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20240805 DILA APS – IL DISPARI
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Così o come
Un racconto di Bruno Mancini
inserito nel volume “Per Aurora volume terzo”
Ultima puntata
Parte terza
CAPITOLO PRIMO
Il nostro DNA assolutamente identico aveva richiamato nell’elaboratore, senza distinzione, le mie e le sue azioni!
Ecco la ragione della nostra chiamata simultanea.
Lo stesso fatto era stato assegnato sia a me sia a Lui, quindi, noi due, avevamo subito il carico del logorio non solo nostro proprio, cioè io della mia e lui della sua vita, ma io della mia più la sua e lui della sua più la mia.
Concorrendo quindi, essendo gemelli, ad esaurire entrambi nello stesso momento!
Eccitato e sollevato, non persi di vista Aurora neppure un istante, intanto che lei, la mia Amica immensa, nella riconfermata autorità di una «Signora», ancora più potente, ordinava di effettuare innumerevoli verifiche, controlli, prove e contro prove.
Fino a quando, accertato l’errore, la vidi giudicare i responsabili, licenziare, degradare, defenestrare.
Infatti, “L’efficiente tecnologia trasportata di là da nostre opportunistiche appendici… ecc. ecc.” le cui caratteristiche operative mi era capitato di leggere nella schermata, quando quasi meccanicamente avevo attivato il clic sulla freccetta (non lampeggiante e non splendente) indicante “Continua”, affidata alla decrepita fossilizzata burocrazia onnipresente, “così o come” da sempre avviene a seguito di questo innaturale connubio, aveva elaborato, essa l’efficiente tecnica
spersonalizzata, decisioni certo indiscriminate, ma purtroppo prive della luce di una intelligente, umana, morale e sofferta, responsabile valutazione.
Basta così.
Gli insensibili mezze maniche avevano combinate “cose dell’altro mondo”.
CAPITOLO SECONDO
Miei cari amici, certamente avrete apprezzato il grande sforzo di chiarezza e perseverante puntigliosità che ho sfacciatamente articolato nella stesura di questo racconto.
“Lui diceva…”, “Lei faceva…”, “Loro pensavano…”, C’era scritto che…”, “Voglio dire…”, “Cioè…”, in una ininterrotta rilettura esplicativa… ma non è detta l’ultima parola, finché non è scritto l’ultimo rigo.
Se state cercando la sorpresa come quando rovistate nelle Balle di Pezze Americane ammassate su un banco di Resina, questa volta avete sbagliato indirizzo.
Ora, infatti, vi racconterò cosa accadde allorché la Signora, esaurito l’arduo compito di ristrutturare il fatiscente apparato burocratico, volle graziosamente dedicare a me la sua attenzione.
Nel catino d’Indianapolis la ferocia dei sorpassi e giustificata dagli stratosferici compensi economici.
Un metro avanti, può valere un miliardo di cose belle.
Io sapevo di non aver partecipato alla corsa per me stesso.
Sarei rimasto volentieri a bere birre popolari, nell’attesa dell’incaricato inviato a rendermi meno ostico il trasferimento.
Devo ancora chiarire che Egli, il traghettatore, non era mai giunto al mio indirizzo sempre a causa dello stesso errore.
Per l’uguaglianza tra i nostri DNA, lo avevano inviato alla residenza di Ignazio!
Dall’altra parte dell’Universo.
Dove comunque Ignazio non c’era più.
Ma ciò è irrilevante.
Continuando nel precedente ragionamento, mi pare di aver dimostrato con sufficiente evidenza, che io non avevo agito in preda ad alcuna ambizione personale, bensì solo con l’obiettivo di liberare Ignazio, l’umanizzazione della mia fantasia, dal timore dell’ignoto.
Petrus hic, nel frattempo, non aveva lesinato né birre né sigarette (neppure a se stesso).
Uno smoking bianco mi mostrava la sobria essenzialità dei movimenti che l’uomo dal fiore di ginestra all’occhiello del bavero, rendendo ogni volta più tormentosa la reiterata canzone dedicata al compiacimento dei miei desideri, eseguiva in pieno distacco dalla realtà, abbandonandosi alla musicalità dei suoi ricordi.
“INDIFFERENTEMENTE SI TU M’ACCIRE NUN T’DICO NIENTE”.
Il tratteggio, ordinato e ripetitivo, con cui la donna dalle mani ambrate muoveva le stecche di bambù del ventaglio giapponese procurava piacevole frescura alla mia placida serenità, ma fu troncato dall’avvicinarsi di Aurora, la donna guascona, “così o come” il canto mattutino del gallo, “così o come” la voglia senile di un figlio, “così o come” il dubbio “Io, chi sono?”.
Lei mi prese in disparte e disse:
-«Ignazio ritornerà ai suoi avventurosi accadimenti con la totale revisione del carico di azioni solo a lui imputabili.»
-«Ti ringrazio.»
-«Era semplicemente doveroso, con l’aggiunta delle nostre scuse.
Abbiamo eseguito miliardi e miliardi di controlli e, infine, siamo certi che non sono stati commessi altri errori.
Il tuo prezioso intervento è stato determinante per evitare che venisse azzerata la immacolata credibilità del nostro operato. Per questo, la Corte Suprema che ho l’onore di dirigere, ha deliberato di concederti il titolo e gli onori di: GRANDE SUPER GUIDA DELLE PRATERIE TRA L’ESSERE E IL NULLA.
In più, un contratto mille volte migliorativo rispetto a quanto percepivi con la professione di “Lettore di giornali in pubblico”.
Potrai mettere a punto i particolari con i nuovi, dinamici, giovani, funzionari, già nei prossimi giorni…»
-«Grazie ma non dovevi, non volevo che…»
-«Non io ho deciso.
Si tratta di delibera della Corte Suprema.
Non puoi rifiutare.
Poi, accettando di buon grado la proposta di Petrus, il Consiglio Direttivo ha il piacere di nominarti: CITTADINO ONORARIO CON LE CHIAVI DEL REGNO».
-«Accetto volentieri, per il piacere di potere incontrare ancora voi tutti.»
«Anche il Sindacato Generale vuole partecipare con un attestato di stima, e ti concede due tessere che potrai assegnare a tua completa discrezione.
I beneficiari saranno liberi da qualsiasi altro impegno che non sia la totale dedizione all’adempimento dei tuoi desideri. Per non permettere alla tua generosità di commettere inutili follie, e poiché sono anche un po’ “marpiona”, ho fatto i nomi dell’uomo dal fiore di ginestra e della donna dalle mani ambrate. Ho sbagliato?»
-«Oltre che marpiona, io trovo che tu sia di una sensibilità inaudita. Cosa potrei volere di più?
Ricongiungermi con la mia Anima e il mio Cervello!
Fantastico.
Hai ricostruito la triade della mia esistenza.
Temo solo di non meritare tanto, di non esserne degno.»
-«Di imbecilli ne ho incontrati a reggimenti, persone degne come te, davvero poche.
Quanto a me, nella disponibilità che mi conferisce il ruolo che esercito, io personalmente, la Signora, Donna Guascone, per te amica Aurora, ho decretato di assegnare al tuo DNA: UN BONUS, CIOÈ UN SUPPLEMENTO DI VITALITÀ.
Avrei voluto concedertelo di durata infinita, ma dalla nostra ortodossia intellettuale il termine non è accettato. Né infinito né eterno, così, con una lieve forzatura, da voi si dice una “furbata” l’ho modellato per non farlo esaurire prima che finisca la “Tua Eternità”. Per tutto il tempo che Essa vorrà, indefinitamente.»
-«Significa che…»
-«Hai già capito tutto.
Non aggiungere parole.
Ora, se vuoi, è l’ora di andare.
Infine ho accettato la richiesta unanime di tutto il mio popolo virtuoso di affidare a te questo cimelio.
UNA BACCHETTA DA DIRETTORE D’ORCHESTRA.
Con essa, Arturo Toscanini diresse per la prima volta a New York il 13 aprile 1913 la Nona Sinfonia di Beethoven.
Nel suo resoconto sulla rappresentazione, il “New York Herald” mise il titolo: “Il Signor Toscanini, la Bacchetta Magica della Sinfonia”.
Eccola.
è tua».
Non appena la mia mano destra strinse la sottile asticella, l’ode “Alla gioia” di Schiller si elevò nello splendore di una solenne coralità:
“Gioia, bella scintilla……
Colui al quale è toccata la grande ventura d’essere amico di un amico, colui che ha ottenuto una dolce donna, mescoli alla nostra la sua gioia!”.
Finché strumenti a fiato, piatti, grancassa, giunsero al tripudio popolare traboccante con le voci del coro e dell’orchestra.
L’uomo dal fiore di ginestra, con larghi respiri seguiva il tempo della mia passione.
Non appena la mia mano destra strinse la sottile asticella, il soffitto, nebulizzato, lasciò spazio al cielo stellato della notte di San Lorenzo, lo specchio, in una dissolvenza… svanì Ignazio.
La donna dal bel ventaglio giapponese, entrò sorridente nei miei occhi.
Aurora guardò noi tre piangere abbracciati.
Per giungerci accanto, mosse due passi con il movimento armonico di mia sorella.
Accarezzò le nostre teste con la mano affusolata di mia madre.
Disse: «Vi bacio» con la voce profonda di mio padre e con un commosso sospiro di sollievo bagnò le nostre lacrime con le sue.
E tutti, tranne i malvagi: Giuseppe, l’amante di Giuseppe, la sorella di Giuseppe, il marito avvocato della sorella di Giuseppe, i loro due figli maschi e la unica femmina, il figlio avuto da Giuseppe con l’amante, Luigi, Salvatore, Scisciò, Francesco d’Avellino, Violetta, la moglie del futuro ministro, Cecilia, un graduato dei carabinieri, un segretario di tribunale, il fratello di un consigliere comunale campano di un altro comune, con la moglie il figlio e la figlia, un funzionario di polizia, un parente, due parenti, tre parenti, un ufficiale sanitario, un addetto alle dogane, un proprietario di bar, un non ricordo bene, ah sì, un armatore falso spiluccato dalle alici nel mar baltico, un cane, un cavallaro, trentamila pipistrelli e tutte le stramaledette zanzare dell’isola d’Ischia, “così o come” avviene nelle più belle favole, continuiamo, tutti, a vivere felici e contenti.
CAPITOLO FINALE
……la porta era aperta, il telefono squillava come un pazzo, mi affrettai a rispondere.
-«Ahh… ahh… pronto ahh…»
-«Bruno!
Dov’eri?
è tutto il giorno che ti chiamo!»
-«No, niente.
Ero qui.
Dormivo.
Sognavo.»
-«Sognavi? Ma se ti sento affannare!
Confessa, sei stato un’altra volta da quella zoccola, è vero?»
-«No, Amo’ non è vero, sognavo.»
-«Come si chiama… Aurora, se la incontro la uccido.»
-«Lascia stare… …
Ceniamo insieme?
Stasera alle venti?
Da Petrus, alla Nuvola Bianca?»
fine
IL DISPARI 20240722
Così o come
Un racconto di Bruno Mancini
inserito nel volume “Per Aurora volume terzo”
Dodicesima puntata
Parte terza
CAPITOLO PRIMO
Lo sfoglio quotidiano di giornali previsto dalla mia ultima relativa professione, tra tante baggianate e scempiaggini bazzecole e pettegolezzi di rado, ma a volte, mi aveva concesso l’opportunità di aggiungere un tassello alla collezione delle teorie preferite.
Un fedele scudiero dei miei pensieri mi aveva fornito una lancia.
Un’idea che avevo attinta dalla quinta pagina dell’organo di stampa nazionale utilizzato per il mio lavoro durante l’ultimo mese di agosto.
Pareva forgiata apposta!
Da quel concetto ero rimasto particolarmente colpito.
Per la sintesi e per il rigido schematismo, amalgamato ad un probabilismo assolutamente incontrollato, che esso avvalorava come imparziale strumento decisionale.
Un dotto estensore di cui non ricordo il nome, l’aveva espresso scrivendo (ed io avevo recepito il testo come la sfacciata seduzione di un tango argentino nello struggente abbandono di ogni illusione):
“…Ogni azione che compie ogni individuo, fisica mentale o di qualunque altro tipo, trasferita nel super elaboratore della natura, riduce, di una determinata percentuale, il carburante attivo (come nei video giochi) a svantaggio dello stato vitale complessivo.
In proporzione, ciò avviene anche per le parti, una o più di una, oppure infinite, che compongono il presente di chiunque (uomini, animali, vegetali, minerali ecc.).
Quindi il cuore, le ossa, no meglio, la sopravvivenza del cuore, delle ossa, insomma di ogni elemento, ad ogni azione che lo vede coinvolto, restituisce una porzione della vis vitale di sua pertinenza, fino al completo esaurimento.”
Due più due fa quattro.
Quattro più quattro fa otto.
Io volevo capire se un’analoga valutazione era alla base della nostra convocazione.
Ad ogni azione una diminuzione di carburante.
Ciò per ogni individuo identificato comparando il suo esclusivo DNA.
Il mio DNA identico a quello di Ignazio.
Perché coincideva l’anno il mese il giorno e l’ora delle nostre convocazioni?
Perché non supporre la…
Sììììì. Sììììì. è così. Sìììì è cosììììì.
-«Aurora. Auroraaaaaa… aiutami.
Rendi efficienti tutti i sistemi d’informazione, convoca i direttori dei reparti, i responsabili di zona, gli analisti, i tecnici e tutti i grandi burocrati.
FERMA IL TEMPO.
Ne resta poco.
Non può bastarmi.
Blocca i bip.
Fidati.
C’è un grosso sbaglio.»
E lei:-«Una sola volta ho deciso l’interruzione dello sviluppo naturale della evoluzione e, grazie a te, essa risultò provvidenziale.
Ripeterla, potrebbe significare per me l’angoscia di un irrimediabile errore.
è vero, anche i regni più antichi possono finire.
Sappi comunque che la mia decisione di dare credito alla tua sicurezza, ha origine dalla stima che ho per te, più che dal nostro affetto.
FERMATE IL TEMPO.
Per quindici minuti nessuno arrivi e nessuno parta.
Non ci siano bip.
FERMATE IL TEMPO.
Quindi, se non verificherete errori di funzionamento del nostro sistema… allora… allora nominerete un altro responsabile al mio posto.
I milioni d’anni della mia coscienza non accettano di deludere un amico.
A qualunque costo.
FERMATE IL TEMPO.
HO DETTO.»
Meno quindici:
Tornai sulla schermata che al mio arrivo avevo attivato, quasi meccanicamente, facendo clic sulla freccetta (non lampeggiante e non splendente) indicante “Continua”: e potei rileggere il messaggio allo scopo di controllare se ne risultava specificato il collaterale modello di attuazione: “L’efficiente tecnologia trasportata di là da nostre opportunistiche appendici… ecc. ecc.”
Altro clic, ancora, altro clic e, proprio come avevo letto in quell’articolo nel mese di agosto, sullo schermo fu indicata la struttura operativa del progetto: “Ogni azione che compie ogni individuo, fisica mentale o di qualunque altro tipo, trasferita nel super elaboratore, riduce di una percentuale il carburante attivo (come nei video giochi) per una sua singola forma vitale; per una o più di una, od anche per tutte insieme.
Cioè il cuore, le ossa, no meglio, la sopravvivenza del cuore, delle ossa.
Insomma ogni elemento a seguito di ogni azione restituisce una parte della sua vis vitale, fino ad esaurimento ecc.”
Meno dodici:
-«Compariamo il mio DNA e quello di Ignazio.»
-«Comparazione in atto.
Comparazione eseguita.»
-«Risultato?»
-«Perfettamente identici.»
Aurora si accostò alla mia spalla.
Meno dieci:
-«Confrontiamo, i diagrammi di decremento energetico relativo a tutte le mie funzioni, con gli stessi assegnati ad Ignazio.»
-«Elaborazione in atto.
Diagrammi elaborati.»
-«Risultato?»
-«Le loro funzioni sono assolutamente identiche nello spazio, nel tempo, e nella quantità.»
Aurora, mi respirava nei capelli.
Meno otto:
-«Analizziamo il diario di Aurora.»
-«Impossibile, è segreto.»
Aurora, la Donna Guascona, non permise la mia sconfitta, puntò l’indice contro il Capo Burocrate:
-«Prima, fermando il tempo, ho detto di farlo a qualunque costo.
Eseguite.
Nessun segreto potrà impedirmi di rispettare l’impegno assunto.
Nessuno.
Distruggete il sigillo.
Aprite il mio diario»
Il tesoriere dei segreti, scattò sull’attenti, ed ubbidì impartendo il comando.
Meno sei:
Una voce disse:
-«Diario in rete.
Diario aperto.»
Meno quattro:
-«Aurora, ricordi la volta che venni a presentarti “L’Appuntamento” tra l’uomo dal fiore di ginestra e la donna dalle mani ambrate? Che giorno era?»
Meno cinque:
-«Cercatelo. Ditemi la data.»
Meno quattro:
–«Ricerca in corso.
Ricerca ultimata.»
-«Risultato?»
-«Ventiquattro marzo mille novecento novanta due, ore diciotto. Annotazione: ospite Bruno.»
-«Aurora, vuoi chiedere se c’era anche Ignazio?»
-«Controllate.»
Meno tre:
-«Controllo in corso.
Controllo effettuato.»
-«Risultato?»
-«No, non c’era.»
Meno due:
-«è certo?»
-«Confermato. Non c’era.»
-«Aurora hai inteso?
Non c’era Ignazio insieme con noi quando accompagnai da te l’uomo dal fiore di ginestra e la donna dalle mani ambrate che sai considero la mia Anima e il mio Cervello.
Giusto?
Chi potrà spiegarmi perché nel diagramma del suo DNA viene scaricato questo incontro?
Ed anche nel mio?
O lui o io!»
Meno uno:
-«In quanti eravamo, Aurora? Ricorda e decidi, manca un attimo.»
-«STOP.
Tutto fermo.
Tutti fermi.
Si faccia avanti il responsabile.
SUBITO!!!»
Non furono parole, furono imperativi categorici ed io pensai: «Si salvi chi può, è l’ora del giudizio universale».
Un suono di ciaramelle accompagnò la mia anima deliziosa che ancora prima del verdetto, senza indugio, iniziò a declamare i versi, dedicati un tempo al nostro “Arrivederci”:
… … …
Ed oggi ascoltare
venerdì di piazze
domeniche di folle
e il resto,
tutto rifatto
scotto:
segna nuovo equilibrio
per non staccare stampe
da muri di nuovo imbiancati.
Sedersi su un albero,
presso un’onda chiara, scura,
ai piedi del viale del nostro viaggio, nella poltrona di fronte al fuoco, su un angolo del letto a luci ancora spente,
non oltre,
noto:
lasciamo ad altri
tratteggi di scie di lumache storie di applausi e di avventure scolpite … per Uno.
Ora se vuoi è l’ora di andare.
NUSIV