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Premio Internazionale di Poesia
“Otto milioni – 2013“
Dedicato al Commendatore Agostino Lauro
La nostra isola
07
Commendatore Agostino Lauro
Indro Montanelli
“Agostino Lauro…
il re degli aliscafi del golfo di Napoli“
Castello Il Fondaco
Introduzione
Nell’approcciarci alla stesura di questa settima antologia della serie made in Ischia, una domanda è rimbalzata più e più volte nelle discussioni relative alla impostazione generale a cui avremmo voluto attenerci e, di conseguenza, ai contenuti da privilegiare.
In un’epoca come questa, incardinata in una incoerente ed antistorica globalizzazione, anche la cultura in generale, e nel nostro caso la Poesia in particolare, deve, per sopravvivere, assoggettarsi alle leggi della massificazione incontrollabile che, dall’alto e con azioni di forza, ne amalgamano i contenuti e gli intenti in una sorta di banalizzato perbenismo teso a ridurne i picchi di eccellenze, privilegiando, infine, l’amorfo dipanare di litanie recitative?
Da una sommaria disamina delle principali teorie moderne, parrebbe molto affine alle nostre ambizioni, ed estremamente allettante come obiettivo di questo progetto antologico, la convinzione manifestata in alcune di esse secondo la quale la solidarietà verso le discipline umanistiche (nel nostro caso la Poesia) e la loro universale propagazione sia basilare per la consistenza stessa della Democrazia.
Praticamente, in tali correnti di pensiero si afferma che le scuole umanistiche, insegnando ad usare l’immaginazione ed a pensare criticamente, inducano gli individui a comportamenti tali da realizzare in loro l’assetto stabile di cittadini globali dotati non solo di attitudini, ma anche di competenze, utili ad una visione d’insieme delle strutture, verso cui tende la socialità universale, adeguata ai tempi moderni.
In altre parole operare per la realizzazione della globalizzazione della cultura, attraverso nuove forme di educazione alla partecipazione delle masse, come scopo da perseguire per un ulteriore radicamento dei principi di sviluppo sociale su basi democratiche.
In questa linea di pensiero, in vero, spesso si prosegue ponendo in evidenza che sarebbero necessarie notevoli risorse interiori per convincersi che la lezione socratica sia più che mai attuale e che la fama, il prestigio e la classe sociale non contino nulla allorquando vengano messi a confronto con una attenta e convincente padronanza della riflessione, della logica e del dialogo, ma, subito dopo, anche tale difficoltà attuativa viene teoricamente superata grazie alla “concreta illusione” che un simile sforzo di autoconvincimento rappresenterebbe già di per se stesso un indice positivo di volontà e di autostima, determinante, quindi, nelle continue sfide per ottenere le migliori posizioni della gerarchia sociale.
Questo filone filosofico quasi sempre termina ammettendo che tale genere di educazione è di certo molto costoso in termini di risorse economiche, in quanto la sua realizzazione può essere perseguita solo attraverso un sistema empirico e partecipativo.
Però, nei confronti delle scienze umanistiche che tenta di ammaliare con lusinghe di platee ipotizzate ogni giorno più numerose, tale conglomerato di tesi espone un preoccupante tallone d’Achille se lo si interroga sui risvolti della banalizzazione dei contenuti che esso mostra di non essere nemmeno in minima parte attrezzato ad escludere.
Infatti, se è indubbiamente molto allettante l’auspicio di governare una costante crescita della scolarizzazione -indirizzata verso il completo godimento dell’Arte-, finanche coadiuvata mediante cospicui e potenti interventi economici a sostegno delle produzioni artistiche, è altrettanto molto preoccupante l’evidente implicito accantonamento delle attuali forme di critica e di selezione insite (e difese con decisione), nell’attuale struttura meritocratica e gerarchica delle leve della cultura.
Lasciare che siano le masse, per quanto bene educate, a cingere di alloro le teste degli Artisti, non renderebbe appieno giustizia alle individualità maggiormente innovative e drammaticamente applicate in sperimentalisti estremi.
Nessun Picasso riuscirebbe a farsi strada.
Non che questo non sia stato un inconveniente spesso presente nella storia dell’Arte, ma, almeno fino ad ora, non era ancora stato istituzionalizzato.
La questione fondamentale che resta da chiarire è questa: l’intensità delle emozioni, l’eleganza formale, la coerenza intellettuale, l’innovazione lessicale, la valenza comparativa tra testi ed immagini proposte, la sintassi dei ragionamenti, l’uso non solo didattico delle forme retoriche, la musicalità e, in definitiva, la forza artistica dei poemi, in osmosi con la nobiltà dello spirito e la genuinità dell’ispirazione, sono in grado di mantenere una propria indipendenza nel mondo globale, oppure hanno necessità di ambienti protetti e circoscritti per trasformare fasi di favorevoli incubazioni in vere e proprie opere d’arte?
La strada che Roberta Panizza ed io abbiamo tracciata in questi cinque anni di progetti, chiaramente illustrata in un lungo racconto odeporico tutto basato intorno al leitmotiv dell’impegno per la faticosa riconquista del palco di primo piano che compete alla poesia nell’attuale società italiana, non basta a precisare l’essenza della strategia che abbiamo con tenacia perseguita fino a giungere all’attuale dispositivo promozionale di questa nuova antologia.
Tra l’Ottocento e il Novecento furono imperanti ideologie storicistiche che, riportate passivamente al giorno d’oggi, fanno sì che la critica letteraria per quanto riguarda il passato tenda a proporre passivamente schemi cattedratici per lo meno discutibili, mentre, allorquando essa s’inoltri nella giungla delle nuove produzioni, si evince molto spesso evidente un suo pacifico adeguamento a quelle che sono le prospettive indicate dalle maggiori Case Editrici operanti sul territorio.
Ne deriva, finanche, che la maggior parte degli addetti ai lavori, ossia i recensori, i critici, i giornalisti ed i conferenzieri -salvo rare eccezioni-, non muovano passi autonomi nella ricerca di Soggetti attivi artisticamente da proporre, sia alla discussione colta dei professionisti, e sia all’impatto emotivo suscitabile nelle masse.
La critica, se così si può generalizzare nel definire coloro che operano ponendosi a sostegno dello sviluppo artistico di un paese, almeno nella nostra Italia preferisce “farsi i fatti suoi” ed accodarsi alle lobby che tendono a massimizzare i profitti anche a discapito di realtà culturalmente innovative.
Alla fine, per quanto riguarda l’attualità da parte loro ci si è abituati ad agganciarsi alle novità dell’ultimo minuto, propagandate dai monopoli editoriali, mentre per la riconsiderazione del passato ci si allinea con non sofferta sudditanza alle Accademie pur sempre abbagliate dalle qualità dello stile piuttosto che dalla natura drammatica delle opere.
Lungi da noi il peccato di presunzione nell’ergerci a critici letterari, abbiamo inteso avvicinarci, con la massima umiltà, alle produzioni poetiche che ci sono pervenute, fino a tentare di vestire i panni di una immaginaria collettività.
Il semplice, il banale, il già detto e già scritto, così come l’estremismo lessicale e la composizione di neologismi, o gli attriti sintattici, non sono stati la base positiva, né principale e neppure secondaria, delle nostre valutazioni.
Noi abbiamo guardato, certamente con la convinzione di essere persone fallaci, alla forza emotiva sbocciante dalla composizione dei testi.
Abbiamo bypassato gli schemi, per quanto ci è stato consentito dalla consuetudine alla lettura che genera un potere intuitivo, e abbiamo eletto trentatre componimenti, tra i tanti pervenuti, come la “summa”, quanto più variegata possibile, di stili e di scolarizzazioni, di condizioni sociali e di culture, di pathos e di disincanti.
Aver avuto la costanza di seguire questo viale sterrato, a piedi nudi, con le mani pulite e le intenzioni pure, ci ha consentito di ricevere l’approvazione del prestigioso Istituto Agostino Lauro che ha inteso farsi carico, per il secondo anno consecutivo, dell’onere di sponsorizzare questo nostro premio internazionale di Poesia “Otto milioni – 2013”.
Nel mentre ci gratifica enormemente il constatare che TUTTI i Partners dell’Istituto hanno riconfermata la loro partecipazione a questa seconda edizione del Premio, resta in noi una punta di disappunto nel prendere atto del totale disinteresse ancora una volta dimostrato da Aziende sia private, e sia, purtroppo, anche operanti in virtù di statuti che le impegnerebbero a svolgere costanti funzioni di promozione e sviluppo d’interessi collettivi. Aziende ed Enti ed Associazioni presenti nella nostra isola, dalle quali avremmo desiderato che “almeno” i loro “Addetti ai lavori” approfondissero le loro conoscenze in ordine a tutti i reali benefici, anche turistici e sociali, indotti dal nostro progetto.
Ringraziamo quindi:
l’Istituto Agostino Lauro, la Flotta Lauro, l’emittente televisiva Teleischia, l’hotel Corte degli Aragonesi, la rivista Città di Mare, il ristorante Coquille, il portale d’informazione turistica Ischia.it, il centro elaborazione dati contabili Se.Ra.Da, il Comune di Torrenova (ME), l’hotel Delfini e i siti:
www.emmegiischia.com
www.livestream.com/lanostraisola
www.spreaker.com/show/la_nostra_isola
www.ischia.italiadellacultura.it
Ringraziamo il cantautore siciliano per avere brillantemente musicato un testo di Bruno Mancini realizzando e cantando l’inno “Coquille” che è stato dedicare al Premio ed al Ristorante Coquille.
Ci resta ora da scrivere qualche frase per illustrare la struttura di questa settima antologia.
Iniziando dal titolo “Ischia, sempre poesia” e dalla copertina, abbiamo voluto dare il chiaro segnale della continuità con tutte le altre precedenti antologie, specificando la sua origine ischitana.
Pur non essendo un volume che esponga Autori o testi germogliati unicamente nella nostra isola, anche in questo caso, l’antologia si collega alla immensa tradizione di personaggi storici che hanno eletto Ischia come loro meta almeno per un attimo.
Abbiamo, nel nostro piccolo, creduto di rivitalizzare la natura ispiratrice della nostra isola invitando poeti, pittori e letterati ad una pur lieve colleganza delle loro opere con la nostra storia e con la nostra attualità.
Avremo tra le mani, quindi, un volume certamente monotematico, se per tema si intenda l’arte, ma comunque suddiviso in diverse sezioni, ove l’arte si possa leggere attraverso le varie forme espressive generalmente catalogate.
Nella prima sezione abbiamo posizionato, ed è giusto assegnare loro il palcoscenico di maggior prestigio, le trentatre poesie che concorrono alla selezione finale del Premio Internazionale di Poesia “Otto milioni – 2013” sponsorizzato dall’Istituto Agostino Lauro.
Tali componimenti partecipano all’assegnazione dei premi messi in palio attraverso un sistema di votazione che coinvolgerà un’ampia platea di votanti.
Infatti, sarà possibile votare una o più poesie durante tutto il periodo che intercorre dalla presentazione ufficiale di questo volume, fino al 31 Luglio 2013, sia attraverso tutti i siti web che si sono resi disponibili ad attivare le loro pagine con i testi e con i link per le votazioni, e sia attraverso i coupons che sono resi disponibili unitamente alla consegna dei volumi,
Nella seconda sezione proponiamo sette monografie di Autori selezionati dalla Direttrice Artistica Roberta Panizza per entrare a far parte della grande famiglia dei Pionieri di MONDIMANCINI.
Siamo convinti che troverete interessanti i loro testi e sarete colpiti dalla varietà delle loro espressioni.
Una terza sezione è dedicata a Roberta Panizza e Bruno Mancini, autori già ben noti ai nostri lettori, in quanto Soci Fondatori dei progetti culturali che sono stati sviluppati a partire dal primo “La tua foto in copertina” fino all’attuale MONDIMANCINI.
Brevi racconti in prosa, recensioni, immagini pittoriche e fotografiche, distribuiti tra le suddette sezioni, ci auguriamo possano determinare ulteriori momenti di piacevole e serena lettura.
C’è Arte ad Ischia, basta cercarla!
Il commendatore Agostino Lauro
Non si può leggere la biografia di Agostino Lauro senza pensare: ecco qualcuno che ha fatto qualcosa per il Paese, che ha avuto coraggio, ha osato mettere in gioco la propria tranquillità e quella che avrebbe potuto essere la comodità di una vita senza stress, senza pensieri, senza guardare quello che accade intorno, la sorte degli altri e le ingiustizie; la vita, invece l’ha affrontata, si è rimboccato le maniche, si è dato da fare, si è assunta la responsabilità di quello che faceva, senza addossare colpe al “sistema”, alla “politica, agli altri , insomma, come usa oggi; un uomo che non ha chiesto raccomandazioni, piaceri, spintarelle, ma ha costruito qualcosa con le proprie mani, i propri collaboratori, le giuste indicazioni, delle quali cero si avvaleva nell’operare, e quello che ha costruito era vivo, reale, pulito, come lui, una persona vera, reale, pulita. Non c’erano inchieste insabbiate, non c’erano “fondi europei” frodati, evasioni fiscali ed altri utili accorgimenti, come oggi è costume, nella ricchezza che creava per sé e per gli altri che mettevano in atto i suoi progetti.
Anni ‘30 – 1989
Parliamo di quando Agostino Lauro, nato ad Ischia nel 1917, aveva 13, 14 anni e già cercava la sua strada nel mondo del lavoro, di stringere i denti, dell’onestà, di non dover chiedere niente a nessuno, fino a doversi far carico dell’intera famiglia già a 19 anni dopo la morte di suo padre Salvatore, un nome che si ripeterà nel primogenito, come è tradizione tra gli uomini di mare,
Parliamo degli anni cardine della nostra Storia; l’altra generazione, quella della guerra, che si è presa sul groppone tutta la fatica, le incertezze e le difficoltà dell’Italia che cambiava, che attraversava momenti di gloria e di vergogna, di sangue, di lutti e di grandi rivincite, fino a giungere ai nostri giorni, dove, come sempre nella Storia, ci sono altre incertezze, altre difficoltà, altri lutti sì, ma anche altre opportunità. Ci sono altri uomini però. Sapranno rispondere alle sfide come fecero “quelli del commendatore Lauro”?
Non lo so; ho molti timori, ma prevale sempre in me la speranza, perché le cose e gli ideali che ci hanno lasciato quelli che ci hanno preceduto, non possono finire così, semplicemente come se avessimo assistito ad un film. Si accendono le luci. La gente se ne va.
La mia generazione è quella dell’immediato dopoguerra. Noi ci siamo sempre considerati fortunati rispetto a chi l’epoca di tante lotte e di tante infamie, come usualmente si dice “l’epoca della guerra” l’ha vissuta sulla propria pelle; quelli dopo di noi ancora più fortunati, ancora di più, ancora di più. Ma qui c’è da fare un’amara considerazione: abbiamo sotto gli occhi la prova, ahimé, che troppa fortuna non è automaticamente portatrice di grande serenità, grande fratellanza e bellezza interiore ed esteriore.
Chi si sveglia più alle 5 del mattino per caricarsi sulle spalle 4 chili di stoccafisso, 20 chili di pane e un litro d’olio, da portare su una nave per preparare la colazione per i corrieri e i caricatori, o non si arrende di fronte a motori malandati, ma usa la testa e gli attrezzi per aggiustarli, come Antonietta Lauro racconta di suo fratello Agostino?
Ma perché parlare del commendatore Agostino Lauro?
I suoi meriti non derivano certo da qui; forse semplicemente perché noi siamo quelli della “Lauro”, delle traversate Ischia – Napoli o Pozzuoli e viceversa, quelli che “non volevamo sapere niente”, ci prendevamo i benefici del suo operato, senza i rischi e le competenze, il fiuto, le scelte delle iniziative e degli uomini, senza neanche conoscerlo; e in questo senso io, personalmente, lo sento molto vicino a me, alla mia gioventù, alle mie speranze, alla fronte imperlata di sudore, mentre salivamo e scendevamo dai traghetti (o “vaporetti” come si diceva nei favolosi anni ’60) con la 600, che già vedevamo in fondo al mare, sulle due tavole di legno rocambolescamente piazzate “più a destra dotto’… a destra… a destra!” ecco, ecco, quasi ci siamo “aspettate… aspettate!” una raddrizzata alla tavola mentre mezza ruota è già fuori, e sei a bordo o sul molo; vicino a noi, ai nostri guizzi d’amore, alle serate ischitane.
Mi sorbisco, allora, d’un sol fiato la figura del commendatore tratteggiata da sua sorella Antonietta.
Nessuno – mi viene spontaneo e naturale osservare – potrà mai più parlare con tanta semplicità e schiettezza, con tanta verità e tanto amore di un uomo che ha lasciato un segno di laboriosità, di capacità, di testardaggine, di benessere, di ottimismo per il futuro, ma soprattutto ha avuto un gran cuore, ha visto le cose con immediatezza ed istinto, senza circonvoluzioni mentali, opportunismo, calcolo.
A questo punto qualsiasi altra cosa varrebbe meno, inutile nascondercelo, allora che cosa si può fare?
Solo qualcosa di “magico”, ci vorrebbe una magia, quante volte si dice “’nce vulesse nu miracolo!”?
Ed ecco un’idea, un’intuizione… una felice intuizione? Speriamo. Mi getto anch’io nella mischia, sulla falsariga di don Agostino.
Prima parlavo di un film. Ecco una vita può essere un film (e mi meraviglio che ancora i vari Sorrentino, Tornatore ecc. non ci abbiano pensato). Mi viene in mente un film “The Prestige”; chi sa perché. Forse perché quello che mi colpisce, trovandomi davanti a questo “personaggio”, è che vedo bene come la definizione sintetica che di lui si può dare, o almeno quella che sento d’impulso, è che egli era, appunto, una persona di prestigio.
Ora, come, in quel film, c’era un triangolo: la PROMESSA, la SVOLTA, il PRESTIGIO, attraverso il quale, forse, l’occhio di Dio permetteva alla magia di realizzarsi, qui ci vedo un quadrato, o forse un quadrante, la bussola, nord, sud, est, ovest, i punti cardinali che il commendatore ha sempre tenuto d’occhio nella sua navigazione nella vita: l’AVVENTURA, la TERRA, il MARE, la STORIA.
Questi quattro punti cardinali io li scorgo in tutta la sua vita.
Parliamoci chiaro: Agostino Lauro è nato ad Ischia, ma poteva nascere in qualsiasi altro posto al Mondo; che fosse di Ischia è bello, e da essa ha ricevuto certo tanto, e ha tanto dato ad essa e all’Italia, così come sarebbe stato se fosse nato a Londra, ad Amsterdam o a Düsseldorf, in un contesto dove, in giro per il Mondo, si è più pronti a prendere che a dare.
L’AVVENTURA è nei primi anni di battaglia, quando seguiva suo padre nella navigazione per il Golfo, a bordo di una piccola motobarca, qualsiasi fosse il tempo e le buriane, quando aspettava come la prendeva suo padre per le pallonate contro le vetrate della Chiesa di S. Maria di Portosalvo (e la prendeva sempre bene), o correva di prima mattina per lo sport, per allenarsi, prima del lavoro; quando, più tardi, con un traghetto acquistato in America e destinato alla tratta Isole – Terraferma nel Golfo di Napoli, attraversa l’Oceano Atlantico; ancora quando intuisce il potenziale degli aliscafi e poi dei catamarani, e non esita ad “imbarcarsi”; oggi vediamo i frutti nell’efficiente e irrinunziabile “Alilauro”; infine quando va personalmente (e fatalmente) a vedere con i propri occhi la nascita dell’ultimo traghetto della flotta, a Genova ai primi di gennaio dell’89.
La TERRA è nei fatti.
Se non avesse piantato ben saldi i piedi nella terra, non sarebbe uscito sempre a testa alta, vincente o perdente, nei match che l’hanno poi portato al successo. La Terra è in quel suo pensare alla colazione dei passeggeri a bordo, lavoratori o turisti, in quel suo fare le consegne in bicicletta ai destinatari dei trasporti dalla terraferma; quel suo pensare ad approvvigionare l’Isola portando generi alimentari da sud a nord lungo la costa, da Palinuro a Gaeta, quel suo “inginocchiarsi a baciare la terra” giunto a Las Palmas, nelle Gran Canarie, dopo il grave pericolo corso attraversando l’Oceano, e nel pensare ai bambini poveri, in quel momento, ad offrire a tutti loro un bel pranzo caldo “dall’antipasto al dolce” servito da sua sorella e le amiche.
Il MARE è tutta la sua vita. Quel mare che NON HA MAI SFIDATO, da buon navigante. Fa molto pensare questo, al giorno d’oggi, di fronte al dilagare di “marinai della Domenica” che mettono continuamente a rischio se stessi e gli altri, sbruffonando in giro. Quel mare che ha sempre accarezzato, assecondato, anche nei momenti di burrasca. Il mare dell’aiuto a suo padre, come corriere, e poi da solo; il mare della pesca fin quando ha potuto reggere all’avanzare dei tempi, alle grandi compagnie della pesca d’altura (ma non è la stessa cosa). E poi ancora non si arrese. Il suo destino era il mare, quindi ancora mare, con i trasporti turistici, che nel frattempo si andavano affermando, e qui poi ebbe la sua definitiva consacrazione, come uomo della flotta passeggeri e merci. Il mare, che, alla sua morte, alla conclusione terrena della sua storia, gli tributò tutti gli onori, col grande saluto di tutte le sirene delle navi nel porto, quando arrivò il feretro a bordo della “mitica” (per chi è un frequentatore, come me) Angelina Lauro; quel feretro che fu poi portato a spalla dai suoi marinai, tra la folla, le Autorità, la messa di requiem di Verdi, spontaneamente dedicata dalla banda musicale di Serrara Fontana.
Ed infine la STORIA, intesa come segno, come indirizzo, monito per i posteri:
nessun compromesso, nessun favoritismo. C’è storia nelle “invenzioni”: chi va su e giù per il Golfo deve poter mangiare a bordo; chi deve lavorare sott’acqua come palombaro, ha bisogno di una imbarcazione di appoggio attrezzata, ed ecco la “S. Maria del Rifugio” che dà in gestione ad un altro uomo di mare, con numerosa prole, e alla fine gliela vende al prezzo che l’acquirente poteva permettersi, ricevendone grande riconoscenza; si modificano le motonavi, aprendo un portellone a poppa che permetta agevolmente di imbarcare le auto e i camion; si dà il via alla navigazione rapida; quella storia che è nelle parole di Indro Montanelli, all’atto della sua morte “E’ morto il re degli aliscafi del golfo di Napoli”; che è nell’Istituto Agostino Lauro avente lo scopo di promuovere la scienza e la cultura, incentivare gli studi e la promozione di eventi, seminari, convegni, mostre, concedere sovvenzioni e borse di studio nelle attività dirette alla promozione e crescita del territorio.
A questo punto, certo non ho detto tutto, ma molto sì, e andare oltre stonerebbe con l’impronta che si vuol lasciare, con quello che lo stesso commendatore approverebbe, per dare un’idea, ma non esagerare, non perdersi in inutili panegirici; solo la bussola; ecco “NON PERDERE la BUSSOLA”, questo potrebbe essere, idealmente, il suo messaggio ai nostri tempi. Allora come concludo?
Ci devo pensare. Un attimo di pazienza.
Che strana associazione di idee!
Mo’ vi parlo, non di Ischia, ma di Milano, dove io abito.
C’è una misteriosa signora nella Metropolitana, sempre presente nella stazione Lodi della linea 3, io la chiamo “la signora della metropolitana”; molto anziana, slanciata, povera ma ben vestita, elegante quasi, pettinatura accurata, si vede che occulta una bellezza giovanile; non fa nulla, non chiede nulla, non parla con nessuno, sta solo “llà”, guarda, osserva, ma tene ‘nu sguardo!
Tutto quello che lei è, è nei suoi occhi. Una volta mi sono soffermato a guardarla con intensità; un po’ imbarazzante magari, ma tanto non si poteva equivocare, e ho capito: LA LUCE.
C’era, e c’è ancora, una luce propria, balenante, in quegli occhi, in quello sguardo.
Ecco, se io, che di vista non lo conoscevo affatto (magari l’avrò visto andando su e giù dai traghetti per il Golfo, ma come saperlo?), dovessi immaginarmi oggi, Agostino Lauro, per quello che sento, che ho letto e sentito dire di lui, lo vedrei in quella “luce”, quella luce nei suoi occhi.
La LUCE che forse rimane, forse si tramanda, forse la reincarnazione, la sintesi di tutto.
Alberto Liguoro
L’Istituto Agostino Lauro
Il Comm.re Agostino Lauro è un personaggio storico dell’isola d’Ischia e nel segno della continuità operano i suoi figli e nipoti.
Dopo qualche tempo dalla sua scomparsa è stato fondato l’Istituto Agostino Lauro che vede tra i promotori la famiglia Lauro e amici.
L’Istituto nasce per promuovere intese con enti scientifici, culturali e educativi. La sua principale prerogativa è l’incentivo allo studio, con particolare attenzione alla promozione degli interventi in ambito culturale, al sostegno a mostre, seminari e convegni, concededendo sovvenzioni, premi e borse di studio.
Tutto ciò ponendo sempre in primo piano le attività rivolte alla promozione ed alla crescita del territorio.
Da alcuni anni è stato anche istituito un Premio Comm.re Agostino Lauro per celebrare e dare un degno riconoscimento a chi, durante l’anno, si è distinto per la sua opera di valore per l’isola d’Ischia.
Dal 2012 viene dato sostegno al Premio Internazionale di Poesia “Otto Milioni”, che presentiamo in questa antologia, realizzato nell’ambito dei progetti culturali MONDIMANCINI ideati da Bruno Mancini con la Direzione Artistica di Roberta Panizza.
Ischia, che certamente non si fa cogliere impreparata per le attività vacanziere e il divertimento, sa essere un “paradiso nel paradiso”, un luogo dove riscoprire la cultura del particolare e tornare ad assaporare il piacere della ricercatezza.
è con questa filosofia che nasce la “Corte degli Aragonesi”,
La “Corte degli Aragonesi”,
è un prestigioso relais sorto al centro di Ischia Porto, in piazzetta San Girolamo, a pochi passi dal mare e dallo shopping esclusivo.
Recuperando la struttura di un hotel abbandonato da circa trent’anni Il Senatore Salvatore Lauro e la moglie Milena hanno intravisto l’opportunità di realizzare ad Ischia una struttura alberghiera d’eccellenza.
Rispettando l’architettura tipica dell’isola, fatta di ceramica e dei cosiddetti “materiali poveri”, la “Corte degli Aragonesi” presenta un design candido, realizzato da “Vivai del Sud” (azienda leader del settore, autrice dell’arredamento dei più prestigiosi alberghi al mondo), contraddistinto da colori chiari e materiali naturali che ispirano nel visitatore purezza e semplicità.
Organizzato come un bed & breakfast, vanta suite di lusso, tutte dotate di accesso indipendente affinché il cliente goda della massima autonomia.
La sala da pranzo, ispirata alle “salle maison” dei romantici ed eleganti b&b francesi, ricostruisce un intimo ambiente domestico ed è aperta ventiquattro ore su ventiquattro. I vari locali si insinuano in un dedalo di profumi di agrumi, giardini segreti, piscine e specchi d’acqua nel segno di un lusso discreto.
Alla ricercatezza del relais ben si abbina quella del ristorante e lounge bar “Coquille.
Il “Coquille”
è un bar aperto dal pomeriggio, dove l’aperitivo può protrarsi fino alla cena.
Chi ama la cucina internazionale, ma è poco soddisfatto dell’approssimazione con la quale viene spesso propinata in Italia, trova qui il suo rifugio: al “Coquille” sono servite pietanze indiane o il sushi, altro must dell’attuale moda gastronomica.
L’eden dei sapori, una conchiglia magica nella quale perdersi alla scoperta dei piaceri della gola.
“Coquille”, ristorante del Relais Corte degli Aragonesi, è un luogo di incontro tra culture gastronomiche globali e napoletane, in un connubio esaltato dall’attenzione ai particolari che distingue l’intero complesso. L’arredamento del “Coquille” non è lasciato al caso.
è l’acqua l’elemento simbolico più ricercato: ogni tavolo ha la sua piccola “piscina”, mentre il trionfo di Nettuno è rappresentato dalla Jacuzzi in cui possono cenare su vassoi galleggianti fino a sette persone.
Premio internazionale di poesia
“Otto milioni – 2013“
con il patrocinio dell’Istituto Agostino Lauro
Seconda edizione 2013
TEMA
“Mare – Vita“
Progetto culturale ideato da
Bruno Mancini
con la Direzione Artistica di
Roberta Panizza
Codice 01
Domenico Ruggiero
Le ore passano ma non finiscono
Le ore passano ma non finiscono
per celebrare la vita, quella reale.
Il mare è gioia ed è vita
in tempesta, in quiete, in bonaccia.
Ciò che resta è il risultato
di ogni minestra.
Affidiamo l’anima al vento
e godiamo questo momento.
Codice 02
Davide Rocco Colacrai
L’invisibile urlo dal centro del cuore
L’invisibile urlo dal centro del cuore
Non c’è luna capace di cogliere le geometrie
imperfette del dolore, non c’è luna che sappia
ricucire i solchi che s’inumidiscono dentro di
noi come fiamme di sale, dal cuore si protende
alla vita un urlo che inciampa lungo le nostre
memorie e resta invisibile nell’istante senza
tempo, sospeso tra quello che siamo e quello
che non saremo, sono salmi di carne che
sentiamo proferire all’orecchio di chi non
ci ascolta, semi di screpolate bestemmie senza
un volto, zitti zitti noi come l’ombra di un
sorriso perduto, impetuosi come il seno di
un’onda infranta, fragili come i desideri,
inafferrabili come i nomi di coloro a cui
ci siamo offerti, invulnerabili come i nostri
sogni.
Codice 03
Angelica Lubrano
Luce
Lascio filtrare appena,
dalla finestra schiusa
la luce morbida
su cui galleggia tremulo
in lontananza il mare.
Un muro soffocato dagli ulivi
ed un cipresso, un coltello nero,
lanciato minaccioso verso il cielo
chiudono a nord
lo sguardo alle montagne.
Entro nello spessore fisico
di questa luce densa e trasparente:
un lago di lavanda
gli aghi del rosmarino
le braccia spaventate del siconio.
L’ultima pennellata è per un uomo
in fondo a un campo scuro
ignaro e rassegnato
pota in silenzio i rami secchi
ed io i miei pensieri.
Codice 04
Franco Maccioni
Tramonto sul mare
Un palcoscenico da sogno…
la natura si compone generosa
lasciando intorno…
la bellezza e l’armonia
di un favoloso tramonto!
S’allungano al largo…
punte di roccia affioranti
da sempre lavate dall’onde
da uno stupendo mare!
L’orizzonte abbaglia di luci
e i colori si rincorrono
in quella immaginaria linea…
mentre la palla di fuoco
lentamente scompare
annegando intrepidi sogni!
Codice 05
Francesca Dono
Il Mare
Non so perché
io abbia dentro il mare,
ma la sua idea,
baraonda e assorta,
infrange il pensiero
senza sapere fino a dove
né fino a quando.
Laggiù dove finisce il cielo
e inizia l’aria, l’impronta blu
sparge lo sguardo d’acqua e sale.
Impigliata nel vento, pronta a fuggire
tra gorghi rapiti e frulli danzanti.
Ah! L’abbandono mi increspa di spuma!
Nell’immenso che ne coglie il sentiero.
Quando il fiato tradisce,
potrebbe ancorare il senso
nel caldo ventre di un pesce
o accodarlo alla scia di una nave.
Questo, potrebbe essere
la mia riserva,
ogni qualvolta la brezza
si piega nel tramonto del cuore!
Codice 06
Teodora Gandolfo
Apparenza
Rido, gioco, lavoro, parlo
cerco di occuparmi tanto
di tener lontano
quei ricordi lieti
e quei pensieri tristi
che mi porto dietro
che mi sono accanto.
Trapelare non faccio
i miei sentimenti
una maschera falsa
a tutti io rivelo
e così mi vedono
gaia e pur cambiata
e pensano ingenui,
che per me sia andata.
Codice 07
Liga Sarah Lapinska
Il profumo d’ambra, di nuovo
Le ali, sempre più scure di un gabbiano, morto all’improvviso
sventolano nel vento. Per me è il primo vento.
Oggi, invece, per lui, è già l’ultimo.
Un po’ nel cielo, un po’ nel suolo,
e sempre nel vento del mare, sei tu
il grande respiro sei tu, la grande assenza.
Mi fido, ti stimo. Di nuovo.
Un gabbiano vivo, vola via nei giri gracchianti
sopra pini sempre più silenziosi e rossi
di sera radiante, e sopra la mia mano aperta.
Il profumo d’ambra, di nuovo, io sento,
mentre tutto ciò che era rigido adesso è slegato,
le ali, le mani quasi sinceramente, quasi per caso:
e insieme al sole naufraghiamo
in sonni nel grembo del mare, un’onda dopo un’altra
profondamente, un’onda dopo un’altra.
Mi fido, ti stimo. Di nuovo.
Senza contarle come i giorni in un calendario infinito.
Il sole sveglierà fresca mattina, io dormirò più a lungo
tra le onde e tra i venti, sempre più scuri, più trasparenti.
A me pareva di svegliarmi proprio qui
– proprio oggi, mai ieri, mai assente –
nel profumo d’ambra testimone d’eternità,
fuori oggi come fuori da ogni destino,
a me pareva che le ali sventolassero ancora.
Codice 08
Janis Lapinskis
L’acqua del mare
Nella bocca sento gli spruzzi del mare.
La mia lingua sente il gusto delle lacrime.
Chi é questo gigante, in pianto, finché
il mare è diventato cosi ampio?
Finché il mare è diventato cosi salato?
Forse Dio è in pianto, se il mare è pieno di lacrime?
Quante lacrime, così poche risate bianche;
quante tempeste, così poche nuvole rosse!
Credo che sorrideranno
una volta dopo mille anni, ma forse più presto
non solo le lacrime, ma tutto l’ampio oceano
Codice 09
Vera Roke
Risveglio
Come chiuso in catene forti
il mare ammonisce tra gli splendidi
cumuli di giacchio duro
giù dalla riva altissima. Come me.
Freddo e duro.
Chiuso in carezze di catene,
così più profondamente si può
sentire dietro di sé il risveglio. Come me.
Ecco, il razzo di sole all’improvviso
come la freccia del fulmine
rompe il giacchio in pezzi
e il mare ammonisce. Come me.
Gli splendidi cumuli, gli splendidi ornamenti
disgelano sparati dalle frecce di sole
scorrono verso le acque del mare,
liberamente. Di nuovo. Come me.
Codice 10
Modris Andzans
Ti ho visto
Ti ho incontrato
in quella città lontana
là, nella pioggia, nella nebbia
sei stata pallida.
Abiti qui da tanto tempo
invece io sono arrivato qui ieri.
Chissà perché sono andato via?
Davvero per incontrarti?
Anche se non sono ricco
però ti invito
a naufragare per il mare
verso la mia Terra.
Anche se annoia tutto
e sei d’accordo
allora ti aspetterò
per andare via con Dio.
Mi sto meravigliando
e volo da solo.
Sei cancellata all’improvviso
come la neve dell’anno passato.
Adesso io non so
se sono io solo
se posso cancellarti
e potrei dire
che sono pulito
cosi solitario
c così Libero…?
Codice 11
Nina Lavieri
A mio padre il delfino
Sono tornata
Oramai grande
E busso sulla tua tomba
Picchio sul marmo freddo
Con la mia fronte
E mi sento più dentro di te.
Ho camminato il mondo
Ho dimenticato
E poi ricordato
Ti ho ritrovato
Negli occhi di una formica
E l’ho tenuta con me fino alla sua fine
Le sue spoglie sono nel mio taccuino.
Ma, in mezzo al mare infinito
Ti ho ritrovato nell’allegria di un delfino
E mi sono rappacificata.
Codice 12
Mario De Rosa
Conchiglia
Delle marine acque salse
restituito all’abbraccio,
a un sole distratto
irroro la mia pelle.
Ancora non distinguo
avulso dal mio errare,
l’onda che mi cattura
in plaghe scevre di tempo.
A un increspato mare
sciolgo la vela al largo,
mentre l’altro di me,
delle conchiglie inerti
ascolta il cupo suono
forse di falsi mondi epifania.
Codice 13
Luciano Somma
Vita
Pensiero
Nell’immenso arco
Proteso
Tra la terra e il cielo
Vita!
Breve
Come l’attimo
Che sfugge al tempo
Lunga
Come le rughe
Del rimpianto
Sublime
Come una preghiera
In chi ha fede.
Eterna
Come la speranza.
Codice 14
Antonio Santacroce
“Canta Nea-polis”
Càntami o Diva, tu che sei Sirena, della città che prese da te il nome.
Tu sei Partenopea di razza piena e solo tu conosci il quando e il come.
Pàrlami dei misteri che conserva sotto la terra e spesso pure sopra,
mòstrala bene agli occhi di chi osserva prima che la vergogna non ci copra.
Vènti maligni soffiano sul Golfo e della città-nuova resta poco:
vènti di “mala-tempora” e di zolfo che sono scesi a patto con il fuoco.
O mia Sirena, ascolta chi ti apprezza e càntami di Lei come ad Ulisse,
màndami un segno della sua grandezza, vanto per chi la vive e chi la visse.
Luogo di culto e luogo di jatture, dove malocchio e Fede fanno pace.
Centro di menti eccelse e di culture, càntalo Tu….che io non son capace !!
Dillo che la mia terra fu padrona, centro del mondo , patria degli “eletti”,
narrami dei Borboni e gli Aragona, esempi dei suoi pregi e i suoi difetti.
Càntami del castello noto al mondo solo perché compare in cartolina,
dillo cosa nasconde nel profondo come una ricca e nobile gallina:
forse Virgilio, il mago ed il poeta, volle celar per sempre l’ uovo d’ oro
o forse, con lo sguardo da profeta, capì che questo luogo era un tesoro.
Càntami poi dell’ altra roccaforte che diede un figlio Maschio agli Angioini.
Luogo di prigionìa fino alla morte per rei confessi, ladri ed assassini.
Leggenda vuole che sotto al castello un mostro degli abissi fosse il Boia,
e solo chi ha varcato quel cancello conobbe il peggior modo in cui si muoia.
Parlami delle voci dei quartieri, della ‘Mbriana che ti vuole bene,
dei “Munacielli” impertinenti e fieri, di case sfitte ed anime in catene.
Anime a volte pure messaggere di fatti da tradurre in numeretti;
càbala d’ altri tempi e storie vere……e nacque il Lotto dentro i vicoletti….
E di Partenope, quella nascosta, che “delle fontanelle” il nome porta,
della città ch’ è nata sovrapposta e sotto labirinti di ogni sorta.
Bella Sirena, leggi la mia mente, tu che sei donna e insieme solchi i mari:
tu col tuo canto dolce e persuadente, possa guarire Napoli……magari……
Codice 15
Gino Centofante
Primordiale
Ecco il fulmine tonante,
riempie l’aria con fragore,
riversando in questo mare
l’energia del cielo tutto.
Mentre Terra freme e piange,
roventi lacrime di lava,
d’improvviso nel tumulto,
di un mondo giovane e in fermento,
spunta vita tra le acque,
nel profondo di un silenzio.
Una alchemica miscela,
ancestrale combinazione,
casualità di eventi ignoti,
da cui il tutto nacque.
Noi siamo figli di mistura,
dai color più variegati,
tanto dobbiamo a queste acque,
nostro grembo originale.
Codice 16
Adriana Pedicini
Mare “Mostrum”
Carico di membra fantasma
al fondo della chiglia,
occhi come fari penetrano
il buio indistinto che leviga scogli
sbattuti dal lamento di lacrime perse
e di persa speranza
se appena più forte
il flutto si abbatte
come ala di nero destino.
Non come chi la vita ogni giorno
l’inventa o la sciupa
nel tranquillo bisogno.
Ma come chi nasce ogni volta
se supera i nodi stretti e violenti
di guerre e soprusi.
Il vento ha spirato più forte.
Dei cento che erano
solo cinquanta hanno visto la riva
e degli altri la morte.
Codice 17
Antonietta De Luca
Brezza
E luce non c’è di tale
bellezza né nella notte invernale,
né nella neve che copre e ricuce
i lembi dei monti, se ho te,
se la brezza nel cuore mi tace
il tuo segreto e la voce mi lascia e nelle ore
distratte l’appello non giunge
sulla rotta più giusta nel mare di me.
E l’onda senza tempo si frange
sotto il cielo, sulle dita, negli occhi
che l’abbracciano a stento,
sul vento e nel lento rituale
dell’olio che unge con l’ange-
lo fermo a vegliare le vele.
Che strida il sale nell’infinito
ondulare del giorno che sale
nuovo al vagare vanesio d’una stella
australe, perché luce non c’è di tale
bellezza tra le rotte del mare.
Codice 18
Cecilia Martino
Alba sul mare (quando non è più tempo di dormire)
L’attesa sconcerta di colori pastello
sul manto del cielo all’orizzonte
La linea del mare erge un limite opaco di viola e arancio striato
nessuno osa disturbare se non il canto del gallo
nell’ora puntuale del risveglio
sono attimi di puro smarrimento, prima della grande visione,
la natura fa un passo indietro, prima della grande evoluzione:
le onde piccole e veloci sul mare accolgono i salti dei pesci
Venere s’innalza e nel suo incedere verso Ovest
perde luce nel donarla al mattino che tenue sopravanza
la brezza dell’aurora all’improvviso cala
e dietro la foschia rivolta ad Est
la sagoma rossa della palla infuocata. E’ sorto il Sole,
il primo spicchio sull’acqua commuove, il resto denuda l’anima
Inizia piano la sua traversata verticale
ma sono attimi che scorrono veloci
le fasi del suo benigno amplesso di luce sempre più viva
a tinteggiare il mare come arcani da decifrare
Silenzio, in silenzio saluto il Sole con le dodici armonie del corpo
le palpebre si chiudono a stento, ammaliate dalla luce rotonda che
s’eleva al di sopra del mare, al di sopra di ogni cosa
Viene voglia di guardare, gli occhi s’infuocano
Mi nutro di momenti fecondi nella pausa del mondo
e ringrazio l’esperienza di questo nuovo giorno che nasce
elegantemente proteso sul mio sogno migliore
all’alba di un mattino sereno
quando non è più tempo di dormire
Codice 19
Luisa Bolleri
Le luci delle lampare
A settembre le luci delle lampare
luccicavano e dondolavano in mare aperto
come torce intermittenti.
I pesci e il novellame si raggruppavano
intorno a quei bagliori
cacciandosi nelle reti tinte di scuro.
La nafta lasciava un velo oleoso
sulla superficie tiepida del mare calmo,
il suo odore vagava a mezz’aria al tramonto.
Seguivo dalla spiaggia il borbottio dei motori
che si rimpiattava tra le onde e la brezza
come in un nascondiglio precario.
Le pescate si susseguivano sotto la quinta.
Poche misere casse di pesce azzurro
erano il magro bottino delle fitte cale.
Mio nonno al rientro saltava nell’acqua
e mi passava le casse argentate, guizzanti
di sofferenza e di vita che si dibatteva.
Lo aiutavo con le reti e con la barca
e lui m’arruffava i capelli di salsedine
con le mani nodose e doloranti.
A lungo rimanevo ammaliato e inorridito
dai movimenti inconsulti e vani
di sarde e sgombri e alici in cerca d’aria.
Ero angosciato per quella vita che fuggiva
ma al nonno stremato e taciturno
non l’ho mai potuto raccontare.
Codice 20
Gino Iorio
Per te
Il pontile soffre
mentre il mare impetuoso
senza sosta lo invade
così mi giungono le tue parole
… e soffro anch’io
mentre il vento
porta con sè il sapore del mare
… e le parole volano
e questo mi basta ancora
amore
perché mi porgi
col tuo sguardo
la vita
che mi ruota intorno
fatta di sole di mare di vento
e di te
ed io non soffro più.
Codice 21
Sanita Simsone
La barca nera
Nelle correnti dei sentimenti
va, vagabonda, una barca nera.
Il cuore impossibile da salvare
affondandosi nel fondo del mare come speranza.
Prendere il suolo e il cuore mio ardente
che suona come una campana pesante.
Va, vagabonda una barca nera.
E non esistono parole
per incrociare la sua strada.
Con il dolore un po’ amaro
da mantenere nelle acque dell’eternità.
Le rose nere affioreranno nei miei palmi
le nutrirò come aquile strane.
Le gocce di pioggia diventeranno
giganteschi ghiaccioli.
Codice 22
Marta Zemgune
Allora posso
La luna stanotte
è bella come la tua faccia
un po’ crudele nell’ombra,
però la luna è
più vicina di te.
Mi hai tolto
questa terra e questo mare,
quindi mi resta il cielo,
pieno dei venti e delle lune.
Allora posso vivere
e dare
non chiedermi niente
più per me stessa stanotte.
Le stelle sono cadute
per diventare più splendenti
dai mie piedi nudi
nelle onde non più nere.
Codice 23
Salvatore Senatore
La parca spiaggia
Fuggite dai lacrimosi tufi
di vicoli silenti
gocciolanti pianto.
Correte
alla materna rena
della nuda spiaggia,
ove la vita ride,
ove si chèta il grido,
ove il lamento tace,
ove la povertà scompare.
L’onde
s’inseguono lente…
vi accolgono in amico grembo.
Viene dal tenebroso ventre
gutturale voce.
Al cielo leva l’antica prece
e urlo diviene
al soffio del vento
allor che Eolo l’orienta
ai celati ostelli
ove il cuore stringe,
il mare si frange,
e inghiottisce voli esaltanti,
sogno celesti.
Rimane solo l’attesa
di correre alla parca spiaggia
a giocare col mare,
a saziarsi di sogni, di sole, di vita…
Codice 24
Antonio Fiore
La vita
Come un’ombra dal cielo
è il suo riflesso sulla terra;
e luce di mistero cela l’alba
nel giorno del tramonto.
Sono grandine, acquazzoni
e sprazzi di sole
che colmano le stagioni
di un piccolo germoglio,
che ha dato vita al grande olmo,
di cui radici
ancorate al vento d’autunno
è giunto a maturazione
come le foglie,
che si lasciano cadere
senza stentare
sull’arida terra sottostante.
Codice 25
Antonio Curci
L’amore è come il mare
L’amore è come il mare
chiede un forte cuore per amare;
l’amore che come il vento
chiede il soffio del cuore in ogni momento,
l’amore è come una stella cadente
che ha colmato il tuo cuore ardente;
l’amore è come l’acqua di sorgente
che mostra quanto il cuor sia potente;
l’amore è pienezza
ti dona sempre certezza;
l’amore è come un granello di sabbia
ed è il più prezioso che tu abbia;
l’amore è come un fiore in primavera
che dona a noi una gioia vera;
l’amore è fatto di un sorriso
ti fa sentire subito in paradiso;
l’amore è fatto di pianto
per farti apprezzare chi hai accanto;
l’amore è fatto di umiltà
ti fa avere semplicità;
l’amore è fatto di fedeltà
per farti vivere un’eternità…
Codice 26
Vincenzo Tesone
Il cerchio
Se non fosse
per un mare
invitto , immenso,
azzurro.
Il silenzio della notte
sognando, come spesso
mi accade di “ volare “
Tutto poi….comincia
con il giorno, il tempo
inesorabile, consuma
il cerchio della vita.
Il cerchio della terra.
Il cerchio della luna piena.
Il cerchio del sole,
caldo, luminoso,
giallo, rosso o arancione.
Tutto è racchiuso
in un cerchio.
Tutto è visibile
poi … l’invisibile,
la fine.
Codice 27
Mauro Bompadre
Ti chiamerò
Ti chiamerò
passione travolgente,
come torrente impetuoso,
come parole in piena
rovesciate nel mio stagno.
Ti chiamerò
incanto ed armonia,
come coro di angeli,
come sinfonia d’emozioni
che mi elevano lo spirito.
Ti chiamerò
vento tiepido di notte,
carezza dell’anima
che attraversa gli spazi
ed irrompe nel cuore.
Ti chiamerò
rimorso e nostalgia,
su queste macerie fumanti,
dove sei ormai
solo aria e memoria.
Codice 28
Barbara Lo Fermo
Lungo il mare
Alzo gli occhi al cielo,
penso, mentre il tuo ricordo
mi imbarazza nella mente
anche se oggi
i nostri cuori sono lontani
non dimenticherò mai
quei dolci baci
accesi sulla spiaggia
sotto il chiaro di luna
tra lo scintillio delle onde.
Codice 29
Anna Alessandrino
Blu mare
Geme il vento
quando annusa il profumo di conchiglie
e mischia in me il desiderio di sedermi a riva
a quello di volare come vela gonfia
fino all’orizzonte.
Blu mare.
Azzurro che ieri eri di cielo.
La luna ti tesse d’argento adesso
e incanto è il tuo mormorare sulle labbra.
Tu echeggi e riecheggi
scuoti e consoli
e in moto perpetuo
nel tuo ventre s’infrangono i pensieri
là dove vedo scorrere altri mari.
Anche sotto la mia pelle ne scorre uno.
Lo sento
mentre sospesa nel ritmo delle onde
accordo gli echi
perché non risuonino di note stridule
quando li affiderò a te
chiusi in un vuoto a perdere.
In controluce
poi ritorno sull’onda nuova
a intingere la punta delle dita
nell’inchiostro
a spargere come cenere nell’acqua
parole che raccontino di te
e di mille isole negli occhi.
Codice 30
Lucia Maiese
Dimora anima.
Seguire il fiuto dell’anima marinaia
propone di solcare .
L’impatto austero elegante
inebria polmoni e mente.
Adesso è mare.
Mare impressionisticamente disegnato,
acqua appena increspata azzurro-acciaio
disegna spiagge che ci lasciano senza fiato .
E
Si perde lontano.
A piedi nudi sulla sabbia
per raccogliere quello che il mare
ritirandosi ha regalato.
E’ il mare, è quello vero
le onde alte sulla roccia
impattano l’acqua verde smeraldo
e blu cobalto insieme,
nella dimensione,
là dove crescono fiori mai visti ,
nuota,suona perenne
l’orchestra degli elementi.
Per restare al chiaro di luna
va visitato all’ora dell’acqua alta,
e vivere l’esperienza che vale un viaggio.
Lascia l’anima, sapendola in dimora adeguata.
Ma … scoperto privo di ripari,
è il luogo più terribile ove
si possa sbarcare.
Codice 31
Tina Bruno
La vita
Prati coperti di primule e viole
Annunciano la vita
Che si muove dopo un inverno freddo
E senza sole.
Voli di farfalle diffondono nell’aria mille colori.
Acque che fluttuano nel mare
Accompagnano il canto di mille sirene
Che, sedute sugli scogli,
Attendono il ritorno dei pescatori.
Vita che si snoda sotto i mari,
Che esulti nel cielo
Che attenda per le strade
che ritorni il proprio amore.
Codice 32
Emanuela Di Stefano
Rivelazioni
A cosa servono i ricordi
se non si possono raccontare.
Sono in principio solo un vuoto
da colmare,
poi l’acqua scava una culla
tra le rocce della mente,
e tutto si appresta a germogliare
per liberarsi dal pianto della fronte
che come rondine vola via.
Codice 33
Ciro Iengo
Cara
Cara
sei l’aria, la terra
sei la luce, il sole
sei l’acqua, il mare
sei come il vento
e poi come una farfalla.
Non scappare, sei vita
anima mia, cara
amore la bellezza
salverà il mondo
La poesia è di tutti
La poesia è di tutti. Credo che vada detto perché immagino che questo istinto innato che l’essere umano si porta dentro venga addirittura represso da qualcuno che nel profondo pensa di non essere all’altezza di una espressione artistica che può sembrare appannaggio di colti ed eruditi esperti della parola.
Per quanto mi riguarda l’unico ruolo che riconosco alla poesia è quello di trasmettere verità, e tutti hanno diritto alla verità. Ad esprimerla, a vederla manifestarsi. A viverla.
Come può essere “scoperta”, “comunicazione”, “condivisione” di verità, uno strumento della parola e del pensiero che a volte sembra voler invece nascondere tra le pieghe delle varie figure retoriche e delle varie evoluzioni del pensiero, gli oggetti del suo interesse?
Domanda assolutamente lecita questa. Ma un quesito simile dovremmo porlo anche a chi per vedere meglio utilizza lenti appositamente oscurate. Perché a volte anche vedere troppo confonde la verità, come durante l’osservazione di una eclissi di sole ad esempio.
Dovremmo porlo anche a quegli astronomi che sanno di pianeti a distanze siderali senza averli visti, ma solo osservando i percorsi degli astri luminosi attorno a loro e che gli stessi pianeti, con la loro vicinanza, influenzano.
Perché la verità a volte è così complessa, sfaccettata e caleidoscopica che neppure i cinque sensi possono bastare o essere indispensabili per conoscerla.
E quale verità è più “siderale” di quella che rimane celata dentro la profondità inconscia del nostro io? Ecco quindi che fare o leggere poesia non è altro che intraprendere o lasciarsi guidare in un viaggio dentro le verità dell’anima.
Davvero enorme, quindi, il potenziale di questa poesia di tutti e per tutti che può diventare specialità letteraria o anche non diventarlo. Tutto certamente dipende dagli strumenti culturali di chi la pratica, ma chissà quanti versi poeticamente degni e piacevoli troveremmo potendo curiosare nei cassetti delle intenzioni non realizzate di chi crede di non poter essere un adeguato costruttore di strofe!
Roberta Panizza
ISCHIASEA
Le tue gite nel golfo di Napoli e Salerno
ISCHIASEA
Le tue gite nel golfo di Napoli e Salerno
Adotta una poesia
Se andiamo su Google e clicchiamo le parole “adotta una…”, esce di tutto.
Certo, in molti casi la parola adottare non ha un significato prettamente giuridico, ma significa, piuttosto, prendersi cura di ciò che si “adotta”, farlo conoscere, proteggerlo.
Scorro ancora il motore di ricerca.
D’un tratto, qualcosa di diverso: “adotta una parola”. Beh, ne dovremmo adottare tante di parole italiane, per proteggerle dallo smog di una certa quotidianità che va a sporcarne molte.
Infine, ecco, “Adotta una poesia”.
Bella questa iniziativa, adottare una poesia, qualcosa la cui cura, oggi più che mai, non può che far del bene a noi e alla nostra anima.
Vedo che ci sono diversi siti e gruppi che fanno capo a questo tema, ma le pagine più numerose, su Google, le ha l’evento ischitano “Adotta una poesia”, curato da Bruno Mancini e Roberta Panizza, fondatori di Lenois, Le nostre isole.
È un concorso di poesia, ad iscrizione gratuita, nato grazie ai Progetti Culturali di Bruno Mancini, proprio per collocare questo genere letterario, un po’ bistrattato, “sul palco del primo piano che gli compete nell’attuale società italiana”.
Tutte le poesie, selezionate da un’attenta giuria, giunte da ogni regione del nostro paese e anche da alcuni paesi europei, sono state inserite nell’omonima antologia e, grazie ad un codice, sono state poi votate dal pubblico.
È stato così che sono state proclamate le prime tre classificate: Ester Margherita Barbato, con Galaverna di gennaio; Rita Minniti con Ed il vento e Nunzia Binetti con In scomparsa.
In sezioni diverse, fuori concorso, sono poi presenti poesie di Bruno Mancini, Roberta Panizza e dei pionieri di Lenois, Virginia Murru, Alberto Liguoro, Sacha Savastano, Vincenzo Tesone, Antonio Guarracino, Elisa Barone, Vito Iacono, Maria Bigazzi, Nunzia Binetti, Michela Zanarella, Luciano Somma, e ancora Ester Margherita Barbato.
Infine ci sono le proposte artistiche provenienti dalla Lettonia, grazie allo zelo di Liga Sarah Lapinska, e una sezione dedicata ad immagini pubblicate da Roberta Panizza, Katia Massaro, Liga Sarah Lapinska, Nunzia Zambardi, Maria Bigazzi, Vincenzo Tesone e lo stesso Mancini.
Leggendo le note biografiche di tutti gli autori, presenti nell’antologia, si evince che essi sono molto diversi tra loro, ognuno con un proprio vissuto e una propria storia personale, eppure tutte le poesie descrivono, se pure in modo diverso, emozioni e sentimenti universali che, come fotogrammi, fermano alcuni istanti, colorandoli con tinte accese, o tenui, e a volte anche scure.
Molto frequente è il tema del tempo che spazia dall’attimo ormai perduto
“e fuggo con la pelle/ a godere/ il naufragare lento di un nettare/ d’estate” ( Michela Zanarella), a quello da vivere ancora insieme “e allora, infine,/ da sopra ai tuoi capelli/ la mano rosa attesa/ annullerà tutti i silenzi/ per farti voce.” (Bruno Mancini).
Quando si leggono i versi di una poesia, bisogna lasciarli decantare in sé e solo dopo andare a rileggerli per intuirne l’anima che li permea.
E succede che la poesia diventa essenza parallela ad altre vite “In questo spezzare il fiato/ In questo zampillo di pensieri/ scegliersi mutati, scegliersi
foglia verde/ ma tra le mille dell’albero meno lontano” (Nunzia Binetti), o cammino interiore “e so d’esser nucleo/ in cerimonie profane di natura/ quasi Vita” (Virginia Murru), o si fa sguardo sul mondo “lo sterminio di antichi popoli/ la nefandezza di stupri e massacri/ le pulizie etniche/…./ c’è tutto questo/ nella colonna dei morti/ di tutte le guerre del Mondo”(Alberto Liguoro).
Quindi, la Poesia rappresenta, con le parole, fatti, emozioni, immagini, ed è libera, come il nostro pensiero.
È dentro di noi, è intorno a noi… e disegna il noi “Fili d’erba in verde china/ pennino sottile/ e la stagione disegna la storia/ sui nostri volti” (E. Margherita Barbato), e il vivere quotidiano, in cui si fanno strada i nostri timori “In uno spicchio di sole incoerente/ decido che il bianco si spenge nel nero/ e porto del niente i segni nel tempo/ a scavare tra i sassi il resto che avanza” (Italo Zingoni), e i nostri ricordi “L’alba snebbiando apriva ampi rossori/ negli occhi appesi al sonno e la stazione,/ grigia di treni e di giubbotti in fila/ sgomitolava i passi pendolari” (Dalmazio Masini).
Non è possibile scrivere di ogni poesia dei venti autori selezionati per questa antologia, ma in tutte le poesie lette, comprese quelle fuori concorso, la Poesia parla e parla di qualcosa che è fuori o dentro di noi.
È, come dice Franco Fortini, “un ragionamento… di amore, di dolore, di descrizione, di esortazione, di sapere, di sapienza, fatto in presenza di un sogno”, dal nostro io interiore, che ci fa guardare la realtà con una sensibilità oggi tanto spesso dimenticata.
Anna Alessandrino
Intervista a Don Backy
“Sì, tornare a Ischia… non mi dispiacerebbe affatto.”
Don Backy è un mito nell’immaginario collettivo, un cantante, un poeta, una persona umile, ma consapevole del proprio valore; è un uomo “dolcemente diretto”.
Se io fossi amore
se io fossi amore
…
No, non è così,
non ascoltare il menestrello
può solo scrivere canzoni
circondandoti di emozioni
che forse poi non vivrà mai
No, non è così
non ti fidare di un artista
perché le inventa le emozioni
e le rivende a due soldini
e il cuore in pace metterà
se io fossi amore
ma sono solamente un uomo
e posso amarti come un uomo amare sa
in maniera semplice,
stracciata o disperata…
Scrivere del Grande Don Backy per la pagina culturale di “Il Dispari”?
La notizia mi procura un’euforia, una gioia “presuntuosa”, una frenesia da far tremare la penna, per me che scrivo sui fogli bianchi!
Per giorni cerchi nel web, si trovano notizie…tante; storie… tante; interviste… tante. Prendi appunti, scrivi, scrivi e poi, ti senti avvilita: “Cosa si può scrivere ancora di lui, Don Backy?”
A questo punto, ti rivolgi alle sue canzoni, sperando di riuscire a cogliere, un po’ della sua anima.
Non cerchi tra quelle famosissime (Immensità, Poesia, Canzone…).
Ne scopri altre come “Se io fossi amore”, riascolti ” Sognando”, la conoscevi, ma dopo oltre 30 anni ti piace di più, forse la comprendi meglio.
Sognando
Me ne sto seduto e assente
con un cappello sulla fronte
e cose strane che mi passano per la mente
Avrei voglia di gridare
ma non capisco a quale scopo
poi d’improvviso piango un poco
e rido, quasi fosse un gioco…
E ancora “Vi lascerò”. Non la conosci, la scopri per caso su Youtube… il video con l’immagine di lui, Don Backy, bello, con il suo viso spigoloso e con l’aria, ancora, da ” Guascone”.
Capelli bianchissimi, vestito di grigio, seduto su una scalinata di pietra grigia, sulla cui balaustra spiccano vasi colmi di gerani dai colori accesi.
Inizia la canzone, stupenda!
Preparare le domande per l’intervista? Si, ma quali?
Arriva comunque il momento di parlargli. Componi il numero, ascolti la sua voce e… gli poni la prima domanda, alla quale, ti risponde, in modo “dolcemente diretto”.
Chi è, oggi, Don Backy?
Forse nemmeno io so chi sono. Del resto, nella vita, ogni giorno serve per scoprire qualcosa di sé, che non si conosceva e che fa cambiare opinione.
Quindi diciamo che ritengo di essere una persona sicuramente umile, ma non vorrei che il termine fosse scambiato per modestia. So perfettamente quelli che sono i miei limiti e fino a dove posso arrivare. Ritengo comunque di essere bravo.
è stato ad Ischia nel 1966 e nel 1967, vuole dire, se ricorda qualcosa di Ischia?
Ho raccontato la mia settimana a Ischia nel 1966 (Castello de Aragona, con i Fuggiaschi), con dovizia di particolari, nel primo libro in prosa e fotografico “Questa è la storia” (primo libro perché sarà una pentologia, della quale sono già stati pubblicati i primi 3 volumi ww.donbacky.it).
Nel 1967 tornai ad Ischia per partecipare al festival di Napoli, con una canzone di Ettore Lombardi, “E facimmoce ‘a croce”, canzone che cantai su uno scoglio. Poi non ho avuto più occasione di tornarci, ma mi piacerebbe molto.
Lei ama il mare?
Adoro il mare, tanto che mi piacerebbe prendere una casetta da qualche parte e passarci il tempo che mi resta. Mentre non amo la montagna.
Lei ha scritto molti anni fa “Sognando”, ed è stato, credo, il primo cantante ad occuparsi, seppur in chiave romantica, del tema della follia.
Cos’è, per lei la follia?
Un mondo dove abitano persone che non riusciremo mai a comprendere se ci ostineremo a chiamare solo pazzi.
Poi ha scritto “Vi lascerò”, ce ne parla?
Potrei definirlo “Un testamento in vita”. è una delle canzoni che amo molto, perché esprime esattamente la mia sensibilità.
Che lei sia un poeta è fuori dubbio, mi parla un poco del suo essere un pittore?
Pittore non lo sono per niente. Anche questo mio momento l’ho raccontato nel libro “Storia di altre storie”. Un giorno comprai un Kit di pittura per mia moglie, ma finii per usarlo io. Mi ero infatuato dei fiamminghi, specie dei paesaggi di neve, cominciai così a dipingere, in scala ridotta, alcuni di quelli che mi emozionavano di più e che avrei voluto avere. Poi ho seguitato seguendo la mia fantasia.
Ora però ho smesso da tempo. Era solo un hobby passeggero, ma possiedo almeno una cinquantina di pezzi.
Progetti per il futuro?
Naturalmente sì, come quello di tornare ad Ischia!
Progetti ce ne sono, anche se riguardano sempre meno le canzoni. Oggi i dischi
non si vendono più.
E poi, per realizzare un nastro ci vogliono molti soldini e quindi non ne vale la pena. A meno che non si trovi uno sponsor produttore, le canzoni non mancano.
Probabilmente mi dedicherò ancora ai libri.
Sì, tornare a Ischia, per un bel concerto non mi dispiacerebbe affatto. Vedremo.
La ringrazio per la cortesia con cui ha risposto e, rammaricandomi che negli scritti non c’è l’audio che mi permetta di riascoltare la sua voce, ancora emozionata, la saluto con un arrivederci.
Spero di essere stato esaustivo e di suo gradimento. A risentirci presto.
Un caro saluto a tutti gli ischitani, alla redazione di “Il Dispari” ed a Bruno Mancini e Roberta Panizza con i quali ho avviato una simpatica collaborazione culturale iniziata con la partecipazione di una mia poesia al premio “Otto milioni” da loro organizzato e dedicato al Comendatore Agostino Lauro.
Ciao a tutti da Don Backy!
Posi la cornetta e, inevitabilmente, ti rendi conto che ti piace.
Vi lascerò
Di me vi lascerò quel gran bravo ragazzo
la parte mia di pazzo che non si piegherà.
Di me vi lascerò quell’entusiasmo antico.
è lui il mio solo amico non vi abbandonerà.
Ma mi dispiacerà, lasciarvi le bugie
che tutti quei saccenti, maldicenti e fannulloni sussurrano di me.
Ma non vi lascerò il male che ho subito
perché l’ho già scordato e solo il bene ho conservato
ed io, quello lascerò.
Di me vi lascerò albe meravigliose
l’amore delle rose che io non colsi mai.
Di me vi lascerò le mie malinconie,
Giornate di poesie, le grandi ingenuità.
Ringrazio tutti e in più quelli che mi hanno amato
sapendo di trovare niente in più che io sappia dare.
E di non chiedermi di più
Io non vi lascerò
ciò che non è servito,
ma se una cosa sola
ha fatto nascere un sorriso
io ve la lascerò
Di me vi lascerò me di quando ero vivo
La musica che scrivo, là, nell’immensità.
Marina De Caro
Maria Bigazzi
nasce nel 1956. Vive la sua infanzia in campagna nel Valdarno fiorentino, a contatto con la natura. All’età di otto anni, dopo la perdita del padre, si trasferisce a Firenze, dove attualmente vive e lavora. Ha iniziato a dipingere fin dall’adolescenza come autodidatta. Dopo gli studi professionali, ha maturato la sua esperienza artistica attraverso la ricerca e lo studio di diverse tecniche espressive e pittoriche, dall’olio all’acrilico per approdare infine all’acquerello.
Partecipa assiduamente a vari eventi e manifestazioni artistiche in tutta Italia.
È iscritta alle Associazioni artistiche UCAI e ANLA di Firenze.
Le sue opere sono state esposte in mostre personali e collettive in varie Gallerie d’arte a Firenze e zone limitrofe.
Oltre alla pittura si dedica anche alla poesia e alla fotografia ispirandosi alle emozioni e meraviglie della natura, cercando di coniugare l’espressione “bellezza-dolcezza” in una trilogia artistica: la bellezza della pittura, la dolcezza della poesia e la meraviglia della fotografia.
Le pennellate vaporose, la selettiva determinazione delle tinte quasi mai miscelate sulla tela, né mai ripetitive, la visione paesaggistica propria di uno spirito artistico proiettato verso quanto di più positivo e lucente possa offrire la natura, fanno delle composizioni pittoriche di Maria Bigazzi un gradevolissimo connubio di sogno e di realtà, di tecnica e di sperimentalismo, di passioni e di meditazioni che calano i disincantati visitatori delle sue mostre e del suo atelier nella condizione di Nirvana propria dell’estasi artistica.
Maria Bigazzi è, dunque, un’artista a tutto tondo ed è l’unica Pioniere di MONDIMANCINI che fa parte, in questa nuova antologia, sia nella sezione immagini sia nella sezione poetica.
Sole rosso
Sole rosso, fiamma ardente
scalda il mio cuore,
come fuoco scintillante.
Nella quiete del cielo cobalto,
come fiammelle,
si accendono le stelle.
Ora i nudi alberi, scheletrici e tristi,
modellano la valle all’orizzonte.
La notte scende
e tutto ricopre con il colore
del mare profondo.
L’aria è fredda,
gelida è la brina,
ma il sole rosso
è sempre la magia.
Maria Bigazzi “Gioia“
Estate
All’orizzonte del mare,
una scia bianca, che si infrange,
fra le onde dei miei pensieri.
Voli di gabbiani volteggiano,
fra il cielo azzurro,
e i flutti dello smeraldo.
Ondeggio sulla barca,
fra le onde increspate,
come i tasti di un pianoforte,
che suonano note musicali,
profonde e melodiose.
Ecco il rimpianto del tempo,
che scorre velocemente,
e porta via con sé,
l’allegria di una vacanza,
trascorsa in piena estate.
Maria Bigazzi “Mare mio“
Ombre e luci
Ombre e luci ai miei occhi,
ricordi e realtà si confondono.
I sogni svaniscono, come la pioggia,
che scolora i girasoli,
e più non brillano, alla luce del sole.
Così i miei pensieri vagano,
fra il fruscio del vento che soffia,
sulla sabbia dorata,
dove il primo giglio
di mare è sbocciato,
bagnato dalla rugiada dell’aurora.
Maria Bigazzi “Spicchio di Mare“
La tua potenza
Cielo rosso fuoco stamani all’alba,
scaldavi le membra del mio corpo,
come il sangue che scorre nelle vene,
in questo grigio giorno.
Annunciavi con tutto il fragore,
l’arrivo del gelo polare.
All’orizzonte fiamme ardenti e vulcani
eruttanti, sopra le nuvole minacciose.
Prorompente dispiegavi la Tua potenza.
Il vento incessantemente soffiava e
cadevano le foglie dagli alberi ingialliti.
Spettacolari, nell’alba nebbiosa autunnale,
sembravano farfalle dalle ali tarpate,
che più non voleranno sugli alberi secolari.
Maria Bigazzi “Alberi“
Anna Maria Dall’Olio,
laureata in Lingue e Letterature Straniere e in Lettere, esperantista dal 2003, si è dedicata alla scrittura drammaturgica, alla poesia e alla narrativa breve, con testi presenti in antologie e calendari, riviste online e agende letterarie, e-book e pamphlet.
Ha pubblicato la silloge poetica “L’angoscia del pane” (LietoColle 2010, 2a edizione 2012), e 10 poesie rispettivamente nelle antologie “Calamaio 2009” e ”Calamaio 2011” (Book editore). Tra le varie produzioni, il racconto in mp3 “Orizzontale” (Vox Company, Padova, 2008). Da segnalare il dramma “Tabelo” (Edistudio, Pisa, 2006), scritto in esperanto.
Nel periodo 2007-2008 ha curato una rubrica sul mondo esperantista per “Incontrosaperi”, quindicinale online di arte, spettacolo e comunicazione. Inoltre, ha collaborato al numero 222 (dicembre 2007) del periodico esperantista “Kontakto” con una recensione, in esperanto, sul “Dolore” di Giuseppe Ungaretti.
I migliori risultati conseguiti: 1° classificato al Premio Garcia Lorca, sez. poesia inedita (Torino, 2006 e 2012), il Premio della Giuria al Premio di Arte e Letteratura Bergamotto d’oro sez. poesia inedita (Reggio Calabria, 2012); 2° classificato al Premio Solaris, sez. poesia inedita (Tolentino, 2007); 2° classificato al Premio Mesmer, sez. racconto inedito (Acerra, 2005), 3° classificato al Premio Giovanni Gronchi sez. autori distinti in più sezioni; 3° classificato al Premio Garcia Lorca, sez. racconto inedito (Torino, 2008).
Polveri, bianche o nere
Polveri, bianche o nere,
dolori, tutto o niente.
Comincia la partita
finale già previsto.
Sconosciuti s’attraversano
infinita sostanza del giorno.
Pezzi di vita sulla strada
pietre scabre senza profumo,
furono teneri, poi nulla.
L’annaspo. L’attacco
Trovasti l’anima mia sul selciato
candele cadute muro crollato
vasi di tristezza sconvolta.
Con mani pazienti d’uomo sapiente
d’improvviso impavido imponente
rovi intricati recidesti.
Dall’anima mia potasti la morte:
prima con grida la riconoscesti
poi la strappasti con disperazione.
Cupa danza
In cupa danza duelleremo
con chele di scorpioni.
Il mio guscio ti cederà
in pura totale fragilità.
Il nostro si dirà liberamplesso
naturale sbocco a quanto sofferto.
Primavera elettrica
Nel giardino sgocciola sporco amore
dal grembo grigiastro gronda magia.
Trilli elettrici (prove di cristallo)
brama di folgore
brama d’altezza
cascate di contrappunti confusi
musica di pietre discorde danza
i fulmini di furia porpora
gocce glaciali lamette d’acciaio.
Queste punte di freccia
colate blu-arancio
queste stelle improvvise
la morte non corrompe
la guerra non cancella.
L’arcobaleno verzica.
L’informazione dell’isola d’Ischia che va oltre l’isola
Digitale terrestre: LCN 89
www.teleischia.it/live
(streaming)
081 981991 – info@teleischia.it
Pietro Calise
è nato a Lacco Ameno (NA) dove abita tutt’ora. Si è diplomato al Liceo Classico di Ischia. Da sempre si dedica assiduamente alla lettura e si interessa di letteratura. Ama molto il cinema, la musica classica, la musica d’autore, la Francia e gli Stati Uniti poiché con il cinema e l’arte di questi ultimi è cresciuto. Ha visitato molte volte Parigi, che adora, ma non ha ancora avuto modo di recarsi negli Usa come invece desidererebbe fare. Fin da quando era bambino ha spesso raccolto in casa cani e gatti randagi, malgrado la contrarietà dei parenti, dimostrando un innato amore per gli animali. Attualmente si prende cura di un cane e di un gatto. Dichiara di amare anche il genere umano, ma con meno trasporto, precisando: “Più le donne che gli uomini, soprattutto se donne bionde”. Ha viaggiato per buona parte dell’Europa, lavorando quando necessario per sostentarsi. Nell’ultimo anno si è interessato in particolare di poesia, incappando in essa mentre una notte si trovava in stato di ebbrezza e scoprendone l’effetto catartico. Questo gli ha dato un ulteriore modo per realizzare in modo diverso la passione di scrivere da sempre presente in lui. Attualmente ha creato un buon numero di scritti in versi che pubblica su un sito di scrittura. Il suo sogno è di pubblicare un testo in edizione cartacea.
Amore scongiurami dall’inferno-
amore arretrami da questo inverno freddo-
sottraimi amore dal maligno-
amore-sento che dell’anima s’impossessa-
amore-avverto che le spalle mi cattura-
mi ruba il sangue-amore impediscilo-
hai ali gialle per farmi volare-dammele-
non ho soldi per pagarti – ma dammele-
amore tra poco e’ finito l’anno-
aggiustami questi pochi giorni-
correggili con dolce cognac-
versamelo in gole-e poi baciami-
sentirai il sapore di un uomo-
capirai la sofferenza-carpirai la fragranza-
amore l’anno è quasi finito-aggiustami l’anima-
questa anima maledetta quasi comprata dal Demonio-
lui è forte – ma posso batterlo in furbizia-
ci vuole il tuo aiuto – un aiuto di un aquila selvaggia-
bella per me – dolce per non so chi-brutale-
amore aggrappati a questo collo-
a queste gambe-a questo uomo giovane-
berremo vino e champagne-fumeremo francese-
e tutto fuori inizierà col bello-forse-
Adesso poco ti frega-lo so-cara la mia pupa-lo so-
ma quando sarò generale-
sicura non vorrai dire al mondo-di aver conosciuto sto vecchio ubriacone?
mi neghi una sillaba-poco costa-
mi neghi un abbraccio-nulla è-
mi sottrai un bacio-nulla di esagerato-
ma sei certa di non volermeli dare – poi -quando sarò generale?
a quel punto non mi serviranno più -le tue moine-non più-
perché ci penseranno i sudditi-e le corone-a dilettarmi-
con bagni caldi – sì -succhi di vino -sì- unguenti preziosi – senz’altro!
io -con i miei pantaloni ormai stanchi – beatificati però – ai tumultuosi occhi-
convinta bambola-
che allora non rimpiangerai – di averli solo tu toccati?
Allo specchio sei…….
Allo specchio sei meravigliosa-
risplendi nel crepuscolo-
accarezzi il tuo prediletto seno-
sfavillante sei nelle tue forme-
lussureggiante come spiaggia caraibica-
prorompe il tuo aspetto come cielo in fiamme-
salva anime cattive il tuo sguardo-
annichilisce i potenti del mondo il tuo polpaccio-
ti osservo dal mio letto-e fattezze di angelo carpisco-
allo specchio bianca e’ la tua pelle-bianchissima come corallo-
pulita e fresca come torta di mele-
sei inebriante come vino secco in eccedenza-
allo specchio sembri rinata dalle vette più alte dei monti-
innevati – guardinghi -maestosi e potenti-
Essendo migliore -stamane-
Essendo migliore – stamane- mi sento meglio-
essendo con l’erba e la pioggia-comincio cantando-
non uniformandomi-galleggio-
non cedendo-riposo meglio-
guanciale scolpito sulla mia guancia-
soffrendo-godo meglio – vino e sigaretta-
piangendo-non piango-e riposo meglio-
pensando-mi appago-
il mio triste amore vive in me-e in me si conclude-
sembra forse misantropia -ma forse si sbagliano tutti-
nel non essere ripagato-guardo il verde e l’asciutto-
e provo piacere e gioia-e sofferenza insieme-
perché forse saremo vecchi – e tutto finirà!
Barbara Lo Fermo,
una delle prime autrici di poesia aderenti al progetto “Mondimancini”, è nata e vive a Palermo.
Ha conseguito il diploma magistrale e per un anno ha insegnato presso una scuola materna.
Molteplici interessi l’hanno spinta in passato ad occuparsi anche di sport mediante la realizzazione di album fotografici dei più importanti rappresentanti del calcio italiano.
Comincia a dedicarsi alla poesia a partire dal 2006, e, come spesso accade per chi si avvicini a questo stile di scrittura, l’impulso a comporre versi le è venuto da forti emozioni causate da avvenimenti poco felici che l’hanno coinvolta.
Da quel momento, la sua passione per la poesia è aumentata sempre più e questo nuovo interesse le ha permesso di entrare in contatto con un ambiente culturale che, di giorno in giorno, la stimola e la invoglia a proseguire sulla strada della poesia.
Il tuo ricordo
Alzo gli occhi e io ti penso.
Il tuo ricordo mi rimbalza
in testa
anche se oggi i nostri cuori
sono lontani.
Non dimenticherò
mai
quei dolci baci
sulla spiaggia
sotto il chiaro di luna
e il rumore delle onde…
Il ricordo di te amor mio
Dalla finestra vedo il mare,
e il chiarore della luna mi porta in mente
il ricordo di te
dolce amor mio
e di quei baci che ci scambiavano
in spiaggia
sotto il chiaro di luna
accompagnati dal dolce rumore delle onde.
Siamo oggi lontani
ma quei sentimenti travolgono ancora
rimbalzando nel mio cuore.
Un triste addio
Fu per me
come un torrente straripato
il nostro grande amore.
Il tuo ricordo è vivo dentro me.
Ora, quando ci vediamo,
solo l’indifferenza ci accompagna.
Senza cadere
Il tempo.
Guarisce le ferite del cuore.
Ti aiuta a rimettere in sè i tuoi frammenti.
Ti indica la strada.
Lasciati guidare dalla voce del cuore.
Attimi di riflessione e meditazione.
Troverai la forza per andare avanti senza cadere.
Teodora Gandolfo
è nata a Castelvetrano ed è residente a Palermo.
Ex insegnante, ex impiegata, poliglotta, ha l’hobby della poesia e ama la letteratura.
Il suo animo solare la rende solidale con tutti e sensibile verso i bisogni altrui. Sa comunque capire ed apprezzare il mondo con tutte le sue contraddizioni. Per questo si occupa dei diritti dei malati oncologici e della salvaguardia dei diritti umani.
Ha scritto diverse poesie e sta ultimando un libro che pubblicherà nel 2013.
Profondamente cattolica è molto attenta all’etica, alla moralità, all’onestà e al comportamento dei giovani nella società.
Pubblicista, ha creato come Direttore la rivista oncologica “La nostra voce” ed ha aiutato ed aiuta i meno fortunati.
Si prefigge di allargare la sua Associazione portando un sorriso ai bambini ricoverati e ai carcerati, ai poveri di Biagio Conte (MISSIONE E CARITÀ). È apprezzata da tutti per la sua equità in tutto quello di cui si occupa regalando un sorriso e speranza a tutti.
Apparenza
Rido, gioco,lavoro, parlo
cerco di occuparmi tanto
di tener lontano
quei ricordi lieti
e quei pensieri tristi
che mi porto dietro
che mi sono accanto.
Trapelare non faccio
i miei sentimenti
una maschera falsa
a tutti io rivelo
e così mi vedono
gaia eppur cambiata
e pensano ingenui,
che per me sia andata.
Eros
Avevi quattro zampe
purtroppo
un nome insolito
tutte le qualità
della razza tua
Eros
fedele amico,
attento confidente
con gli occhi rispondevi
parlare non potevo
Eros
nei miei pensieri sempre
indelebile nel mio cuore
coerenti con il tuo nome
mi hai dato tanto amore
Eros
mio folletto gaio
piccola ombra mia
eri quel timido bambino
che non ho avuto mai
sotto il tuo buffo aspetto
di piccolo animale
Eros
somigliarti l’uomo dovrebbe
meno delusioni e in più affetto
nella sua vita di sicuro avrebbe.
Metamorfosi
Vivo l’oggi dell’esistenza mia
con occhi spenti cammino per la via
per un vicolo cieco, poco illuminato
cimitero augusto del mio triste passato.
Sui muri imbrattati spicca un nome un tempo caro
è scritto con il sangue con il mio dolore
annerito dell’aria, essiccato dal sole
sembra lo stesso marchio inciso nel mio cuore.
sepolto il mio io riposa in pace
in quella via, fra quelle pietre
la sua agonia non ha più voce
il suo lamento da tempo il vento tace.
Libera mai sarò come il gabbiano
anche se lontano è il mio guardiano
la porta aperta, rimasta spalancata
non serve alla mia anima malata.
Come Pinocchio sono un burattino
recita un assolo nel mio giardino
l’astuta volpe furtiva s’è allontanata
e rubandomi tutto, m’ha pure intrappolata.
Poche sono le pagine a mia disposizione
la vita mia è stata una fragile illusione
il mio cammino segnato è già alla fine
il destino nulla per me ha da riservare
grave, svuotata , mi lasco andare
non ho più forza, né volontà di lottare
il bivio è vicino lungo e senza luce
sono ma viandante stanca, senza più voce.
Sicilia
Questa mia terra
Tanto chiacchierata
Come una cocotte
Da tutti spogliata
Da mani ingorde
Vilmente deturpata,
io l’ho nel cuore
nel sangue, nella mente
le voglio bene
l’amo svisceratamente.
Claudio Michetti
nasce il 10 Novembre 11/1963 ad Acquasanta Terme (AP). Scultore, poeta per passione, dice di sé: “ Sono come un giullare ribelle nell’evasione dei pensieri, un mitico asceta che va danzando sulle linee sinuose delle forme”
Una sua frase: “…In quel profondo vuoto di Assenze e Mancanze
cerchi di costruire abili tasselli concatenati per omaggiare l’esistenza del Futuro…”
Sentire il Silenzio
Eravamo fermi in un riposo di costa.
La parola che aiutava quel momento
a prender fiato si diffondeva tra le foglie
ed echeggiava sulla valle.
Non si capiva nel discutere
cosa si copriva, cosa stavamo perdendo
presi dall’ardore e da un vizio del vivere.
Ma quando ci fermarono per sentire il silenzio,
si aprì in noi un altro mondo…
In quel breve brevissimo istante
ci accorgemmo dell’esistenza
di un ascolto capace di darci molto.
Un ascolto assoluto…
Tanto da percuotere per quell’ attimo
il nostro sentire interno e acquietare
non solo la fatica del salire
ma l’affanno del procedere quotidiano .
Habitat
Le piante sembrano danzare
quando il vento s’alza
lungo la valle del RIO.
Tutti i rami si piegano
e nel dondolio leggero e audace
le foglie vibrano
lasciando nell’aria
quel brusio che concerta
tutto il paesaggio.
un quadro musicale
che arricchisce il mio animo
e sento che con il passare del tempo
Vi è un avvicendamento simbiotico,
una totale immersione,
in questo mare di verde.
Vorrei così anch’io
essere trascinato dal vento
poter sentirne
la sua velocità
e planare nei colori spiccati
di questa natura.
Il dono di un attimo
Solo un Attimo,
un lungo respiro
per ammirare i tuoi occhi
per accarezzare con lo sguardo
il tuo volto luminoso e radioso.
Solo un attimo
per averti per sempre
per stringere la mia mano al tuo cuore
e sentire la dolce melodia del tempo.
Rinascere
Vorrei Cercarmi
nelle Infinite Vie della Memoria
In Tempi Lontani
che scorrono su Fiumi Impetuosi.
Vorrei Riconoscermi
In quel che Sono
Sono Stato
e che Sarò
Sentire così la mia Mente
Adagiata su di un Prato Fiorito
mentre assapora
Il Vento fresco del Mattino.
Nata ad Aradeo, la poetessa Maria Teresa Manta è anche scrittrice di narrativa e collaboratrice del quotidiano “2Righe.com’’, ed è presente in molte antologie e riviste nazionali ed internazionali.
Barbara Filippone ha scritto di lei:
Protagonista questa volta della mia sesta recensione, in questo percorso di weekinprogress, è Maria Teresa Manta con il suo libro di poesia.
…“Oltre la diga della sclerosi dei sentimenti sopiti” combatte il dolore più grande che una madre possa mai immaginare di dover sostenere, sì perché la perdita di un figlio provoca smarrimento, devastazione, un’agonia che non ha mai fine ma un dolore che comunque deve essere sostenuto; così la nostra autrice diventa interprete di questo dolore, con la volontà di andare oltre ma senza dimenticare, combattendo la sua sofferenza con amore e a testa alta…. lei ha affrontato il suo dolore con tanto coraggio, lo stesso coraggio con cui altre madri affrontano quel dolore che la morte provoca, che riesce a rompere qualcosa che pensavano non potesse andare distrutta e invece così non è.
… Maria è un’insegnante in pensione cresciuta a pane e libri, con un percorso letterario iniziato prestissimo. I suoi scritti da bambina erano considerati dalle sue insegnanti dei veri e propri poemi
… Maria vorrebbe senz’altro gridare di riscoprire l’amore vero, sincero, forte, quello che non vive d’ipocrisia, ma che si fa forte unicamente del suo essere immenso per potersi manifestare, l’Amore fatto di “cuore aperto” e non fatto di parole vacue, vuote, inutilmente gettate… per lei scrivere non è un gioco né un passatempo o un’opportunità, ma è la sua stessa vita di cui non può fare a meno, mettendo tutta se stessa a disposizione dei lettori che con lei amano, soffrono e rinascono a nuova vita.
Cecilia Piscioneri ha scritto di lei:
…Nelle poesie dell’autrice si avverte proprio questa continua pugna, l’eterna battaglia dell’essere umano che oscilla sempre tra la noia ed il dolore. La presenza della luna è costante. è la luna che con il suo chiarore notturno illumina gli amanti…
Le poesie emanano un calore umano sentito, a volte doloroso e pregnante di nostalgia, di logorante angoscia… attutiti dagli amorosi affetti. L’autrice non si sofferma nel cerchio delle affinità familiari ma effonde il suo canto di dolore verso altri lidi. Nei tragici lidi, dove la guerra passata e presente continua ad imperversare…
Il mattino
Nasce il mattino splendido di luce
e illumina gli occhi della vita .
Sveglia il sorriso del sole la natura,
timidamente i fiori schiudono il profumo
dei petali al giorno e al canto degli uccelli.
Danno le cicale, il cambio ai grilli,
gioiose cantano la festa della vita.
Copre quel suono il tuo pianto,donna,
mentre accarezzi il rugoso volto
del tuo uomo malato e stanco
e gli offri un sorriso…
Tristemente trascini il cammino del tuo
dolore muto che squarcia l’orizzonte,
della morte assassina che ti strappa
il cuore !
I Poeti
Il suono lontano di un violino per strada,
scalda il silenzio della notte sulle note nostalgiche
del pianto della tua nostalgia, musicista distratto,
che atterri il tuo buio in un sorriso e prendi il soldo che
ti viene porto e guardi lontano, oltre il muro del pianto
e della malinconia ed offri un sorriso in cambio,
poi, nel silenzio della tua solitudine, scaldi il dolore
e lasci abbondanti lacrime riempirti gli occhi,
rigarti il volto…
Appassiscono tardi i dolori o forse mai, immortali sono
come l’angoscia che ti porti dentro perenne ed infinita,
come la voglia di lei e il desiderio che nascondesti
e che fu solo tuo, tuo soltanto, SEMPRE!
I poeti ascoltano, raccontano, narrano di sogni,
cercano tra i ricordi, trovano la pace nei loro silenzi,
nei loro muti, dolorosi silenzi, cullati al suono dei ricordi
Se potessi
…e se volessi raccontarti di me,
se potessi raccontarti di me,
ascolteresti il mio pianto,
sentiresti forti le mie parole,
toccheresti con mano le mie
emozioni,
sapresti capire,vorresti capire,
sentiresti il mio tormento,
riempiresti il mio vuoto,
colmeresti di te le mie nostalgie?
Oh, dolce figlio, se potessi raccontarti
di me,
se sapessi raccontarti il mio pianto
e il vuoto che ho dentro,
se tu potessi ascoltare, se tu potessi
capire, se tu potessi colmare di te
le nostre distanze,
riempire delle tue parole
questi nostri silenzi …
Se volessi, se potessi, se tu ascoltassi,
se solo tu ci fossi!
Estate
La peggiore estate della mia vita,
a raccattar di stelle i cocci
in cieli bui, sconfinati
come la mia solitudine
sola nei ricordi
persa dietro affetti persi,
a rimembrar di cari volti assenti,
di vuote, incessanti presenze
vive nel cuore,
vive nella mente,
assentiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Non torna il tempo
e TUTTO è vuoto dentro…
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Io c’ero!
Belga o danese o olandese calamitò la mia attenzione
Il 23 Maggio 1959 avevo da poco compiuti i 16 anni, andavo in bicicletta da oltre 10 anni e ad Ischia circolavano più carrozzelle che automobili.
Ricordo ancora che il mio primo incidente stradale consistette proprio nel tamponamento ad una carrozza che transitava sul primo tratto di strada che da Piazza Degli Eroi conduce al porto.
Spericolato come lo sono la maggioranza dei ragazzi di quella età, andavo ad andatura veloce tanto che i freni non riuscirono ad evitare l’impatto.
Mi infilai tra le due ruote posteriori della carrozza impattando contro la balestra che le reggeva per poi, sbattendo la fronte sul cuscino del sedile, rotolare a terra per qualche metro.
Il cocchiere, spaventatissimo dall’incidente che a sua memoria non si era mai visto prima (sic!), dopo essersi assicurato della mia incolumità, mi dette la pessima notizia che avrebbe dovuto riferire l’accaduto a mio padre anche per ottenere il risarcimento del danno subito alla “carrozzeria”.
Detto fatto, mio padre mi requisì la bici per un periodo indeterminato… ossia fino ad un mio totale ravvedimento che, tuttavia… non indicava quando lui avrebbe deciso che fosse avvenuto!
Sapeva di avermi dato un enorme dispiacere, ma la sua tenacia nel pretendere il rispetto di noi figli per tutte le forme di educazione sociale era più forte in lui di qualsiasi benevolenza per i nostri errori.
Fu durante tale mia forzata astinenza che il Giro d’Italia giunse sulla nostra isola!
Cosa avrei potuto desiderare di più che parteciparvi in maniera diretta?
Nulla.
E mio padre lo sapeva.
Così, il giorno prima della partenza della tappa, mi disse che la punizione continuava… ma che avrei potuto seguire la tappa del Giro d’Italia in diretta su un’auto dell’organizzazione!
E vaiiiiiiiiii! Una notte insonne!
All’alba già ero a Piazza degli Eroi.
Ora. chiaramente, dopo oltre 50 anni molti ricordi sono svaniti, alcuni sono offuscati, ma altri sono restati nella mia mente più saldi di tanti avvenimenti, anche recenti, che hanno costellato in maniera pure importante l’arazzo della mia vita.
Quella mattina, la ricordo luminosa, forse assolata, la temperatura tiepida come spesso a maggio, quella mattina presi posto sul sedile posteriore di un nuovo modello di auto Fiat che in quegli anni era stato immesso sul mercato con la sigla di “Nuova 500”.
Tettuccio in tela apribile.
Alla guida c’era il veterano della commercializzazione delle auto ad Ischia, tale Aurelio Bondavalli, padre degli attuali noti gestori di night.
Io, in piedi sul sedile posteriore con tutto il corpo ad di fuori del tettuccio apribile.
Il compito del team presente nell’auto consisteva nel seguire un corridore, di cui non ricordo il nome, essendo tutti pronti ad intervenire in caso di guasti meccanici, cadute, forature, cambio ruote ecc.
Ovviamente, io non ero in grado di effettuare nessuna di quelle mansioni, ma mio padre, chi sa come, era riuscito a “sistemarmi” in quella che sapeva benissimo essere una posizione da me ambita come nessuna altra. Si era fatto perdonare molto abbondantemente l’intransigenza per l’astinenza alla quale mi aveva condannato.
La tappa (era l’ottava di quel Giro) come ormai tutti sapranno era una cronometro individuale sul circuito esterno dell’isola d’Ischia: partenza da Piazza degli Eroi in direzione Casamicciola ed arrivo nella stessa piazza dopo aver attraversato tutti i sei Comuni ed essere transitati per la Piazza di Serrara Fontana.
Vi partecipavano più di un centinaio di corridori e tra essi il mattatore delle salite Charly Gaul.
Erano gli anni in cui i “vecchi ” Bartali, Magni, Coppi (Coppi morirà l’anno successivo nel 1960) venivano sostituiti da personaggi emergenti come Nino Defilippis e Baldini che opponevano però scarsa resistenza ai campioni stranieri quali l’eccezionale scalatore Federico Bahamontes (soprannominato l’aquila di Toledo, fortissimo in salita fino a vincere per sei volte la classifica della montagna al Tour, ma che in discesa era una frana tanto da scendere sovente dalla bici!) mentre si affaccia sul palcoscenico internazionale un tizio dal nome “Anquetil” che avrebbe monopolizzato la scena ciclistica per molti lustri.
Fin dal primo momento dell’incontro con il nostro “Capo equipaggio” tutta la mia attenzione fu presa dall’incarico ottenuto e dalle attenzioni per il corridore che avevamo ricevuto in consegna, e che, poiché come ho detto non ricordo il cognome, per comodità, o forse per un barlume di memoria, indicherò come DIK.
Era di nazionalità belga o danese o olandese.
Né campione né brocco calamitò la mia attenzione distogliendomi da qualsiasi altra curiosità.
Quando gli fu dato il via, DIK si alzò sui pedali spingendo un rapporto che mi resi subito conto essere mostruoso se paragonato a quelli presenti sul cambio Campagnolo a tre rapporti con il quale era attrezzata la mia fantastica bici nera “Bianchi”.
Con cinque pedalate era giunto al punto del mio impatto con la carrozzella e nel frattempo noi ci eravamo mossi solo di pochi centimetri dal punto di partenza!
Il “Capo” si rese conto con costernazione, non imprecava ma borbottava in bolognese, che bisognasse chiedere prestazioni eccezionali alla piccola auto per tener dietro il missile su due ruote… tanto che il povero motore a due cilindri fu quasi sul punto di fondere, uscendo fuori giri, nell’ardua impresa di farci raggiungere DIK, ossia di metterci nella sua scia, nei pressi del rione Sant’Alessandro, circa all’altezza del primo belvedere.
Fu lì che, calmata la nostra furia inseguitrice, potei fissare la mia attenzione alla sua pedalata.
DIK aveva polpacci non tanto grandi ma con i muscoli che ad ogni pedalata parevano venir fuori dalla pelle, ed aveva una vena piuttosto marcata a forma di doppia esse sul polpaccio della gamba destra, la quale, simile ad un palloncino si gonfiava in sincronia con lo sforzo richiesto dalla pedalata.
Fu un momento indimenticabile ed ora posso affermalo, indimenticato, che durò fin dove attualmente c’è il Parco Termale Castiglione.
Per circa un chilometro, infatti, ebbi il grande privilegio di seguire a ruota un ciclista professionista partecipante al Giro d’Italia… poi giunti al Castiglione, DIK iniziò a sfrecciare in discesa tanto velocemente che non lo raggiungemmo più fino ben oltre la Chiesa del Ciglio.
Non lo raggiungemmo, però durante quello sfrenato inseguimento la mia posizione simile a quella di una vedetta sull’albero maestro di un veliero me lo faceva intravvedere sbucare in fondo a curve distanti anche qualche chilometro da noi.
Aurelio Bondavalli pigiava sull’acceleratore con tutta la tenacia e con tutta l’esperienza dei suoi anni di giuda e mi chiedeva continue informazioni: “Dov’è? Dov’è?” in una cantilena senza soste;
il terzo membro dell’equipaggio, seduto al suo fianco, veniva sballottolato a destra e a sinistra come una carta in una corrente d’aria nel vento di scirocco e forse per la paura della folle corse era completamente ammutolito; io provavo il brivido della velocità e nello stridore delle ruote durante le derapate gustavo l’estasi di ammirare quei rari fotogrammi in cui DIK sbucava da una curva inclinato di almeno 30° sull’asse della strada!
Facevo il tifo per il ciclista in fuga dalla nostra auto, come ero solito fare quando i film western in voga durante quegli anni proponevano scene di indiani (presentati come i “cattivi”!) inseguiti dalla cavalleria (ovviamente “buona” e composta da gentiluomini!) che li braccava per privarli (a giudizio dei conquistatori “giustamente”) delle loro terre e delle loro donne.
Lo raggiungemmo sui tornati che conducono a Serrara Fontana faticando anche in salita a stargli dietro fino a quando, giunti nella piazza di Serrara, DIK si alzò per tre secondi togliendo le mani dal manubrio, respirò forte, si chinò sulla leva del cambio, fece scattare la catena sul rapporto più esterno… e non lo vedemmo più!
Arrivati al traguardo, seppi che era giunto da qualche minuto e che ormai si trovava forse già in albergo!
Nemmeno un autografo mi è restato di quel giorno!
Poi, da successive informazioni, seppi che non si era classificato nemmeno tra i primi 30, cosi che, per molti anni, continuai a domandarmi cosa fossero stati capaci di fare i corridori che l’avevano preceduto!
Tornai a casa con gli occhi che vedevano solo biciclette, tanto che non riuscii a capire subito se quella che scorgevo parcheggiata davanti al cancello del nostro ingresso fosse veramente, e lo era, la mia “Bianchi” nera con cambio Campagnolo a tre rapporti, finalmente messa di nuovo a mia disposizione dalla tenerezza di un burbero cuore paterno.
Bruno Mancini
“L’isola dei miei vent’anni” – un pugliese a Ischia
Quante volte ho sentito questa storia da mio marito e sempre questo nome: Ischia, Ischia, Ischia.
E quante volte mi ha promesso che mi avrebbe portato a visitarla, questa meravigliosa isola? Tante, ma è rimasta solo promessa… mai mantenuta.
Adesso si ripresenta di nuovo nelle nostre vite e il suo nome riecheggia ancora tra le pareti di questa casa e così, anche se io la conosco a memoria, mi faccio raccontare per l’ennesima volta la storia di quegli anni trascorsi là, perché lui ha un modo tutto suo di narrare e ogni volta c’è un aneddoto diverso.
Giacomo, è questo il suo nome, quando arriva a Ischia da Milano, nel novembre del 1965, ha 19 anni.
A Milano la congiuntura si fa sentire già da un po’.
è la prima grande crisi economica dopo la fine della guerra. Per alcuni mesi ha lavorato come cameriere al Savini, ma il lavoro comincia a scarseggiare, l’inverno si avvicina e non se la sente davvero di alzarsi all’alba per poter essere tra i primi a far la fila e riuscire ad accaparrarsi l’ingaggio come spalatore di neve. Ha fatto così, durante la famosa nevicata del marzo precedente, per pagarsi la pensione.
Qualcosa comunque bisogna fare, i soldi sono pochi, la fame aumenta e di tornare a casa non se ne parla proprio.
Un amico ischitano, Mario, nelle sue stesse condizioni, gli propone di partire con lui per l’isola campana. Lo zio ha una trattoria e chissà…
Lo guarda incredulo: e lo dici adesso? Hanno sperato tanto nel nord…e vuoi vedere che il lavoro lo trovano al sud?
Partono senza un soldo in tasca, la valigia quasi vuota e senza biglietto, tant’è che a Roma vengono beccati dal controllore, il quale fa loro il verbale che arriverà puntuale a casa.
Quando giungono a Napoli è ormai sera e non ci sono più traghetti. Non resta che rimanere nella galleria Umberto I fino all’alba, con lo stomaco che brontola.
Alle prime luci del mattino, i due ragazzi vanno verso il porto per vedere come riuscire a farsi dare un passaggio. Chiedendo in giro, si imbattono in un capitano di Ischia porto, che conosce benissimo lo zio di Mario, in quanto spesso va da lui a mangiare e non solo li fa salire a bordo, gratuitamente, ma li invita pure a pranzare alla sua tavola.
Con lo stomaco che si torce per la fame, possono mai perdere una occasione simile questi due giovani di neanche vent’anni? Ed eccoli che spazzolano fino all’ultima briciola quel piatto fumante di zitoni al pomodoro, godendosi, poi, beati, il rollio del traghetto. Finalmente alle 15, o giù di lì, scendono sull’isola.
Com’è diversa dalla caotica Milano. Poche macchine e la gente non si affanna sulle strade.
C’è odore di mare e di cucina al porto, dove qualche pescatore cuce le reti e altri si crogiolano al sole di novembre, che solo là è ancora così tiepido, e c’è chi, con la ramazza in mano, discorre tranquillamente con il proprio vicino o con la massaia che sul balcone stende i panni.
Si sente gli occhi addosso, Giacomo. Non hanno l’aria di essere turisti, quei due, e la gente di mare, l’odore di chi cerca lavoro, lo sente lontano un miglio.
Purché lavorino e non facciano danni, questo interessa e nient’altro.
Finalmente arrivano davanti alla piccola trattoria dello zio di Mario: “Da Emiddio”, che quando vede il nipote”Mariettino”, così lo chiama, gli fa un sacco di feste.
È un uomo semplice, allegro, dalla battuta pronta e, dopo aver ascoltato le ultime traversie, li fa subito accomodare, pronto a servire loro un buon pranzo, nonostante siano più o meno le 16. I due ragazzi, pur se hanno mangiato a bordo del traghetto, con il capitano, non se lo fanno ripetere due volte.
La fame è tanta. Spaghetti al pomodoro e una frittura di pesce spariscono in men che non si dica e quando l’appetito si è placato, Emiddio dice che, se vogliono, il lavoro l’hanno trovato….
Se lo fanno ripetere? Certo che no! Possono cominciare il giorno dopo e fa di più, quell’uomo schietto e senza tanti peli sulla lingua: con la sua seicento multipla, sul celeste, accompagna Mario a Sant’Angelo, suo paese natale, e Giacomo in una casetta di sua proprietà, dove può fermarsi fino a quando non troverà di meglio.
Il giorno dopo Giacomo è pronto a cominciare, alternandosi tra cucina e sala, dove Mario, servendo piatti semplici, ma cucinati con amore e passione da Emiddio.
E così è un via vai di coniglio in umido, spezzatino di vitello, spaghetti al pomodoro o alle vongole, e linguine agli scampi e frittura di pesce o pesce alla griglia, né manca l’aragosta e poi pastiera e babà.
A proposito di babà, ricorda che Emiddio, una volta, forse esagerò con il lievito perché quando mise nel forno caldo l’impasto, questo “crebbe” così tanto, che cominciò a fuoriuscire, inondando letteralmente il pavimento della cucina.
Non crediate, comunque, che gli avventori di questa piccola trattoria siano solo persone comuni, perché Emiddio si sta facendo una bella fama: la sua semplicità, la sua allegria (che si affievolisce quando una sua figlioletta torna al cielo), la sua schiettezza e, soprattutto, la sua buona cucina, fanno sedere alla sua tavola, tra gli altri, Luchino Visconti, Marcello Mastroianni, Fellini e la Masina.
Trascorrono, dunque, alcuni mesi. Giacomo è riuscito, nel frattempo, ad avvicinarsi a Ischia porto, avendo preso in fitto una stanza, proprio in casa del capitano.
Da Emiddio si trova bene, ma ha bisogno di guadagnare qualcosa in più e lui lo capisce. Quel qualcosa in più glielo offre il proprietario del bar Italia, dove, rimanendo tutta la primavera del ’66, ha modo di conoscere anche Sergio Bruni, Roberto Murolo, Fred Bongusto, che, quando si trovano sull’isola, si fermano lì per bere qualcosa.
Sempre per migliorare le sue entrate, in estate va a lavorare all’albergo Conte, come cameriere.
Gli ho chiesto: “Ma qualche volta andavi al mare?”
“Macchè, del mare sentivo solo l’odore”, mi risponde.
Infatti, unico suo svago, dopo il lavoro, è trascorrere un po’ di tempo al Garden rose, un bar dove incontra cuochi, camerieri, barman, tutte persone che, come lui, sono a Ischia per guadagnarsi da vivere. Ed è proprio in questo bar che sente parlare di un posto come commis di cucina al Moresco, un rinomato albergo a 5 stelle.
Qui si appassiona alla cucina, tanto che lo chef, vedendone le qualità, lo invoglia ad iscriversi alla scuola alberghiera, presso l’hotel Vesuvio di Napoli, che con sacrifici riuscirà a frequentare, nonostante, a tarda sera, faccia anche il barman in un night aperto da poco, la Carrozzella.
A pochi metri da questo locale c’è un ristorante di prima categoria, il Bounty, gestito da napoletani, due fratelli e una sorella, che sul porto di Napoli ne hanno un altro, di ristorante, il Peppone a mare. Fa amicizia con uno dei proprietari, il quale, vedendo che è un tipo sveglio, gli propone di andare a fare il cameriere da loro, tanto più che aprono solo la sera. La paga è buona e poi ci sono le mance. Ci va dopo essersi licenziato dal Moresco, dov’è rimasto quasi un anno.
Mi fa vedere alcune foto, una che lo ritrae al “Carrozzella”, con la giacca bianca da barman, e una scattata proprio al Bounty. Ha voluto vederlo com’è adesso. L’ho cercato su Google.
“Mado’, e che ci hanno fatto un pub?! Noi all’epoca dovevamo servire rigorosamente con guanti bianchi ed era uno scorrere di champagne e aragoste che tenevamo al fresco e pronte all’uso nel mare, a due passi dal locale, e i primi piatti si servivano alla lampada, davanti al tavolo del cliente.”
Ricorda come nacque un piatto che fece furore. Fu la sorella dei due proprietari a chiedere al cuoco di inventarsi un piatto veloce da servire ai clienti nottambuli, quando uscivano dal night. Ed ecco lo “scarpariello”, un piatto di “mezzani” semplicissimo, a base di pancetta, pomodoro e peperoncino, diverso dall’amatriciana, perché aveva un suo segreto. Ebbe un così grande successo da far dimenticare ai ricchi signori pesce e aragoste.
A proposito di ricchi signori, ne ricorda uno, in compagnia di una giovane donna e proprietario di un panfilo, che all’epoca pagò un conto di circa 300 mila lire, senza battere ciglio, lasciando per tutti anche una lauta mancia.
Di quei tipi ne vedrà passare tanti, chiedendosi, ogni volta, come si fa a fare tanti soldi… e se si rimane onesti, a farne tanti.
Al Bounty rimane fino a dicembre ‘68. A Natale, dopo quasi tre anni, torna in Puglia, convinto di risalire dopo le feste, ma il padre, commerciante, ha bisogno di lui e lo costringe a rimanere al paese.
Per evitare il legame con l’isola, la mamma arriva a strappare anche le lettere di Anna (non sono io), una ragazza ischitana che aveva cominciato a frequentare.
Glielo svelerà anni dopo, la madre, ma ormai è troppo tardi…e sarà tutta un’altra storia.
Eppure, di quelle stagioni a Ischia, di com’era quella magica isola, non ha mai dimenticato niente: le strade, gli odori, la gente, sono tutti impressi nella sua mente. Per anni ne ha parlato e adesso mi confessa che, quando qui si alza il vento, gli pare di sentire ancora il profumo di quel mare.
Anna Alessandrino
L’indomabile fragilità di Alessandra Calabrese:
“Essere un’attrice, è un’intima necessità”.
“Soltanto il volto è impudico, perché soltanto il volto, rivela la nostra intima
personalità, ciò che siamo.
Il corpo invece, ha la facoltà di tracciare nello spazio, grandi linee che distraggono da quelle della nostra forma.
Così facendo, sostituisce il disegno di ciò che siamo con quello che vogliamo“
Etienne Decroix (citato da Alessandra Calabrese.)
Il volto di Alessandra Calabrese mi appare quello di una giovane donna, con intensi occhi scuri, un’incarnato bianco-olivastro, dal quale traspare: bellezza, vivacità e “un’indomabile fragilità”.
Alessandra ricorda una bellissima infanzia: asilo già a due anni, felice di frequentarlo essendo una bambina curiosa e socievole; giochi nei vicoli della piazzetta di San Giovanni, a Forio d’Ischia in compagnia di un folto gruppo (da 6 a 2O) di amichetti; lunghi periodi nei pressi di Giffoni, dove i nonni materni avevano una fattoria con ogni sorta di animali.
Nel 2001 si laurea, con il massimo dei voti, in “Scienza delle Comunicazioni“, con una tesi sperimentale in “Semeiotica del teatro”.
A Napoli consegue il diploma di Mimo e Attrice lirico concertistica, ottiene inoltre la qualifica di “Esperto in regia cinematografica“
Lavora in “La Lucilla Costante” per la regia di Michele Manetta, spettacolo replicato anche a Budapest.
Lavora con Daniele Mattera ne i “Blues ” di T.Williams e in “Appunti di viaggio” e tanto altro…
Da che ha memoria, Alessandra ha desiderato “Essere un’attrice, è un’intima necessità. Tu sai che devi fare Quello. Il teatro, la Recitazione rappresentano per me il desiderio di PORTARE FUORI e DI DARE. Io sento di voler comunicare agli altri Emozioni: se una persona, ascoltandoti, prova una emozione allora sì, che hai fatto qualcosa di Bello, altrimenti non serve a niente“.
In fondo non le interessa diventare famosa, se non nella misura in cui “più sei conosciuta più lavori, quindi puoi esprimerti e Dare… Quello che mi interessa è vivere del mio lavoro, in modo che possa dedicarmici completamente“.
Come sosteneva Etienne Decroix “Il Talento è fondamentale, ma Talento, senza grandi capacità tecniche, studio e lavoro, può farti fare una cosa eccelsa, una tantum, poi basta“.
Da qui la differenzazione tra Artigiano e Artista: cioè se una persona studia molto, acquisisce bene le tecniche e sarà una buona artigiana della Recitazione, ma solo se possiede anche Talento, sarà un’Artista.
Per Alessandra l’amicizia è uno dei valori più importanti nella vita,ed è anche dall’amicizia che nasce “Gioco di Dame”: cinque ragazze, un unico sogno, e quando si insegue un sogno, i sentieri che la vita riserva sono vari e incomprensibili…
Lungo il cammino ci siamo incontrate, le nostre anime si sono riconosciute come compagne di viaggio ed è nato”Gioco di Dame teatro”.
All’inizio di questa presentazione ho scritto, evidenziandolo, che dal volto di Alessandra Calabrese traspariva “un’indomabile fragilità”, con ciò ho voluto dire che raramente ho incontrato persone delle quali, pur porgendosi loro con umiltà, con estrema gentilezza e mostrando anche molto della propria fragilità, non potresti scalfirne le sicurezze… anche volendolo.
Forse è saggio concludere con Pirandello (Uno nessuno e centomila): “Di ciò che posso essere io per me, non solo potete sapere nulla voi, ma nulla neppure io stesso“
Marina De Caro
LE PROFEZIE SOTTO VOCE
La Poesia di Roberta Panizza
La poetica di Roberta Panizza è, ad una prima lettura, laconica e riservata. Nelle sue poesie ogni verso armonizza con gli altri, ogni pensiero viene espresso in uno stile che sembra filigrana. Paragono la sua poetica alla sottile tela di ragno, una rete in colori patinati, piena di gocce di rugiada che risplendono nel sole con sfumature tanto più ricche quanto più intensi e luminosi sono i colori. Appaiono anche simili a tante piccole foglie che mostrano un disegno, o meglio una mappa dettagliata e inimitabile, che riflette la vita di un albero o anzi la vita di una intera foresta. Nelle poesie di questa autrice scopriamo, poco a poco, la profondità filosofica e metafisica fatta di gusto perfetto e delicata eleganza che la rendono più semplice da accogliere e anche più simile ad alcuni riti antichi, ad alcuni salmi, non per la sua costruzione, ma per il suo spirito. Le poesie di Roberta Panizza sono poesie che può comporre solo una persona che ha l’obiettività necessaria per essere saggia e che ha il coraggio di essere tenera, sempre giovane, sempre aperta:
Altri pianeti percorrono
il grande cielo mascherato d eterno
e silenzioso
ma noi disconosciamo il tempo
intrecciando nel rotondo danzare
le nostre aritmiche melodie.
La sua poetica scopre la capacità di osservazione contemplativa:
Ha strani contorni
il nulla scisso
in mille tonalità di vuoto
curvo in miriadi
di voluttuosi cirri.
Al primo attimo, gli sfoghi delle sue pulsanti emozioni sorprendono con la loro forza improvvisa e appassionata, ma anche questi sfoghi sono tutti logicamente composti sia nel ritmo della poetica armonica di Roberta, sia nella composizione, sia nel senso:
Ma non ti trovo
tra questi figli carichi delle colpe dei padri
che trascinano
esistenze imbastite dall’odio
e dal risentimento.
E poi, in un’altra poesia lei dice:
No,non posso con gli occhi toccare
a lungo il tuo volto che mi fa pietra
in faccia al ghigno delle serpi destino
e mi racconto spiandomi di sbieco
a te, definizione dell’esistere senza.
I motivi cosmogonici sono strettamente e naturalmente legati con le sue passioni personali.
Niente di ripetitivo, dobbiamo di nuovo accennare al suo lessico gustoso e pittoresco:
La terra vibra all’unisono
con gl’inesorabili anatemi di Dio
e schiantano al suolo
cattedrali di pietra, sorrisi e parole.
Persa e la strada per i tuoi occhi ospitali
dai quali m’involavo all’infinito
nel cielo ora ermetico al tuo volto.
Ed è cosi pallido calore sulle mie ossa
questo brulicare tremulo di stelle!
Nel fondo delle poesie di Roberta, e attraverso le sue poesie, si può sentire e vedere il respiro del mare, la corsa delle nuvole, la danza interrotta e quasi immensa delle stelle. Le sue poesie non danno risposte certe e non chiedono risposte agli enigmi quali quelli della Sfinge mitologica. Non sono mai didattiche, sono sempre discrete, moderate, irradianti nella luce serena e nello stesso tempo sono piene delle passioni di una persona capace di trasformare le proprie esperienze, i suoi dolori, i suoi dilemmi, il suo amore in versi poetici.
Poesie complete nella loro laconicità, in profezie significative e raffinate, da raccontare a mezza voce per essere meglio sentite, per leggerle e capirle e farle proprie nel relativo silenzio. Ascoltiamo insieme.
Liga Sarah Lapinska
Se valesse l’immobilità totale
la speranza circospetta
lo stare sospesi
nell’eco di un pensiero
che si ripete ancora
tesserei scaglie di gelo
da appendere ai cardini del tempo
siederei angoli disabitati
e nella deserta attesa
mi parlerei di te
fino ai confini della ragione.
Il resto, solo dettagli.
Forse autunno
Anche l’inatteso
giunge
tra folate d’improvviso
ed impauriti tremori
di foglie
all’imprevisto languore
del vento.
Accadrà forse
che l’autunno impaziente
scagli ora i suoi colori
o che un’estate ribelle
bruci ardente
ancora i calendari.
Strana cosa il vento.
Porta non lievi tracce
di esistenze lontane
persino desertiche sabbie
che pure non sanno riempire
le crepe di un cronico inverno.
Sapesse di te il vento!
Se giaci nascosto
nelle pieghe del caso
o se attendi stremato
alla fermata
dell’ennesimo evento
che ti ha dimenticato!
Se di te il vento sapesse
avrebbero più del nulla
da accarezzare
le mani che tendo
per l’inascoltata preghiera.
Perché?
Aroma gelido
di voce lunare
che percuoti amara
il labbro
-evidenza di nulla-
sorgono ad ovest
le tue tempeste
dove occhi di quiete
mortale
piovono in rivoli
di opaco silenzio.
Tintinna
muta ed isterica
nel vuoto
la domanda.
Gocciola a bisbigli
il ghiaccio degli anni
esilio polare dell’io
che a volte ritorna
porgendo le mani
al tepore dei calendari.
Non so quando ti vedrò
ma un altro giorno
si è sciolto
scivolando a rivoli lenti
nella fossa del tempo.
Nuvole
Ha strani contorni il nulla
scisso in mille tonalità di vuoto
curvo in miriadi di voluttuosi cirri.
Attraversa pure
veliero dei cieli
il sogno.
Sarà ancora l’infinita assenza
ad abbracciarti
oltre i limiti del sonno.
Galleggia oltre l’angolo
la luce
in riverberi d’intuito
aria sporca
e fori nel muro
piccoli troppo
per diffrazioni sostanziali
che rimaneggino l’umore
in efficace tono esistenziale.
Mi spengo.
E il gemito ultrasonico
dell’energia che scema
mi tace dentro
come la morte di chi mai fu.
Una vita
Ha voglia infine del pallido rosa
che tinge il mondo di lento crepuscolo
e della serena foschia del giorno
che tace ormai stanco
il suo dolore già troppo consumato.
Cerca il placido sonno della notte
l’anima in cruenta pena
ma spera ancora, nel volger della sera,
in un pietoso bagliore di stelle.
La tela felice
Tesse caparbio il ragno
le sue innate geometrie
essenza di vita, la sua.
Baluardo di necessità
in fragile armonia
di pazienti trasparenze.
Un nulla, solo un nulla
di vento giocoso, o l’artiglio
di un distratto destino
e via… a ricominciare.
Il sole non dimentica
E non dimentichiamo noi
che dentro nuvole
appassite di tristezza
attendiamo venti
persino aspri di tramontana
e qualunque cosa rimuova
il pregno incavo
dei cuori stanchi
l’immoto affanno.
Domani forse
qualcuno altrove
ricorderà di noi.
Ti cerco
Looking for you
Fate shuffles hearts throwing them
on the soft carpet of dreams
meadow of dew – bended stalks
which don’t believe yet in the dawn,
despite the dissolving indigo.
This brand-new day is a magnesium flash
that doesn’t tell anything to the indistinct
steps on the paving.
I’m looking for you in all creation features:
maybe they know my I want you
absolute certainty and meaning
in the pale succession of sunsets.
(Traduzione poetica di Antonio Mencarini)
Sete d’estate
Summer thirst
In the still air
imbued with dull waiting
flashes a shiny dream.
Go up my slope
slow shady spire
of crumpled rainbows.
Let the ruffled desires
rain today.
I’ll be able to drink
summer’s storms.
(Traduzione poetica di Antonio Mencarini)
Il mago: “Come nei giochi di me bambino”.
La poesia di Bruno Mancini
Sono passati già tanti anni da quando ho cominciato a leggere le poesie di Bruno Mancini e approfondirmi ad esse, così vive e fresche.
Approfondirsi a queste poesie non significa praticare una meditazione che ci allontana dal mondo reale e porta in un altro mondo in cui regnano le altre regole e dove la parola sia primaria su tutto il resto, o dove l’idea sia più in alto dalle vite umane e del correre del tempo.
No, la poesia di Bruno accetta questo mondo, perché, solo se siamo in grado di accettare e capire, possiamo portare qui, in più, la luce e in più la cordialità.
Pensando di Bruno e della sua personalità, per quanto lo conosco io, non si può dividere la sua soggettività dalla sua voglia di regalare agli altri la sua forza e le sue emozioni positive, (che ci aiutano a sopravvivere nel condividerle con la sua maestria di poeta, con il suo ritmo di poeta, con il suo scopo di poeta), cioè, non solo le espressioni, ma anche l’energia (non solo le emozioni!) positiva per gli altri.
Il valore che apprezzo dapprima nel mondo delle poesie e del pensiero di Bruno è l’emozione di presenza che lui regala per i suoi lettori, la forza della vita radicata nella sua propria infanzia, nella sua memoria genetica dei tempi antichi di varie località, dall’America indiana all’Efeso, dappertutto; e poi radicata nel suo amore per il nostro mondo, la forza che lui divide con noi nella sua caratterizzante generosità, simile alla generosità della natura.
Comunque, il mio primo pensiero, quando ho cominciato a tradurre in lettone le sue poesie, era che lui usa una lingua molto ricca, che lui ha un’abbondante raccolta di espressioni e, di conseguenza, un’ampia scelta di parole, di tonalità, di aggettivi e di comparazioni.
Anche se lui non è contrario a giocare con le parole con affascinante leggerezza, tuttavia, il suo stile più enfatizzato non è mai il gioco svelto con le parole, con i pensieri, con i suoi e con le nostre emozioni.
Il suo mestiere è dare la forza e il senso alle sue immagini, tanto intensamente, che anche noi lettori sentiamo questa forza calda e viva, vediamo con gli occhi e con tutta la pelle queste immagini coloratissime, con le prospettive e con le frequenze quasi infinite, in lungo da una poesia all’altra, tutte collegate logicamente e tutte diverse, come un viaggio senza un termina, con tante fermate, ma che poi continua, e sembra infinito, come una stagione che cambia in un’altra, e come il futuro che lentamente e impercettibilmente diventa il passato.
Quanto alla costruzione delle sue poesie, Bruno spesso usa le ripetizioni non solo per rendere i suoi versi più musicali, ma anche per sottolinearne delicatamente il senso, ogni volta diverso, in riflessioni differenti:
Parlo di te
con me
nella semplicità di un riposo
sull’acqua
parlo di te
nella sincerità di una solitudine
con me
sull’acqua.
Parla di te
con me
un filo d’erba
sull’acqua
l’immagine di un’isola
sul mare
nella sincerità di un riposo
parla di te
a me
nella semplicità di una solitudine
sull’acqua
il volo di un volo di gabbiani.
Un’altra emozione che mai mi lascia (e che è necessaria per me), leggendo le poesie di Bruno, è il pensiero del collegamento di tutto ciò che esiste in questo mondo e fuori da esso, rispetto, sia con i teoremi delle regole della scienza della natura, sia con le convinzioni degli astrologhi antichi.
Ecco: il convincimento del collegamento tra il passato e il futuro; il collegamento tra noi tutti qui sulla terra, sotto e sopra; il ritmo ciclico secondo le regole della natura.
Solo quando facciamo nostro questo collegamento, solo sapendo che non siamo in solitudine ma uniti e collegati, possiamo diventare, eventualmente, davvero liberi, e non solo nelle nostre illusioni.
Il sentimento di legame, di unità, apre per noi i confini prima chiusi ed, inoltre, non chiaramente conosciuti.
è l’unico modo per sapere e vedere questi confini, dove loro iniziano, che cosa dividano e se davvero esistano:
Dov’era il pertugio,
del viscido verme,
rifugio,
rifuggo.
Bruno non scrive solo di se stesso e delle sue esperienze, ma si sublima insieme con le sue osservazioni e le sue contemplazioni in immagini diversissime.
Non preferisce solo due o tre temi generali per ricantarle.
Certo, lui ritorna, a volte, ai temi ed alle immagini già creati, ma sempre in altre tonalità, con fresche riflessioni, usando sempre nuova magia per ricordarci queste immagini, spesso piene non solo di colori intensi e di prospettive avventurose, ma anche dei venti e dei profumi:
Scriverò di te innocente – giovane Apaches –
dalla lunga chioma di grappoli
di grappoli d’uva rossigna,
tra le fiamme dei tronchi
dei tronchi ardenti sfavillanti
una notte di cielo deserto,
deserto, nel cuore del deserto.
Penserò alla tua malinconia – giovane Apaches –
d’attesa e di passioni con occhi memorie
memorie affastellate,
sopra i fumi dei tronchi
dei tronchi assopiti
nelle notti di cielo deserto,
deserto, come il cuore del deserto.
Amerò gli sguardi squillanti – giovane Apaches –
per la felice follia di silenziosi sorrisi
sorrisi all’ombra di tante chimere,
dentro ai profumi dei tronchi
dei tronchi spenti dalla mia ombra
ogni notte di cielo deserto,
deserta, più del cuore del deserto.
Inoltre, lui dice cosi:
Frammenti di polvere,
nello sguardo,
nel respiro,
respiro.
Apparentemente di solito riservata, però mai fredda, la poesia di Bruno, piena di forza della natura, assomiglia un po’ al folclore lettone, sopratutto ai canti popolari, chiamati in lettone “dainas“, nei quali l’unità tra il creato umano e la natura è una situazione assolutamente normale, e dove le persone spesso identificano se stessi ed altri umani con gli animali, con gli alberi, con gli elementi della natura, come nelle poesie di Bruno:
Io sono vento
io sono forza
io sono crudo esempio di follia.
Inoltre:
… e tu come nebbia che offusca
i bracieri fumanti
delle prime caldarroste
lì,
lungo viali alberati
della mia cara Bologna indaffarata…
Però, quanto alle poesie di Bruno, questa energia primaria è solo il fondamento, proprio come i suoi ritorni nell’infanzia, nel passato, dalle radici, per andare avanti e per portarci più lontano.
Dei suoi sogni e delle sue memorie lui non parla spesso, ma lo fa molto espressivamente. Lui è pescatore d’emozioni.
Lui è:
Stregone e mago
come nei giochi di me bambino
– di notte –
preparo ampolle
– con i ricordi –
di fogli strani
– abbandonati -.
E scrive di se:
Ho tempo ancora per ricomporre
mosaico dal centro al nulla
zigrinando in fuochi a spirale
spirale verso infiniti agganci alla follia,
nel mi bemolle minore
per un bel sogno che non dura sempre.
Questa volta parlo maggiormente dei fondamenti, inizi, radici, che vedo nelle poesie di Bruno Mancini.
Più leggo le sue poesie, più rileggo, più mi si aprono forti ed intense.
Come un vero mago, lui ci porta più lontano, più profondamente, sia verso sogni, sia verso esperienze vissute.
Perché:
Non basta un sortilegio a
a carpire
dalle parole astratte i
i movimenti i suoni i turbamenti, gli
gli sguardi gl’impeti gli odori, la
la scena illuminata dal sole o dalla luna.
Liga Sarah Lapinska
La voce – Silenzio
Nel doppio enigma del suo silenzio
frammento sillabe
mostrando il volto in controluce al buio
nella registrazione
di versi prima mai letti da nessuno.
Non ho più dediche.
Seduto. Di pietra!
L’altra metà di me e Lei.
di me,
di Lei,
scompone il “sempre” in mini “adesso”
ché se ne perde alcuni, il dopo resta.
Nel doppio enigma
il suo silenzio è voce,
il suo silenzio è amore
per me che sono il sordo del villaggio.
Il rifugio – Dimora
Già fuori dall’aerostato
plano
scivolando – volo libero –
nel rovistare oltre le nuvole.
M’intrufolo
infiltrandomi nella foresta equatoriale
giù oltre le chiome ombrelli
riparo
dell’indiscusso regno di chi non volle esistere
in apparenze definite
e sbuco sotto tetti di embrici e di coppi.
Tanto più privo di superflui ornamenti
l’echino appare in mostra col frontone,
tanto più stabile
sarà nel tempo il Tempio.
Esisto.
Non ha sapore di spore innominabili
questa mia attesa che ritaglia
indefiniti volumi
intorno a me deposito, ed in futuro, centro.
Ho detto basta, ho detto ancora,
nel rock and roll
non so se vado o prendo.
Arrivo scavalcando cancellate
di aguzzi aculei
e poi osando
usci da far tremate i polsi,
e qui mi attendi a braccia stese
– Rifugio Dimora –
tra il giaciglio e la luna
… ed ora so che sei reale.
Ti cerco, ti guardo, ti tento,
vengo a toccarti
ma Tu non sei spettacolo,
e non sei oltre l’orizzonte.
Esisti.
Ai comodi abbandoni
di sbalzanti ascensori,
vorticose bellezze
di scale acchiocciolate
Voglio la mia.
Per assurde ambizioni
m’invento atroci ossessioni:
orridi
oscuri oblii.
Voglio la mia
aspra e bollente.
Dalle false fattrici di misteri
insufficienti compromessi,
o principi
o caini.
Voglio la mia
aspra e bollente
negra e ribelle.
I veri architetti della vita
dileggiano
con i loro antichi ermetismi,
o corde o grotte o celle.
Voglio la mia
aspra e bollente
negra e ribelle,
che sia la mia.
Imbrigliati da enigmi
di torpori,
risvegli imbarazzanti
osteggiano.
Voglio la mia fantasia
aspra e bollente
negra e ribelle,
che sia la mia,
in fuga solitaria.
Chicchi di gioia
Concerto d’uccelli
pigri
sugli alberi in vista di finestra,
ma il mio telefono più non mi suona
dolce
spezzando catene d’ansia.
Un giorno
confuso agli uccelli
un giorno
lontano dai muri
un giorno
un’era di pace
un secolo di meritata unione.
Colombo
t’annunzierà che ora
albeggia oltre il mare
quel giorno;
e tu pulita di vesti pudiche
m’inseguirai
in luce di gioia splendente.
Io vedo miliardi di fumi
miliardi di fuochi
inceneriti
di sogni svaniti.
E quando ci fermeremo
spiaggia infinita
cotta da eterno sole
ci perderà i dolori.
Quando quest’ora
mattutina e grigia
s’infiammerà
filtrata dai tuoi occhi
quando colombi tuberanno
nel mio deserto nido
e tu trapasserai
nel gelo della mia vita oscura
quando le mani mie, le mie dita
non più si nutriranno d’aria
nel vano supplicare
amore amore…
Altisonante
Tratteggio su fogli bianchi
decori greci, echini e capitelli, spirali
attorcigliate ed altre in rotazioni inverse.
Graticci, graticole, orditi e trame
e nodi di sbarre di prigioni.
Mentre sorrisi umani mi tentano
sfilando sequenze da spot televisivo
sulla finestra a vetri: in controluce
fustelle di persiana su linee parallele
formano ombre e filtrano colori.
Così comincio a scrivere poesie:
ECCONE UNA TRISTE
Da volti umani
in memoria visiva
sfilaccio simboli aztechi
prigioni e templi.
Il mio domani è quasi nei ricordi.
ED UNA ALLEGRA
Nel vetro opaco
dimenticato il suo sorriso:
volute e griglie
il gruppo è consistente.
Sarà un domani non solo di ricordi.
Non fosti pioggia
dalle falde del tuo cappello
sulla mia pelle arsa
negli assonnati pomeriggi di giochi alterni.
Poi… poi… poi…
il lieto fine sguazza nei romanzi rosa
eppure
mai
mai mai
è docile andamento nei turbinii di vita.
Non sei lacrima
rotolante massa goccia
lungo la china della mia guancia
nel giorno della resa senza inganno.
Poi… poi… poi…
un lungo cenno di saluto con la mano
eppure
mai
mai mai
imprimerò l’addio sulla logora agenda della vita.
Non sarai nube
ma l’ombra proiezione
affissa incatenata al mio incedere
nel tempo dei ricordi già sbiaditi.
Poi… poi… poi
manto che copre ogni silenzio
eppure
mai
mai mai
avranno fine i giri di moviola della vita.
Questa poesia è per te,
testarda voglia di solitudine.
Non sono io il suo dannato problema
– il latte in caglio
vino in aceto
la grande sinfonia nei titoli di coda
l’assenzio
la riverenza della serva -.
Romantica frantumata giuggiola
stropiccio
quasi un appiglio al non saperla fragile.
Al volto del leone è stato rotto il muso.
Ancora il brivido,
sfuggito
al gancio
che straccia il tenero sul tenero
– Ah, se io fossi stato discepolo di me! –,
mi scorta tacito,
lui scudo,
nella malinconia che mi “suicida”.
Non c’è una notte simile ad un’altra.
In cielo e in terra i firmamenti implodono.
… e allora?
Se non m’accorsi d’essere morto
ieri,
che importa ch’io mi senta vivo
ora?
Prosieguo di parentesi
attingano sfumate divergenze.
Io annego
Misticismo di ombre rupestri
cullato fruscio di catene
il brivido assale
anche volute calme.
E pure corolla, deposta spoglia
taglia tronca mente!
Vicina assorta penombra
percuotimi, t’odio.
Frustami sposa e nemica
ch’io navighi nel tuo lento mormorio
suscitato bruciore infame.
Mitiga miti d’ire
e lascia poi che sferzi il tepore di luce
ora fallace
farsa assurda.
Io annego.
Parliamo sottovoce
creando alambicchi per le nostre intese
– dalla vinaccia al puro distillato -.
Un vecchio adagio,
proverbio di contrada,
basta a formare il tema di una gita tra i vigneti.
Se solo tu fossi un essere vivente
andremmo in cerca di tartufi
e non di verbi dissotterrati da logori abbandoni!
Poesia.
Amore.
Malattia.
Dea della vita
anche a volte sedotta e sfavillante,
e sempre al momento dell’addio,
“Intimità dimenticata.”
Parliamo sottovoce.
Perfidia incipit
Lembo d’analisi morale
svolazza “leggiadro”
come la benda nera del corsaro
– quella sul vuoto dell’occhio –
appesa al filo del suo uncino.
Sagome note
si girano di spalle e tacciono:
noi siamo figli di noi stessi
seppure non pareva fino ad ieri.
Invereconda nudità le assale.
Sognandomi,
onirica invadenza
la mente impazza
nel chiedermi “Chi sei?”.
Sarò muta parvenza e tenebre.
Avrai la fretta di svegliarti,
urgenza fisica
la brama sulle dita,
per scrivermi “Ti voglio!”.
Potrai sperare nel chiamarmi.
Chiudendo gli occhi,
la mano schiacci
nel vuoto caldo tra i cuscini,
il corpo tuo disponi al mio tormento.
Avremo un mondo paradiso-inferno.
Un taglio
A split
A split at the helm’s rope
pops like the crust on bread.
The boat escapes the eternal cord
and is set gently adrift on a sunlit day
into a fantasy whirl of prismatic mirrors.
If instead you’re guilty
and lied
if you’re guilty
and flee
and toward the light you escape
obsessed,
if you’re guilty
and squash
breath and blood
cease humiliating yourself,
you’ll see me again,
undeveloped altars to glaze
frivolous indifferences to create
words to cry
challenges to conceive
warped colors dark and wild to move
downhearted
toxic
more so than a yellow and dense fog.
And I’ll speak to you
of dogs and animals
of my pale defeated dawns
of hours never lived
of stars.
And I’ll create splendors for you
and I’ll evoke memories
as my compassion
repents slowness to concede harmony.
(Traduzione poetica di Pamela Allegretto Franz)
Non rubate la mia vita
Don’t steal my life
The smile of an emerald sea
a scent of speckled hydrangea
the swell of grazing tourists
the splash on whitewashed granite,
TIME,
my wife asks nothing more
my inner quarrels remain serene
on an endless wave to sunset
where citrus and water lilies convene.
Don’t steal my life,
take my dreams.
(Traduzione poetica di Pamela Allegretto Franz)
Regolamento votazione
I trentatre componimenti proposti nella sezione “Premio Otto milioni – 2013” di questo volume partecipano all’assegnazione dei premi messi in palio attraverso un sistema di votazione che coinvolgerà un’ampia platea di votanti.
Infatti, sarà possibile votare una o più poesie durante tutto il periodo che intercorre dalla presentazione ufficiale di questo volume, fino al 31 Luglio 2013, sia attraverso tutti i siti web che si sono resi disponibili ad attivare le loro pagine con i testi e con i link per le votazioni, e sia attraverso i segnalibri che sono consegnati insieme ai volumi,
Ogni voto espresso cliccando i “mi piace” presenti nei siti web che aderiscono a questo progetto vale un punto.
www.emmegiischia.com
www.ischia.italiadellacultura.it
www.tgischia.it
Ogni voto espresso compilando e consegnando ai marinai in servizio sugli aliscafi della Flotta Lauro il box presente sui segnalibri allegati ai volumi vale cinque punti.
INDICE
Dedica 6
Introduzione 11
Agostino Lauro 16
Istituto Agostino Lauro 21
La Corte degli Aragonesi 22
Coquille 25
Premio “Otto milioni – 2013” 28
La poesia è di tutti 64
Adotta una poesia 66
Intervista a Don Backy 68
Maria Bigazzi 72
Anna Maria Dall’Olio 82
Pietro Calise 88
Barbara Lo Fermo 93
Teodora Gandolfo 98
Claudio Michetti 103
Maria Teresa Manta 108
Io c’ero 114
L’isola dei miei vent’anni 118
L’indomabile fragilità 121
Roberta Panizza 124
Bruno Mancini 138
Regolamento votazione 157
CENTRO ELABORAZIONE DATI CONTABILI
servizi di contabilità e di consulenza fiscale e tributaria
Se.Ra.Da. s.a.s. di
SALVATORE MAZZELLA & c.
Via Nuova Cartaromana 103/111
80077 Ischia (NA)
Telefono 081-5074020
Fax: 081-5074522
E-mail seradasas@gmail..com
Giugno 2013
MONDIMANCINI
Città d’Ischia
https://www.emmegiischia.com
emmegiischia@gmail.com
Copertine realizzate da Bruno Mancini con riproduzioni di acquerelli di Maria Bigazzi
Stampa SERPICO, Via Morgioni 38 – 80077 Città d’Ischia.