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Il Dispari 20210809 – Redazione culturale DILA
Il Dispari 20210809
La menopausa di mia sorella
Racconto a puntate – sesta parteSe vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da alcune settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849 al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizionehttps://www.lulu.com/en/en/shop/bruno-mancini/per-aurora-volume-quinto/paperback/product-1zmn68dj.html?page=1&pageSize=4,oppure facendone richiesta all’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA dila@emmegiischia.com al prezzo di € 14.00 comprese spese di spedizione.
La menopausa di mia sorella
Racconto a puntate – sesta parte
Capitolo 4
Gli ero ormai talmente vicino che la mia maschera faticava a rendere completamente visibile l’estensione dei suoi tentacoli.
Comunque indirizzassi lo sguardo, una parte della sua mole usciva dai bordi della mia pinguino nera.
Sapevo bene che in situazioni di estrema tensione, nelle rischiose apnee, gli attimi valgono tutto, eppure, almeno per una frazione di tempo mi abbandonai all’impressione d’essere spettatore di una partita di tennis, seduto in linea con la rete, intento a seguire con continui spostamenti della testa il percorso della palla.
Di reale c’era il suo immobilismo, d’irreale la sua immobile attesa.
Tra la forza della sua indole, forgiata dalla lunga esperienza, che imponeva alle sue caratteristiche naturali di trattenere finanche lo scorrere dell’acqua negli opercoli per sfuggire nascondendosi, e la potenza della sua smisurata, prorompente, devastante stazza che le chiedeva di occultarsi scappando, la preda continuava a privilegiare la prima congettura, anche se, per tale scelta, il vetro plastificato della mia maschera nera, durante il progressivo avvicinamento, doveva apparirle come la bocca spalancata del Terrore e del Male.
Io, la mia faccia, il Terrore!
Quale percorso aveva condotto la mia vita verso e fino alla mortale sfida con quella icona bestiale? Scompaginare il certo e rumoroso declino di quel tragitto in cui mi riconoscevo felice tuffandomi nei silenzi profondi?
Offuscare un prosieguo del mio viaggio esistenziale temuto troppo simile al decadente simbolismo dell’immagine di mia sorella, seduta con un gatto sulle ginocchia, nell’atto di tagliarsi le unghie, dopo la menopausa, per meglio palpeggiare la creta, proponendosi, pulsandosi in un nuovo mondo fatto di terracotta e di ceramiche?
Gilda?
Che c’entra Gilda?
Gilda?
Che c’entra Gilda?
Gilda si crogiola sulla spiaggia con le tette al sole, voluminose, le tette, tanto da costringere a sbirciarle anche sfigati esistenzialisti un po’ gay e un po’ narcisisti durante andirivieni senza senso che lei, anima candida, neppure nota.
Non è così?
Che cosa non è così?
Crogiola, spiaggia, sole, tette, voluminose, sbirciare, sfigati, esistenzialisti, gay, narcisisti, andirivieni?
Non è questo?
Che altro allora?
Bum… la macchia nera che prima era ondeggiante tra i tentacoli del mostruoso colosso posato sul fondo marino gli schizzò, con lo scatto breve e goffo di una pantegana, verso il testone immobile nella concentrazione mimetica.
C’è tutto un modo a noi sconosciuto di comunicare tra animali non solo della stessa specie, ma anche di razze profondamente dissimili, finanche, credo, tra uccelli e pesci o tra rettili e pesci o tra molluschi e mammiferi.
Il totano è un mollusco.
Simile al polpo.
La pantegana è un mammifero.
Anch’essa nel suo ambito, spesso, sfugge dai pericoli restando ferma acquattata in un angolo, il più buio possibile, il più profondo possibile, dalle pareti il più possibile di colore scuro come la sua pelle, la sua coda, la sua testa.
Una maniera efficace almeno quanto lo è lo sfrontato mimetismo dei cefalopodi, ma che essa spesso, d’improvviso abbandona sfruttando, con la sorpresa della fuga in una direzione imprevista, l’attimo in cui il suo nemico si blocca per elaborare e decidere la modalità dell’attacco. Se esce indenne dal primo scatto, è salva.
La pantegana, abbandonato l’insicuro riparo, fuggendo, balzò sul capo di quell’immenso totem e forse gli disse….
Gilda?
Che c’entra Gilda?
Perché penso a Gilda?
Gilda?
Che c’entra Gilda?
Perché penso a Gilda?
Gilda si crogiola sulla spiaggia con le tette al sole, voluminose, le tette, tanto da costringere a sbirciarle anche sfigati esistenzialisti un po’ gay ed un po’ narcisisti durante andirivieni senza senso che lei, anima candida, neppure nota.
È vero.
Ne sono sicuro.
Sono… si… nooo…
Salgo a vedere.
Tanto bastò.
Il totano ne aveva già approfittato per mettere in moto un tentacolo nella mia direzione.
Salgo a vedere.
È troppo tardi?
Meglio, così…
Capitolo 5
Il totano: «Il nome mio tutti lo sanno: “Ignazio”.
Ignazio di Frigeria e d’Alessandro.
Ignazio di Frigeria e d’Alessandro con cuore di poeta.
Mi hanno sprofondato in questo abisso per aver mancato di rispetto ad una deità artificiale soprannominata El Tibe o El Cibe o qualcosa di simile.
Avevo cantato i pastori dell’Ellade in guerra, i fieri naviganti fuggiti dalle troiane mura, l’inferno e il paradiso (il purgatorio mi venne meno bene), Lucia la santarella, il cinque maggio, il piccolo Lord, Cappuccetto rosso e Biancaneve.
Tutto bene.
Applausi, complimenti, auguri, riconoscimenti, recensioni, premi ecc. ecc.
Fino a quando… se ci penso mi ficco il terzo tentacolo da destra nel… Fino a “Il furto della foto”. Chi poteva pensare che sarei diventato una specie di mignotta solo per aver deriso in quel racconto un tappetto umano in brache bianche e maglietta azzurra!
Infamie e vituperi, offese e minacce, e tutti i contatti professionali cassati, distrutti, annullati. Amici, spariti.
Conoscenti, neanche più un saluto.
La condanna universale.
Nessuna gratitudine sconfigge mai il danno di un’ultima minima offesa.
Il mio apporto alla gioia, non effimera, per una emozione continuamente dettata finanche a distanza di secoli attraverso solo parole (a volte tradotte in un altro idioma), e poi i casti baci che ho ricevuto dalla cultura, e poi l’essere o l’essere stato pensieri, sentimenti, amori per tutti e di nessuno, cioè tutta la linfa di me poeta, io poeta, travagliato pazzo visionario maledetto stramaledetto stramaledettissimo poeta, tutto ciò non ha retto lo scontro neppure con un bonario scherno verso la fotografia di un Pulcinella in mutande soprannominato El Sibe o El Bibe o qualcosa di simile.
Detto in un plurale maiestatis che a me si conviene, parafrasando un poeta di terra, potrei dire che per noi scrittori non sempre il tempo la beltà conserva.
Tanti anni sono trascorsi da quando gli opercoli dei miei nuovi tentacoli a mala pena raggiungevano il diametro di una capocchia di spillo.
Giocherellavo ad inserirvi prima un granello di sabbia, poi, con il trascorrere di nuove lune e nuovi soli, col tempo, una briciola della conchiglia che avevo mangiato a colazione, ed oggi, impegnandomi riesco a riempirli con bestioni della tua taglia.
E che dire della capacità di trazione di questi super tentacoli che io chiamo sagole viventi! Altro che idee, queste nerborute propaggini sì hanno valore!
È nella forza il valore dell’essere:
Non esiste l’anima.
Se anche così non fosse, l’anima non basterebbe comunque, e certo non sarebbe in alcun modo determinante nello stupido inconcludente processo di evoluzione che condiziona, con una spirale infinita, le ambizioni di tutta la città umana.
Come i sentimenti, le ideologie, le filosofie, gli amori astratti.
Tocca, tocca, tutta una corda vigorosa, come una liana.
Mi hanno parlato delle liane sugli alberi, me ne hanno raccontate di storie.
Vi si appendevano per la coda, come la tua, animali considerati progenitori degli umani (i quali sono gli animali per eccellenza, le vere bestie).
Tocca palpeggia.
Se vuoi azzanna.
C’era una barca, l’estate scorsa, una barca lunga tre ciuffi di posidonie.
Ne ho bloccato l’ancora con un solo tentacolo e l’elica, quell’aggeggio che gira rumoroso sotto il culo della poppa, ruotava e strideva, ma il natante lungo un’aiuola di posidonie non si spostava di un’onda.
Proprio come sto facendo con questo umano rompicoglioni…
Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA
Il Dispari 20210802
La menopausa di mia sorella
Racconto a puntate – quinta parte
Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da alcune settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849 al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione
https://www.lulu.com/en/en/shop/bruno-mancini/per-aurora-volume-quinto/paperback/product-1zmn68dj.html?page=1&pageSize=4,
oppure facendone richiesta all’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA dila@emmegiischia.com al prezzo di € 14.00 comprese spese di spedizione.
La menopausa di mia sorella
Racconto a puntate – quinta parteCapitolo 3
…
Se ipotetici contenitori potessero recuperare tutti i suoni (i quali come ogni accadimento non attraversano spazi senza lasciare traccia), ed il loro utilizzo avvenisse in special modo accanto al lume dal braccio verde e dalla calotta gialla che illumina le mie letture mentre Gilda appassisce davanti all’ultimo film giallo trasmesso dalla televisione di stato, essi risulterebbero certamente traboccanti di una monotona ripetizione, in falsetto, urlata, malinconica, sottovoce, ad occhi bassi, sferzante, delusa, un groppo in gola, una stanchezza di confronti, un presagio di distacchi… “Il tuo presuntuoso orgoglio”.
Non ero stato sempre da sempre ai bordi di quel promontorio, ed ugualmente non era restata sempre da sempre nella mia mente l’emozione del primo incontro con Gilda.
Paradossalmente, invece, continuavo a ricordare il temine linguistico con cui in principio esaltavo le mie individualistiche esultanze per l’avvenuta conquista del suo primo semplice gesto di affetto.
In una trasformazione compiuta a seguito d’impercettibili cambiamenti, negli ultimi tempi, certo anche come corollario di continui diverbi, essa, la parola magica scaccia problemi, era ormai diventata il tormento di una goccia che rimbombi nelle orecchie, la nebbia che abbrutisca le linee orlate degli alberi, il mio compagno indesiderato, monotono, piagnone.
Ormai in me fomentavo finanche lo scherno, per uno spiacevole senso di banalità e balordaggine che mi ero convinto l’accompagnasse.
Fosse stato il contrario avrei avuta una labile speranza di attendere al confronto con il nostro passato, per tentare così di avviare tra noi una nuova forma di vicinanza più adatta ai tempi, alla società ed ai nostri anni.
Avessi continuato a sentire vivo il dolore del groppo che mi risalì dallo stomaco alla gola, lasciandomi senza fiato senza parole senza… senza tutto allorché Gilda mi gettò la prima volta le braccia al collo; fossi stato memore del graffiante percorso che una lacrima aveva solcato tra i miei occhi al contatto con la sua guancia; avessi saputo ripetere la sublime levità in cui il mio corpo depose la mia anima affinché divenisse libera di fuggire verso un bacio, un bacio e basta, allora sì, allora sì, allora sì tre volte, ora potrei affermare che il mio amore fosse diverso da tutti gli altri.
Ma forse gli amori sono veramente tutti uguali, come i cinesi.
Non voglio a questo punto proseguire con i flash di Antonella che espose le labbra (o forse era Clara?) (o forse era Gilda?) (a chi?), perché ho il netto ricordo di quando mi accorsi che avevo trovato un mio equilibrio, senza averlo cercato, e quindi scrissi che esso imponeva…
“La rinunzia a continuare nel tentativo di costruire un senso per l’amore
E smettila di essere bufera
su questo cielo
di primo meriggio
tracciato dal volo dei passeri
-di tanto è capace settembre.
allo scopo di salvare la speranza, o se non altro almeno l’illusione, di credere che, forse, le storie d’amore sono tutte uguali, come i cinesi.
Miliardi d’individui dai tratti identici: stessi occhi, stessa statura, stesso modo di porgere, stesso incedere.
Eppure gestiscono, con comportamenti del tutto analoghi ai nostri, i rapporti e le individualità. Si riconoscono.
Le storie d’amore sono tutte uguali. Io non sono né Gino né Lelio, e Gilda non è Clara e neppure Antonella.
Da Elena a Giulietta, dal Principe Azzurro a Dante, le vicende degli innamorati s’identificano, nel tema comune dell’irrinunciabile, perfino con la infinita determinazione «Per me non conta altro» della gente comune.
Ed allora io sono Gino, divento Lelio sono… tu sei…
La passione universale ed eterna del mito Medea è identica all’irrinunciabile ostinazione che in ogni attimo rende moltitudini di persone anonime protagoniste di trombe d’aria tanto brevi, impercettibili e disattese da smuovere a stento l’atmosfera sopita delle loro famiglie, delle piccole comunità nelle quali articolano l’intimità della loro vita, ed eccezionalmente, nei casi brutali più eclatanti, divengono elementi di curiose pruderie e pettegolezzi per le cronache da fondo pagina di giornali locali.
Le storie d’amore sono tutte fotocopie nel linguaggio e nella gestualità – come i cinesi -, eppure ciascuno di noi ripete e riconosce le proprie.
Io sono Clara sono te sono Antonella tu sei me e Gino e Lelio.
Così nel suo destino
così
senza battiti di ciglia
ad un velo dal suo respiro,
fra le sue dita,
così
nella solitudine delle nostre ansie,
io sono la viola
cercata in un bosco
io sono corda di viola
in un suono d’orchestra
io sono viola pensiero
che scuote passioni
io sono di mammole viola
la macchia, l’inchiostro,
di semi di viola appassita
profumi e magie,
io sono poeta
io sono
silenzio.
Ho detto: -«Voglio che tu sia la mia donna»
Ha detto: -«Voglio che tu sia la mia amante.»
Ho detto: -«Ti amo.»
Ha detto: -«Non chiedermi amore».
Ognuno riconosce la sua. Per sfumature in teneri acquarelli, per contrasti di toni in opere corpose, per forme di linee in immagini astratte e cerebrali.
Storie tenere, corpose, cerebrali, come tutta la vita mia”.
… Con Gilda.
Quella mattina di inizio settembre, prima d’immergermi nella nuova solitudine, nella desolata ricerca della mia murena, il rimbombo ossessivo dell’aggettivo che mi aveva dato sempre da sempre il senso del mio amore, mi donò un’ultima briciola di poesia:
Scriverò di te innocente – giovane Apache –
dalla lunga chioma di grappoli,
di grappoli d’uva rossigna,
tra le fiamme dei tronchi,
dei tronchi ardenti sfavillanti
una notte di cielo deserto,
deserto, nel cuore del deserto.
Penserò alla tua malinconia – giovane Apache –
d’attesa e di passioni
con occhi memorie,
memorie affastellate,
sopra i fumi dei tronchi,
dei tronchi assopiti
nelle notti di cielo deserto,
deserto, come il cuore del deserto.
Amerò gli sguardi squillanti – giovane Apache –
per la felice follia di silenziosi sorrisi,
sorrisi all’ombra di tante chimere,
dentro ai profumi dei tronchi,
dei tronchi spenti dalla mia ombra
ogni notte di cielo deserto,
deserto, più del cuore del deserto.
Prima di uscire verso il mare, con in cielo il sole ancora rosato e velato come Gilda nel letto, con due stelle basse sull’orizzonte come gli occhi di Gilda dopo una notte di baldorie, lasciai il foglietto dei versi accanto al cofanetto del trucco – Gilda lo usava ogni mattina -, presi una penna di colore diverso, rossa, detti ascolto, per una volta, alla voce della ragione che m’imponeva di fare chiarezza.
Affinché Gilda sapesse.
Non solo per giustificare la mia decisione.
Andare in cerca della predatrice immobile.
Sollevare un velo sul presente.
L’ossessione della murena.
Ciò nonostante la sola libertà che seppi concedermi fu un messaggio criptico, risultato infine appannato, celato tra parole poco più che banali, scritto con penna rossa in poche righe a margine della poesia Apache:
”La colpa sono io.
Un bacio a nostro figlio.
Vado ad incontrare la mia bestia.
Addio.”
Certo, ho sempre da sempre avuto memoria della parola che mi riempiva la testa e la vita, la testa e la vita: “Incredibile”.
Un amore incredibile, un amore incredibile.
Incredibile.
Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA
Il Dispari 20210726
La menopausa di mia sorella
Racconto a puntate – quarta parte Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da alcune settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849 al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione https://www.lulu.com/en/en/shop/bruno-mancini/per-aurora-volume-quinto/paperback/product-1zmn68dj.html?page=1&pageSize=4, oppure facendone richiesta all’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA dila@emmegiischia.com al prezzo di € 14.00 comprese spese di spedizione.La menopausa di mia sorellaRacconto a puntate – quarta parteCapitolo 3 …Ma io non ho mai dato questi attestati! Né ho chiesto aiuto per propagandare il nome mio! Neppure ho offerto difese ai cialtroni ed agli imbonitori di povere anime ingenue! Io non impongo preghiere! Io non ho lamenti per la mia solitudine, né patisco l’ignoranza di chi sfugge a se stesso, e poi, e poi, e poi, e poi. è però certo senza poi e senza ma che io schifo profondamente l’ignavia dei vostri comportamenti incoerenti, finanche con la truffa sfacciata che vi rende sovrani
.»
Gilda non poteva non udire, dovunque fosse, e non voleva tacere nei confronti di qualunque provocazione io producessi, quindi, lasciò che terminassi il proclama, e punse l’evidente allitterazione verso cui non ponevo remore:
-«Ciascuno è re dei sudditi che riesce a conquistare.
Ciascuno è dio dei fedeli che riesce a creare.
Vuoi ricrearti re, dio, suddito o fedele?
Non credo che tu lo sappia, e non lo scoprirai urlando.»
Ma io aspettavo da lei lozioni odorose, dolci linimenti, melasse e dolcezze, infusi inebrianti, vibrazioni sottocutanee, suadenti passionali serenità, il volo silenzioso di abbracci mai privi di… mai privi di tutto intero il nostro passato!
Ciò non avvenne neppure quando iniziai a scrivere un capitolo nel quale riportavo di aver fermato la mia attenzione su un profilattico usato e lasciato per terra, in una calda giornata autunnale, accanto al muro di cinta di un parcheggio confinante con un terreno incolto.
“… qualcuno al mio posto l’avrebbe fatto segno di considerazioni dai vaghi risvolti cannibaleschi?
Dal mio totalizzatore la risposta positiva non è data vincente.
Eppure di un così fetente gesto d’inciviltà – parcheggio Cava dell’isola 14 ottobre 2006 ore 13 – per me sarebbe stato divertente parlarne con lo strafottente autore.
Egli, senza dubbio sfacciato e prepotente, incolto e superficiale, maschio ma per niente uomo, forse sarebbe rimasto disorientato se fosse stato condotto a vedere le migliaia di formiche nere freneticamente impegnate a distruggere annientare e trasportare nei loro depositi alimentari i poveri resti dei suoi spermatozoi.
Eppure, quasi certamente, egli fa sua la fede che assegna a quella schifezza – da lui lasciata in balia dei fieri predatori – i diritti inalienabili riconosciuti a beneficio delle forme vitali preposte alla riproduzione della specie umana, negli stessi termini nei quali, questa ultima, riceve gloria per essere stata plasmata personalmente dal creatore in cui lui, lurido zozzone, finge di credere.
I massimi requisiti della fertile potenza di quel porco eiaculatore, i codici del suo patrimonio genetico, assaliti da legioni di formiche nere, devastanti distruttrici dell’unico elemento di civiltà che gli era dato di possedere! Lo sperma è spesso migliore dell’uomo”.
“Maniacale ricerca dell’orrido”, fu il commento che Gilda lasciò a margine della pagina.
Ed allora iniziai, solo iniziai, per mia fortuna iniziai soltanto, a cercare di ricavare un nesso dal fatto che a mia sorella dopo la menopausa crebbero le unghie.
Una spuma d’onda sgocciolò nel tubo della maschera richiamandomi a riprendere il cotrollo della situazione in cui mi trovavo.
Quasi a fuggire da questi nuovi e vecchi invadenti ed inopportuni pensieri, effettuai di botto un profondo respiro, spinsi la testa sottacqua, ruotai il capo verso il basso, e, dando un deciso colpo di pinne, mi lasciai cadere nella profonda fenditura tra due masse rocciose.
Nel chiarore indeciso delle strisce di sole che, penetrando i circa otto metri di profondità, in una prospettiva parevano sciamare entro gruppi aghiformi tra i filari delle posidonie, mentre invece, in un angolo opposto, squarciavano il fondale trafiggendo l’incastro della falda sulla scogliera, come un fantasma di pura luce, seguendo la corrente sottomarina con un docile movimento a pendolo che non ne spostava granché la posizione, un fantastico enorme agglomerato, perfettamente mimetizzato tra le rare pietre, le variegate alghe, e gli spigoli di sabbia, giaceva come un polpo.
Un polpo?
Una piovra!
Otto metri circa sotto di me, un polpo di dimensioni mai prima affrontate sbatacchiava fra i suoi enormi tentacoli una macchia nerastra simile ad una delle rotondeggianti rocce laviche stracciate dai bordi del magma solidificato.
A meno che non si fosse trattato di un riccio gigante o di un grappolo di cozze, la macchia non mi sembrava giustificata in quel luogo.
Non ebbi in mente altre ipotesi.
Neppure che potesse trattarsi di un totano.
Le pulsazioni m’incalzavano risucchiando quanto più ossigeno possibile dai polmoni, l’adrenalina mi eccitò rendendo secchi e decisi i movimenti con i quali proseguii la discesa, gli occhi sbarrati dietro il vetro perlato della maschera molto compressa sulla faccia puntarono il centro dell’ammasso spiaccicato indifeso sul fondo, la mano destra strinse l’asta d’acciaio del tridente fino a procurarmi dolore per l’improvvida compressione, il braccio sinistro si mosse a cavare il pugnale dalla guaina legata al polpaccio.
Non ebbi un pensiero.
Che fosse un totano.
Agii come un plotone di armigeri. In una azione simultanea, un unico sincronismo, un insieme fatto di singoli particolari, in un unico tutto, il mio corpo non mi appartenne, ma si comportò, nelle sue diverse strutture, come un gruppo formato da numerose entità, ciascuna decisamente separata da tutto il resto, ma che attuava un canovaccio a lungo studiato e provato e riprovato.
Il sincrono meccanismo di una squadra d’incursori movimentò ogni singolo muscolo di ogni azione della mia persona, anche sensoriale, tattile, visiva, preposta al controllo della fulminea immersione d’attacco che andavo attuando.
Era lì.
La bestia più grande e fascinosa che avessi mai affrontato nella vita.
Con tutti i pericoli.
Era lì.
Con tutte le insidie.
Certo, non tradussi in un ragionamento logico l’immagine del cefalopode mentre si dibatteva, trafitto dall’arpione, brandendo i tentacoli alla ricerca di un aggancio con l’assalitore per trattenerlo sul fondo fino alla morte per esaurimento delle sue risorse d’aria.
Nemmeno mi dettai la prudenza di non avvicinarmi tanto da consentirgli di ferrarsi ad una qualsiasi sporgenza voluminosa, sfilacciando un tentacolo sulla mia mano che impugnava l’arma. Neppure, neanche, nemmeno ricordai per un attimo la nube nero inchiostro che avrebbe potuto spargermi intorno, impedendo, così, che vedessi i pericoli portati dai suoi contrattacchi.
Era lì.
Con tutte le insidie.
Era lì.
Con tutta la potenza del suo mostrarsi padrone in un regno che non concedeva superflui respiri, forze e movimenti.
Un mondo senza poesia.
Un mondo che non accoglieva benevolo l’infido luccichio del mio sguardo, né il barlume del mio pugnale.
Con me veloci, le punte del tridente, meticolosamente affilate, fenderono l’acqua alternando bagliori nella discesa.
Tutte le forze del braccio teso e del corpo trascinato nell’apnea dai pesi che portavo agganciati alla cintura, furono guidati dall’incosciente volontà di una conquista che di conquista non aveva nulla. Per la cattura più esaltante da mostrare che da possedere gelosamente, fosse anche solo nei ricordi.
Per una morte che se fosse giunta sarebbe stata solo una morte.
Era lì.
Anche io.
Non ero stato sempre da sempre ai bordi di quel promontorio, non mi ero di abitudine tuffato con tanta foga, repentinamente, verso una situazione imprevista, non avevo mai subito l’ansia per la scoperta di una chimera, né ero mai stato succube di una simile crudeltà immotivata.
Gilda diceva “Il tuo malvezzo è un presuntuoso orgoglio”.
In tante occasioni sarei stato tentato di spingerla a ridimensionare, utilizzando esempi concreti, un giudizio che non avendo nulla di concettuale, alla fine di ogni discussione, lei m’appiccicava sul muso come un’aringa affumicata.
Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA