20240902 DILA APS – IL DISPARI

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Antonella Ariosto intervista Caterina Novak

 

Il salotto culturale di Chiara Pavoni, “Interno 4” via della Lungara a Roma, ha ospitato “IN VIAGGIOCON LE FATE”, evento nato da uno spunto del libro della scrittrice cantante Caterina Novak.

A Chiara Pavoni che l’ha invitata a parlare del suo libro, a raccontarsi nelle emozioni, autobiografiche tra l’altro, lei ha detto: “Questo libro nasce dal mio desiderio di lasciare al mondo valori, ideali e speranze, un messaggio d’amore, valido anche per i bambini di tutte le età e di ogni parte del mondo.”

Il pomeriggio culturale ha, inoltre, coinvolto pittori, musicisti, compositori e pianisti che si sono esibiti o che hanno esposto le loro opere: Evaldo Conte, Antonella Checchi, Angela Donatelli.

Importante inoltre il laboratorio di Artherapy della psicoterapeuta Marsia Bambace, con l’associazione “Il cerchio magico”.

Di elevato  spessore le esibizioni di alcuni brani canori che la scrittrice Caterina Novak ha eseguito accompagnata al piano dalla bravissima pianista Santina Amici: Vaga luna di V. Bellini, Nuit d’etoille di F. Debussy, Sogno di F.P. Tosti, La via en rose di Louguy.

Questa è l’intervista che lei, in veste di scrittrice, mi ha rilasciata in esclusiva per il quotidiano “Il Dispari” di Gaetano Di Meglio.

D- Caterina come nasce il tuo libro?

R- Scrivere fa parte della mia vita, è un dono che ho avuto sin da piccola.

Era una necessità per me la sera ascoltare le belle fiabe che mi raccontava la nonna, che mi facevano sognare mondi incantati.

È così che nasce il mio libro, per dare agli altri un ristoro, un po’ di pace e di felicità.

D- Il tuo è  un libro autobiografico ha dei messaggi ben precisi? Quali?

R- Si, nascosta tra fate, gnomi ed elfi del bosco, c’è tutta la mia storia vera, autentica, dove trova spazio la natura, gli animali e gli insegnamenti che da loro ho tratto.

Il messaggio fondamentale nel libro è che l’uomo è un essere dotato di libero arbitrio e può scegliere sempre dove dirigersi.

Se sbaglia direzione e finisce in un burrone, ci sarà sempre una mano tesa che lo aiuterà a rialzarsi e a riprendere il cammino.

Quindi è un libro che aiuta a sperare e anche a sognare, perché senza i sogni, senza ideali, senza valori etici l’uomo annega nel materialismo condannato ad una vita grama, buia, senza meta.

D- Come nasce la scelta del titolo che, leggendolo, fa pensare ad una favola?

R- Nel titolo evoco un viaggio: il viaggio che l’uomo di ogni tempo percorre, un viaggio sospeso tra l’essere e il divenire.

Ma come cambiarne il significato?

Cercare di comprendere ciò che il mondo invisibile che ci circonda ci rivela attraverso la storia è essenziale.

Cum-prehendere è prendere con sé il proprio bagaglio, ciò di cui abbiamo fatto esperienza ed affrontare senza paura il viaggio.

Avrei potuto parlare di angeli, ma ho parlato di fate perché questo libro è ecumenico e in esso ho inteso abbracciare l’universo, tutti i mondi e ciascun essere in particolare.

D- Il tuo libro è adatto a tutte le fasce d’età, compresi i bambini?

R- È un libro adatto per ogni età perché si può leggere a vari strati.

Il linguaggio è facilmente comprensibile, adatto a tutti da 0 a 90 anni.

D- Sei rimasta soddisfatta dalle esperienze provate dopo l’uscita del tuo libro?

R- Sono molto soddisfatta. Il libro è in vendita su ordinazione da Feltrinelli, Mondatori e in tutte le librerie, persino su Amazon.

Ora sto pensando ad una nuova edizione, a qualche traduzione per esportarlo all’estero.

Mi piacerebbe anche pensare ad un musical o a un film che abbia come focus le mie fiabe, ma si vedrà, ci penseranno sicuramente le fate stesse a mandarlo avanti, ne sono certa.

E a voi buona lettura.

Grazie  Caterina, la nostra intervista è conclusa.

Ai lettori di Il Dispari dico che ho avuto modo di partecipare alle tue presentazioni ed ho apprezzato molto il libro tanto da consigliare di leggerlo.

Applausi e complimenti al termine del pomeriggio culturale a tutti gli Artisti, e soprattutto a chi ama l’arte e la diffonde.

Antonella Ariosto

 

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Mariapia Ciaghi – Un racconto

L’infinita attesa: cronaca di un mutuo inesistente

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Nella città di Terraveritas, un luogo dove la nebbia delle menzogne era più densa dell’aria stessa, viveva una donna di nome Clara, che aveva trascorso gran parte della sua vita cercando di far brillare qualche frammento di verità in un Paese dove la verità era trattata come una malattia rara da evitare.

Con i suoi cinquant’anni suonati, Clara si ritrovava a navigare tra i flutti di un sistema così intricato e perverso da far sembrare ogni singolo tentativo di trovare un po’ di stabilità un atto di pura follia.

Clara era una madre single, un’amazzone senza tempo né spazio, impegnata nella titanica impresa di crescere un figlio in un mondo che sembrava divertirsi a renderle la vita un inferno quotidiano. Giornalista e editrice, Clara aveva trascorso venticinque anni a cercare di raccontare ciò che avveniva realmente nel suo Paese, un luogo dove la democrazia era solo una parodia ben orchestrata.

Ma in un posto dove la stampa era così asservita al potere da sembrare una sua estensione, Clara aveva scoperto presto che se voleva parlare, doveva pagare per farlo.

Aveva contratto mutui su mutui, vendendo ogni centimetro della sua tranquillità per finanziare la libertà di scrivere ciò che pensava.

Le sue notti erano piene di numeri e incubi di tassi d’interesse, mentre di giorno combatteva per non diventare un’altra delle tante voci che si limitavano a sussurrare ciò che veniva ordinato dall’alto.

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Un giorno, esausta ma determinata, Clara decise che era giunto il momento di provare a ottenere un mutuo agevolato CONSAP per acquistare un appartamento di 45 metri quadri—il minuscolo rifugio dove viveva in affitto con suo figlio.

L’appartamento, con le sue pareti sottili e la vista su un cortile grigio e angusto, era tutto ciò che Clara poteva permettersi, ma per lei e suo figlio era casa.

Il proprietario, una figura quasi paterna con una sottile vena di inquietante perspicacia, aveva espresso chiaramente il desiderio di vendere l’immobile per necessità personali, e Clara, con il suo senso di responsabilità quasi patologico, non avrebbe mai voluto ostacolarlo.

Così, si recò presso la Filiale della Banca Escheriana—nome dovuto ai labirinti burocratici degni del celebre artista—dove incontrò il Direttore di Filiale, un uomo che portava il nome di Salvatore Spernanza, ma la cui inclinazione per distruggere ogni briciolo di ottimismo sembrava smentire quel nome ironicamente rassicurante.

Con una formalità stucchevole, Clara presentò la sua richiesta, completando ogni singolo modulo, raccogliendo ogni documento come un soldato che prepara il suo equipaggiamento prima della battaglia.

Ogni firma, ogni timbro, era un ulteriore passo verso quello che sembrava un traguardo sempre più distante.

Dopo tre mesi di silenzio, la banca finalmente si fece viva.

Un’architetta, inviata dalla stessa banca, si presentò nell’appartamento di Clara per effettuare la perizia.

Era una donna dall’aria gentile, con un sorriso che sembrava volerla rassicurare in mezzo a tanta incertezza.

Si limitò a scattare quattro fotografie pro forma, con la rapidità di chi sa che il proprio lavoro è solo una formalità.

Eppure, quelle quattro foto—nient’altro che istantanee di un appartamento minuscolo—avevano un valore di qualche migliaia di euro, un costo che sembrava rispecchiare perfettamente l’assurdità di quella situazione.

Ma alla fine, anche l’architetta non trovò nulla che potesse essere usato contro Clara.

La banca, quasi con riluttanza, diede l’approvazione per procedere con il rogito.

Sollevata e incredula, Clara chiamò immediatamente il notaio indicato dalla banca stessa, fissando l’appuntamento per il tanto atteso giorno in cui avrebbe potuto finalmente firmare e mettere la parola “fine” a quell’odissea.

Sembrava che tutto fosse pronto, che nulla potesse più andare storto.

Ma proprio quando Clara si stava preparando per ciò che immaginava essere la conclusione di quel lungo incubo, il Direttore di Filiale, Salvatore Spernanza, fino a quel momento una presenza distante e burocratica, decise di entrare in scena.

Con una calma gelida, il Direttore fece sapere a Clara che la delibera, quella stessa delibera su cui lei aveva fatto affidamento, era stata sospesa.

È necessario fare ulteriori verifiche” disse Spernanza con un tono che sembrava suggerire che la verifica in sé fosse un esercizio di potere, più che una vera necessità.

Clara, con lo stomaco in subbuglio e la mente in preda al caos, si rese conto che nulla era mai stato davvero nelle sue mani.

Mariapia Ciaghi

Immobile, Clara guardò il suo sogno sgretolarsi di fronte a lei. Ogni passo avanti, ogni documento consegnato, ogni sacrificio fatto, sembrava essere stato cancellato da un semplice capriccio di un uomo che, nonostante il suo nome, sembrava provare un piacere sottile nel soffocare ogni speranza.

Così, Clara decise di scrivere una lettera al Direttore Generale della banca, un reclamo formale che rifletteva tutto il sarcasmo che poteva ancora raccogliere. Mentre digitava le parole, ogni frase sembrava un pugno sferzato contro l’ipocrisia di un mondo che aveva reso l’acquisto di 45 metri quadri di stabilità un privilegio riservato a pochi eletti.

“Sognare non costa nulla,” scrisse Clara con un amaro sorriso, “ma a quanto pare vivere è un lusso che non posso permettermi.”

La lettera fu inviata. Le settimane passarono, e Clara attese una risposta che non sarebbe mai arrivata, consapevole che in quel Paese di false democrazie, i sogni di una donna sola con un figlio adolescente , che aveva osato parlare senza il permesso del potere, erano destinati a rimanere sepolti sotto la polvere dell’indifferenza.

E mentre le mura del suo appartamento immaginario svanivano come nebbia al sole, Clara continuò a scrivere, perché era l’unica cosa che le rimaneva da fare. Scriveva per non impazzire, per non lasciare che il mondo la riducesse a un’altra vittima silenziosa di una tirannia senza volto. Scriveva, perché sapeva che un giorno, in qualche modo, la verità avrebbe trovato il modo di uscire da quella prigione di carta e inchiostro, e allora, forse, il mondo avrebbe visto per quello che era: una commedia dell’assurdo, in cui nessuno rideva più.

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Mariapia Ciaghi

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DILA

Premi Otto milioni

Bruno Mancini

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