Rastrelli, rostri
i raggi scanalati della ringhiera all’ombra -,
quei ferri allungano riflessi scuri
in lungo e lungo il dosso del selciato,
mai sempre
ancora
sconnesso,
incontro e contro il bordo
a trono di petunie.
Non dirmi il senso delle grate
né il suppergiù
o il per di più
del nostro averci offesi “Io non ti credo”
in fughe martoriate
insonni
la mano sulla mano
nel tuo abbagliarti al faro che genera le ombre,
senza badare al sole e a chi rifiuta il paragone.
In questa notte,
distrutta
accartocciata,
bolla – mai più sigillo – di tre birre,
illuso anticipo
l’ascolto di ciò che mi dirai domani
quando
ma forse quando,
per me non più mistero,
mi mostrerai il tuo sguazzare entro gli ostacoli e gli enigmi
mentre io mi muovo in passi a salto di cavallo
sulla scacchiera di case o bianche o nere
e dove zero è inesistente giallo.
Fissando occhiali scuri che ricoprono,
spiaccicato impiastricciato,
rimmel in rivoli intorno alle tue occhiaie,
saprò che il nostro tempo
largo e capiente, forte
stupendo
di trama stretta come un crivello
è stato infine una corrida senza senso
fra te ch’eri la sfida sconosciuta
ed io che sono il vinto di me stesso.
Dalla raccolta di poesie “Sasquatch” (1968 – 2009): YES
Rastrelli, rostri
– i raggi scanalati della ringhiera all’ombra -,
quei ferri allungano riflessi scuri
in lungo e lungo il dosso del selciato,
mai sempre
ancora
sconnesso,
incontro e contro il bordo
a trono di petunie.
Non dirmi il senso delle grate
né il suppergiù
o il per di più
del nostro averci offesi “Io non ti credo”
in fughe martoriate
insonni
la mano sulla mano
nel tuo abbagliarti al faro che genera le ombre,
senza badare al sole e a chi rifiuta il paragone.
In questa notte,
distrutta
accartocciata,
bolla – mai più sigillo – di tre birre,
illuso anticipo
l’ascolto di ciò che mi dirai domani
quando
ma forse quando,
per me non più mistero,
mi mostrerai il tuo sguazzare entro gli ostacoli e gli enigmi
mentre io mi muovo in passi a salto di cavallo
sulla scacchiera di case o bianche o nere
e dove zero è inesistente giallo.
Fissando occhiali scuri che ricoprono,
spiaccicato impiastricciato,
rimmel in rivoli intorno alle tue occhiaie,
saprò che il nostro tempo
largo e capiente, forte
stupendo
di trama stretta come un crivello
è stato infine una corrida senza senso
fra te ch’eri la sfida sconosciuta
ed io che sono il vinto di me stesso.
Dalla raccolta di poesie “Segni” (1964 – 1987): Una storia di troppo
Il quinto dito di una mano.
Forti emozioni più
forti, fortissime.
Lei troppo prima.
Nel tempo perduto di un viaggio astrale
la nostra coppia
solitaria
– in solitudini senza tempo –
s’arrocca in semplici schemi
– d’amore è troppo -.
Lei – pensa – troppo unica.
“Rivederci un giorno”
“Appuntamento in centro”
“Va bene, ai treni”
“All’ora di punta”
“Che non sia Carnevale”
Troppo amore non serve.
Lei – pensa – troppo uguale.
Troppo nuda
troppo sincera
troppo significante.
L’attesa è del troppo gradevole.
Ma il vecchio corsaro ora vuole la noia
– pretende
attende –
l’ultima emozione prima
ignota, offensiva.
Sul fasciame di un suo vascello
– disteso –
alla fonda in acque mitiche
– solo –
il sole affisso all’albero alto
– chiuso –
lasciati avvizzire i ricordi
cerca – e sbaglia –
la Noia.
L’ultima emozione è più
forte, fortissima:
se assale è solo da sola
solissima
senza illudersi d’essere attesa
assimilata
per poi dissolvere anche i rimpianti
– scrupoli –
di non essere ancora
appartenuta.
E Franco potrà dire
“Il tema è favola
la storia è antica
il passo è breve
accettati
e lascia libere le tue certezze”.
Il quinto dito di una mano.
Forti emozioni più
forti, fortissime.
Lei troppo prima.
Nel tempo perduto di un viaggio astrale
la nostra coppia
solitaria
– in solitudini senza tempo –
s’arrocca in semplici schemi
– d’amore è troppo -.
Lei – pensa – troppo unica.
“Rivederci un giorno”
“Appuntamento in centro”
“Va bene, ai treni”
“All’ora di punta”
“Che non sia Carnevale”
Troppo amore non serve.
Lei – pensa – troppo uguale.
Troppo nuda
troppo sincera
troppo significante.
L’attesa è del troppo gradevole.
Ma il vecchio corsaro ora vuole la noia
– pretende
attende –
l’ultima emozione prima
ignota, offensiva.
Sul fasciame di un suo vascello
– disteso –
alla fonda in acque mitiche
– solo –
il sole affisso all’albero alto
– chiuso –
lasciati avvizzire i ricordi
cerca – e sbaglia –
la Noia.
L’ultima emozione è più
forte, fortissima:
se assale è solo da sola
solissima
senza illudersi d’essere attesa
assimilata
per poi dissolvere anche i rimpianti
– scrupoli –
di non essere ancora
appartenuta.
E Franco potrà dire
“Il tema è favola
la storia è antica
il passo è breve
accettati
e lascia libere le tue certezze”.
Dalla raccolta di poesie “Non sono un principe” (2012 – 2014):
Rimuovo licheni
Ventaglio di giorni
disegnati sulla seta, bifronte,
vado creando
nel tramonto senza sole
nel tramonto mare e cielo
nel tramonto che ho voluto.
Scandaglio ad occhi chiusi
fondali di memorie;
frequento tane di cerniole
rimuovo licheni da madrepore,
sosto,
al limite del fiato,
in apnea,
sul più bel sogno che ho vissuto.
Intanto, sulla costa,
si accendono le luci del presente
mentre io mi carico di dubbi
-zaino/cervello-,
lasciando vincere l’attesa.