi descriverti?»
Abu Pashaev: «Sono un artista sognatore.»
Liga Sarah Lapinska: « Quale delle tue opere d’arte ti piace di più?»
Abu Pashaev: «Sono tutte vicine a me.
Di più?
Ho una serie di opere chiamate “Genesis”.
Questa serie è stata dipinta da me nel momento in cui hanno iniziato a restaurare la nostra città di Grozny, la capitale della nostra Repubblica, e poi anche le mie composizioni dedicate ai motivi del manoscritto medievale ceceno Zhakhotan Teptar»
Liga Sarah Lapinska: «Le tue stime più recenti?»
Abu Pashaev: «La pittura astratta è la mia svolta creativa attuale.
Le mie opere riflettono i miei gesti e le mie espressioni facciali, il mio respiro, il mio battito cardiaco. Nelle mie trame artistiche cerco di essere sincero come un bambino.
Vorrei citare Bertold Brecht “Tutti i tipi dell’arte servono alla più grande delle arti: l’arte di vivere sulla Terra”.»
Liga Sarah Lapinska: «Il tuo motto e la poesia preferita?»
Abu Pashaev: «Una hokko giapponese “Non ci sono estranei tra noi, tutte le persone al mondo sono fratelli sotto i fiori di ciliegio .”
E per me?»
Luciano Somma e Gioia Lomasti
Quei giorni ischitani
Ischia è fonte inesauribile di ispirazione poetica per le sue incantevoli bellezze naturali e uno dei luoghi turistici più ambiti e visitati.
Infatti tra i tanti libri che abbiamo realizzato possiamo citare alcune poesie che raccontano luoghi caratteristici dell’isola, avendo appunto distinto la presenza di Luciano Somma a Ischia per moltissimi anni.
Chi ha buona memoria ricorderà anche le sue collaborazioni notturne alle emittenti radiofoniche locali.
Luciano Somma è stato,, inoltre, uno dei maggiori pionieri del felice progetto “Da Ischia L’Arte – DILA” di Bruno Mancini.
Per chi desiderasse approfondire la poetica degli autori Luciano Somma e Gioia Lomasti, sono stati selezionati libri che hanno contraddistinto il loro percorso, dando vita a formati e-book, distribuiti da Youcanprinte disponibili sui maggiori webstore, cercando tra i tanti titoli degli autori attraverso il web e tramite le loro pagine DA NAPOLI CON AMORE LUCIANO SOMMA e GIOIA LOMASTI su facebook.
Gioia Lomasti nasce a Ravenna, appassionata di letteratura nel suo insieme sin da bambina conquista l’attenzione della critica letteraria con la partecipazione a concorsi di poesia ed eventi culturali che la vedono tra i posti d’onore.
È autrice di opere in poesia e prosa dedicando parte dei suoi scritti al cantautorato italiano.
Co-fondatrice del sito vetrinadelleemozioni.com, spazio che riserva all’arte e alla musica.
Ne sono intercorse collaborazioni con volti noti della letteratura e del panorama giornalistico italiano.
È articolista per molte redazioni dove promuove la scrittura e l’arte a 360 gradi.
L’amore verso la letteratura, l’emozione che ne deriva in ogni suo scritto, i vari riconoscimenti che nel tempo ha conseguito, permettono al lettore di entrare in una dimensione in cui la scrittura di Gioia Lomasti diviene anima.
Luciano Somma è nato a Napoli, diversi anni or sono, ha iniziato a scrivere testi per canzoni e poesie dall’età di 13 anni.
All’attivo moltissime pubblicazioni poetiche singole o in antologie anche scolastiche.
Ha scritto e scrive su un numero imprecisato di periodici, centinaia i premi vinti, 2 volte medaglia d’argento del presidente della Repubblica e Laurea nel 1987 H.C. in lettere e filosofia.
Oggi più volte in giuria nei concorsi di poesia e narrativa, iscritto alla SIAE come autore e compositore sono circa 2000 le canzoni prodotte con vari collaboratori ed interpreti.
Per anni conduttore radiofonico, più volte in Tv locali e, su Rai 2, nella trasmissione NON E’ MAI TROPPO TARDI nel 2005.
Direttore artistico della Italian Way Music di Cusano Milanino, del Project Team Antorva, di Vivicentro, pioniere dei progetti Made in Ischia “LENOIS” e “Mondomancini” e di altre organizzazioni artistico letterarie.
è il poeta più presente in internet, decine i titoli accademici.
Attualmente collabora con vari siti, radio e TV online con poesie e canzoni.
Luciano Somma e Gioia Lomasti