Come i cinesi -volume primo- L’estate con la parrucca – parte prima – capitolo 2

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Come i cinesi -volume primo- L’estate con la parrucca – parte prima – capitolo 2

L’estate con la parrucca – parte prima

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capitolo 2

Bruno Mancini

COME I CINESI

L’ESTATE
CON LA PARRUCCA

PARTE PRIMA

CAPITOLO 2°

-«Tu stasera che fai?»
-«Nien-te.
Per oggi è rotto l’equilibrio tra esperienza e traduzioni dell’esperienza.
Le cose potrebbero schiacciarmi.
Non ho una schiera di volontà capace di fronteggiare quella dei fatti e delle persone comuni.
Allora le banalità rimangono banalità e mi affliggono.
Tu hai visto, ha cacciato la tessera “Quando potrai capire queste cose ce l’avrai anche tu.
Ma lasciamo andare, cambiamo argomento.
Ti piace quel culo?”
Come se potessi parlare solo di culi!
C’era da prenderlo a pugni.
Ma come “Cambiamo argomento”!
Quello è pazzo.»
-«Non te la prendere è fatto così, io lo so, lo conosco».
-«Ma è fatto male, bisogna che cambi. Non può rimanere in una società civile. “Cambiamo argomento; ti piace quel culo?”: parlava col cane “Stai zitto, pensa ad abbaiare”. Come se avesse avuto a che fare con uno del suo stesso gruppo.
Vedi, non è che incolpo quella gente perché ha quelle idee, e tanto meno perché le manifesta, Voltaire diceva -ed io l’ho accettato come un comandamento “Non condivido le tue idee ma non permetterò mai a nessuno di non lasciartele esprimere”, ma gran parte di quella gente ha tutto un abito, un modo di sputarti in faccia delle insolenze, che li caratterizza e li rende così distanti da chiunque possegga un poco solo di intelligenza e di sensibilità.
No, stasera, rimango seduto e bevo pomodoro.
Mi sento troppo triste. –
Perché l’ho capito.
Non l’avessi capito per me sarebbe stato solo sbalordimento.
Non posso stare in compagnia di tutti questi complessi, quando ormai mi colpiscono perché non so schivarli e racchiuderli in una sfera che li isoli e li renda analizzabili come qualcosa di interessante, di speciale, di caratteristico, qualcosa di intrigante ma non dannoso.
Come un circo, lo guardi, ti entusiasmi, il trapezio, le belve, il fiato sospeso, ne sei preso, le buffe comiche, sorridi, ridi, i cavalli, è certo tutto spettacolo, e tutto è davanti ai tuoi occhi, pronto, meraviglioso, interessante.
Ma se tu sei attaccato ad una fune e rotoli nella ricerca di un’altra fune, e se le tue mani tremano nell’attesa di appigliarsi ad altre mani, allora le cose cambiano se sei tu che frusti i leoni a saltare nel cerchio di fuoco.
Guarda, se rimango seduto con questo pomodoro, questo blocco di carta e questa penna, la mia tristezza mi rimane attaccata e non m’è di peso, rimango fuori dal circo e il circo non esiste.
Ma se con essa volessi mettermi in esplorazione sarei un uomo che, entrato spettatore, si ritrova a volteggiare.
Un minuto, due minuti, poi la tanto amata terra sarebbe resa rossa dal suo sangue.
Qualche secchio d’acqua, una barella, qualche gridolino isterico, tutti in piedi, ed un po’ di parole sui giornali più vicini.
Tutto per colpa di quel deficiente, stavo così bene prima.
Ero quasi felice. Ho visto “Pisolini”.»
-«Davvero?»
-«Sì gli ho detto se stasera si fa vedere.
Gli faccio conoscere una ragazza dai capelli neri e dagli occhi enormi.»
-«Se fosse più grande m’innamorerei.»
-«E fallo, che t’importa.»
-«Ma se avrà al massimo quindici anni.»
-«E a te?»

Passa e ripassa lenta e dinoccolata.
La gente dalla pelle scura e dai vestiti chiari.
S’ode rumore di scarpe trascinate, di zoccoli, una risata impertinente.
Non esistono bambini.
I vecchi sono altrove.
La gioventù di cento ere si guarda e si conosce e si mormora un bacio o una promessa.
Un rifiuto.
L’alba della notte è tutto movimento.
Trovarsi dentro, bisogna, quando saremo vicini ad essere stanchi in compagnia nel luogo adatto.
L’alba della notte è nello sventolio di rossi e di gialli e di celesti.
.«Che t’importa? Ti piace quel volto astuto, vivace, prendilo.
Prova.
Glielo dici -in modo che non si faccia illusioni- e godi quest’altra esperienza.»
-«Certo se avesse un paio d’anni in più!
Farei follie!»
-«Ma se avesse un paio d’anni in più sarebbe Giulio, sarebbe Marco Luciano Enrico Francesco,» -io grido- «o chi altro qualsiasi, ma non “Pisolini”, “Pisolini” ha quindici anni una figura snella e piena e quel ciuffo di capelli biondi a coprirgli quasi gli occhi.
Ha degli occhi stupendi e ti piace. E sembri una piccola bambina che ha paura di scandalizzarsi di ciò che fa.»
-«Non è che mi scandalizzo!»
-«Allora è perché hai paura di scandalizzare gli altri? Sarebbe vergognoso da parte tua.»
-«Non so come spiegarti ma… »
-«Bah, si vede che non ti piace molto.»
-«Sai che facciamo?
Io sto peggio di te.
Andiamo da Luigi.»

Quell’ultimo ristorante su quell’ultima fetta di spiaggia. Dove la rena tradisce i segni della sua origine: la roccia, gli scogli.
E dove il mare, chiuso da essi tradisce il suo furore schiaffeggiandoli placidamente, e li rode e se ne libera, placidamente.
C’è tutto quanto serve a fare il più “lisciato” quadro di una città accaldata ed affaticata: il verde – nell’acqua e nel cielo- di una scritta luminosa, il mescolarsi del buffo del mare col canto di un uomo.
Luigi.
Un uomo?
Il canto di tutta una vita.
Una vita non sua.
Non è quell’uomo che coglie le cozze che canta.
Che serve, vecchio, tutta una faccia di zigomi, che serve le cozze e vive come un nostro antenato, sul mare, dorme in una stanza di legno sul mare, si lava di mare e si nutre di mare; è triste col mare, calmo forte e testardo col mare. Come il mare.
Non è lui che canta.
Canta la voce della malinconia, della tristezza di tutti
coloro che sono vissuti schiavi nel comprendere solo di non comprendere ed essere stanchi.
-«So’ stanc’. Sto’ cantann re sei.»
A comprendere solo di essere un’altra cosa, una cosa diversa, non curata, inutile.
-«Pe sta luntane assaie,»
Non desiderata, cosa, odiata, non odiata, indifferente, morta, sopravvissuta.
-«E tu nun piense a me.»
Una rivelazione di Renato, una rivelazione d’altri tempi. Fu un inizio.
Per te.
Ricordo la sera, ora è più di un anno, simile a questa, di fuori.
Tre donne tre uomini.
Paolo me la portava via ed io lo sfidavo.
Col vino.
Renato seguiva e beveva.
Un bicchiere a me ed uno a te.
Un bicchiere a me ed uno a te.
Una bottiglia a testa, poi due.
Beveva:
-«Mi pare come se mi stessi sfidando, ma non capisco perché.
Come se t’avessi fatto qualcosa.»
Il silenzio e sguardi forti e tesi.
Allora lui:
-«Facciamo una cosa.
La vedi questa saliera?
Fai portare due bottiglie di vino.
Una a te ed una a me.
Metà ciascuno.
Così. Mezza a te e mezza a me.
E qua c’è pure la ceneriera.
Una due tre… ventiquattro cicche.
Dodici a te e dodici a me e mezza cenere a me e mezza a te. Guarda, verso il mio sale nel vino, poi butto, così il pepe, ed ora, anche la cenere ed il tabacco.
Agitare prima dell’uso.
Forte.
Vuoi agitare un poco anche tu?
E tu?
Su agita.
Io bevo.
Se tu vuoi, bevi il tuo, e poi vediamo chi riesce a rimanere più a lungo nella posizione anti-ubbriachezza.
Sai quale è?
Dritti sulla gamba sinistra con l’altra gamba piegata nel ginocchio, curvi in modo da poter toccare con l’indice della mano destra il naso. Così.»
Erano brindisi di forza. Solo braccia levate a mostrare.
-«Finisci quell’altro dito e proviamo.»
Qualcuno titubava. Tutti tacevano nell’attesa.
-«Ci mettiamo qua?»
-«Lo so Luigi ch’è tardi, ci porti il conto, facciamo questo scherzetto e andiamo e… altre due bottiglie che ci rinfreschiamo la bocca.»
Renato non poteva fermarci.
Neppure se fosse riuscito a volerlo.
Le donne: sconforto e debolezza travestite.
-«A chi mette prima il piede a terra.»
-«Via.»
C’è un albero da frutto nella isola arida e i due uomini hanno fame di salire, s’arrampicano fino alla cima, quasi al frutto, con le dita, stesi. Lo tocco, ora l’afferro, ecco, così, crollano con una foglia in mano.
-«Beh! Che facciamo.
Tu non ti decidi a toccare.
Io mi sto scocciando.»
Su una gamba, con l’altra piegata e la mano aperta a fare
da ponte tra il ginocchio e il naso.
Una gran manata ed a braccetto a bere ciascuno la sua nuova bottiglia ormai quasi brinata.
E voi, voi vi lasciammo venire dietro con Renato. Prendemmo nel bar una bottiglia di cognac ed andammo ad aspettare, parlando, diventando amici, dicendoci le nostre debolezze, tutte le nostre confessioni, segreti, e parlando di gente e di arte, andammo ad aspettare che gli spazzini si mettessero a lavorare e le cicale svegliassero la natura e i bar si aprissero dando fine alle poche ore di sosta notturna.
Un’ora o due di sonno, sullo stesso mio letto, ed un bagno nell’acqua specchio chiarissima del mattino timido.
-«Chi sa come finirà questa notte.
Così semplice.
Così virtuosamente irreale.
Mi trovo a pensarti cometa che brilli quando il sole splende altrove.
Viviamo a riempire due sfere diverse.
Tu cometa io terra.
Tu per me. Io cometa, tu terra.
Spero. Io per te.
Solo nel corso dei secoli una vota, eccoci pronti a crearci le notti più belle.
Tutto uno scintillio di code vaporose,
Tutto un attimo di luce intensissima a tagliare tra i fissi luccichii timidi d’astri, strade di nuovo e d’improvviso.»
Stavamo immobili le braccia sulla tavola. Come un quadro di Rosai che avevamo visto in quel buco di Mostra. Gli occhi assorti a seguire il fluire di accordi.
L’Opera.
Il Melodramma.
Il loggione.
-“No no no no.
Please no.”
Da un buio.
Morbido.
Un sussurro.
-«Queste ore e tutto è bello.»
-«Quando viene?»
-«Forse sabato.
M’ha detto: “Se posso vengo”.
Non voleva più vedermi.
È un destino strano il mio.
Chi sa perché.
Senza una ragione scompaiono.
Forse è colpa mia, anzi certamente, deve essere così.
Ma non capisco perché: Cinzia, due settimane, infine cede; venerdì mi lascia e dice: “Domani non posso perché viene il mio fidanzato, domenica neppure, forse se riesco a svignarmela domenica sera; l’accompagno e vengo, se no lunedì, ciao, un bacio”, via. Scompare.
Mi incontra e non mi saluta neanche.
Lucia: c’eri tu quella sera, con Antonio, sulla spiaggia, poi, vicino al suo albergo vi lasciammo.
La sera successiva né lei né io riuscimmo a dire quattro parole di seguito.
Solo:
“Voglio bere.”
“Non ho sete.”
“Vieni.”
“No, andiamo.”
E più avanti:
“Io ho sete se vuoi venire vieni.”
“Ti aspetto.”
E sono andato a bere birra lasciandola ad aspettare sul lungomare.
Ieri l’ho incontrata e non mi ha neanche rivolto lo sguardo. E lei non è miope.
Così Annabella.
Stavamo insieme da dieci ore, le prime, le avevo detto di Cristo, l’avevo sfiorata, m’invitava a parlare, a dire poesie, e mi diceva d’essere sola, senza amici, l’amore.
“Io ci penso, devi vedere, tante volte, e mi piace, ma poi quando capita non mi piace più mi sembra stupido, lo penso diverso e mi piace.
Sono proprio strana.”
Avevamo fatto un bagno d’alba ed aveva freddo.
Ci avvolgemmo nella coperta e fummo alluvioni d’esseri in esseri.
Le toccavo i capelli.
Parlavo, parlava, ed intanto la luce, i rumori chiamavano alla mia fantasia luci e rumori uditi altre volte, sempre lì dentro; mi faccio triste, ma no, è bello e il bello non può essere triste, mi ricordavo Angela, ecco cosa, l’ho detto infine.
E a lei piaceva la mia voce.
Le dissi: “Ci vediamo stasera?”
“No!
Non voglio più vederti.”
“Come!”
“Mai più.”
“Perché!”
“Perché sai troppo di me, ti ho detto troppe cose di me.”
“E ti dispiace!”
“No.
Ma non voglio più vederti.”
“E mi incontrerai per strada e non mi saluterai?”
“Non so, non ho detto questo, forse.”
“Ed io ti seguirò, e vorrò conoscerti e parlarti.
Hai molti amici a Napoli!”
“No, tu sei quello che conosce più di me.”
Continuai davanti alla sua porta, in un cortile pieno d
colombi, reso abbagliante dal sole e dai palazzi bianchi:
“Ti aspetto alle sei, verrai?”
“Forse”.
Non venne.
Passò senza fermarsi.
Volevo raggiungerla?
Parlarle?
Dirle cosa?
Senza guardarla la sorpassai.
“Bruno!” Così spontaneo e dolce.
“Saresti venuta?”
“Non so.”
Ci tenemmo per mano.»
-«È una ragazza strana te ne volevo parlare già da molto, ma per tutto ci vuole un ambiente e per parlare di Annabella ci vuole Luigi e quelle corde di chitarra che quasi si spezzano e suonano battendo con impeto sul legno piuttosto che vibrando.
Perché lei può essere tutto, come questa notte, solo che questa notte siamo noi a viverla e sappiamo cos’è.»
-«È vero, anche per me è così, può essere tutto: angelo o terra, tutto.
Questi giorni così senza respiro, senza sonno, mi hanno lasciato un senso di vuoto.
Ti giuro, a vederla partire, su quella nave bianca, che si allontanava lentamente, bianca, con un filo di fumo quasi confuso all’aria cupa di pioggia e di nuvole, cullata sempre più lontana, da quel molo, buttato nel mare grigio, lo so è decadentismo, è sentimentalismo, ma ho sentito che gli occhi diventavano umidi, e solo perché me lo sono imposto con tutte le forze sono riuscito a non piangere.
Volevo tenderle una mano e fermarla, e correrle incontro, non so, piangere, chiamarla.
Ma cos’è?
Bella, sì è bella.
Mi piace molto, non è sciocca, non è volgare, ma poi?»

La coppia fuggita abbracciata venne a sedersi ad un tavolo di quelli bui e bassi messi a guardare i bianchi svolazzi ora densi ora rari dei giochi di luna e di acqua. Luigi più vecchio, più stanco vuotava, un piede su uno sgabello tra le ultime due coppie, l’ultimo lento canto di pescatori antichi.
Ti presi leggermente la mano, quasi fossi il nodo fragile della mia essenza, e sulla riva imprimemmo le nostre orme vicine.

COME I CINESI volume primo

Dedica – Introduzione

 

L’estate con la parrucca – Parte prima

Capitolo1°Capitolo 2°Capitolo 3°Capitolo 4°

L’estate con la parrucca – Parte seconda

Capitolo 1°Capitolo 2°Capitolo 3°Capitolo 4°Capitolo 5°Capitolo 6°>Capitolo 7°Capitolo 8°Capitolo 9°Capitolo 10°Capitolo 11°Capitolo 12°Capitolo 13°Capitolo 14°Capitolo 15°Capitolo 16°Capitolo 17°Capitolo 18°Capitolo 19°Capitolo 20°Capitolo 21°Capitolo 22°Capitolo 23°Capitolo 24°Capitolo 25°

Il Libro di Sonia

Capitolo 1Capitolo 2Capitolo 3Capitolo 4Capitolo 5Capitolo 6Capitolo 7Capitolo 8Capitolo 9Capitolo 10P.S.

 

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ID ydp88k

ISBN 9781471058912

Bruno Mancini
ISBN 9781471058912
Versione 4 |  ID ydp88k
Creato: 9 settembre 2022
Modificato: 9 settembre 2022
Libro, 142 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Titolo Come i cinesi – volume primo
Sottotitolo L’estate con la parrucca – Il libro di Sonia
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 9781471058912
Marchio editoriale Lulu.com
Edizione Nuova edizione
Seconda edizione
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Non è mio compito dare chiavi di lettura per un libro che, non avendo avuto lo scopo di essere accettato, né quello di essere riconducibile in una qualsiasi logica, resta e vuole restare disarticolato, contorto, intrigante. Tuttavia posso dire che in ciascuna storia, ho voluto sfumare i contorni tra “mitici emblemi” quali per esempio: “Essere ed esistere” nell’estate con la parrucca, “sentimenti e passioni” nel libro di Sonia. Anche altri labirinti, altre parrucche, altre grotte, altri libri, altre soluzioni, altri intrighi, altri dubbi, altri nodi, ne hanno continuamente turbato il percorso, ma tocca a voi svelarli. Un piccolo consiglio: leggete lentamente per evitare indigestioni! A dopo.

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