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Gilda: “Un’altra Gilda
Da “Per Aurora volume settimo”
Un’altra Gilda
Gilda
Un busto simile, le stesse tette, la prigioniera dei suoi inganni apparve all’imbrunire lì dove meno la cercavo.
Sguazzava nel mare al tramonto a pochi metri dalla riva.
Testa rotonda, capelli piuttosto corti.
Movenze prive di sussulti.
Leggevo di Altafini nuovo leone nella fossa del San Paolo.
Di tanto in tanto un fluido mi spingeva verso la tizia molto vicina allo scoglio sul quale ero stravaccato con gambe pendule e piedi al filo delle schiume delle onde.
Con due bracciate sarei giunto da lei.
Non era bella, eppure attirava la mia attenzione distogliendomi dalla lettura dell’ultima azione di José.
La distanza era tanto breve che avrebbe potuto accorgersi che la guardavo, ma io usavo la massima prudenza poiché non volevo che ciò accadesse.
Non era bella non vuol dire che fosse brutta, ma rotondetta e faccia da brava ragazza per cui non valutavo positivamente interessante il tentativo di conquistarla.
Intanto, la sera era giunta in quella fase senza sole, con il cielo tra l’indaco ed il grigio, ed era tanto chiara ancora da consentire la lettura del giornale, forse per qualche altro minuto.
Decise di uscire dal mare.
Prima restando per qualche secondo inginocchiata sul fondale sabbioso, intanto che, con entrambe le mani, rimuoveva l’acqua marina dagli occhi e dalla faccia; poi, lentamente, andando, in equilibrio instabile a causa della forte risacca provocata dalla marea in atto, verso la piccola insenatura tra due scogli che si apriva proprio accanto alla posizione in cui io mi trovavo.
Non mi ero accorto che in quella conca, alle mie spalle, qualcuno avesse precedentemente posizionato un telo, la borsa e gli indumenti.
Mi trovai seduto praticamente al di sopra di lei.
La guardavo dall’alto.
Dall’alto, le poppe, a mala pena contenute nel bikini leggermente più scuro della sua carnagione, parevano esaltarsi per la libertà del momento.
Gonfie verso l’alto, verso di me!
Eravamo soli nel raggio di molte centinaia di metri.
Le rivolsi la parola chiedendole qualche sciocchezza che ora non ricordo.
Non si sottrasse all’esplicito invito alla conversazione, anzi più volte, inserendo nuovi argomenti, fece in modo che essa non si estinguesse.
Poi, non ricordo come accadde, ci trovammo seduti uno di fronte all’altra, quasi toccandoci.
Da quando era uscita dal mare aveva un grosso telo che le cingeva il busto, dalle spalle alle ginocchia.
Sotto il telo aveva ancora il bikini bagnato.
Sopraggiunta l’oscurità della notte -tante stelle ed una mezza luna con gobba ad occidente-, un lampione, posto ai margini del parco pubblico adiacente l’arenile, consentiva che potessimo vedere anche i particolari dei nostri corpi.
Il suo modo di seguire la conversazione e di vivacizzarla era avvincente.
Vi trovavo profonde analogie con le forti sensazioni positive che avevo percepite durante i primi incontri con Gilda.
Gilda, fuggita prigioniera di un suo inganno.
Mentre ripensavo a quella storia finita senza che fosse venuto meno nessuno dei valori che l’avevano idealizzata, la donna venuta dal mare, quasi avesse letto nel mio pensiero, parve decisa a sostituirsi alla mia Gilda.
Con fare naturale alzò le braccia nell’atto lento e continuo e seducente di legarsi i capelli ancora gocciolanti.
Le ascelle apparvero nude come quelle che Gilda mostrava quando alzava le braccia per dire “prendimi”.
Il telo, continuamente smosso, lasciava intravedere la parte dei seni prosperosi pronti a schizzare come panna montata al di fuori della piccola striscia di stoffa che li conteneva di poco oltre l’orlo dei capezzoli.
Il segno tangibile della sua partecipazione erotica mi giungeva spavaldo intanto che esso stesso mi distoglieva dalle sue lusinghe creandomi il ricordo delle perdute piacevolezze.
Sempre parlandomi, sempre con movenze naturali prive di azioni dichiaratamente mirate a mettersi in mostra, la sconosciuta tolse del tutto il telo che l’avvolgeva dal petto alle ginocchia.
Era ad un soffio da me.
In un bikini tanto ridotto da apparire inesistente, mi parlava della sua vita…
Non mi rendevo conto se mi piacesse maggiormente ascoltarla, oppure guardarla, e nella sudditanza di tanta attraente incertezza non osavo toccarla né chiederle se avesse voglia di un momento erotico.
Lei si fermò a guardare le mie labbra che si muovevano senza pronunciare parole.
Capì che, osando, temevo di perderla.
Sapeva che il lasciare sfuggire quell’attimo avrebbe banalizzato il nostro incontro.
“Sulla spiaggia di notte, oggi, con uno sconosciuto, te, potrei avere un orgasmo da ricordare tutta la vita” mi disse.