Interno 4 – Eventi 2024

Interno 4 – Eventi

Interno 4 – Eventi

Durante il mese di maggio 2024 oltre i consueti incontri di presentazioni e conferenze si svolgeranno eventi iscritti nel palinsesto della manifestazione internazionale “Il Maggio dei Libri”.

 

Domenica 28 Aprile
– Conferenza sull’origine di Roma con Sandro Pravisani

Sabato 27 Aprile
– Incontro con la poetessa Laura.

Domenica 21 Aprile
– Meditazione sul femminile con Krizia.

Sabato 20 Aprile
– Ritmi della tradizione balcanica con la band Balkanski Put.

Venerdì 19 Aprile
– Incontro con l’astrologa Ines Farinelli.

Domenica 14 Aprile
– Finissage della Mostra fotografica: Terra, Fuoco, Acqua, Aria di Rocco Scattino con
performance dell’attrice Chiara Pavoni, con i musicisti: Maria Luisa Neri, Santina Amici,
Marco Moonian Salvatori, Valerio Michetti.
– Yoga Nidra conduce Eleonora Sadagati.

Sabato 13 Aprile
– Conferenza sulla seduzione con lo psicoterapeuta Evaldo Cavallaro.
– Spettacolo comico dell’attrice Lucia Arrigoni.

Venerdì 12 Aprile 2024
– Lo psicoterapeuta esperto in ipnosi Evaldo Cavallaro presenta lo scrittore Alberto Lori.

Domenica 11 Aprile 2024
– Presentazione della cantante e scrittrice Andrea Shaw
– Vernissage della Mostra fotografica: Terra, Fuoco, Acqua, Aria di Rocco Scattino.

Sabato 06 Aprile 2024
– Presentazione della poetessa Emanuela Botti.

Venerdì 05 Aprile 2024
– Ipnosi regressiva con Renato Moriconi.

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Il Dispari 20240226 – Redazione culturale DILA APS

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Il Dispari 20240226

Così o come

Un racconto di Bruno Mancini inserito in

“Per Aurora volume terzo”

https://www.lulu.com/it/shop/bruno-mancini/per-aurora-volume-terzo/paperback/product-29y6wr.html?page=1&pageSize=4

Terza puntata

Parte Prima

CAPITOLO PRIMO

Costui, in fondo, era un uomo gioioso e collerico, sensuale rude e tenero, bislacco e profondo, futile e sottile. Un brivido per donne di sani tradizionali principi, per maschi timorosi di confronti e per tutte le belle statuine dei presepi viventi allestiti nelle piazze e nelle feste di paese.

Nessuna persona provvista di buon senso avrebbe voluto provocare un confronto con la sua dissacrante, violenta ed anarchica mancanza d’auto ironia:

-«Coloro che bussano alla porta, i bussanti, i bussatori – e così anche il liquido di una bottiglia dal tappo di sughero biondo come la schiuma della mia birra commerciale o come i baffi scoloriti dalle tremila sigarette che fumo in meno di cinquanta giorni – non sempre sono i migliori nel catalogo degli attesi.

Io credo che l’America avrebbe dichiarato guerra al Giappone per l’affronto delle Hawaii, ma non si sarebbe impegnata nello scacchiere europeo se l’Italia non fosse stata in lizza.

Il Dispari 20240226 – Redazione culturale DILA APS

Senza la partecipazione del nostro Duce al conflitto, loro, le stelle e strisce, avrebbero comodamente sistemato l’orticello acquatico del vicino Pacifico non creandosi altre preoccupazioni.

Le fabbriche di cannoni ed ogive per proiettili dalle svariate caratteristiche, avrebbero continuato a produrre utili e benessere economico con minime perdite di vite umane, sia in regime di guerra, sia nel successivo tempo di ricostruzione.

Ma “la popolo ed il popolazione” nel continente a stelle e strisce era formato in maggioranza da itali americani.

“Non salviamo i nostri cugini zie e nipoti amici fratelli padri nonni madri cumparielli padrini sorelle consanguinei conoscenti? Il cattivo li opprime.

Noi siamo la libertà.

Loro, gli Italioti, custodi delle nostre radici, delle nostre origini, delle nostre fedi, sono persone a noi care. I nostri consanguinei sono ingenui, semplici, affettuosi, docili, simpatici, gentili, ospitali.

Sono poveri scemi imbrogliati dal fottuto figlio di puttana. Abbiamo lottato contro le Montagne Rocciose, gli Apache, il Fiume Colorado, Geronimo, ed il Deserto del Nevada, che facciamo, gli spettatori nella corsa alla conquista dell’Italia, l’origine delle nostre origini?

Non sia mai detto!

Andiamo.

WE GO.”

E vennero.

Non piangere, bambino, tua madre fu violentata da truppe marocchine, sì, sotto il comando di…, sì, sì, sì… ma non erano i cugini, neppure le settantamila, settecentomila, sette milioni, sette miliardi di tonnellate di bombe a tonnellate sui vicoli palazzi spiazzi giardini pubblici scuole chiese alberghi prostiboli… et de hoc satis.»

Questo racconto tenta di forzarmi la mano ed impormi continue traiettorie, contigue confinanti collaterali collegate complici comuni compiacenti, che non rientrano nella serafica visione morfologica che inizialmente avevo architettato.

Il breve ritratto di un Costui spolverato dal manuale del tipico esistenzialista pacifista comunisteggiante anarcoide, non prevedeva la messa in scena di un superbioso trattato storico sociale.

Costui quindi tornerà accanto alle altre figure nobili della ormai distrutta civiltà che abbiamo vissuto nella ex Isola Verde. Tuttavia, per non convalidare la tesi secondo la quale non avrei rispetto per nessuna giusta curiosità, e tanto meno per gli ormai codificati standard letterari, completerò in poche righe la tesi elaborata da Costui.

Il Cattivissimo perse la guerra, poiché aveva commesso l’errore madornale ed irreparabile di pretendere l’alleanza del Semi Cattivo. Ciò in quanto tutte le operazioni militari del suo Sub alleato si rivelarono tanto velleitarie quanto inutili e dispersive.

La Grecia, l’Albania, la Libia, l’Eritrea, l’Egitto, l’Etiopia, Malta, Cirenaica Trento e Trieste pur non essendo di alcuna valenza nella economia bellica, crearono ostacoli di grossa portata alle armate del Super Io chiamate in soccorso dei bravi soldatini disarmati affamati e male equipaggiati che il Mini Dux aveva gettato allo sbaraglio al grido di “Avanti savoiardi”.

Il Dispari 20240226 – Redazione culturale DILA APS

Il Dispari 20240226

Un giorno sì e l’altro pure, “Egli, il mini” mandava emissari a chiedere aiuti “Il pan ci manca”, e ad implorare “Benzin benzin”. Per di più generali afflitti dalle vicende di Taranto, Capo Matapam, Tobruc, e poi Grecia, e poi e poi… aggredivano, si fa per dire, il Maine Super con assillante continuità.

Da queste considerazioni Costui traeva la conclusione che il Baffo Tedesco, senza l’intervento raffazzonato e sconclusionato dell’Amico Guaifondaio, potendo utilizzare in maniera non dispersiva forze superiori sui fronti strategicamente determinanti, sarebbe riuscito a sopraffare le difese nemiche.

Egli rafforzava questa sua tesi elaborando il concetto che le Stelle e Strisce erano entrate in guerra contro il Super Deux solo in ragione della presenza dei Nostri concittadini (piccolo interessuccio economico populistico).

Non tutti siamo d’accordo.

Non tutti abbiamo natura di “affermanti”.

Non può non esserci un limite.

è vero che il Super comandava il plotone di esecuzione, ma erano altri a premere i grilletti.

Allora io ancora non sapevo che nello stesso giorno del mio secondo compleanno il Super Iper Max Baffo Maine aveva ammazzato pure se stesso!

Suicida.

Altri personaggi candidati: – Andrea – Ciccio – Aniello…

Volendo comprendere le banalità insite nelle semplificazioni adoperate per ridurre in un breve promemoria una serie di azioni, tra loro simili ma differenti, è sufficiente permeare, spianare, e quindi valutare, quanto viene affermato in uno dei più celebri messaggi popolari. Affidato a noi ragazzi dai saggi vissuti negli anni delle Pinete d’Ischia, esso proclamava: “Occhio che non vede, cuore che non soffre”.

Andrea era cieco e soffriva, sia a causa delle oggettive privazioni di cui la sua quotidianità risultava costellata, sia per i ricordi di quante meravigliose immagini avevano fermato i suoi sguardi nei tempi passati. Egli pativa anche, o forse principalmente, in quanto il buio visivo nel quale era immerso da anni aveva dapprima circoscritta, ed infine definitivamente imprigionata, la sua indole di spontanea prorompente ricerca conoscitiva.

In un evidente contrappunto ai limiti fisici caratterizzati dalla deficiente situazione sensoriale, Andrea aveva affinata una capacità mnemonica quasi oltraggiosa a confronto di quella dei vedenti. Ogni settimana, prevalentemente di venerdì, lo scrutavo mentre era impegnato a scandire una sequenza impressionante di colonne totocalcio alla compagnia di un esiguo gruppo d’amici. Eseguiva, mentalmente, complicate elaborazioni. Dettava serie enormi di dati che altrimenti si potevano attenere solo rivolgendosi a ricevitorie speciali dotate d’apposite attrezzature computerizzate. Robotizzato, era un aggettivo che specificava bene le sue attitudini. Non solo per lui era elementare lo sviluppo del “sistema” di sette doppie (che si articola in cento ventotto colonne di tredici segni ciascuna), ma con stupefacente naturalezza, bevendo un cappuccino e fumando un pacchetto d’Edelweiss, riusciva a dettare la serie completa di colonne di tutti gli altri sistemi, integrali o ridotti, per i quali gli si chiedeva collaborazione: quattro triple, tre triple e tre doppie, cinque triple e tre doppie ecc.

Non dico che ritenevo impossibile memorizzarne le formule, ma che mi colpiva la sua abilità di specificarne le risultanti colonne senza potersi servire d’alcun aiuto. Insomma sono tuttora convinto che è certamente un risultato di grande concentrazione riuscire, senza neppure un foglio di carta ed una penna, ad elaborare quegli insiemi composti da tante numerose variabili.

Il Dispari 20240226

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20240219 DILA APS – IL DISPARI

Il Dispari 20240219 – Redazione culturale DILA APS

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Il Dispari 20240219 – Redazione culturale DILA APS

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CRITICA LETTERARIA DI LUCIANA CAPECE

Ringrazio calorosamente la nota Associazione DILA APS rappresentata dal Presidente BRUNO MANCINI (un patrimonio di risonanza divulgativa) per aver dato questa opportunità a me, Scrittrice LUCIANA CAPECE, di avere il vanto e l’onore di pubblicare nella pagina culturale del quotidiano IL DISPARI, linfa magistrale d’un canale Artistico Editoriale d’affermata fama INTERNAZIONALE  Diretto Eccellentemente dal Grande Editore GAETANO DI MEGLIO!

Il Dispari 20240219 – Redazione culturale DILA APS

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“QUESTA NON È UNA POESIA” DI LUCREZIA RUBINI

L’Autrice LUCREZIA RUBINI nella Silloge QUESTA NON È UNA POESIA adotta una tecnica poetica particolare per dare testimonianza esclusiva d’una essenza scritturale al netto di un linguaggio vero, autentico appartenente alla realtà di quella rassegna quotidiana.

La sua ricerca non usuale ma esistenziale con una creatività Artistica esprime sentimenti derivanti sia da scoperte palesi che dalla luce catartica d’introspettiva verità, spesso cruda che lamenta battaglie di violenze insostenibili.

Cardine d’una cecità sociale accertata che notifica quel diktat oscurale di uomini privi di sensibilità e responsabilità che varcano ponti di perversioni imperanti nel disequilibrio mentale.

I Testi della Poetessa RUBINI sono pennellate di rara bellezza una lente d’ingrandimento verso la DONNA amata nella sua ritmica virtuosa ma anche stuprata nella dignità nell’onore e nel corpo con consequenziali ferite.

Cicatrici custodite senza sconti nella teca d’un cuore trafitto concausa di dolore mai appassito.

Ove tracciano sconfitte personali ammantate di solitudine.

Il Libro, in sintetico fraseggio, sprigiona un potenziale d’attenzione e approda nella corsia vitale come viaggio d’unicità e di riscatto che lievita interesse nel lettore e verso la persona che, nonostante il macigno dello stupro logori silente, guarda al primordiale incanto che affonda in radici di libertà, nel decifrare parole liberatorie di appartenenza in un mondo creato su misura solo nella sua logica mentale, ma non dove la natura cosparge di profumi prati verdiani.

Come lo rivela il Componimento: UN MONDO TUTTO MIO un concetto di non condivisione di un universo dai parametri asimmetrici e scombussolati!

La Composizione dei versi PROSTITUTA richiama con eco assordante quel codice d’etica comportamentale che manca nel soggetto uomo senza scrupoli, ove nè addita la stima della detta facile presa gettata via per nulla.

La Scrittrice RUBINI, con insistenza e battito carnale, si sofferma sui punti salienti della figura maschile proiettata ad ostentare il peggio della sua consapevolezza umana lontano dai canoni tradizionali.

La Lirica MOLESTIA denota il dramma di sudici avvisaglie che in alcuni casi sfocia completamente in enfasiata paura, ove la DONNA è obbligata a subirne le tragiche disperazioni ma che nell’indole non disperde il filo logico di contemplare le fatiche per colpa di anime abissate nella cattiveria cui, ben citata, è la morale bella dedica all’Eroe ULISSE.

L’OPERA della Dott.ssa RUBINI è un contributo significativo al passaggio storico complesso- collettivo ma pur sempre di pregevoli annotazioni.

Nei versi predilige il ruolo conservatore dell’amata natura cui tangibile è risalto del vento- mare- cielo e sole ma non passano di certo inosservate l’ossessione e lo stato ansioso anche se attanagliano duramente, aprono le porte speranzose per annoverare riprese creative distaccate quanto possibile dalla centrifuga di stress.

Per rimembranze senza impedimenti risalenti all’ingenuità infantile, a quando il blu brillava all’orizzonte nel sereno vissuto, nel respiro della pace fino alla matura comunicativa giovanile.

<PIONIERI DEL NUOVO MONDO!>

In disaccordo con un tempo non più amico ma, come allora, il singolo individuo può intervistare la generazione sociale, erede per trarre la storia in un presente con i suoi cambiamenti non proprio consono alle simbiotiche vedute d’umano rapporto tra simili.

Ben stilato DALL’ AUTRICE in questo quadro operandi ove, nella galleria di nostalgici ricordi, cataloga commenti di rispettosa analisi antica, altrettanto nel teatro della vita rende protagoniste tematiche di spessore con anomalie viscerali nocive d’una inquietudine propalata da forte riflessione, quasi come un discorrere confidenziale.

Scrittrice – Poetessa – Saggista – Aforista – Prefatrice – Critico Letterario – Critico Teatrale – Recensora

LUCIANA   CAPECE

Il Dispari 20240219 – Redazione culturale DILA APS

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Il Dispari 20240219 – Redazione culturale DILA APS

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Antonella Ariosto, nuova penna di questa pagina culturale

La scorsa settimana ha iniziata la collaborazione con questa pagina culturale la scrittrice Antonella Ariosto alla quale diamo un caloroso benvenuto nella certezza che i suoi articoli incontreranno il gradimento dei nostri affezionati lettori.

Antonina Ariosto, ma da sempre chiamata Antonella, nasce a Messina.

Fin da piccola, consigliata dalla mamma, legge molto e, appena undicenne, inizia a scrivere versi dedicati alla natura in stretto rapporto con la sua anima.

La madre le consiglia gli studi tecnico commerciale da lei effettivamente portati a termine con buon profitto.

La scrittura, tuttavia, rimarrà sempre il suo piacere più vero determinando il vero incontro con sé stessa.

Ha partecipato e vinto vari concorsi di poesia.

Per diverso tempo in un blog on-line ha scritto articoli dedicati a Roma e trattando argomenti di attualità.

Partecipa attivamente ai contest di scrittura creativa.

Ha scritto e pubblicato un racconto breve “Nina e i suoi voli” (Accademia Edizioni ed Eventi) e

3 libri di poesia “L’anima vola” (casa editrice Pluriversum); “Vita in equilibrio… instabile” (Accademia  Edizioni ed Eventi); “La Valigia di…” (Luciano Zampini editore).

Da qualche anno ha iniziato a scrivere un nuovo racconto che spera di terminare entro breve tempo per presentarlo a Ischia nella Biblioteca Antoniana, anche se la famiglia ha sempre avuto  la precedenza nella sua vita, sia da giovane mamma e sia ora da giovane nonna.

Chiara Pavoni e Antonella Ariosto

Chiara Pavoni e Antonella Ariosto

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Il Dispari 20240422 – Redazione culturale DILA APS

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Il Dispari 20240422

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Così o come

Un racconto di Bruno Mancini

inserito nel volume “Per Aurora volume terzo” Ottava puntata

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

I bulbi oculari mi facevano male, forse per la scarsa luce, forse per il poco sonno, forse per le tante ore trascorse a scrivere, forse per l’età, ma certamente andava ascritta al mio disordine mentale una qualche responsabilità per aver provocato il loro roteare senza punti fissi di riferimento.

Fermò le dita affusolate di mia madre, piegò verso l’alto il corpo armonico di mia sorella, e con la voce profonda di mio padre «Io sono Ignazio» disse.

-«Ignazio?»

-«Sì Ignazio»

-«E allora? Con ciò? Che cazzo significa? Basta indovinelli. Parla o vai. Ignazio, Filippo, Marco Aurelio, Giulio Cesare che me ne fotte del tuo nome!
Parla o vai.
Bevi, fuma e vai di corsa.
Non ho mai tempo per nessuno, figuriamoci oggi.
Non ne ho abbastanza neppure per me!»

-«Io sono Ignazio di Frigeria e D’Alessandro.
Tuo fratello gemello.»

Scolorire al buio.
Perdere battiti cardiaci.
Stoppare il respiro.

Chiusi gli occhi e mi chiesi se credere che i sogni si generino prima dei fatti, oppure se persuadermi che ne siano una rappresentazione.
Le fantasie germogliano da oniriche trasgressioni mai metabolizzate, oppure ne costituiscono le origini?
Prima l’uovo o la gallina?
Ignazio di Frigeria e D’Alessandro: il mio passato di sfrontate personificazioni dei mali del mondo.
La droga, la guerra, l’azzardo, lo stupro, si erano, tramite lui (visto da sempre quale compendio d’ogni maleficio), materializzati nella persona del traghettatore piagnucoloso che si dichiarava mio fratello e del quale mi impressionavano alcune caratteristiche fisiche: la voce profonda di mio padre le dita affusolate di mia madre ed il corpo armonioso di mia sorella.
Nel mio passato era stato un sogno, una visione?
A raccogliere i cocci di una bottiglia era la presenza di un incubo, d’una allucinazione?
Allora, quando scrivevo di Ignazio il combattente in Viet Nam, mi sfidava una forza di coesione che non si lasciava cancellare dal tempo e dalla distanza?
Il richiamo di una energia sconosciuta?

Nella situazione che stavo vivendo per il trasferimento che mi accingevo a compiere, ero oppresso dall’ossessione di pretendere una vicinanza familiare?
Ignazio, per me, padre madre sorella?
Mi chinai nell’atto di sollevarlo, ponendo i gomiti fra tronco e braccia, e quando il suo viso, assecondando i movimenti che compivo, giunse ad un palmo dalla mia bocca «Non ho fratelli» sentenziai «Non ho mai avuto gemelli, tu sei il parto della mia fantasia, tu sei mio.
Ignazio di Frigeria e D’Alessandro mi appartiene.
u mi appartieni», attesi l’attimo necessario a che deglutisse l’assoluta determinazione da cui mi sentivo invaso, e stringendo i polsi fra i pugni chiusi ai lati del suo torace, con la calma della follia «Perché sei qui?» gli chiesi.

Finalmente, sul soffitto, al centro del mio mondo, accesi il faro delle grandi occasioni.

Il Dispari 20240422 – Redazione culturale DILA APS

CAPITOLO SECONDO

Non poter descrivere nei dettagli la serie di virulente emozioni che mi procurò il prosieguo dell’incontro con il mio gemello Ignazio, è il prezzo che voglio pagare per non derogare dalla militaresca sottomissione al principio di essenzialità nel quale ho deciso di rinchiudere l‘esposizione di questa storia.

Ero certo «Alle venti sarò da Aurora.
Non un minuto oltre».

E come potrei esaurire, con locuzioni brevemente tratteggiate, la descrizione del patos -posso dire a mala pena celato-, che lui mi aveva procurato definendo con frasi stringate la precisa e dolorosa ricostruzione dell’intrigata vicenda che aveva determinato la nostra separazione, nel 1943, tra guerra, fame, tradimenti?

Avevo ascoltato un Ignazio finalmente privo di reticenze.
Albeggiava.
Il gallo, i passeri, la fresca brezza che in tempi andati forse spegneva le lampade a petrolio sulle vie, il primo discreto avvicinarsi di un pullman di linea, il rombo soffuso del volo aereo Venezia Napoli, segnalavano con sufficiente precisione lo sviluppo delle ore.
Le quattro e venticinque.

Ero certo «Alle venti sarò da Aurora».

Il Dispari 20240422 – Redazione culturale DILA APS

Se mi sarà concesso, quantunque in un luogo differente e con altra penna, colmerò le tante lacune di questa ricostruzione, cimentandomi in una impresa narrativa che non potrà in quel caso essere ridotta ad un breve racconto.
Se sarà.

In sintesi, il suo racconto iniziò dall’età di cinque anni, nel 1948, quando io vivevo ad Ischia senza luce elettrica e senza acqua corrente.
Ignazio abitava, con la famiglia dalla quale a sua insaputa era stato adottato, in una sfarzosa tenuta spagnola assegnata, in segno di cameratismo, dal “Franco” allora dominante all’amico gerarca fascista che si era rifugiato sotto la sua protezione subito dopo la fuga del re dall’Italia.
Nel 1948 la balia gli svelò una prima parte del segreto: «Sei un bimbo adottato.»
Lui non capì e proseguì nella sua infanzia.
O non volle comprendere?
A me quell’anno non dissero niente.
Tutto, così, proseguì uguale a sempre.
Nella solita consuetudine.
Nel 1961, compivamo diciotto anni.
L’invecchiato comandante in esilio convocò il giovane Ignazio nello studio tappezzato da grossi volumi di libri mai letti, ed in quella occasione parato a festa con stendardi sfilacciati di una unica etnia svolazzanti tra tazzine da caffè rigorosamente nere, per comunicargli, adagiando rispettosamente la mano destra sulla banderuola che tra tutte figurava il riconoscimento per il maggiore atto di eroismo bellico, ufficialmente formalmente «Tu hai un fratello gemello.»

La frontiera nazionale del Montecarlo passa attraverso la struttura edilizia d’alcuni alberghi, cosicché ai privilegiati clienti è sufficiente spostarsi di una camera nello stesso ambito residenziale per godere degli effetti giuridici di un altro stato.
Simile trasferimento fece Ignazio.
Solo?
Con un fratello?
Io sono, lui è.
E tutto proseguì nella stessa identica ripetitività quotidiana.
A me nel 1961 non dissero nulla e nulla mutò.
Nessun particolare era rimasto inciso nei miei pensieri.

Mi chiesi quanti parenti ed amici avrebbero avuto la facoltà d’aiutarmi provvedendo alla discreta ricostruzione dei segnali che, forse, io non avevo recepito, oppure che, invece, in una ipotesi maggiormente attendibile, nessuno di loro in tanti anni si era mai proposto di far balenare davanti alla mia mente. Neppure sotto una qualsiasi forma allegorica o mediante l’ambigua divinazione di un improbabile oracolo.

La gente che mi era stata vicina, spesso amica, a volte finanche unita da un vincolo d’intimità, e che sapeva, la gente delle mie terre, delle mie case, dei miei rifugi, non aveva, fino ad allora, illuminata un’ombra sufficiente affinché potessi impossessarmi delle vicende essenziali alla comprensione di questa parte della mia storia personale!

Ignazio era stato davvero tutto nella vita: un gran colpo di sfida perenne.

Non mi svelò alcun particolare somatico o caratteriale della sua madre adottiva, neppure durante il sofferto ricordo del segreto che lei gli aveva voluto rivelare, mentre oramai le sfuggiva la vita, dicendogli «Tuo fratello è Bruno Mancini.» Poco dopo, serenamente, finì.
Sono il fratello, ma per lui non cambiò nulla.
Non ne ero a conoscenza, e per me fu ancora come prima.
Tutto uguale per noi.

Veniamo al dunque.
La sua confessione ebbe termine alle cinque e trentotto.
ra suonata la sveglia dell’inquilino, di professione muratore, che alloggiava nei locali adiacenti alla parete del mio angolo di complicate meditazioni.
Era male tarata, può darsi volontariamente, altrimenti perché avrebbe strimpellato alle cinque e trentotto?
Cinque e trenta va bene.
Cinque e trentotto non va bene.
Non collima.
Non si spiega.
Siamo tutti formalisti.
Lui disse «Sono qui perché mi hanno convocato.
Aiutami.
Voglio il tuo aiuto.»

-«Che incredibile coincidenza! Quando?»

-«Fra poco, alle venti.»

Quanto tempo occorre per arrostire una catasta di funghi campagnoli d’origine dubbia, e mangiarli tra fette di pane pugliese e litri di birra popolare?
Quanto tempo ci vuole per fare uscire dallo scroto i coglioni distrutti e sbatterli nel ventre della puttanaccia internazionale?
Per salutare gli amici?
Mortificare i nemici?
Stringere al petto la donna amata?
Bere, bere, bere, scrivere, scrivere?
Guardare le stelle?

Troppo.

Neppure intendo dilungarmi intorno alle priorità che tentavano di occupare un posto nelle poche ore disponibili.
In questo contesto potrebbe risultare un elenco penoso, lacrimevole, mentre invece, con una differente atmosfera, sono sicuro di non aver difficoltà a dimostrarne la bellezza emotiva, pur nelle contrastanti armonie.

A titolo di esempio: avrei dovuto provvedere a cambiare l’acqua nella boccia di vetro dei miei amici pesciolini rossi ed aggiungere qualche razione supplementare di scaglie Goldfish Food, non senza irritante dispendio di minuti preziosi, oppure dare precedenza alla chiusura dei rubinetti?

Il Dispari 20240422 – Redazione culturale DILA APS

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Il Dispari 20240415 – Redazione culturale DILA APS

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Il Dispari 20240415

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Così o come

Un racconto di Bruno Mancini

inserito nel volume “Per Aurora volume terzo”

Settima puntata

 

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

Nei mari dei Caraibi la preda è il pescatore che non utilizza adeguate protezioni.
Soltanto un lusso svogliato lo porta a privarsi di bombole e boccaglio per la pesca dei barracuda.
Il Tirreno era considerato dagli antichi un mare “nostro”.
Noi umani moderni lo abbiamo squamato devitalizzato disinfettato colonizzato, reso una fogna, riciclato in mare “morto”.
Era in esso (avrei preferito scrivere in lui) che spesso sguazzavo, intrepido e naturalista, imbozzimato tra le spire coinvolgenti delle immersioni.

Con maschera e pinne.
Sempre senza bombole.

Nella settima edizione delle mie incursioni tra le gole marine di San Pancrazio, alla ricerca di una mitica tana di cernia che ricordavo ricoperta da alghe e licheni, per non concedermi un respiro, l’apnea avrebbe potuto togliermi la vita prima della risalita.
Più giù.
Più più.
Più tempo.
Più volte.
Più sempre, più tutto, più giovane, più forte, più solo, più assurdo, più io, più meno.

Dietro alla porta chiusa del mio rifugio, che certo non bussava da sola, come braccata dalla muta camaleontica di un sub, la mia apnea, per me ad un tratto trasformato in cernia indifesa, non era altro ormai che scommessa perduta.
Non voglio, non posso, non apro, non sono, la mia perdita di respiro è spirale avvolgente.

La mia apnea si asserviva al lusso svogliato di prolungare un calvario per una determinazione che non era in mio potere modificare.

Il Dispari 20240415 – Redazione culturale DILA APS

-«Chi bussa alla porta?
Chi è?»
Accomodati amico, gli dissi, e lui sedette.
Gradisci una birra popolare, gli chiesi, e lui bevve.
Accendiamo una sigaretta? Fumammo.

Nessun uomo è paragonabile ad una donna.
Non c’è uomo simile ad un altro uomo.
Non esistono due gravidanze uguali.
Nelle belle famiglie campagnole il gatto era gatto.
L’agnello, agnello
Il cavallo, cavallo.
Il maschio adulto era il padrone di casa.
Anche di tutto il suo contenuto.
Matriarche comprese.
Il lutto della diretta è la corsa in avanti senza ripetizione.
Io, mentre scrivo un racconto, posso superare l’ostacolo, recuperando l’omesso.

Lui diceva “me ne fotto”.
Io ci provo. Aggiungendo.
Accomodati amico, gli dissi.
Aveva la faccia pallida di un uomo ormai fantasma.
Gradisci una birra popolare, gli chiesi.
La sua bocca si aprì a fatica quasi fosse incollata da un immenso terrore.
Accendiamo una sigaretta americana turca napoletana?
La prese con la mano tremante del cacciatore di tigri, disarmato, al cospetto della splendida bestia immobile in un agguato traditore.

Non mi spiegavo né l’origine, né la natura, di tali incontrollate manifestazioni esteriori d’emozionalità espresse, per altro, da colui che identificavo come il professionista inviato dalla mia amica Aurora per rendermi meno penoso il passaggio al suo di “Là”.

Sul tavolo sgangherato a seguito dei continui sbilanciamenti del mio corpo scoppiettante di bollicine gialle, la figura sconosciuta aveva poggiato i gomiti per trattenere la testa ciondolante come il pendolo capovolto di un orologio del tardo ottocento.

Triste, oscuro, silente, non osava guardarmi.

La mia preoccupazione non era certo lo stato d’animo nel quale egli si proponeva.
Figuriamoci!
Ciò che Aurora voleva, la “Signora” poteva.
Vestisse pure i panni del melodrammatico sentimentale, affari suoi.

Il comune mister Pinkerton, Donoval, Smith, Rossi, Giallo, Verde, Forza Napoli, mi fissò con lo sguardo di un maniaco sessuale di fronte alla evidente prossima maternità della più bona del paese. “L’hai fatto” pareva pensasse, “Adesso lo farai di nuovo con me” sembrava volesse imporre.

Schiacciava il suo volto pallido, le sue mani tremanti, le sue labbra asciutte contro la mia, dicono, pigrizia indolenza disattenzione distrazione.
Eppure i suoi tratti somatici appartenevano a qualche ricordo passato che avevo apparentemente rimosso.
Ho dimenticato il nome del cane che ha diviso per venti anni la mia gioventù, ma non mi sfugge, tra la folla di una stazione ferroviaria durante l’ora di punta, il volto di chi ho frequentato anche saltuariamente anni addietro.
E’ vero, sono fisionomista.
Al chiaro del sole.
Con molta luce.

-«Aiutami» così iniziò: «Aiutami».
Il volo di un calabrone indispone per il ronzare privo di pause ed invita ad una caccia disinvolta.

A me le frasi incomplete nel senso e nella forma invogliano alla fuga ingiustificata.

Erano tre ore che non muovevo un passo, schiacciato con il culo sulla estremità di una sedia, e con le caviglie sul bordo di un’altra ricoperta da un cuscino di gommapiuma sottile come un cartone da imballaggio.
Neppure mi ero alzato per aprirgli la porta, era socchiusa, bastava spingere.
Erano tre ore che non pisciavo le birre popolari stipate a botti nella vescica, erano tre ore che non respiravo un litro d’aria denicotinizzata semi naturale leggermente frizzante per le bollicine provocate dalle onde sbattute sulle scogliere apparecchiate con stupidi blocchi d’indecente calcestruzzo.

Mi alzai, andai nel cesso, aprii la finestra pisciai e l’aria fresca fredda della notte non lasciò dubbi al mio dubbio che forse Mister Ford, Esposito, Mac Carty, Ciun Ciun, Senegal, Pilato, Coglione… fosse una donna… non cambia nulla… è tutto uguale.

Non c’è passione solitaria senza un passato di voglie inappagate.
Spesso essa è solo l’ultimo traguardo, il morbido poggiatesta della pennichella pomeridiana.
Ben altro è ingannare, fingere, sbiadire, rotolare in panni di chi non sei, non disdegnando di porre il dito nella ferita e lasciarlo marcire insieme ad essa.
La fuga e la salvezza.

-«Aiutami» così iniziò: «Aiutami» con una voce simile a quella di mio padre.
Profonda.
E disse: «Ho letto di te ed ho seguito da molto tempo in silenzio la tua vita avventurosa.
I tuoi libri e gli articoli di giornali che seguivano le tue azioni in difesa di libertà e debolezze.
Ti ho ammirato senza averti mai visto. “Il bel maschione conquista la star…”, “è lui l’uomo dell’anno…”, “Trenta milioni di copie vendute…”.
Hai una birra per me?»

I complimenti offerti bene sono tuoni a ferragosto.
Attrazioni di energia esplosiva.
Le lusinghe sono petardi che scoppiano in mano devastando pollici ed indici.
Il suo porgermi frasi banali già udite, di semplice contenuto, inutilmente adulatrici, prive di fronzoli non fu sufficiente a distogliere la mia attenzione dalle dita affusolate che gli reggevano il capo ciondolante.
Così le aveva mia madre.
Affusolate.

Il Dispari 20240415 – Redazione culturale DILA APS

Più che la birra, andai a prendere una pausa di riflessione.
Avevo necessità di concretizzare quell’incontro.
Dimensionarlo, affidarlo a linearità geometriche.
C’era la luna, e i motorini che passavano rumoreggiando per la fretta e la cattiva manutenzione, m’indicavano l’ora.
Quarto più quarto meno, il bar all’angolo chiudeva alle due, ed allora il personale addetto al turno finale ne usciva passando disordinatamente sotto le mie finestre.
Così da anni in questi mesi.
Considerai che stavo scegliendo di costruire da solo risposte per domande che non ponevo: la talpa.

Nessuno sopravvive alla sua storia.
A me non è mai bastata viverla, ho sempre voluto possederla, controllarla, fino a tentare di anticiparne le costellazioni degli eventi casuali.
L’individuo venuto da lontano, l’uomo d’Aurora mi stava chiedendo aiuto con la voce profonda di mio padre, difendendo la testa tra le mani con le dita affusolate di mia madre.
Dov’era il nesso?
Quale era il significato, se c’era?

Passai accanto allo scaffale dove erano riposti gli album fotografici, ed un fugace pensiero me li fece abbinare a reperti, già fossili, destinati a futuri mercanteggiamenti di archeologia sociale.

Seguivo la traccia di piastrelle, color rosso vinaccia indicante sul pavimento la linea di separazione tra la zona di casa preferita per i miei contorcimenti mentali, e la cucina ospitante file di lunghi colli gonfi di liquido giallastro.
Al buio.
Tutto al buio, anche al buio.
Ho smesso di chiamarla birra.
La bottiglia dal collo alto non imponeva rivincite.

Pumm: Fzzzz.

Come una biglia nel castello dei birilli, avevo creato un effetto domino, ed una bottiglia piena mi cadde dalle mani spiaccicandosi a terra.
Accade.
Accadde.
L’uomo? La donna?
Ei senza nome, udito il tonfo, si mosse veloce per aiutarmi.

Il secchio la scopa la paletta, «Che m’importa!», dicevo, «Lascia così.», «Ne ho altre.», Ei con voce profonda e dita affusolate «Faccio in un attimo.», «Non ci vuole molto.», «Perché no».

I suoi erano movimenti scattanti ed eleganti, di una particolare armonia che mi richiamava alla memoria i gesti di mia sorella.
Armonico.
“Così o come” fosse stata mia sorella.
Chi aveva bussato alla mia porta?

Io dissi «Perché sei qui?»

Lui pianse.

Pianse come un poeta, ricordando l’infanzia, narrando l’amore, sognando la pace.

Un’enorme confusione inzuppò di filamenti disordinati ed instabili il cesto di sparute tracce che avevo creduto di recepire dalla telefonata della mia amica «Signora».

Il traghettatore, Lui o Lei, Ei senza nome, con la voce di mio padre, le mani affusolate di mia madre, il movimento armonico di mia sorella, piuttosto che assecondare i miei desideri, piangeva sul pavimento di piastrelle gialle raccattando i cocci di una inutile bottigliaccia di liquido commerciale, mentre io contavo con ansia le ore i minuti secondi attimi mancanti al momento in cui avrei dovuto presentarmi alla convocazione.

Fine settima puntata.
Segue la prossima settimana.

Il Dispari 20240415 – Redazione culturale DILA APS

DILA

NUSIV

 

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