Alice e Barbablu – Monologo scritto da Bruno Mancini

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Alice e Barbablu – Monologo scritto da Bruno Mancini

Bookcity 2024 Chiara Pavoni legge
monologo “Alice e Barbablu” scritto da Bruno Mancini


      Ischia 3 settembre 2024
     Bruno Mancini
     Monologo per Chiara Pavoni
     Alice e Barbablù
     …
     e lei sorride
     aprendo un sogno pieno.

Un cane abbaia, la cicala lentamente rinforza il suo frinire, i gabbiani prendono il volo verso il mare, la lucertola cambia colore adeguandosi alla roccia illuminata.
Alle prime luci di questa mattina d’estate, mi sono svegliata con decine di sogni appiccicati alla memoria, quasi che in poche ore notturne avessi fatto giri completi della Terra a tutte le latitudini e avessi vissuto, da spettatrice esterna, tutte le ipocrisie, contraddizioni, violenze, malversazioni e tutti i malanni di un Mondo stuprato nel più intimo anfratto da un’umanità tanto dissoluta da non difendere neppure la propria sopravvivenza.

Voi mi capite se trovo folle il disinteresse dei potentati economici che assistono inerti, o forse anche compiaciuti, alla morte per fame di milioni di bambini la cui sola colpa, se così si può definire la malasorte, è stata quella di essere nati in un determinato luogo e da una specifica donna?
Ed io mi chiedo come mai le enormi masse di emarginati e derelitti non agiscano in modo da ottenere una equa ridistribuzione delle ricchezze universali.

Voi mi capite se maledico con trucidi termini irripetibili Tutti, ma proprio Tutti, sia i vincitori sia gli sconfitti, protagonisti di guerre e di stermini, sia quelli vilipesi per la loro eccezionale crudeltà sia altri seppure decantati come eroi nelle pagine della storia?
Ed io mi chiedo come mai enormi masse di popoli coinvolti non abbiano agito e non agiscano, anche ora, certo, anche ora, in modo da impedire la prosecuzione delle mille guerre in atto.

Voi capite la mia forte indignazione verso tutte le forme di sesso mercificato, sfruttato, umiliato: spose bambine, violentatori impuniti, segregazioni femminili, infibulazioni a vantaggio di minima percentuale di esseri viventi?

Voi mi capite se soffro per le oche ingozzate fino allo stremo delle loro forze per produrre un cibo assolutamente non necessario alla sopravvivenza umana, oppure per i cani abbandonati dai padroni desiderosi di una vacanza priva di orpelli fastidiosi?

E poi le droghe… e poi il razzismo… e poi lo sfruttamento dei lavoratori… la bomba atomica!

E voi, sì voi dalle menti appannate per un’ennesima giornata di inutile lavoro terminata dinanzi alle scemenze dei canali televisivi, voi quale ruolo vi ritagliate?
Menefreghismo endemico?
Orgoglio per i risultati personali raggiunti?
Auto assoluzione giustificata da un’impotenza sociale?

È vero, sì è vero, non ve l’avevo detto, io sono una Fata!

Sono una Fata provvista di autentica bacchetta magica.
Con un mio abracadabra potrei modificare cose, azioni e sentimenti.
Potrei ma non voglio.
Perché non voglio gratificare malvagi, indifferenti e pavidi.
Non voglio creare un mondo migliore per loro.

Non lo meritano.
E allora, per il sublime della ribelle libertà, supero l’impossibile rinuncia a vivere nelle leggende e mi tramuto in versi di poesia:

Loro hanno
trentasette peccati inconfessabili.
migliaia di offese senza condanna.
Hanno quindi qualcosa.

Ho
le spine nelle dita,
gli odori oltre narici,
i petali sul prato tavolozza
-la mia leggenda di Alice/Barbablù
bardata con il niente del pudore-.

Loro hanno
trentasette peccati inconfessabili,
migliaia di offese senza condanna.
Hanno quindi qualcosa.

Ho
tentato l’impossibile
chiudendo gli occhi,
ma la memoria
ha
fotogrammi e suoni
visioni, sussurri e gemiti,
oligarchie sublimi
incontrastabili…
e
ho
aggiunto al loro
un trentottesimo peccato.

Sarò,
per il sublime della ribelle libertà,
la Fata del ballo di mezzanotte che dura una vita infinita,
la Fata dei cani accucciati coi gatti,
dei barboni vaganti strappati al mondo di fumi e di plastiche,
la Fata del sorriso donato ad Artisti bravi e dolci.
Tutti magicamente sottratti al truce ossimoro terrestre
“lucida follia”
per trasvolare insieme nell’universo dell’iperbole
“amare da morire”.

Immergo il senza corpo
nel ballo seduzione, violino tango,
con le mie braccia intorno al collo
bacchetta magica
disegna
ABRACADABRA!

Alice e Barbablu – Monologo scritto da Bruno Mancini – Recitazione di Chiara Pavoni

Alice e Barbablu testo pdf

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Gilda – musica e canto di Valentina Gavrish – Testo di Bruno Mancini

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Alice e Barbablu - Monologo scritto da Bruno Mancini - Recitazione di Chiara Pavoni

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Vogliamo parlare ancora un po’ di vino?

Partendo dal periodo storico in cui avevamo chiuso il precedente articolo (campagne di Giulio Cesare in Gallia 58-51 a.C.), durante il primo secolo post Cristo avvenne un eccesso di produzione (fenomeno commerciale a noi ben noto per essere, anche attualmente, una reiterante situazione propria di tutte le categorie merceologiche), dovuto al moltiplicarsi delle zone di produzione e dei vigneti adibiti a produzione vinicola.
Tanto fu grave e socialmente deleterio che l’imperatore Domiziano nel 92 d.C. emanò un editto con il quale ordinava di sradicare la metà delle vigne della Gallia e, contemporaneamente, proibiva la messa in produzione di nuove culture in Italia.
Note di cronache dell’epoca fanno capire come la disobbedienza alle leggi e ai regolamenti sia stato un vezzo antico, tanto è vero che, proprio negli anni seguenti, diverse regioni a vocazione vinicola registrarono notevolissimi incrementi di produzione con ingenti aumenti dei fatturati.
Saltando un bel po’ di anni, le testimonianze del IV e V sono ricche di vicende legate ad invasioni barbariche (Unni, Germani, Goti, Vandali ecc.) che scorrazzano per gran parte dell’Europa, praticamente incontrastate, provocando distruzioni, desolazioni e rovine anche nel contesto dell’agricoltura, vigneti compresi.
La vita economica e sociale rifiorisce solo nel VI secolo, anche grazie alla stabilizzazione della situazione politica che espresse nel battesimo di Clodoveo (498 nella cattedrale di Reims) la consacrazione del carattere religioso della monarchia merovingia.
La quasi immediata conseguenza fu che gli ordini monacali, in primis in Italia quello di San Benedetto da Norcia con la Regola Benedicti impostata sul principio “Ora et Lavora” ma in concerto con realtà religiose francesi come Saint Rémi vescovo di Reims, Saint Didier vescovo Cahors, Saint Perpet vescovo di Tours e finanche Saint Germain vescovo di Parigi rilanciarono i vigneti e la produzione di vino, ottenendone l’ottima accettazione da parte del Clero diventato organizzatore, innovatore e… consumatore dei prodotti del settore vinicolo.
In un prossimo articolo andremo avanti di tre secoli (tramonto dei Carolingi e guida dei Capetingi).

Ignazio Di Frigeria

L’attrice modella Chiara Pavoni in uno scatto del fotografo Sergio Martuscelli

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Vogliamo parlare un po’ di vino?

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Il vino è una bevanda antichissima le cui prime tracce si trovano nelle storie dei Sumeri e degli Egizi oltre che essere citata più volte anche nella Bibbia.

Intorno all’anno mille a.c. alcune navi greche si spinsero fino alle più lontane terre del bacino mediterraneo, comprese le attuali Liguria e Francia, dando inizio alla sua produzione sulle nostre coste.

Fino ad allora, e già da molti secoli prima, i Liguri alpini e mediterranei producevano dalla vite selvatica soltanto un liquido acido, scarsamente fermentato, simile ai succhi di frutta selvaggia che ancora oggi si trovano nelle nostre campagne.

Invece i Greci già a quel tempo conoscevano le tecniche ed i segreti della vinificazione, tanto che le vigne della Tracia e della Macedonia erano celebri in tutto il mondo di allora.

Più tardi furono accorsate le vigne delle isole Ionie e di Chio, conosciuta come la sovrana.

I Focesi (coloni greci provenienti dall’Asia Minore), intorno all’anno 600 a.c., fondarono Marsiglia ove coltivarono la vigna producendo vino e destando enorme stupore nella popolazione indigena.

Con successive colonizzazioni, partendo dalla foce del Rodano, i Focesi si spinsero su una fascia costiera di circa 300 Km. fondando Nikais (Nizza), Monoikos (Monaco), Antipolis (Antibes) ed entrando in contatto con i Celti che si erano spostati dall’Alto Reno e dal Danubio combattuti e sconfitti da continue scorribande di orde barbariche.

A partire dal 155 a.c. i Romani, chiamati in aiuto dagli abitanti di Marsiglia, ne approfittarono per insediarsi definitivamente tanto che in un breve periodo di tempo successivo all’anno 125 a.c. fondarono Narbo Martius ( Narbonne), Portus Veneris (Vendres) dando vita alla Gallia Nerbonensis, che fu il caposaldo della produzione vinicola francese.

Inoltre, quasi subito, dettero impulso ad alcune reti strutturate di trasporti fluviali e terrestri, e, utilizzando i fiumi Mosella, Saona e Rodano con barche a fondo piatto, portarono le anfore vinarie  fino al Mare del Nord, mentre, sfruttando la Goronna, da Tolosa arrivarono a Bordeaux  e attraverso la via Domitis e la Via Aurelia svilupparono il loro commercio terrestre da e per l’Italia.

Le campagne belliche (58 a.c. – 51 a.c.) condotte da Giulio Cesare in Gallia ebbero il merito di aprire nuovi mercati e di consentire l’espansione dei vigneti in Provenza ed in Borgogna diventate, nei secoli successivi, produttrici di vini tra i più pregiati del mondo.

Ignazio Di Frigeria

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Pierluigi Albertoni | L’anima buona di Castelnuovo ne’ Monti

 Qualche settimana fa, un quotidiano nazionale, ha pubblicato dopo gli aumenti sindacali, lo stipendio di Maurizio Landini: 7.610€ lordi mensili, pari a 4.288€ netti.

Non una grossa cifra, come non è una grossa novità.

Per conoscerla bastava andare su internet e digitare: stipendio di Maurizio Landini.

La divulgazione della notizia ha però fatto infuriare il Segretario Generale della CGIL, il quale, con scarsa delicatezza, ha subito precisato che i soldi da lui percepiti non sono dello Stato, bensì derivanti dai tesserati.

Ora che il compagno di base debba foraggiare con le sue esigue risorse lo stipendio di Landini (spesso sei volte superiore al suo) non deve essere la massima delle felicità.

Soprattutto perché a lui, peones, gli aumenti sindacali non sono ancora arrivati.

Per averli deve attendere la fine delle vertenza e soprattutto il beneplacito, cioè l’accettazione della proprietà.

è insomma la solita annosa questione. I sacrosanti diritti dei lavoratori non riconosciuti da un padrone esoso, maligno, nemico della giustizia sociale.

Il capestro è: prendere o lasciare; con la certezza che se lasci c’è subito un poveraccio pronto a sostituirti.

Certo Maurizio Landini queste cose le sa e bellamente le ignora.

In Italia il Sindacato non ha mai tutelato il disoccupato.

Anzi ha sempre tutelato il lavoratore indispensabile all’azienda, quello che può gestirsi da solo, quello che può fare come meglio gli piace.

Anche Landini è ben tutelato.

Lui se ne sta nelle stanze ovattate della Sede Centrale a Roma, incurante di queste misere questione.

Gira con  la macchina del Sindacato, con l’autista e i segretari.

Quello che forse non sa il povero compagno di base o non gli è stato chiaramente detto, è che il Leader Maximo Landini, oltre alle 4.288 Euro dello stipendio ha ben altre risorse e facilitazioni, come le 2-000€ mensili del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) uno dei tanti Enti inutili che doveva essere chiuso (ultimo a proporlo il Governo Monti) tenuto in vita proprio per dare uno stipendio a persone agevolate (Presidente Renato Brunetta) e per foraggiare i segretari sindacalisti e i sindacati.

La nota dei proventi non finisce qui. Occorre calcolare le eventuali diarie, gli interventi ai convegni, i passaggi televisivi. gli extra e gli eventuali.

Ultimo e non ultimo, è il mantenimento del posto da metalmeccanico. Nonostante il distacco sindacale, oramai annoso, Landini il suo posto da metalmeccanico non glielo leva nessuno.

Tutto in regola, si capisce. Niente d’anormale. I due milioni di pensionati e i cinque milioni di lavoratori, tesserati della CGIL non hanno nulla da recriminare.

Col ringhioso Landini sono in buone mani

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Il vino è una bevanda antichissima le cui prime tracce si trovano nelle storie dei Sumeri e degli Egizi oltre che essere citata più volte anche nella Bibbia.

Intorno all’anno mille a.c. alcune navi greche si spinsero fino alle più lontane terre del bacino mediterraneo, comprese le attuali Liguria e Francia, dando inizio alla sua produzione sulle nostre coste.

Fino ad allora, e già da molti secoli prima, i Liguri alpini e mediterranei producevano dalla vite selvatica soltanto un liquido acido, scarsamente fermentato, simile ai succhi di frutta selvaggia che ancora oggi si trovano nelle nostre campagne.

Invece i Greci già a quel tempo conoscevano le tecniche ed i segreti della vinificazione, tanto che le vigne della Tracia e della Macedonia erano celebri in tutto il mondo di allora.

Più tardi furono accorsate le vigne delle isole Ionie e di Chio, conosciuta come la sovrana.

I Focesi (coloni greci provenienti dall’Asia Minore), intorno all’anno 600 a.c., fondarono Marsiglia ove coltivarono la vigna producendo vino e destando enorme stupore nella popolazione indigena.

Con successive colonizzazioni, partendo dalla foce del Rodano, i Focesi si spinsero su una fascia costiera di circa 300 Km. fondando Nikais (Nizza), Monoikos (Monaco), Antipolis (Antibes) ed entrando in contatto con i Celti che si erano spostati dall’Alto Reno e dal Danubio combattuti e sconfitti da continue scorribande di orde barbariche.

A partire dal 155 a.c. i Romani, chiamati in aiuto dagli abitanti di Marsiglia, ne approfittarono per insediarsi definitivamente tanto che in un breve periodo di tempo successivo all’anno 125 a.c. fondarono Narbo Martius ( Narbonne), Portus Veneris (Vendres) dando vita alla Gallia Nerbonensis, che fu il caposaldo della produzione vinicola francese.

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I MIEI COMPAGNI DI VIAGGIO:  LUCIANO BRUNO

Con LUCIANO BRUNO: cantautore, cantante, chitarrista, polistrumentista, amante della buona musica e dei buoni sentimenti ho scritto due brani inseriti in un CD con l’ edizioni IMG di Grottaminarda.

Uno è una poesia trasformata alla grande in ottima canzone dal titolo DOPO LA RECITA pubblicata nel mio libro di poesie LA MIA RICCHEZZA del 1971 per le edizioni L’ALRALDO DEL SUD di Napoli, con la saggia prefazione del Dott. Fulvio Masullo.

L’altro è MIO PADRE ERA UNA POETA, la storia d’un poeta appunto che suggerisce agli eredi di parlare di lui una volta che non sarà più su questo mondo, un tema molto delicato e profondo che la sensibilità ed il virtuosismo del compositore di Luciano ha reso ascoltabilissimo colpendo emotivamente il sempre numerosissimo pubblico presente ai suo concerti.

Alcuni anni fa LUCIANO BRUNO tenne un importante concerto in piazza a GROTTAMINARDA (Avellino) e partecipammo sia io che mia moglie.

Dal sui ricco repertorio cantò DOPO LA RECITA e ci stupimmo molto dell’entusiasmo del pubblico presente, con all’unisono richiesta di bis, considerando che la canzone non è né facile né tantomeno popolare.

Fu per noi una grande soddisfazione la calorosa stretta di mano di molti dei presenti che avevano saputo che io ero l’autore del testo, ciò ci ripagò del viaggio in terra Irpinia con rientro alle 2 di notte.

Anche MIO PADRE ERA UN POETA è proposta ogni anni, specie in occasione della festa del papà, riscontrando ovunque consensi molto positivi ed emotivi.

Luciano è nato a Napoli ma da anni vive e lavora a Grottaminarda.

LUCIANO SOMMA

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A partire dal 155 a.c. i Romani, chiamati in aiuto dagli abitanti di Marsiglia, ne approfittarono per insediarsi definitivamente tanto che in un breve periodo di tempo successivo all’anno 125 a.c. fondarono Narbo Martius ( Narbonne), Portus Veneris (Vendres) dando vita alla Gallia Nerbonensis, che fu il caposaldo della produzione vinicola francese.

Inoltre, quasi subito, dettero impulso ad alcune reti strutturate di trasporti fluviali e terrestri, e, utilizzando i fiumi Mosella, Saona e Rodano con barche a fondo piatto, portarono le anfore vinarie  fino al Mare del Nord, mentre, sfruttando la Goronna, da Tolosa arrivarono a Bordeaux  e attraverso la via Domitis e la Via Aurelia svilupparono il loro commercio terrestre da e per l’Italia.

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Ignazio Di Frigeria

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