Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210802

La menopausa di mia sorella
Racconto a puntate – quinta parte

Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da alcune settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849 al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione

https://www.lulu.com/en/en/shop/bruno-mancini/per-aurora-volume-quinto/paperback/product-1zmn68dj.html?page=1&pageSize=4,

oppure facendone richiesta all’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA dila@emmegiischia.com al prezzo di € 14.00 comprese spese di spedizione.

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – quinta parteCapitolo 3


Se ipotetici contenitori potessero recuperare tutti i suoni (i quali come ogni accadimento non attraversano spazi senza lasciare traccia), ed il loro utilizzo avvenisse in special modo accanto al lume dal braccio verde e dalla calotta gialla che illumina le mie letture mentre Gilda appassisce davanti all’ultimo film giallo trasmesso dalla televisione di stato, essi risulterebbero certamente traboccanti di una monotona ripetizione, in falsetto, urlata, malinconica, sottovoce, ad occhi bassi, sferzante, delusa, un groppo in gola, una stanchezza di confronti, un presagio di distacchi… “Il tuo presuntuoso orgoglio”.

Non ero stato sempre da sempre ai bordi di quel promontorio, ed ugualmente non era restata sempre da sempre nella mia mente l’emozione del primo incontro con Gilda.
Paradossalmente, invece, continuavo a ricordare il temine linguistico con cui in principio esaltavo le mie individualistiche esultanze per l’avvenuta conquista del suo primo semplice gesto di affetto.
In una trasformazione compiuta a seguito d’impercettibili cambiamenti, negli ultimi tempi, certo anche come corollario di continui diverbi, essa, la parola magica scaccia problemi, era ormai diventata il tormento di una goccia che rimbombi nelle orecchie, la nebbia che abbrutisca le linee orlate degli alberi, il mio compagno indesiderato, monotono, piagnone.
Ormai in me fomentavo finanche lo scherno, per uno spiacevole senso di banalità e balordaggine che mi ero convinto l’accompagnasse.
Fosse stato il contrario avrei avuta una labile speranza di attendere al confronto con il nostro passato, per tentare così di avviare tra noi una nuova forma di vicinanza più adatta ai tempi, alla società ed ai nostri anni.
Avessi continuato a sentire vivo il dolore del groppo che mi risalì dallo stomaco alla gola, lasciandomi senza fiato senza parole senza… senza tutto allorché Gilda mi gettò la prima volta le braccia al collo; fossi stato memore del graffiante percorso che una lacrima aveva solcato tra i miei occhi al contatto con la sua guancia; avessi saputo ripetere la sublime levità in cui il mio corpo depose la mia anima affinché divenisse libera di fuggire verso un bacio, un bacio e basta, allora sì, allora sì, allora sì tre volte, ora potrei affermare che il mio amore fosse diverso da tutti gli altri.
Ma forse gli amori sono veramente tutti uguali, come i cinesi.
Non voglio a questo punto proseguire con i flash di Antonella che espose le labbra (o forse era Clara?) (o forse era Gilda?) (a chi?), perché ho il netto ricordo di quando mi accorsi che avevo trovato un mio equilibrio, senza averlo cercato, e quindi scrissi che esso imponeva…

“La rinunzia a continuare nel tentativo di costruire un senso per l’amore

E smettila di essere bufera
su questo cielo
di primo meriggio
tracciato dal volo dei passeri
-di tanto è capace settembre.

allo scopo di salvare la speranza, o se non altro almeno l’illusione, di credere che, forse, le storie d’amore sono tutte uguali, come i cinesi.
Miliardi d’individui dai tratti identici: stessi occhi, stessa statura, stesso modo di porgere, stesso incedere.
Eppure gestiscono, con comportamenti del tutto analoghi ai nostri, i rapporti e le individualità. Si riconoscono.
Le storie d’amore sono tutte uguali. Io non sono né Gino né Lelio, e Gilda non è Clara e neppure Antonella.
Da Elena a Giulietta, dal Principe Azzurro a Dante, le vicende degli innamorati s’identificano, nel tema comune dell’irrinunciabile, perfino con la infinita determinazione «Per me non conta altro» della gente comune.
Ed allora io sono Gino, divento Lelio sono… tu sei…
La passione universale ed eterna del mito Medea è identica all’irrinunciabile ostinazione che in ogni attimo rende moltitudini di persone anonime protagoniste di trombe d’aria tanto brevi, impercettibili e disattese da smuovere a stento l’atmosfera sopita delle loro famiglie, delle piccole comunità nelle quali articolano l’intimità della loro vita, ed eccezionalmente, nei casi brutali più eclatanti, divengono elementi di curiose pruderie e pettegolezzi per le cronache da fondo pagina di giornali locali.
Le storie d’amore sono tutte fotocopie nel linguaggio e nella gestualità – come i cinesi -, eppure ciascuno di noi ripete e riconosce le proprie.
Io sono Clara sono te sono Antonella tu sei me e Gino e Lelio.

Così nel suo destino
così
senza battiti di ciglia
ad un velo dal suo respiro,
fra le sue dita,
così
nella solitudine delle nostre ansie,
io sono la viola
cercata in un bosco
io sono corda di viola
in un suono d’orchestra
io sono viola pensiero
che scuote passioni
io sono di mammole viola
la macchia, l’inchiostro,
di semi di viola appassita
profumi e magie,
io sono poeta
io sono

silenzio.

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Ho detto: -«Voglio che tu sia la mia donna»
Ha detto: -«Voglio che tu sia la mia amante.»
Ho detto: -«Ti amo.»
Ha detto: -«Non chiedermi amore».
Ognuno riconosce la sua. Per sfumature in teneri acquarelli, per contrasti di toni in opere corpose, per forme di linee in immagini astratte e cerebrali.
Storie tenere, corpose, cerebrali, come tutta la vita mia”.

… Con Gilda.
Quella mattina di inizio settembre, prima d’immergermi nella nuova solitudine, nella desolata ricerca della mia murena, il rimbombo ossessivo dell’aggettivo che mi aveva dato sempre da sempre il senso del mio amore, mi donò un’ultima briciola di poesia:

Scriverò di te innocente – giovane Apache –
dalla lunga chioma di grappoli,
di grappoli d’uva rossigna,
tra le fiamme dei tronchi,
dei tronchi ardenti sfavillanti
una notte di cielo deserto,
deserto, nel cuore del deserto.

Penserò alla tua malinconia – giovane Apache –
d’attesa e di passioni
con occhi memorie,
memorie affastellate,
sopra i fumi dei tronchi,
dei tronchi assopiti
nelle notti di cielo deserto,
deserto, come il cuore del deserto.

Amerò gli sguardi squillanti – giovane Apache –
per la felice follia di silenziosi sorrisi,
sorrisi all’ombra di tante chimere,
dentro ai profumi dei tronchi,
dei tronchi spenti dalla mia ombra
ogni notte di cielo deserto,
deserto, più del cuore del deserto.

Prima di uscire verso il mare, con in cielo il sole ancora rosato e velato come Gilda nel letto, con due stelle basse sull’orizzonte come gli occhi di Gilda dopo una notte di baldorie, lasciai il foglietto dei versi accanto al cofanetto del trucco – Gilda lo usava ogni mattina -, presi una penna di colore diverso, rossa, detti ascolto, per una volta, alla voce della ragione che m’imponeva di fare chiarezza.
Affinché Gilda sapesse.
Non solo per giustificare la mia decisione.
Andare in cerca della predatrice immobile.
Sollevare un velo sul presente.
L’ossessione della murena.
Ciò nonostante la sola libertà che seppi concedermi fu un messaggio criptico, risultato infine appannato, celato tra parole poco più che banali, scritto con penna rossa in poche righe a margine della poesia Apache:

”La colpa sono io.
Un bacio a nostro figlio.
Vado ad incontrare la mia bestia.
Addio.”

Certo, ho sempre da sempre avuto memoria della parola che mi riempiva la testa e la vita, la testa e la vita: “Incredibile”.
Un amore incredibile, un amore incredibile.
Incredibile.

Il Dispari 20210802 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210726

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – quarta parte Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da alcune settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849  al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione https://www.lulu.com/en/en/shop/bruno-mancini/per-aurora-volume-quinto/paperback/product-1zmn68dj.html?page=1&pageSize=4, oppure facendone richiesta all’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA dila@emmegiischia.com al prezzo di € 14.00 comprese spese di spedizione.La menopausa di mia sorellaRacconto a puntate – quarta parteCapitolo 3 Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILAMa io non ho mai dato questi attestati! Né ho chiesto aiuto per propagandare il nome mio! Neppure ho offerto difese ai cialtroni ed agli imbonitori di povere anime ingenue! Io non impongo preghiere! Io non ho lamenti per la mia solitudine, né patisco l’ignoranza di chi sfugge a se stesso, e poi, e poi, e poi, e poi. è però certo senza poi e senza ma che io schifo profondamente l’ignavia dei vostri comportamenti incoerenti, finanche con la truffa sfacciata che vi rende sovrani


Gilda non poteva non udire, dovunque fosse, e non voleva tacere nei confronti di qualunque provocazione io producessi, quindi, lasciò che terminassi il proclama, e punse l’evidente allitterazione verso cui non ponevo remore:
Ciascuno è re dei sudditi che riesce a conquistare.
Ciascuno è dio dei fedeli che riesce a creare.
Vuoi ricrearti re, dio, suddito o fedele?
Non credo che tu lo sappia, e non lo scoprirai urlando
Ma io aspettavo da lei lozioni odorose, dolci linimenti, melasse e dolcezze, infusi inebrianti, vibrazioni sottocutanee, suadenti passionali serenità, il volo silenzioso di abbracci mai privi di… mai privi di tutto intero il nostro passato!
Ciò non avvenne neppure quando iniziai a scrivere un capitolo nel quale riportavo di aver fermato la mia attenzione su un profilattico usato e lasciato per terra, in una calda giornata autunnale, accanto al muro di cinta di un parcheggio confinante con un terreno incolto.
“… qualcuno al mio posto l’avrebbe fatto segno di considerazioni dai vaghi risvolti cannibaleschi?
Dal mio totalizzatore la risposta positiva non è data vincente.
Eppure di un così fetente gesto d’inciviltà – parcheggio Cava dell’isola 14 ottobre 2006 ore 13 – per me sarebbe stato divertente parlarne con lo strafottente autore.
Egli, senza dubbio sfacciato e prepotente, incolto e superficiale, maschio ma per niente uomo, forse sarebbe rimasto disorientato se fosse stato condotto a vedere le migliaia di formiche nere freneticamente impegnate a distruggere annientare e trasportare nei loro depositi alimentari i poveri resti dei suoi spermatozoi.
Eppure, quasi certamente, egli fa sua la fede che assegna a quella schifezza – da lui lasciata in balia dei fieri predatori – i diritti inalienabili riconosciuti a beneficio delle forme vitali preposte alla riproduzione della specie umana, negli stessi termini nei quali, questa ultima, riceve gloria per essere stata plasmata personalmente dal creatore in cui lui, lurido zozzone, finge di credere.
I massimi requisiti della fertile potenza di quel porco eiaculatore, i codici del suo patrimonio genetico, assaliti da legioni di formiche nere, devastanti distruttrici dell’unico elemento di civiltà che gli era dato di possedere! Lo sperma è spesso migliore dell’uomo”.
Maniacale ricerca dell’orrido”, fu il commento che Gilda lasciò a margine della pagina.
Ed allora iniziai, solo iniziai, per mia fortuna iniziai soltanto, a cercare di ricavare un nesso dal fatto che a mia sorella dopo la menopausa crebbero le unghie.

Una spuma d’onda sgocciolò nel tubo della maschera richiamandomi a riprendere il cotrollo della situazione in cui mi trovavo.
Quasi a fuggire da questi nuovi e vecchi invadenti ed inopportuni pensieri, effettuai di botto un profondo respiro, spinsi la testa sottacqua, ruotai il capo verso il basso, e, dando un deciso colpo di pinne, mi lasciai cadere nella profonda fenditura tra due masse rocciose.
Nel chiarore indeciso delle strisce di sole che, penetrando i circa otto metri di profondità, in una prospettiva parevano sciamare entro gruppi aghiformi tra i filari delle posidonie, mentre invece, in un angolo opposto, squarciavano il fondale trafiggendo l’incastro della falda sulla scogliera, come un fantasma di pura luce, seguendo la corrente sottomarina con un docile movimento a pendolo che non ne spostava granché la posizione, un fantastico enorme agglomerato, perfettamente mimetizzato tra le rare pietre, le variegate alghe, e gli spigoli di sabbia, giaceva come un polpo.

Un polpo?
Una piovra!

Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA

Otto metri circa sotto di me, un polpo di dimensioni mai prima affrontate sbatacchiava fra i suoi enormi tentacoli una macchia nerastra simile ad una delle rotondeggianti rocce laviche stracciate dai bordi del magma solidificato.
A meno che non si fosse trattato di un riccio gigante o di un grappolo di cozze, la macchia non mi sembrava giustificata in quel luogo.
Non ebbi in mente altre ipotesi.
Neppure che potesse trattarsi di un totano.
Le pulsazioni m’incalzavano risucchiando quanto più ossigeno possibile dai polmoni, l’adrenalina mi eccitò rendendo secchi e decisi i movimenti con i quali proseguii la discesa, gli occhi sbarrati dietro il vetro perlato della maschera molto compressa sulla faccia puntarono il centro dell’ammasso spiaccicato indifeso sul fondo, la mano destra strinse l’asta d’acciaio del tridente fino a procurarmi dolore per l’improvvida compressione, il braccio sinistro si mosse a cavare il pugnale dalla guaina legata al polpaccio.

Non ebbi un pensiero.
Che fosse un totano.

Agii come un plotone di armigeri. In una azione simultanea, un unico sincronismo, un insieme fatto di singoli particolari, in un unico tutto, il mio corpo non mi appartenne, ma si comportò, nelle sue diverse strutture, come un gruppo formato da numerose entità, ciascuna decisamente separata da tutto il resto, ma che attuava un canovaccio a lungo studiato e provato e riprovato.
Il sincrono meccanismo di una squadra d’incursori movimentò ogni singolo muscolo di ogni azione della mia persona, anche sensoriale, tattile, visiva, preposta al controllo della fulminea immersione d’attacco che andavo attuando.

Era lì.
La bestia più grande e fascinosa che avessi mai affrontato nella vita.
Con tutti i pericoli.
Era lì.
Con tutte le insidie.

Certo, non tradussi in un ragionamento logico l’immagine del cefalopode mentre si dibatteva, trafitto dall’arpione, brandendo i tentacoli alla ricerca di un aggancio con l’assalitore per trattenerlo sul fondo fino alla morte per esaurimento delle sue risorse d’aria.
Nemmeno mi dettai la prudenza di non avvicinarmi tanto da consentirgli di ferrarsi ad una qualsiasi sporgenza voluminosa, sfilacciando un tentacolo sulla mia mano che impugnava l’arma. Neppure, neanche, nemmeno ricordai per un attimo la nube nero inchiostro che avrebbe potuto spargermi intorno, impedendo, così, che vedessi i pericoli portati dai suoi contrattacchi.
Era lì.
Con tutte le insidie.
Era lì.
Con tutta la potenza del suo mostrarsi padrone in un regno che non concedeva superflui respiri, forze e movimenti.
Un mondo senza poesia.
Un mondo che non accoglieva benevolo l’infido luccichio del mio sguardo, né il barlume del mio pugnale.
Con me veloci, le punte del tridente, meticolosamente affilate, fenderono l’acqua alternando bagliori nella discesa.
Tutte le forze del braccio teso e del corpo trascinato nell’apnea dai pesi che portavo agganciati alla cintura, furono guidati dall’incosciente volontà di una conquista che di conquista non aveva nulla. Per la cattura più esaltante da mostrare che da possedere gelosamente, fosse anche solo nei ricordi.
Per una morte che se fosse giunta sarebbe stata solo una morte.

Era lì.
Anche io.

Non ero stato sempre da sempre ai bordi di quel promontorio, non mi ero di abitudine tuffato con tanta foga, repentinamente, verso una situazione imprevista, non avevo mai subito l’ansia per la scoperta di una chimera, né ero mai stato succube di una simile crudeltà immotivata.
Gilda diceva “Il tuo malvezzo è un presuntuoso orgoglio”.
In tante occasioni sarei stato tentato di spingerla a ridimensionare, utilizzando esempi concreti, un giudizio che non avendo nulla di concettuale, alla fine di ogni discussione, lei m’appiccicava sul muso come un’aringa affumicata.

Il Dispari 20210726 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20210719

La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – terza parte

Se vi piace leggere racconti a puntate, questa pagina fa al caso vostro, poiché da due settimane abbiamo iniziato a pubblicare (ogni lunedì) una parte del racconto “La Menopausa di mia sorella” inserito nel quinto volume della serie “Per Aurora” scritto dal sottoscritto e acquistabile tramite ISBN 9781409281849  al prezzo di USD 13.36 più spese di spedizione

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La menopausa di mia sorella

Racconto a puntate – terza parte

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

Capitolo 3

Optai per stanare una murena, credo seguendo la tentazione cosparsa mellifluamente dallo stesso piffero magico che aveva accompagnato da protagonista l’inizio della mia immersione, ed effettuai un rapido controllo, sia degli agganci tra la sagola, la cintura, ed il pallone, e sia della posizione in cui era avvitato il tridente all’asta d’acciaio.

Pigiai con due dita sui baffi per agevolare l’aderenza della maschera fra la bocca e il naso.

Spinsi leggermente il tubo del boccaglio verso il punto di contatto tra la molla della Pinguino ed il lato frontale della mia tempia.

Per un attimo, di sfuggita, immaginai ancora che il totano originato dalla mia fantasia stesse penzolando a mezza acqua, poco sovrastante il fondo, proprio in un preciso punto sul quale mi si era fermata l’attenzione durante una precedente immersione per avervi visto intrattenere numerosi sciami di novellame, brulicanti con movimenti sincronizzati, e ciascuno sempre nella stessa buca.

Tuttavia, subito dopo, volgendo una rapida occhiata al sacchetto per le catture che portavo agganciato al pallone di segnalazione, partendo dalla ricostruzione di come, alcuni giorni prima io avessi in parte modificato il sistema di aggancio del pallone-boa alla cintura che stringevo in vita per gravarmi dei pesi necessari ad una comoda e veloce discesa, mi arruffai nel ricordo di quando, parlando con uno dei fratelli di Gilda, abile sì nella pesca subacquea, però di una fortuna sfacciata, mi ero lamentato che la conformazione di quel fondale, altalenante, con grossi promontori quasi emergenti ed immediate cadute a picco, non solo rendesse problematica una buona visione e costringesse quindi ad immersioni prive di riferimenti, ma in alcuni casi configurasse degli ostacoli, tra il pallone stesso ed il sub, in grado di bloccarne la discesa.

La parte superiore del cavetto legato al pallone incagliava tra gli interstizi e le protuberanze degli scogli emergenti, opponendo resistenza alla immersione.

Quel mio cognato, esperto fortunato predone delle profondità marine, che aveva un suggerimento per ogni situazione, non mancò l’occasione per dimostrarmi la sua maestria mettendomi a conoscenza di un trucco, a suo dire segreto, che lui usava praticare.

Metti la cintura con i pesi intorno alla vita.

Giusto?

Leghi ad essa la fune del pallone boa.

Vero?

Per far sì che il pallone non s’incagli nelle fenditure degli scogli affioranti, devi legare ad un anello un peso tra i cento ed i centocinquanta grammi e farlo scorrere liberamente sulla corda tra la cintura che hai in vita ed il pallone.

Guarda ti faccio un disegno.

In questo modo hai più di un beneficio.

In primo luogo, durante il nuoto in mare aperto, se tu galleggi il pallone sarà quasi attaccato a te in quanto il gancio che sostiene il piombo, spostandosi attraverso l’anello scorrevole, affonderà gran parte della corda, impedendo al pallone di allontanarsi; in secondo luogo, se vorrai immergerti, questo stesso movimento di pesi spingerà la boa a stazionare precisamente sulla tua verticale.

Nell’uno e nell’altro caso, il sistema contribuirà finanche ad una maggiore sicurezza, per quanto riguarda eventuali tardivi avvistamenti da parte di natanti a motore.

Ma ciò che a te interessa è che la boa da segnalazione non si blocchi tra le cime degli scogli, e con il mio artifizio il risultato positivo è sicuro, perché il pallone, non essendo trascinato dalla corrente, seguirà docilmente, da vicino, il tuo percorso, il quale, ovviamente, non andrà in collisione con speroni emergenti. »

Bella idea.

Un piombo, un anello.

Semplice. »

Il Dispari 20210719 – Redazione culturale DILA

Esauriti i pensieri intorno all’argomento piombo-anello-sagola, immediatamente, come in un rosario monotono, ripetitivo, inutile, sciocco, allucinante, altri momenti di vita antecedente, altre meditazioni, altri altari alla ragione incontrastata scompaginarono il già disordinato approccio per il controllo relativo alla corretta sistemazione delle attrezzature che mi portavo appresso nuotando, lentamente, nel profondo mare azzurro cupo, steso come un velo d’odalisca sotto il dirupo digradante dall’antico borgo rurale di Campagnano.

Ed allora mi coinvolsi nel tentare di chiarirmi il giusto e l’ingiusto dei comportamenti che avevo posto in atto negli ultimi tempi.

Forse tentando di risalire ai motivi, se non ai moventi, della crisi che ormai opprimeva il mio rapporto con Gilda.

Una analisi in piena solitudine, tra cielo e mare, tra sole ed abisso.

Da quando ero tornato in maniera definitiva sull’isola d’Ischia, lasciando via via deperire ogni precedente contatto con il mondo dei viaggi e degli incontri, non rispondevo al telefono e, peggio, neanche leggevo un libro o ascoltavo una musica che fossero prodromi di nuovi interessi culturali. D’altra parte schifavo da sempre la televisione, non avevo mai smesso di considerare i giornali come “impapocchia menti” della verità, e l’unico modo intrigante per trascorrere il tempo, oltre ad utilizzarlo nella normale amministrazione familiare, mi era parso utile scorgerlo nella ricerca di inezie complementari ai flussi delle vite che mi passavano accanto.

Da amplificare con tale parossismo da far sì che esse mi provocassero valanghe di vertigini.

Gilda non mancò di notare questi precipitii, a volte staccati dall’algido massiccio della mia ragione, in altri casi appiccicati ad una parte della mia epidermide sentimentale, quasi sempre sviluppatisi nell’apparentemente definitiva discesa di uno yo-yo, le quali tutte mi spingevano comunque verso il centro di singole attività umane, quasi che in esse fossero stipati i segreti del bello e dell’amore.

Lei seguì con cura le tracce che tali mie innocue divagazioni mentali lasciavano attraverso gesti, parole e frasi inserite nel racconto che stavo scrivendo, ed appena ne ebbe certezza, indicò con l’indice il centro della mia fronte e scandì con eccezionale chiarezza, lentamente:

Niente di più falso. Nel piccolo non risiede il complesso, e niente è più complesso del bello e dell’amore

Mi ero certamente esaltato.

Avevo di sicuro dilatato la tranquillità a volte grigia e passiva di un rapporto consolidato, trasferendo su di essa, pur senza volerlo, ciò nondimeno in maniera automatica ma indubbiamente con pensieri ed atteggiamenti, sfilacciati brandelli di una inarrestabile sindrome distruttiva della ipocrisia e delle colpevoli prevaricazioni.

Se io fossi il loro dio – pensavo, proponendomi un particolare del rapporto tra un dio ed i suoi uomini – m’incazzerei tremendamente per quanta irrisoria partecipazione personale pongono nella difesa della mia universalità.

Urlando nel giardino di casa, iniziai ad urlare che, al suo posto, avrei urlato per tutte le galassie: —«Cosa discutete con quei peccatori originari delle province romane!

Così agendo vi prestate al gioco di profeti che non ho mai annunciati e che hanno ignorato il figlio mio e le mie colombe bianche, imbecilli.

Va bene… vediamo… forse… non ho detto questo… ogni religione è figlia del creatore… il mio creatore è più antico del tuo… il tuo modello è senza barba bianca… vogliamoci bene… siamo tutti nella stessa barca… nessuno deve prevaricare l’altro… una moschea a te, una basilica a me… grande rispetto reciproco per le nostre fedi… una porpora in più, un cappellino in più… un pellegrinaggio… una devozione… una statuina… un libricino… una via…un muro… una sinagoga… un altare… un muro… una cappella… una campana… un muro… un’ostia che significa inganno.

Avete raggiunto la comodità?

Poltroncine, tronetti, portantine, limousine, schiavetti, frocetti, chiavetti, chiav…

Volete altro?

Potere, ricchezza, santità, alleluia, adorazione, potenza, fetenziacce, fetenziaccissime…

Theutto in nome mio.

Restando al riparo della mia invincibilità.

Con in bocca le palline di un rosario c appartengono alla mia verità.

Per effetto di un disonesto proclama e di collettivi auto riconoscimenti d’imbecillità.

Ma io non ho mai dato ques…

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Il Dispari 20210607 – Redazione culturale DILA

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