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Il Dispari 20210201 – Redazione culturale DILA
Il Dispari 20210201
Angela Maria Tiberi intervista Liga Sarah Lapinska
D: Buongiorno Liga Sarah Lapinska, a nome mio personale, ma anche a nome di Bruno Mancini e di Gaetano Di Meglio, ti ringrazio per averci concesso questa intervista che avvio chiedendoti come hai iniziato ad amare la poesia e la pittura.
R: Innanzitutto saluto i lettori del quotidiano IL DISPARI e mi scuso con loro per il mio italiano difettoso.
Poi ringrazio Gaetano Di Meglio, Direttore di questo giornale, Bruno Mancini Presidente dell’Associazione “Da Ischia L’Arte – DILA” e te che, tramite questa intervista, avete voluto dare visibilità alla collaborazione con cui gli Artisti della Lettonia partecipano ai progetti Made in Ischia.
Venendo alla domanda, posso dire che il mio amore per l’Arte è iniziato un giorno nel quale mi sono addormentata nella mia stanzetta blu e, nei sogni, ho sentito poesie, canzoni e cori di voci vellutati che parlavano con me in differenti lingue.
Svegliandomi ho avuto fretta di scrivere i versi e anche la musica.
Siccome non conosco abbastanza bene le note, ho scritto la musica a modo mio, usando puntini, righe ed altri simboli.
Comunque, non penso che potrei diventare una musicista di buon livello.
Talvolta però canto molto volentieri.
Con una delle mie poesie dal titolo “Io, l ultima donna ingenua”, ho vinto il primo premio al concorso internazionale “Otto Milioni” che ogni anno ha luogo in Italia e precisamente nella vostra meravigliosa isola d’Ischia.
Ecco, alcuni versi di quella poesia
“Forse ti farò male se ti spezzerò con le mie radici,
cresciute lentamente nel caos delle esperienze,
delle acque fertili e delle zolle fragili.
Solitudine trascendentale
supera i limiti di facce egoiste
e i tratti degli occhi sinceri.
Poiché tutte le verità sono troppo parziali,
tutte le solitudini sono sempre parziali.
Devi essere paziente.
Forse lontano dai mille monti e mille mari
fissati solo sulle mappe,
nel domani astratto, sarò un albero della riva,
un pino sulla riva, nel vento eterno,
più eterno del mondo.”
Colgo l’occasione per ringraziare la pittrice Nunzia Zambardi che ha preso spunto da questa mia poesia per realizzare un dipinto su una tela dorata che, con piacere, mi ha regalato nei giorni in cui ho soggiornato ad Ischia, la mia isola speciale.
Ho visto nei colori intensi visioni ed immagini, le facce degli eroi e dei martiri, mari, monti, pianeti e stelle.
Ho visto lei stessa come l’ebrea Maryam, vestita tutta in pizzo con il bambino privo di nazionalità che, purtroppo, in questa vita non mi nascerà, passando per strada piena di piume di uccelli, sia colombe, sia corvi, sia gabbiani.
Ho visto nei miei sogni il padre di suo figlio, di nome Igor Kulev.
Purtroppo, nella realtà l’ho perduto dalla mia vista.
Spesso nelle mie numerose opere grafiche e nei miei dipinti si riflette ciò che ho visto nei miei sogni, una notte dopo l’altra.
Ho iniziato a disegnare e dipingere appena ho potuto prendere in mano qualche penna.
Preferisco l’inchiostro nero, qualche penna di fibra e qualche pastello.
D: Quali sono i soggetti dei tuoi disegni?
R: Me stessa con il bambino mio non nato, madonne, eroi, martiri, danzatori, mari, monti, pianeti, stelle, cavalli, ornamenti filigranati in stile Turco e Semitico e, soprattutto, Tunisino.
D: Racconta il tuo impatto con la scuola e l’insegnante che ti fece amare l’arte.
R: Sono artista da piccolissima.
Non dimentico le mie insegnanti di musica, Gunta Paškovska e Biruta Tilgaile.
Loro mi hanno incoraggiata a cantare nel coro della scuola facendomi complimenti per il mio fortissimo timbro di voce.
Poi, dopo qualche tempo, al villaggio Svēte ho incontrato Inese Irbe, una insegnante di scrittura. Questa signora tollerante mi ha dato il consiglio di non smettere mai di scrivere e di studiare la lettura.
D: L’adolescenza è stata influente per la scelta dello stile della pittura e della poesia?
R: Non direi così.
Penso, che il mio stile sia cambiato poco dalla mia infanzia.
Adesso ho più esperienze, volute e non volute, che lasciano i loro stampi sulle mie pitture, poesie e fiabe.
Penso, che le mie grafiche più recenti e le mie fiabe più recenti sono più significative di quelle di me bambina.
D: Come hai conosciuto il Presidente Bruno Mancini?
R: Ho inviato a Bruno Mancini, che chiamo il Pescatore, una dalle mie poesie. “I tigli nella pioggia, i fuochi nella nebbia”.
Per caso.
Egli fu subito interessato, un uomo brioso ed onesto.
Gli ho chiesto se conosceva l’indirizzo di un calciatore di nome Fernando De Napoli che ha giocato per tanti anni a FC “Napoli”.
Forse Bruno mi fraintendeva pensando che io fossi innamorata di questo simpatico calciatore. Bruno non sapeva che scrivo con simpatia anche all’attore Silvester Stallone (un bravo pittore), a Raffi Kharajanyan (un brillante pianista armeno) e dedico le mie opere d’arte a Vitas (un giovane cantante di gran talento nato a Daugavpils in Lettonia).
Abbiamo cominciato la corrispondenza cordiale che continuerà fin quando saremo vivi.
Per la prima volta ho incontrato Bruno in persona durante la premiazione del nostro concorso “Otto Milioni- 2014”.
Ho capito, appena ho guardato nei suoi occhi castani chiari, che lui sia un amico per sempre.
D: Qual è l’artista italiano che ha influenzato la tua anima nell’amore dell’arte?
R: Pittori Raffaello e Sebastiano Grasso, scultore Michelangelo, cantanti Alice, Franco Battiato, Angelo Branduardi, Adriano Celentano, Andrea Parodi.
D: Qual è l’artista russo che ha influenzato la tua anima nell’amore dell’arte?
R: Pittori Nikolay Kramskoy e Ivan Shishkin, musicisti Pelageya e Vika Tziganova, Alexey Ribnikov, bandi musicali dei zingari. Scrittori Alexey Tolstoy e Aleksandr Kuprin.
Fine prima parte. La seconda parte sarà pubblicata lunedì prossimo
Bruno Mancini |L’incertezza della certezza
Per la serie Esopo news
In questi giorni sto rileggendo alcuni libri di uno scrittore che ho ammirato praticamente da sempre.
Nel testo di un vecchio volume, edito nel 1962 ed ormai senza copertine e con le pagine quasi distaccate dalla rilegatura, mi ha fatto piacere rilevare che alcune mie sottolineature, antiche di oltre 50 anni, continuano ad avere per me lo stesso rilievo positivo di allora.
Ad un tratto ho smesso di leggere e sono restato per molti minuti fermo a valutare prima, ed accarezzare poi, un pensiero tra il nostalgico e l’incredibile.
Ero da solo nel tramonto in riva al mare (il mare è uno dei personaggi importanti del libro), quando mi sono reso conto, infatti, di aver vissuta quasi tutta la vita nella logica, etica e pragmatica, sentimentale e sociale, derivante ed appartenente ad una frase sottolineata con un sottile tratto di matita.
E ciò che ancora ora mi seduce in questa scoperta non è tanto la certezza di avere agito e pensato nel modus vivendi, desiderato seppure a volte maledetto, stigmatizzato nella frase dello scrittore, ma la rivelazione di non essermene reso assolutamente conto pur nella lunga inseparabilità che ci ha uniti.
“Senza lotta non si può stare soli; ma star soli vuol dire non voler più lottare.”
L’incertezza della certezza non smette mai di stupire!
Sempre lui, Cesare Pavese ma da un altro libro.
“Ma ormai io non potevo più perdonarle di essere una donna, una che trasforma il sapore remoto del vento in sapore di carne.”
Più lo rileggo e più sono convinto di aver fatto bene ad ammirarlo per oltre mezzo secolo.
La nostra antologia di Arti varie “ARTE ALTROVE”, la cui splendida copertina è stata realizzata con il quadro “Parnaso” del pittore Jeanfilip, sta facendo il giro del mondo promossa e pubblicizzata “anche” dalla moltitudine di Artisti che ne fanno parte.
Ringraziamo Ajub Ibragimov per questa sua indicativa testimonianza.
Il Dispari 20210125 – Redazione culturale DILA
Tina Bruno |Recensione: Non è facile far ridere una donna triste
Le poesie del poeta Bruno Mancini hanno sempre un richiamo sentimentale che le unisce e le accomuna con il grande sentimento dell’amore.
La poesia che mi accingo a commentare in queste pagine, “Non è facile far ridere una donna triste“, è tratta dal volume “ARTE ALTROVE”, antologia internazionale di arti varie edita dalla Casa Editrice IL SEXTANTE di Mariapia Ciaghi, presentata in anteprima durante l’ultima edizione di BookCity 2020.
Promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano e dall’Associazione BOOKCITY MILANO (costituita da Fondazione Corriere della Sera, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondazione Umberto e Elisabetta Mauri e Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori), la rassegna internazionale dell’editoria e della lettura BookCity #BCM20 è stata sostenuta da Intesa Sanpaolo (main partner), da Esselunga (premium partner), da Fondazione Cariplo con le partecipazioni di Borsa Italiana, Enel, Pirelli, Burgo Group, Federazione Carta e Grafica, Spazio Lenovo, Fondazione AEM, Intesa Sanpaolo Assicura, Messaggerie Libri SpA, Rotolito, Progetto M360, Action Aid (Charity partner), Bird&Bird, ed è stata realizzata sotto gli auspici del Centro per il Libro e la Lettura, in collaborazione con AIE (Associazione Italiana Editori), ALI (Associazione Librai Italiani), AIB (Associazione Italiana Biblioteche), e LIM (Librerie Indipendenti Milano) e con il patrocinio di Regione Lombardia, annoverando come media partner il Corriere della Sera, il Gruppo Mondadori, la RAI Radio3, la Feltrinelli, ilLibraio.it. e ibs.it.
La mia personale chiave di lettura mi spinge a ritenere “Non è facile far ridere una donna triste” una poesia molto bella che centra lo stato d’animo delle persone dopo una grande perdita, in questo caso la perdita del compagno.
Il poeta, con molta saggezza, descrive il cambiamento che la vita subisce dopo un grande dolore. La donna descritta dal poeta, anche se continua ad essere gentile nel portamento, nell’ordine, nelle movenze, nei rapporti con gli altri, non sente nessun trasporto per qualcuno e si lascia trascinare nel buio dalla solitudine.
Passano le feste, scorrono le giornate e, come una pellegrina per strada in silenzio con se stessa, lei si muove nella sua casa vuota.
Ha preso coscienza che la vita è triste dopo essere stata tanto amata.
A nulla valgono le gentilezze offerte dagli amici, la loro protezione, il loro amore, perché ciò che ama è chiudersi sempre di più alla vita.
Non è facile far ridere una donna triste
Poesia tratta dalla raccoltadi Bruno Mancini“La mia vita mai vissuta”
Oscillava, l’amata,
in delicate armonie
di tristezze e tenerezze
invasa
oltre capienza del suo pensiero,
da lontananze tenebrose,
resa
sbilenca,sghemba, sbieca
nel quotidiano
frammentare randellare frantumare
filanti attese di ritorni…
e sempre Mario sapeva sprigionare i suoi sorrisi.
Che vale essere angeli cent’anni
se un tocco di follia
mi uccide il corpo
e lascia anime deserte?
Dalila Boukhalfa, Presidente DILA per la nazione Algeria, presenta
Mohamed Yossef Ismail Ali, nuovo collaboratore dei nostri progetti Made in Ischia.
Mohamed Yossef Ismail Ali
, giornalista, poeta e scrittore è nato in Egitto nel 1967.
Laureato in chimica, facoltà di scienza presso l’Università egiziana di Ain Shams, ha insegnato a Roma presso una scuola superiore libica.
Corrispondente delle TV: Egiziana Nile News in Italia, TV Arabia Saudita, TV Qatar sport,
TV Sudan, TV Siriana, TV Palestina, TV Bahrein, e della Radio Arabia Saudita; nonché del quotidiano Al Masry Al Youm e della rivista Rosa AlYoussef.
Direttore di Arab News Agency (Egitto) in Italia, di Newtr News Agency (Turkia) in Italia, è il portavoce della Comunità Egiziana in Italia.
L’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”, il quotidiano IL DISPARI di Gaetano Di Meglio, la Casa Editrice IL SEXTANTE e il magazine EUDONNA di Mariapia Ciaghi, rivolgono un caloroso “benvenuto” a Mohamed Yossef Ismail Ali nella certezza di una proficua collaborazione nei campi artistici culturali e sociali.
Bruno Mancini
Il Dispari 20210118 – Redazione culturale DILA
Il Dispari 20210118
Dialogo di una schiava
Pièce teatrale scritta da Bruno Mancini per l’attrice Chiara Pavoni
- Scena: una poltrona con cuscini, uno specchio, bottiglia di whisky e bicchiere, lampada, melodie napoletane in sottofondo tra le quali “indifferentemente”, maschera, cappello.
- Scena illuminata dalla lampada sulla poltrona dove è seduta l’attrice.
Pelle bianca, sono bella e sono sexy, sono colta e sono ricca, sono femmina e sono giovane.
Certo!
Sono bella, bionda, alta, coscia lunga, lingua soffice e tagliente, mani curate e graffianti, occhi azzurri come il fuoco, capelli soffici nebulose, sono tutto ciò che vuoi se mai mi vorrai.
Come la Bambolina di un film a luci rosse, posso spigionare le tenerezze e le seducenti malinconie della mia femminilità contro la forza plastica delle altrui certezze; versare i misteri intriganti, che fungono per me da seconda pelle, sulla parte più suadente di tutti gli inni alla passione; dominare con il candore della mia esuberante vitalità ogni lussureggiante invadenza.
Ma non mi chiamo Bambolina. Io sono Chiara.
- Si alza, effettua due tre piroette e si avvicina alla ribalta
- La lampada viene spenta e si accendono luci dal basso verso l’alto
Alla età di quattro anni giocavo con la mia gattina, le accarezzavo la testa screziata di colori tra il giallo paglierino e le terre di Siena, sussurrandole nell’orecchio che non riusciva a tenere fermo un attimo, “Vedrai, da grande, la tua Lucilla ti porterà in giro per giardini pieni di fiori e di tante fate, e tu diventerai una fata e quando sarai una fata turchina farai diventare anche me una fata bellissima con un vestito rosa e la bacchetta magica e io farò nascere tante stelle nel giardino e tante bambole e tante lucertole per farti giocare… e un principe azzurrissimo per me, soltanto per me.”
Ma non mi chiamo Lucilla. Io sono Chiara.
- Pausa: sorride
Quando diventai un po’ più grande andavo in bicicletta… ero magra gli occhi grigio chiaro e i capelli biondi… non sapevo andarci… avevo le orecchie a sventola, il naso leggermente appuntito con un po’ di lentiggini… perché i pedalini mi scivolavano… la mia bocca era piuttosto grande… e cascavo e qualcuno mi rimetteva in piedi.
A dieci anni nei cortili polverosi e nelle pinete ischitane eravamo in tanti a correrci incontro e giocare in mille modi diversi, lontani dagli adulti, ma protetti dai loro lunghi sguardi vigili.
Nonne e zie vegliavano discretamente su tutte le nostre azioni, eppure qualche bacetto con i compagni, di nascosto, ci scappava sempre.
Per le amichette io ero “Farfallina”, i maschietti preferivano chiamarmi Serenella.
Ma non mi chiamo Farfallina e nemmeno Serenella. Io sono Chiara.
- Pausa: ride
- Il palco viene illuminato di rosso
A tredici anni l’uomo dalla camicia rossa mi abbracciò…
Ricordo un giardino, rinchiuso in un muro di cinta sgangherato, di pietre pomici e laviche sgraziate, bitorzolute, coperte da muschi ed erbe selvatiche, grigiastre; alto oltre la mia testa, se anche fossi salita su uno dei massi sporgenti posti alla base.
Ricordo le gabbie dei conigli, sovrapposte, con mangiatoie formate da intrecci di fili di ferro arrugginiti; i conigli, maschi da una parte, le femmine da un’altra e i piccoli, selezionati per grandezza, collocati in gabbie differenti.
Tutti i pomeriggi fungevo da vivandiera, passando sotto l’albero di limone, intorno al pozzo con al centro il secchio pieno d’acqua, giù per i quattro scalini fino all’angolo del muro pietroso, posto di sghembo a seguire il confine con la boscaglia di castagni e di querce della collina immediatamente sovrastante.
Ricordo che giunta appena oltre la grande pietra sporgente sulla quale poggiava lo spigolo della parete, mi sembrava che il bosco coprisse ogni altra prospettiva, e divenisse, in pochi passi, ingombrante, avvolgente, incatenante…
… però i conigli erano lì, e quel giorno c’era pure lui.
Ma forse è stato un sogno.
Non sono la sua Piccina. Io sono Chiara.
Era così bello toccare le sue braccia muscolose, alzava un secchio d’acqua con un dito; così misteriose le sue parole, più soffio che altro sul mio collo, e quando andavo via mi dava sempre un bacio, e mi stringeva forte sul petto.
Quel giorno aveva una camicia rossa ed una birra in mano.
Io avevo un graffio sul ginocchio.
Ma forse è stato un sogno
Gli dissi che non ero la sua Piccolina. Io sono Chiara.
Lui coprì il graffio sul ginocchio con la grande mano, per un attimo.
Poi prese a coccolarlo con le dita che formavano sentieri di brividi sulla mia pelle, nel nuovo gioco di un morbido girotondo tra le crepe ed i cespugli, le grotte ed i ruscelli della mia intimità.
Fu quando disse che mi voleva bene, lo disse, ne sono sicura, quando quella voce e quelle parole giunsero alla mia mente, fu allora che io gli gettai le braccia al collo così forte da farlo rotolare fino alla piccola zolla di prato nascosta tra due alti cespugli di mirtillo.
Sopra di me.
Poi, mentre mi accarezzava la bocca, sentii dolore lì.
Giù.
Qui giù
E continuava a chiamarmi Bambina. Io sono Chiara.
Ma forse fu dopo il frugare con la mano scivolosa, tremante, tra i bordi allentati delle mie mutandine.
Io non sapevo niente di inganni e di violenze, io non sapevo niente, lo giuro, di Russi e di Ungheresi in lotta tra libertà ed oppressione, io non piangevo, quel giorno, per loro.
Piangevo dicendo “Non sono la tua Piccina. Io sono Chiara.“
- Lunga pausa: piange
- Si spengono le luci rosse e si crea una luminosità soffusa.
Avevo venti anni quando incontrai “l’Amore“.
Gino! Gino…
E lui mi chiamava Amore e mi chiamava Tesoro.
Amore… Tesoro…
Fu bello fino a quando non venne il momento della verità.
E lui non andò via, ma mi dedicò una poesia:
Eppure se tu fossi stata violata
– il vicino di casa maledetto -,
se nel fatato mondo d’innocenza
tu
come madre fanciulla del figlio di nessuno
tu fossi stata
come vergine immolata nel tempio d’Efeso,
tu fossi stata violata
come gazzella indifesa dal branco di lupi,
tu fossi stata violata nella grotta pollaio
come una preda soggiogata dall’amico di famiglia,
tu saresti rinata
tra le mie braccia
di pescatore d’emozioni,
incubata in un tenero affetto
oltre ogni possibile attesa,
alitata dal vento del sud che cancella le orme
– maledette –
dei tanti vigliacchi stupratori
… e non potresti perdermi.
Io sono vento
io sono forza
io sono crudo esempio di follia.
Spingimi nei tuoi dilemmi
di lupa insoddisfatta,
nessuno avrà il tuo scalpo.
Modifica il tuo stato
rimuovi l’occupato,
e vieni al sole.
Ma non credevo di essere Amore, non mi chiamavo Tesoro. Io sono Chiara.
Così, per restare nelle sue catene, fui tumulto e brividi, imprimendogli sul corpo e nella mente i segni squassanti di una passione da lungo attesa, artatamente impudica e violenta, tenera e implacabile, ponendo in un solo amplesso tutti i registri delle mie tentazioni, tutta la prorompente eccessiva sfacciata bellezza del mio corpo di donna non più bambina, i giochi estremi di mani vellutate di labbra avvampate di pelle di luna: tenerezze ossessioni, morbidezze stupori, in un’altalena di grida e di sussurri che per anni la mia mente aveva elaborato, posizionato, montato come in un film… con arte e per salvezza.
E poi il tormento di chiedermi cosa avrei fatto senza di lui, da lì ad un mese, o cosa avrei pensato in quello stesso giorno di un luglio futuro, oppure in un qualsiasi altro giovedì 11 Settembre, 18 Settembre, nel Dicembre del…
- Si accovaccia su un cuscino della poltrona sistemato a terra.
Oggi, so troppo bene quello che penso e ciò che faccio e quel che so.
Che strano, oggi la primavera è forte, la terra si risveglia, nascono tutti i fiori che mi piacciono tanto e muore tutto ciò che mi piaceva senza una ragione precisa.
Accetto di riconoscermi.
Accetto di riconoscermi perché mi sento sola come non mai, peggio, sola come sempre.
Accetto di riconoscere anche la mia solitudine.
Amore, affetto, comprensione, intese, solitudine, solitudine, solitudine, solitudine.
Chi avrebbe potuto prevedere che tutte le mie incertezze si riproponessero ai miei quasi quaranta anni.
Quasi quaranta, uguale zero.
Mi sento come un eroe dimenticato, un vecchio quadro polveroso, la piccola violetta al centro del diario.
I traguardi raggiunti, le paure superate, tutto daccapo.
Essere, essere stata, aver voluto… non vale più.
Non c’è più niente in me, o meglio non ci sarà più niente, perché io non ho più niente da dargli, da chiedergli, nulla che assomigli a vorrei-se tu potessi-se ancora volessi-proviamo-ascoltami-ancora una volta…
Sono lucidissima, so che sto pensando, volutamente pensando, non è un mio sfogo né un momento di depressione né una nuvola passeggera, è il temporale, e il peggio è che non vedo più il sereno.
Decisamente grigio.
Mi sento più bambina di allora…
… il grande amore…
SESSO. SESSO.
L’ho accettato da lui solo perché pensavo fosse una cosa diversa.
La sua poesia!
Immensa e spirituale, il naturale epilogo di due persone che si amano.
E noi non ci amiamo più, non ci amiamo più.
Facciamo l’amore – molto meglio di allora -, ma tutto il resto è un niente immenso.
Mi sembra di aver vissuto fino ad ora in una dimensione diversa e sono piombata all’improvviso, o quasi, sulla terra.
Tutto il passato non importa più.
Sento il disagio che maturando nel silenzio mi opprime.
Non sono Noia non sono Indifferenza. Io sono Chiara.
- Pausa: pensierosa
- Continua a guardare in un punto, tacendo. Tacendo si alza dal cuscino di finta pelle su cui è accovacciata e riempie di whisky un piccolo bicchiere. Va in giro per la scena, un po’ lentamente e un po’ quasi correndo.
- Si posiziona davanti allo specchio, scopre un seno, e inizia a mimare una voglia che scoppia di solitudine.
è dolce toccare il corpo di una donna.
- Intanto, come se compisse un sacrilegio, prende a carezzare la morbidezza del seno: più chiara delle gambe, la punta più rossa dei capelli.
A lungo fasciato da disattenzione, di una evidente semplicità, il piacere di questo contatto, divenuto scoperta inattesa, si riveste di una dimensione erotica, intrigante, carnale.
O forse devo intendere che anche “Chiara” sia riferito ad uno pseudonimo per occultare?
Occultare cosa? Metamorfosi? Identità? Simbiosi? Inganno? Apparenza?
Una proiezione fantastica nella femminilità!
Sarebbe come dire, sono pronta ad uscire dalla mia pelle, dalla mia vita, da me, senza moine da una porta qualsiasi?
Come dire, se finora la mia vita è stata un gioco, un esercizio di stile, può finire, sono ancora in tempo, il mio è un segreto tuttora inviolato, e se così scelgo, inviolabile.
E sento ancora il bacino muoversi con impercettibili segnali di invito, sempre più invadenti.
Il mio petto, gonfiarsi, altero?
- Inizia la canzone indifferentemente
Vero: la luna, le stelle, la nuova melodia napoletana indifferentemente si tu m’accire nun te dico niente, la bella mattina trascorsa su un mare d’incanto, la cena ai frutti di mare, il gelato alla panchina e la ginestra -ginestra, fiore amato da sempre- che avevo posto tra i capelli.
Ma quante altre volte avevo reso avvincente un giorno!
Neppure sono certo che Chiara non sia stato, abbandonate remore pudiche, un desiderio necessario di rinascita.
Ma ora so che per me non c’è ritorno, una ipotesi, unica: farlo o dimenticarmi.
- Sì gira, rallentando i movimenti in movenze di farfalla, e, come una schiava, lascia scivolare l’esile gonna giù, alle caviglie. Le mani stringono i glutei che aveva imparato ad ammirare in prospettive di specchi, e compie i gesti dei tocchi discreti di creme spalmate con cura.
- Di botto tutte le luci si spengono.
- Nella più fitta oscurità l’allarme di un negozio sostituisce le melodie ormai prive di senso.
- Come in una cantilena lei dice
Gli amori sono tutti uguali, come i cinesi, ma ciascuno riconosce il proprio per minimi dettagli, come i cinesi. La sessualità è uguale per tutti, come i cinesi, ciascuno però riconosce la propria per minimi dettagli, come i cinesi.
Smetto la lotta, definitivamente, nella certezza di essere la mia femminilità ed il mio maschio, che io sono Lucilla Farfallina Piccina Piccolina Bambina Amore Tesoro Serena… l’uomo dalla camicia rossa, Gino, sì Gino, anche Gino e anche l’uomo dalla camicia rossa… Non sono Noia e Indifferenza… io sono Chiara una donna una volta uomo, un uomo una volta donna, perché per me non c’è definizione, io sono poliforme maschio e femmina a volte disgiunti, a volte intricati e avviluppati in un groviglio di impossibili intrecci stretti in un nodo di complicità inestricabili, in un nodo, un nodo indissolubile nonostante tutti gli sforzi di auto-gestione e tutte le arti di persuasione e tutti i limiti e i condizionamenti e tutto l’amore di un’altra donna o di un altro uomo.
Come dire nonostante il mondo.
- Un faro illumina SOLO la testa e il busto dell’attrice che ora ha un cappello maschile tipo basco che le ingabbia metà parte dei capelli e una cravatta molto evidente.
- Mostra una maschera.
Dove tutto resta, lasciando impronte evidenti, io passo muovendomi nel vuoto.
Io sono l’Anima e il Cervello e so lo sbaglio di chi pensa di averne uno proprio, disponibile e muto, io non appartengo, io sono.
Non sono schiava delle convenzioni.
- Si distende sul divano seguita da un raggio di luce
La scoperta del piacere di accarezzare il seno più liscio delle gambe, più rosso dei capelli, più tenero del mio tormento, diviene ansia di più profonde sensazioni, e già le labbra si aprono ardenti e le sento stimolate da carezze di piuma, e già tocco l’interno delle cosce, più su, più giù, più su dopo ogni stasi, più su in modo spregiudicato; e poi già l’ansia e la smania col respiro in affanno con il sangue in tempesta con la vita in un soffio, si mutano in galoppante allucinazione mentre accarezzo il mio sesso con voluttà sconosciuta, ossessiva puttana pazza, a gambe aperte – Star di un film a luci rosse- nella notte più stellata di prima e più di prima illuminata dalla luna.
Nel fresco frizzante dell’alba imminente il caldo della mano non mi conceda sospiri.
- Si ode l’avvicinarsi, nel buio, di un’ambulanza.
- E lei lancia un urlo di sirena.
Sììììììììììììììììììììììììììììììììììì
- Felice ad alta voce
Io sono Chiara, non sono Chiara, io sono me.Io sono la libertà.Io sono Chiara… NON sono Chiara.
- Liberata
- A braccia alzate
Non sono più la schiava del perdono.
Bruno Mancini