Come i cinesi – volume secondo – Ambiguità capitolo 7

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Come i cinesi – volume secondo – Ambiguità capitolo 7

Ambiguità capitolo 7

Capitolo 7°

Il giorno seguente, agevolati da una serie di combinazioni favorevoli, abbiamo preso a volo quel treno che non risultava possibile nei nostri programmi di coincidenze.

Subito l’impatto con gli scompartimenti, divisi in ambienti separati per fumatori e composti da quattro poltroncine attraversate da un passaggio centrale, rivestiti di moderni tessuti plastificati a disegni geometrici quasi vivaci che li facevano apparire decisamente più affini ai pullman turistici di quanto non erano state le carrozze pollaio dei tempi precedenti, mi portò a considerare come, ormai da anni, non usassi più partire da una stazione ferroviaria.

Ero disinformato dei vantaggi e dei cambiamenti per tante persone che, come me un tempo, vivevano grosse fette d’esistenze in quella dimensione di trasferimenti.

L’auto, l’aereo: altri ritmi, altre comodità, differenti consuetudini.

Le vecchie carrozze di terza classe, in legno, cigolanti e dense d’individui silenziosi, di fumo e di odori campagnoli, i viaggi di Natale stipati fino ai buchi dei cessi, per ore seduti su valigie gonfie come i ventri delle cavalle, la testa ciondolante tra cosce e caviglie di gente meno tempestiva ad appropriarsi un angolo.

Quel treno Napoli-Roma delle 16,12 del 25 ottobre sembrava a paragone un treno firmato.

A noi non mancavano i giornali, tuttavia, la lentezza del convoglio e le frequenti fermate, la malinconia del crepuscolo -quando non incombe il buio anche se il tramonto è già sfumato-, lasciavano intatta l’illusione d’essere di nuovo insieme, in una posizione -ora lo credo- più di tregua che di pace, suscitata -lo so- dalla fine del nostro modus vivendi provocata dall’ultima serie di affronti -seduti per ore nell’altro crepuscolo, sulle scale di una piazza in un giorno di settembre-.

Eravamo saliti

a parole nuove

Credere.

Nella necessità del silenzio.

Capire.

Verso emblemi

uniti e umani.

Vivere.

Avremmo avuto vergini voci

Saremmo stati sassi e asciutti

Saremmo stati brocche e bocche.

Per sogni.

Un altro piccolo passo, pronte le bende, mentre campagne, strade, stazioni sfilavano a turni incoerenti e noi ci tenevamo solo per mano:

-«Se non ti avessi veramente voluto, ora saresti con lei.»

-«Impossibile.

Non ricominciare.»

-«Perché impossibile?»

Sulle scale della piazza al crepuscolo:

-«Non puoi amarmi, volermi libero, e pretendere che ti racconti sinceramente finanche i sogni.

Libertà è anche non dire, libertà è anche mentire».

La mano nella mano sul treno al crepuscolo:

-«Se credi di poter essere sincera ti chiedo una cosa.»

-«Dimmi.»

-«Ti spiacerebbe, se a volte tornassi da lei?»

Campagna, strada, stazioni:

-«No.»

-«Allora, sappi, che d’ora in avanti sarò sincero come questa risposta.

Se non t’importa, a maggior ragione non ti dovranno interessare i particolari.

Se hai mentito, ti mentirò.»

Campagne, strade, stazioni.

Mi stanca il peso

ieri sottratto a consuetudini

scelte

in lente successioni di giochi ambigui.

 

Mi aggiro, ti punto,

scarnisco, ti pungo,

mi essicco.

Nella mia memoria, in quel giorno di settembre sulle scale al crepuscolo il vero protagonista, al di fuori dell’evidenza, era risultato il sipario -all’inizio trasparente, poi opaco, infine primo piano con tutta la determinazione di un contrasto antitetico- che una miriade di azioni, apparentemente autonome anche se troppo concomitanti e consequenziali per non destare almeno sospetti, calava al di sopra delle nostre abitudini in una sorta di dissolvenza.

Nella piazza teatro-spazio di scintillanti suggestioni l’autunno ormai prossimo, aveva attutiti gli abbagli delle luci della ribalta proponendosi con un occhio di bue teso a dimensionare la fase di monologo introspettivo.

La sfrenata adunata per il concerto rock tra fumi, applausi, grida, liberava orizzonti, lasciando per segni rifiuti, erba calpestata ed un palco molto simile ad una città futura per chi l’avesse inserito in uno squarcio di visuale tracciato tra le zolle del prato.

Città lunare asettica e muta, stagliata tra le stelle.

I microfoni, i corpi asimmetrici degli strumenti, la batteria, le percussioni, come agganciate anche loro ad immagini di costruzioni stellari, e futuristiche.

L’autunno imminente vedeva la piazza e le strade teatro sgombrarsi dei protagonisti spettatori vocianti e vibranti, ed osservava gli impercettibili mutamenti d’immagini che ne mutavano i significati includendovi tristezze di saluti e melodie di chitarre e di flauti.

Nuovi emblemi per antichi modelli.

Un sipario calava totale.

Oltre che tra palco e platea la forza del nuovo destino della rappresentazione in corso, si nebulizzava tra le file di poltrone e modificava i parametri ambientali e psicologici con i quali ciascuna nostra presenza doveva confrontarsi.

Nell’angolo in cui prima c’era un contatto, restava una sedia vuota; dove un movimento di folla disattenta, la pazienza stanca dei negozianti; al sole battente, ora si sostituiva, con gli sfumati, il crepuscolo.

Su quelle scale, alla luce di un giorno ormai sbiadito, avremmo potuto inventare un ricordo lontano, sentirci importanti ciascuno per la propria parte, e disegnare il volto del nostro futuro, avremmo potuto, aprendoci senza riserve, superare insidie artatamente inserite a salvaguardia dell’unico sbocco possibile.

Non fummo in grado, disarmati, di commuoverci per la scoperta che di reale tra noi non era cambiato niente.

Più attenti alla imponderabilità di consuetudini estranee, che non alle certezze di nostre sensazioni insostituibili.

Quel giorno di settembre al crepuscolo, seduti sulle scale di un palazzo-ufficio tutto marmi e imponenza, semi tondo pugno posato con decisione in un tessuto urbano d’altra fattura, la mente gradatamente, già in parte penetrata dai titoli di coda dell’incalzante finale, andava attenuando i simboli di notti sconvolgenti.

Le folli e patetiche disperazioni, rabbie, allegrie, vacuità del tuo essere stato spavaldo Pulcinella in cerca di un abito adatto a sostituire quello liso sì ma comodo e caldo che -rimane il mio convincimento- avevamo bruciato per mia disattenzione e strappato per tua incredulità, scivolavano nelle tristezze ed incertezze e debolezze di una tenera Pierrot frastornata dal trovarsi sola e senza specchi in un grande magazzino.

-«So che non potrò fare a meno di amarti, per sempre, qualunque siano le tue scelte.

Ti voglio libero, e per ciò ho cercato in me stessa la forza per dimostrarti che pur da sola riesco ad esistere.

Non mi dovrai altro se non la sincerità, per consentirmi di vivere anche i tuoi sogni.»

-«Non puoi amarmi, volermi libero, e pretendere che ti racconti sinceramente finanche i sogni.

Libertà è anche non dire, libertà è anche mentire.»

Quel giorno un mio amico, Lelio, compiva cinquanta anni.

Anche è stata una scure

sul pendio

il nostro rotolare avvinti

per erbe.

 

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica – Introduzione

Ambiguità

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Il nodo

Il nodo

Così e così

Il premio

La coda

Il chioccolo del fringuello

Il chioccolo del fringuello

Come i cinesi volume secondo

Come i cinesi volume secondo di Bruno Mancini

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Come i cinesi volume secondo

seconda edizione

ID 29z5vq

ISBN 978-1-4710-5423-5

Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-5423-5
Versione 4 | ID 29z5vq
Creato: 13 settembre 2022
Modificato: 14 settembre 2022
Libro, 98 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Titolo Per Aurora volume quarto
Sottotitolo Il Libro di Sonia – Il Nodo
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-5423-5
Marchio editoriale Lulu.com
Edizione Nuova edizione
Edizione ampliata
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Dialoghi, intimità, ragionamenti, passioni, le irrazionali note, cadute, catarsi, sdegni, i vari volti di un atto, gli equivoci, i nodi, le sfide, i sensi dei vinti, i come, perché, dove, se, che abbiamo macinato più contro di noi per dare che non verso di noi per avere, più sciocchi per idoli che lucidi d’esperienze, sempre senza pause catalizzatrici.

Per Aurora volume secondo

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Racconti

Ambiguità

Il nodo

Il chioccolo del fringuello

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Bruno Mancini

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