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Vino, un po’ di storia

Allorquando ebbe fine il ciclone della dominazione napoleonica e si stabilizzò la pace nel continente europeo, praticamente nel periodo che può essere compreso tra gli anni 1830 e 1860, si ebbe uno sviluppo incontenibile delle colture vinicole con una enorme sovrapproduzione di vini dalle più svariati origini geografiche.

E ciò nonostante che nel 1846 un terribile parassita, lo OIDIUM (Oidio della vite o mal bianco), avesse decimati numerosi vigneti della fascia mediterranea e della valle del Reno, attaccando e distruggendo foglie, fiori e grappoli.

Praticamente le cronache dell’epoca parlano di una produzione francese, nel 1860, di oltre 70 milioni di ettolitri che equivaleva al quadruplo del consumo interno annuale!

Ora sappiamo che questo aumento produttivo fu realizzato attraverso diverse scaltrezze, tutte, comunque, penalizzanti il livello qualitativo del prodotto finale: in molti ettari fu aggiunta la messa a dimora di nuovi ceppi, e ne furono piantati anche in numerose zone i cui terreni non erano adatti a quel tipo di coltivazione.

Buona parte delle terre coltivate fu oggetto di vere e proprie aste di acquisto da parte della borghesia, della nobiltà, e della finanza che perfezionarono tali possedimenti dando il loro nome ai vigneti e ai vini prodotti, ottenendone lustro e e celebrità.

Nel 1875 ci fu la inedita comparsa della filossera, con conseguenze di danni irreparabili per le coltivazioni di alcune intere regioni.

L’attacco dell’insetto alle radici delle piante fu senza dubbio la peggiore calamità che mai prima avesse colpito i vigneti.

Sono giunti fino a noi le descrizioni di tentativi estremi, spesso bizzarri, volti a difendere le piante, e così leggiamo di campi inondati, di iniezioni di solfuro di carbonio, di trapianti in terreni sabbiosi… fino a quando riuscirono a salvare parte dei vigneti innestando le piante malate su talee americane che risultarono avere la prerogativa di essere immuni dagli attacchi del famigerato insetto.

Per rappresentare appieno lo sterminio causato della filossera valgono i numeri della produzione (sempre riferita alla Francia) ed essi ci dicono che si passò dai 52 milioni di ettolitri prodotti in media nel decennio 1870 – 1880 a meno di 30 milioni di ettolitri nel decennio 1880 -1890.

C’è da precisare anche che lo squilibrio tra produzione e ordinativi fu colmato con il raddoppio della produzione… ottenuto con metodi illeciti: produzione di “vino” fabbricato (sic!) con zuccheri fermentati, acido solforoso, tannino ecc. a riprova che il commercio attuale non ha molto da apprendere dalla antica “onestà”.

Ma questo è un argomento adatto alle parabole di un Esopo moderno a suffragio della tesi per cui i maledetti sofisticatori dei nostri giorni hanno avuto perfidi maestri nel passato.

Ignazio Di Frigeria

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Continuando a parlare di vini: LE BOTTIGLIE

Le tracce storiche che portano alla diffusione iniziale della bottiglia di vetro per contenere il vino nei formato a noi noti, ossia con pancia larga e collo stretto, risalgono all’inizio del XVII secolo e sono numerosamente testimoniate nei dipinti rappresentanti pranzo conviviali di quell’epoca.

Con qualche leggera differenza di forma, poiché spesso le bottiglie appaiono più tozze, con le parti centrali proporzionate quasi come cipolle, con i colli particolarmente esili.

Erano soffiate in vetrerie artigianali, composte con impasti opachi di colori tendenti al verde scuro.

Venivano chiuse con tappi di legno che, a loro volta, venivano avvolti in tessuti di canapa impregnata di olio, stando alle prescrizioni che si possono leggere nello statuto dei soffiatori di vetro dell’anno 1639.

Quando nei primi anni del 1700 ebbe luogo la fondazione, a Bordeaux, della prima fabbrica di bottiglie, si verificò una vera e propria rivoluzione nella struttura e nella composizione della bottiglia, attraverso la produzione industriale che modificò il sistema di tappatura con l’adozione del turacciolo di sughero.

Intanto, in quegli stessi anni, in una differente regione della Francia, nella Champagne, un abate dell’abbazia di Hautviller (tale Dom Perignon!), perfezionando i suoi innovativi esperimenti, dette il via alla produzione del vino spumante, lo Champagne che oggi tutti noi apprezziamo, per la cui conservazione era necessario disporre di bottiglie resistenti almeno fino a 7 atmosfere e di turaccioli a tenuta praticamente ermetica.

Passando i secoli, anche la bottiglia è variata e, parimenti a tutti gli oggetti della nostra vita comune, anch’essa ha subito un percorso di razionalizzazione.

Oggi sappiamo, scientificamente, che il vino si conserva meglio in bottiglie da 75 cl. poiché in bottiglie di capienza inferiore invecchia più rapidamente, mentre, in bottiglie di dimensioni maggiori, subisce un processo di miglioramento troppo lento, e quindi tale misura è stata adottata quasi universalmente.

In commercio si trovano bottiglie di maggiore capienza, come il magnum che è giudicato il formato ideale per lo Champagne e talvolta per altri vini, e numerose bottiglie di proporzioni bizzarre o smisurate il cui valore consiste solo nella curiosità che generano ma che inducono ad avere dubbi sulla qualità dal loro contenuto.

Anche la forma della bottiglia è variata ed oggi troviamo forme diversificate che caratterizzano a volte la zona vinicola e a volte la tipologia di vino che vi racchiudono.

Così, ad esempio e restando in Francia, nella zona di Bordeaux si trova la boutellie, bottiglia dal collo snello e dalle spalle ampie, in Borgogna si usa la bourguignonne più massiccia della precedente, in Alsazia troviamo la flute dal modello raffinato ed aguzza. nel Giura il clavelin, nella Champagne la classica bottiglia generalmente nota in numerose variazioni.

Ignazio Di Frigeria

 

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Bruno Mancini

Bruno Mancini scrittore

Bruno Mancini Presidente DILA APS

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