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Otto milioni 2019 – Premi di poesia, narrativa, musica, arti grafiche, giornalismo, recitazione

Dichiarazioni iscrizioni premi “Otto milioni” 2019
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Poesia – Premio “Otto milioni” 2019

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Musica – Premio “Otto milioni” 2019

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AG02 Aleem Uddin Arts 1

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AG01 Aldo Gallina

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Il Dispari 20190401 – Redazione culturale

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Il Dispari 20190401 – Redazione culturale

Il Dispari 20190401

DILA al Museo Crocetti di Roma con Adriana Iftimie Ceroli e Dalila Boukhalfa.

A scuola con le Istituzioni” questo il titolo del progetto messo in campo da IPACS, che parte dalla ASL Roma 4 sino a coinvolgere altre realtà delle sanità del Lazio.

Nell’evento del 6 aprile che si svolgerà presso il Castello di Santa Severa, Santa Marinella, sette donne della sanità pubblica del Lazio sono invitate a raccontarsi su esperienze di criticità, integrazione e multidisciplinarità affrontate nella implementazione del Piano delle Cronicità.

Francesca Cioffi, fondatore di IPACS, afferma che

Le donne hanno un ruolo centrale anche in sanità, perché sono quelle che veicolano stili di vita positivi e si prendono cura degli altri.
Sono vettori di cambiamento e portatrici di competenze positive in tutti gli ambiti della vita sociale.
Il loro tocco, la capacità di gestire relazioni, fa bene anche nei luoghi di lavoro, specialmente se operano in ruoli dirigenziali.”

e poi continua dicendo

“Le donne sono un elemento nevralgico nella promozione della salute e non a caso abbiamo deciso di unire le loro storie ad un progetto istituzionale che prevede l’utilizzo di una metodologia integrata di coaching applicata ai professionisti delle strutture sanitarie del Lazio, per facilitarne il raggiungimento di obiettivi di sistema, attraverso il potenziamento delle competenze.”

In continuità con tale progetto, sarà aperta al pubblico dal 25 maggio al 5 giugno presso il Museo Crocetti, in Via Cassia, una mostra interattiva e “viva”’ “RiTratti di donne” dell’artista Mimmo Martorelli e curata da Massimo Sgroi.

L’integrazione mediatica tra le dimensioni socio sanitaria e culturale sarà presentata, in un contesto internazionale, con l’evento ”Sette donne si raccontano” organizzato il 6 giugno a chiusura della mostra, in collaborazione con la Dott.ssa Mariapia Ciaghi de Il Sextante, presso il Museo Crocetti di Via Cassia a Roma.

Due delle sette donne, ossia Dalila Boukhalfa e Adriana Iftimie Ceroli opinioniste della pagina cultuale del quotidiano “Il Dispari” diretto da Gaetano Di Meglio, saranno valenti e prestigiose Ambasciatrici delle idee e dei progetti Made in Ischia organizzati e diffusi dall’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”.

Dalila e Adriana, due delle sette ambasciatrici culturali -donne straniere- portatrici di rivoluzioni umane e personali, immortalate su pannelli, racconteranno le loro storie e testimonianze durante un reading performativo che unirà arte, cultura e società.

Complimenti alle partecipanti e, naturalmente, questa redazione continuerà a seguire da vicino tutti gli sviluppi dell’iniziativa.

“Promo uno” di Bruno Mancini – Quarta puntata

Dando seguito a quanto è già stato pubblicato il 15 febbraio e 11 e il 18 marzo sulle colonne di questa pagina, continuo oggi a pubblicare, in anteprima, tutte le poesie inserite nel mio volume “Promo uno”.

Poiché in “Promo uno” propongo in ordine alfabetico un florilegio di 52 poemi tratti da tutte le raccolte pubblicate (Davanti al tempo – Iª edizione 1964; Agli angoli degli occhi – Iª edizione 1966; Segni -Iª edizione 1988; Sasquatch – Iª edizione 2000 ISBN 9781445220161; La sagra del peccato – Iª edizione 2006 ISBN 9781446187777; Incarto caramelle di uva passita – Iª edizione 2007 ISBN 9781326738006; Non rubate la mia vita – Iª edizione 2008 ISBN 9781409233848; Io fui mortale – Iª edizione 2010 ISBN 9781326785390; La mia vita mai vissuta – Iª edizione 2013 ISBN 9781291629972; Non sono un principe – Iª edizione 2014 ISBN 9781291664447;) userò lo stesso criterio alfabetico nella determinazione dei testi da pubblicare di volta in volta su questa pagina.
Buona lettura

Dalla raccolta “La sagra del peccato”
C’è un patto

C’è un patto crudele
nel mio dono:
tu
devi prendere la mia sedia
la birra
il sigaro
la penna
per nascere.

“Ti giro intorno
e non ti tocco”.

C’è un patto scellerato
nel tuo domani:
tu
devi prendere il mio sonno
il letto
il lume
le ombre,
per vivere.

“Ti guardo dentro
e mi conosco”.

C’è un patto assurdo
nel tuo destino:
tu
devi prendere il mio amore
lo cerchi
ti sfugge
lo stringi
per essere:

“Ignazio di Frigeria e D’Alessandro
col cuore di un poeta”.

Dalla raccolta “Davanti al tempo”
Ceri nel buio di una notte

Ceri nel buio di una notte
oltre desiderate vane trasparenze.

Desiderate notti
quando solo si sentiva muovere
senza posa, incantata,
una mano su un cuore
– ed era niente finanche l’eterno –
e l’addolciva e lo spaccava
fiore di neve su azzurro.

Stelle sul mio cammino,
e una scala mostrava e velava,
e tu, che pure velavi.

Ceri nel chiuso di una stanza,
alti sopra disumana speranza.

Speranza di ritorno
solitario a carpire volo d’affetto,
veloce abbaglio
che la mente perdona.

E chiuderò nell’ossessione incerta.

Simbolicamente il colore bianco

La maggior parte dei popoli antichi quando raffiguravano i punti cardinali, coloravano di bianco l’Est e l’Ovest, cioè gli estremi misteriosi dove il sole, l’astro del pensiero diurno, nasce e muore ogni giorno.

È un colore di passaggio della mutazione dell’essere secondo lo schema classico di ogni inizio: morte e rinascita.

Il bianco del tramonto ci introduce nel mondo lunare, freddo, guidandoci verso il vuoto notturno e la sparizione della coscienza.

Il bianco dell’alba è quello del ritorno, che riapre il cielo ancora senza colori ma carico di manifestazioni con le quali il macrocosmo è stato rigenerato durante la notte.

Ogni simbolismo del bianco va usato nei rituali, osservando la natura e su questa base tutte le culture umane hanno edificato sistemi filosofici e religiosi.

Il pittore W. Kandinsky diceva che il bianco è un non-colore, costituendo un simbolo del mondo in cui tutti i colori, nella loro qualità materiale, si fossero vaporizzate.
Il bianco agisce sulle anime come un silenzio assoluto, che abbonda di vita.

Mircea Eliade sottolineava che il bianco è il colore della prima fase dell’iniziazione nei rituali, rappresentando la lotta contro la morte.

È il colore essenziale della saggezza, secondo i sofisti.

Essendo solare, il bianco diventa simbolo della coscienza diurna assoluta che tocca e tinge verso la realtà.

È il colore che si avvicina al dorato e questo spiega l’associazione di entrambi i colori sulla bandiera del Vaticano, volendo affermare l’impero di Dio cristiano sulla terra.

Adriana Iftimie Ceroli

Il Dispari 20190325 – Redazione culturale

Il Dispari 20190325

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La redazione | Editoriale

Giornata mondiale della poesia a Roma con Paola Valori, Mariapia Ciaghi, Adriana Ifìtimie Ceroli, Il Dispari, DILA e i progetti artistici Made in Ischia.

In un’atmosfera di profondo amore per l’arte, Paola Valori affabile “padrona di casa” piena di attenzioni tese a rendere piacevole la serata agli ospiti dell’evento, e Mariapia Ciaghi intraprendete editrice ed organizzatrice di avvenimenti culturali di valenza internazionale, hanno aperto le porte della galleria Micro in Roma ad una suggestiva celebrazione della giornata mondale della Poesia istituita dalla XXX Sessione della Conferenza Generale Unesco nel 1999 e celebrata per la prima volta il 21 marzo seguente.

La data, che segna anche il primo giorno di primavera, riconosce all’espressione poetica un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo e della comprensione interculturale, della diversità linguistica e culturale, della comunicazione e della pace.

Con il titolo “Dissonanze: linguaggi e prospettive nella fotografia contemporanea” è stato sviluppato un progetto a più voci attraverso i nuovi linguaggi video e della fotografia di cinque fotografi, selezionati tra grandi maestri e giovano emergenti con opere di Claudio De Micheli, Sergio Silvestrini, Carlo Maria Crespi Perellino, Gianni Boattini e Alessandro Pizzo.

L’esposizione, curata da Paola Valori per le iniziative di Micro, in partnership con la casa editrice Il Sextante di Mariapia Ciaghi, che ne edita il catalogo, come punto di partenza comune, approfondimento e riflessione sul contemporaneo, ha fatto parte del Mese della fotografia, accogliendo un doppio evento per celebrare il giorno internazionale della Poesia con la partecipazione di voci internazionali quali il poeta e scrittore spagnolo Joan Barcelò, il poeta e scrittore inglese David Wilkinson, il poeta ischitano Bruno Mancini, la poetessa bulgara Anna Maria Perrova Ghiuselev, la poetessa romena Adriana Iftimie Ceroli, per concludersi con una performance su “Baudelaire, e la madre Caroline” di e con l’intesa e professionale padronanza scenica dell’attrice Federica Bassetti.

L’arte fotografica, l’arte teatrale e l’arte poetica sono state garbatamente e competentemente introdotte ed illustrate dal giornalista Aldo Forbice e della saggista Caterina Dominici.

Non è mancato un chiaro riferimento alla seduzione che riesce a sprigionare l’isola d’Ischia rendendo la sua insularità simile ad un microcosmo vibrante di proprie indefinibili caratteristiche fascinose ed ammalianti.

Con i saluti da parte di tutta l’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” ed i ringraziamenti al quotidiano “Il Dispari”, diretto da Gaetano Di Meglio, per l’appoggio divulgativo che rende possibile tramite l’affidamento alla nostra redazione della pagina culturale pubblicata ogni lunedì, sono state distribuite in omaggio agli spettatori ed agli artisti presenti in sala alcune decine di copie sia della rivista Eudonna edita da Il Sextante, sia delle antologie pubblicate in occasione dei premi “Otto milioni” e sia di varie edizioni del giornale “Il Dispari” riportanti cronache e notizie dell’incontro.

Joan Barcelò e Adriana Iftimie Ceroli hanno riempito di pathos le proprie esposizioni leggendo alcuni brani tratti dai loro volumi poetici, mentre una seducente dama in rosso, l’attrice Chiara Pavoni, ha completato le presentazioni degli altri autori leggendo alcune loro poesie.

Come ad ogni festa che si rispetti non sono mancate le “bollicine” offerte, insieme ad un gustoso assortimento di stuzzicanti tartine, dall’azienda vinicola “Anna Spinato” produttrice di vini bianchi, rossi e frizzanti che hanno un loro top nel DOCG Valdobbiadene prosecco, vero gioiello della provincia di Treviso.

Tutta la serata è stata trasmessa in diretta da Aracne TV living che, nata dall’intuizione e dalla tenacia dell’editore Gioacchino Onorati per documentare i convegni e le presentazioni dei libri, è ora in una fase di grande sviluppo e sarà presto visibile anche sul digitale terrestre

https://www.facebook.com/AracneTv/videos/2197455627172850/

Tra gli spettatori -sappiamo che c’erano molti volti noti del mondo della fotografia e della letteratura- abbiamo riconosciuto Maria Luisa Neri (presidente dell’Associazione “Arte del suonare”, già più volte presente a Ischia con le sue proposte musicali tra le quali è degna di menzione quella indimenticabile del violinista Giulio Menichelli nel Museo del Mare) e Assunta Gneo scrittrice, poetessa, recensita su questa pagina lo scorso 18 Febbraio da Angela Maria Tiberi.

Qui di seguito vi proponiamo le due poesie di Bruno Mancini che l’attrice Chiara Pavoni ha scelto dalla raccolta “Promo uno” per leggere in sala.

Dalla raccolta “Erotismo, sì!”
Il brivido più lungo

Ti vedo seduta ogni giorno.
Una mano gingilla tra i riccioli
accarezzandoti la gola.
Il cavalletto attende le curve le tinte le forme.
A volte una coda di auto rallenta il percorso del bus.
Ed io ti guardo fremere per un attimo più lungo.

Ti voglio sdraiata una notte.
Una mano gingilla sul mio petto
accarezzandomi innocente.
Il calice attende le bollicine dello sballo.
A volte un sorriso ferma del tutto il tempo,
ed io ti guardo nuda, prima del brindisi più lungo.

Tunnel dietro la curva.
Un attimo e tu già mostri
avvinto il prima con il dopo.
Il buio mescolerà per noi il sogno e la realtà.
A volte, stavolta, vincente è la passione,
e tu m’inviterai al brivido più lungo.

Dalla raccolta “La mia vita mai vissuta”
Volteggio

Volteggio
con un tutù che non mi dona
-il rosa pallido del tulle e le scarpette bianche-
seguendo
melliflua sdolcinata
sviolinata
“Oh, com’è bello il ballo del mio cigno!”.

Intanto
il vento di ponente
ha sbrindellato stoppini e maschere,
sconvolge e ricompone,
superbo,
nel moto andante-maestoso
sipari-nuvole
di stelle e di galassie.

Ho smesso d’essere clessidra,
ma non sarò batacchio in dondolo
per indicare l’ora di un cucù.

Galleria fotografica

Video

Il Dispari 20190318 – Redazione culturale

Il Dispari 20190318

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“Promo uno” di Bruno Mancini – Terza puntata

Dando seguito a quanto è già stato pubblicato il 15 febbraio e l’11 marzo sulle colonne di questa pagina, continuo oggi a pubblicare, in anteprima, tutte le poesie inserite nel mio volume “Promo uno”.

Poiché in “Promo uno” propongo in ordine alfabetico un florilegio di 52 poemi tratti da tutte le raccolte pubblicate (Davanti al tempo – Iª edizione 1964; Agli angoli degli occhi – Iª edizione 1966; Segni -Iª edizione 1988; Sasquatch – Iª edizione 2000 ISBN 9781445220161; La sagra del peccato – Iª edizione 2006 ISBN 9781446187777; Incarto caramelle di uva passita – Iª edizione 2007 ISBN 9781326738006; Non rubate la mia vita – Iª edizione 2008 ISBN 9781409233848; Io fui mortale – Iª edizione 2010 ISBN 9781326785390; La mia vita mai vissuta – Iª edizione 2013 ISBN 9781291629972; Non sono un principe – Iª edizione 2014 ISBN 9781291664447;) userò lo stesso criterio alfabetico nella determinazione dei testi da pubblicare di volta in volta su questa pagina.
Buona lettura
Bruno Mancini

Dalla raccolta “Agli angoli degli occhi”
Agli angoli degli occhi

Agli angoli degli occhi
sotto pigrizie amiche
prepara a morte
nostalgia.
Passa più parti
lampo di tempo indietro
indietro secoli
e sempre come sempre.
Cambia
se non adesso
a morte.
Alla viola nasce il pensiero
e posso ancora muovermi
venirti accanto
e senti la corteccia
vecchia e inutile

Dalla raccolta “Agli angoli degli occhi”
Bagna la pioggia di un’ora tarda

Bagna la pioggia di un’ora tarda
i giorni dell’estate.
Tardo a venirti incontro
e non mi scuote
l’odore più bello della polvere
la mia polvere bagnata.
Attendo il sonno
più lungo di luce
che mi conquisto sperando motivi,
tante parole,
vissute molto in fretta
alla luce dei neon
e delle immagini riflesse.
Se giunge un canto
se giunge una goccia.
Se cerco un nome
almeno quello dammi
come io ti do.

Dalla raccolta “Sasquatch”
Berenice e i suoi dilemmi
Uno spunto dalla tragedia “Berenice” di J. B. Racine

M’attende
stanotte il mio domani,
mantice di fisarmonica regina
nella balera dove m’invito,
ostico astante.
a dare una misura alla mia sete.

M’appare
irriguardoso senso di memoria
di lei, l’altra bugiarda,
che andava in altalena,
morbosa perversione,
sui miei perdoni inammissibili.

M’accosta
d’ingannatrice residuo lembo
vagheggiato teorema di improbi sigilli
mortificante effimera dolcezza
divaricata sintesi
risucchio d’anime.

M’oltraggia
ludibrio inaccettabile,
Polinice in pasto ai cani
ed io sarò d’Antigone la sabbia.
Modello la visione onirica
e lascio Berenice ai suoi dilemmi.

Non canto e non sorrido.

Aspetto l’alba sveglio.

Dalla raccolta “Agli angoli degli occhi”
Brulichio

Brulichio di tante palline
buttate a caso insieme per terra.
Come fai a parlarmi?
Quel fiore che vive una notte
per ogni
cent’anni.
Come fai a parlarmi?
Ricordarmi qualcosa.
A quest’ora. A quest’ora.
La pelle ubbriacata
come s’ io stessi ancora
ad ungerla di gin
nell’ombelico vuoto piccola coppa,
e a grande mano
stendessi al seno,
al collo.
Girati.
Tutta la schiena
e natiche.
Piuma.
Sulle montagne
un forte vento di neve
ha ricoperto gli alberi.
Come fai a parlarmi?
Quella tua lunga verginità
presa in due ore
su un letto di tovaglie.
Brulichio di tante palline
buttate a caso insieme per terra…

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Simbolicamente l’isola: Ischia.

È un eccellente simbolo del centro spirituale primordiale.
Ci si arriva soltanto volando o sull’acqua.

Omero parlava della Siria primitiva la cui radice è la stessa di Surya, il nome ascritto del sole, ed era un’isola centrale o polare del mondo.

Può essere identificata con Tula iperborea o la Thula greca, etimologicamente ritrovata dagli aborigeni dell’Atlantide.
Thula si scopre anche nei miti indiani, cambogiani: è l’isola bianca dei felici.

Secondo i musulmani, il paradiso terrestre si trova in un’isola di nome Ceilon, e Zeus è originario dall’isola sacra Minas, la patria dei misteri.

Un’isola centrale dal punto di vista religioso è citata nella Ricerca del Santo Graal.

Lì sarebbe situato un tempio nel bacino quadrato del lago Anavalapta.

Si dice che questo posto faccia guarire le malattie del corpo e della mente.

I celti hanno sempre rappresentato l’altro mondo e le meravigliose rive al di là delle navi irlandesi sotto forma di isole situate al ovest o al nord del mondo.

Le divinità irlandesi delle tribù della dea Diana sono arrivate sulla terra portando alcuni talismani magici e le quattro isole del Nord del mondo, mentre l’Irlanda, con la sua provincia centrale, Meath (colei di mezzo) è anch’essa un’isola divina.

Sembra che la Gran Bretagna fosse l’isola per eccellenza, secondo i racconti di Cesare e i testi irlandesi.

Pare che li vi andassero i druidi per cesellare e completare le conoscenze sulla sacra scienza e per rafforzare la dottrina ortodossa.

La psicanalisi moderna ha sottolineato, specialmente, un lato essenziale dell’isola: il fatto che essa evoca un rifugio.
La ricerca dell’isola da scoprire, o sconosciuta, o ricca di sorprese, è una delle tematiche fondamentali della letteratura, dei sogni e desideri.

Gigi Sabani soffriva della psicosi dell’isola.
Non vi andava mai perché non si sentiva al sicuro.
Gli mancava la terra ferma.
Gli dava il senso della claustrofobia.

Adriana Iftimie Ceroli

 

Una vera amazzone della cultura italiana: Assunta Gneo, nuova amica del quotidiano “IL Dispari”.

Assunta Gneo è una donna capace di trascinare con le sue opere, tanto da cambiare la rotta del lettore, perché lo invita a lottare senza tregua e senza paura di raggiungere i suoi obiettivi, come fanno le protagoniste dei suoi libri “Tira fuori l’anima” e “Si chiama Vittoria” che riescono a vincere le loro difficoltà grazie anche alla presenza delle loro nonne sapienti e caparbie.

Nella vita, Assunta Gneo ha saputo cambiare il suo stile di vita e in varie interviste ha raccontata la sua storia.
Alla discussione della sua prima laurea in ostetricia – Assunta ha ben quattro lauree! – giovanissima, venne apprezzata da un professore medico che immediatamente le diede un incarico professionale.

Da quel 110 e lode ha fatto nascere oltre mille bambini con gioia.

Ha avuto essa stessa due figli.

Sono passati diversi anni durante i quali ha coltivato sempre la passione per lo studio e diverse attività di volontariato.
Lei dice: “Dobbiamo volare alto, lontano dalle invidie, dalla cattiveria, dalle gelosie, dalla distruttività che schiaccia a livello emozionale e anche fisicamente. nel fare, nel partecipare, nell’esserci.
La protagonista del suo libro “Tira fuori l’anima”, Luce, è un inno alla resistenza attiva che muove la forza interiore, quella che ti permette di reagire e vivere serenamente nonostante le ferite, gli ostacoli terribili della vita.

Chiedo all’autrice:

D- Questa storia sincopata, forte, dolorosa ma colma di positività e speranza, è autobiografica?.
R- “Ho scritto la storia di Luce perché ho voluto dare valore al mio quotidiano.
Pur mantenendo il mio matrimonio, i miei figli, il mio impegno professionale e personale come servizio per gli altri, ho desiderato arricchire la mia vita di una nuova soddisfazione, di cose belle.
Per questo m’impegno ogni giorno, senza mollare niente.
Le batoste che insegnano l’arte del vivere a Luce vogliono dire alle donne che non dobbiamo sopportare un’esistenza al limite ma dobbiamo lottare, cambiare strada e affrontare il buio, se necessario.
Questa storia è per me, per tutte le donne, alcuni episodi sono autobiografici, altri di fantasia, altri ancora sono capitati a persone conosciute.
Vedo persone andare in terapia, senza trovare pace, perché non ce la fanno ad affrontare la realtà, a spezzare le catene emotive che le costringono a vivere ogni giorno eventi passati dolorosi che le inchiodano ad un’esistenza difficile.
Luce ci insegna a fare punto e a capo.

D- Quest’esperienza di scrittura ti ha portato tante amicizie?
R- “Sì, decisamente. La passione per le cose belle e per la cultura mi hanno spinto, insieme all’amico poeta Giovanni Rotunno, a creare un gruppo che viene ospitato, grazie alla generosità della direttrice, dott. Manuela Francesconi, ogni prima domenica del mese, al Museo Terra Pontina, in un crescendo di musica, poesia, letteratura, politica, giornalismo, arte pittorica, passato e partecipazione di pubblico. Sono momenti di gioia, di soddisfazione, di co-ricerca del bello. Nella mia vita è a 360 gradi. Intorno a me, e trovo molta gioia nei momenti di consenso ai quali non mi sentivo preparata. Ricevere attenzioni e affetto è bello.”!

Angela Maria Tiberi

DILA

NA10 – Angela Maria Tiberi – Debutto in teatro

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NA10 – Angela Maria Tiberi – Debutto in teatro

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Debutto in teatro

Nino avvertì il padre di essersi sposato e si recò in Sicilia con la sua bella Gianna.

Gianna e Nino ritornarono a Roma e nel 1952 nasce una bella bimba, Carmen, dal nome della mamma di Nino, in una clinica di Monte Verde.

Da Enza conobbero una bella famiglia torinese e la signora aiutava Gianna a crescere la bambina visto che loro non avevano figli.

Nino continuava a lavorare nei campi e prendeva lezioni di canto dal maestro Ennio Marcantoni, per la dizione da Antonella Rinaldi, e dal regista Sheroff, così si perfezionò alla scuola di Santa Cecilia.
Nel 1953, Nino partecipò al “Concorso di Spoleto”.

Le audizioni si davano al teatro dell’opera di Roma e fra i membri di giuria c’era il grande maestro Beniamino Gigli che aveva una grande stima di Nino.

Durante il concorso Nino interpretò: “Che gelida manina, Recondite armonie, Celeste AIDA, L’addio alla mamma della cavalleria rusticana, L’aria dai Pagliacci, Vesti la

giubba” e fu un vero trionfo.

Il maestro era presente e si commosse per l’esito di Nino.

“Nel campo della lirica, il maestro conosceva tutte le regole per educare la voce.
La voce è un dono di DIO!
Poi sta all’uomo saperla giostrare, rendendola gradevole, dolce ed espressiva all’ascolto degli altri.
Questo si ottiene con anni di studio, guidato da un buon maestro come Ennio Marcantoni, un settantenne, ex direttore d’orchestra”,

raccontava Nino nel suo libro.

Nino vinse e cantò al teatro di Spoleto insieme ad un cast di artisti affermati tra cui la Renata Tebaldi.

Il teatro era stracolmo e si sentì in prima fila la voce della sua bambina che lo chiamò: “Papà, papà!” e tutti applaudirono lei e la bella Carmen che era lì presente, emozionata.

A Nino l’immagine di quella serata era ancora impressa nella mente e, chiudendo gli occhi, mi raccontava che la sua bambina era una bella bambola bionda con il vestitino di organza e stava in piedi su una sedia a vedere il suo papà cantare.

Nino ricordava la voce possente della Tebaldi che, unita alla sua e all’acustica del teatro, faceva tremare il lampadario del teatro di Spoleto.

C’erano applausi e strilli.

“Alzavo gli occhi e vedevo la mia bimba Carmen che applaudiva con le sue mani e diceva: Pà! Pà! Pà!”,

grandi emozioni che mi raccontava Nino quando lo ascoltavo a casa sua, anziano, seduto sulla sedia con gli occhi lucidi per l’emozione.

Ora, cari lettori lo dico a voi, ascoltate la sua voce possente, perché non è giusto dimenticarla.

Nino aveva successo, ma pochi soldi, perché gli impresari sono dei mercanti usura.

Fra tanta gente che entrava nel suo camerino desiderava la sua Gianna che faceva i suoi ultimi ritocchi, un bacino ed in bocca al lupo e poi sul palco.

Trasmetteva al suo uomo forza e sicurezza.
Il pubblico era diviso in due parti il pubblico mondano occupato al suo sfarzo e il loggione “popolano” che si occupava di come era andato lo spettacolo.

Nino dentro il suo cuore cantava per il loggione costituito da uomini semplici come lui.
Nino raccontava che più alti erano i ranghi e più c’era un sottofondo odoroso come una puzzola infuriata.

Era la fine del 1954 e Nino fu contattato per il Rigoletto al teatro San Carlo di Napoli, accettò la parte del Duca di Mantova, personaggio simile al suo carattere: bello, possente e bizzarro.

Lo spettacolo si concluse in grande trionfo.
Durante la stagione furono fatte sei rappresentazioni, per ognuna delle quali già due settimane prima era tutto esaurito.
Tutto andò alla perfezione.

“Da buon siciliano quell’opera la vivevo ovunque la rappresentassi, passavo alla storia, peccato che allora non esisteva la diffusione della televisione, ne Rai, solo giornali.

Non posso documentare niente perché in un attimo di sconforto e di follia distrussi tutto.

Testimoni sono io, Gianna e DIO.

Questo periodo durò un anno e mezzo, ma rimpiangevo Sferro, la mia gente umile e semplice.
Mi sembrava di vivere in una foresta in mezzo alla ferocia umana, tutti cercavano di sfruttare le situazioni, nessuno faceva niente senza una propria convenienza.”

Nino, raccontava sconvolto, nonostante fossero passati molti anni da quel brutto episodio che lo convinse ad abbandonare il mondo dello spettacolo per rimanere integro ai suoi eccelsi valori di vita.

“Mi fece una grande accoglienza e, rimasti soli, ci siamo seduti vicini e mi disse: Adesso sei contento? allungando una mano dove non doveva, io, di rimando veloce, gli affibbiai un bello schiaffone.
Di colpo mi alzai e gli dissi: Polpo! Fituso! Finocchio e Cornuto! e scappai via e così finì il cinema”.

Nino ricordava che anche i grandi come Di Stefano, Corelli, Antinori subirono questi ricatti e si ritirarono a vivere di lezione di canto.

Angela Maria Tiberi

NA10 – Angela Maria Tiberi – Debutto in teatro

NA09 – Angela Maria Tiberi – Ritorno alla terra

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NA09 – Angela Maria Tiberi – Ritorno alla terra

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Ritorno alla Terra

I parenti di Nino non leggevano i giornali e così non potevano venire a conoscenza del successo e dell’abbandono della lirica.

La mamma scriveva a Nino delle avventure del padre con le donne e del suo successo di venditore di arance con lo zio Benedetto.

Il padre si invaghì di una bella donna milanese e le mandava arance senza che gliele pagasse, ma presto si verificò un danno di duecento milioni di lire scoperte e la contemporanea sparizione della bella donna.

Fu costretto a vendere tutto il patrimonio e prese un’azienda in affitto, ma la mamma non lo seguì rendendosi indipendente con il ricamo.

Il padre scrisse a Nino di ritornare a Catania insieme a Gianna e alla bimba, affermando che avrebbe smesso di seguire le donne.

Il giovane fiducioso si mise a lavorare i campi ma, poiché tutto il ricavato lo teneva e lo gestiva il padre, Nino andò a lavorare presso terzi ricevendo molta stima.

Il 14 settembre 1956, a casa della mamma, a Nino nasce il figlio Salvatore.

Gianna era bellissima tra le lenzuola ricamate, e tutti gli amici andarono a trovarla e a rendere onore alla sua famiglia.

Il lavoro andava a gonfie vele e il Barone Ricca gli affittò il suo feudo, visto che era molto anziano.

Ma la produzione fu rovinata dal gelo (molti contadini si suicidarono) e Nino ebbe anche la brutta sorpresa di trovare il trattore rovinato dall’acido muriatico.

Non si perse di coraggio perché la principessa Pignatelli lo aiutò, ma anche lì un operaio invidioso distrusse il trattore di Nino, il quale, infuriato per il danno subito, lo picchiò mandandolo in ospedale, ma i testimoni lo difesero.

Nino continuò a lottare facendosi coraggio e riprese a lavorare i campi finché il 6 dicembre 1958 nasce Giorgio e poco dopo ritorna a Roma per cercare lavoro.

Finalmente lo trova a Casalotto, fuori Roma come autista del pulmino SITA e apprende la notizia della morte di Mario Lanza.

Una sera Nino si mise a cantare “O sole mio” perché era stato invitato alla cena dal compare di Carmen.

Era stato tutto escogitato per farlo ritornare a cantare presso la R.C.A. proseguendo il programma di Mario Lanza.

Passano alcuni giorni e tutta la famigliola venne invitata a un ricevimento della casa del fratello di Gianna, architetto, perché volevano ascoltarlo, ma nessuno suonava il pianoforte.

Nino andò a prendere in macchina il registratore, senza coprirsi, faceva molto freddo e si ammalò.

Non riusciva a guarire dopo lunghi mesi e, preso dallo sconforto bruciò tutti i suoi ricordi nella stufa accesa in quanto il destino era stato crudele con lui.

La R.C.A. fu clemente con Nino perché lui restituì l’anticipo e ritornò in Sicilia con Gianna e i bambini.

Angela Maria Tiberi

NA09 – Angela Maria Tiberi – Ritorno alla terra

NA08 – Andrea Giostra – Donna vita

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NA08 – Andrea Giostra – Donna vita

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Donna Vita

Dopo una settimana che mio nonno Andrea era tornato in paese dalla sua famiglia, ci pensò un poco per dirglielo a sua moglie quello che gli doveva dire.

Era sicurissimo che sua moglie gli doveva dire di sì.
Sicurissimo.

Tutto contento rifletté su quali parole semplici doveva usare.

Doveva andare da sua moglie in cucina per dirgli che entro un mese si dovevano preparare con tutta la famiglia, coi bambini Pinu e Benito, che dovevano tornare tutti insieme in Australia che là la bella vita dovevano fare.

Facile, facile era quel discorso da fare a sua moglie nella testa di mio nonno Antria.

A Sidney c’era una famiglia che li aspettavano tutti quanti.

La famiglia dove mio nonno Andrea aveva lavorato nell’ultimo periodo della sua detenzione in Australia.

Ci lavorava dopo che il pomeriggio aveva pulito e chiuso il forno.

Dava da mangiare agli animali della fattoria di Mister Taylor, e puliva le stalle.

Ci lavorava fino all’ora di cena quando Miss Taylor suonava la campanella attaccata accanto alla porta d’ingresso della bellissima villa su quel terreno verde e rigoglioso, per avvertirlo che era l’ora di mangiare tutti insieme nella grande tavola della sala da pranzo al piano terra.

Sentito il campanellio, mio nonno Andrea aveva tutto il tempo di andare nella casetta degli attrezzi, fare una doccia veloce, cambiarsi, allisciarisi i capiddi e i baffi, e recarsi in casa Taylor per sedersi a cena con tutti loro.

Bravissimi erano i signori Taylor, mi diceva mio nonno.

Avevano tre figlie femmine.

Ma mai mi disse qualche cosa di queste tre ragazze.
Mai niente.
Proprio niente.
Muto come un pesce.

Io qualche volta, quand’eravamo soli, gli chiedevo.

– Nonno, ma con le figlie di Mister Taylor niente ci hai fatto?
Mi guardava negli occhi e mi diceva…
– Andrea, prendi quella pala e aiutami a togliere questo concime dalla stalla.

– Nonno, ti ho chiesto delle tre figlie di Mister Taylor. Niente ci hai fatto? Belle erano? Com’erano?

– Andrea, la finisci con queste domande? Prendi la pala e aiutami. Lo vedi quanto concime c’è? Aiutami che tardi è, e a momenti fa buio.

Mai una parola uscì dalla sua bocca.
Solo una volta, non so per quale motivo, mi disse che erano tre ragazze giovani e una più bella dell’altra.

Bellissime da sentirsi male…
-Tre femmine troppo belle erano, Andrea. Troppo troppo belle.

Solo questo mi disse. Null’altro.

Sono sicuro che a mia nonna Vita niente le aveva detto delle tre figlie del signor Taylor.

Solo io sapevo di quelle tre bellissime ragazze australiane.
Mia nonna niente.

Ma a una donna non serve che si dicano certe cose.

E mia nonna Vita, anche se lui non le aveva mai detto nulla, tutto aveva capito.
Gli leggeva nella mente.

Lo guardava negli occhi e senza che mio nonno parlasse, lei capiva tutto.
Come se leggesse un libro aperto.
Come se leggesse dentro il suo cervello, dintra a so’ mirudda.

Dopo una settimana, dicevamo, mio nonno Andrea, finalmente trovò il coraggio e la forza di parlare con mia nonna Vita per dirle quali erano i suoi progetti per la famiglia.

Una settimana nella quale aveva raccontato a tutto il paese della bella vita che aveva fatto per sette anni a Sidney.

Una settimana nella quale aveva detto com’era stato bene per sette anni.

Una settimana nella quale aveva raccontato che per sette anni aveva mangiato e bevuto a tinchitè.

Una settimana nella quale aveva parlato della famiglia Taylor come di un nuovo padre e di una nuova madre.

Senza togliere nulla a suo padre Mastru Piddu u’ sciancatu e a so’ matri donna Rosa a furnara, ovviamente!

Fu così che si presentò davanti a mia nonna Vita.

Lei era bella tranquilla in cucina che stava facendo ricamo.

Mio nonno si avvicinò e le disse quello che le doveva dire.

Mia nonna Vita, dopo sette anni che s’era presa cura insieme a sua sorella Nina dei due figli, del suocero, della suocera, e di sua madre allettata, appena sentì pronunciare quelle parole, prese il bastone della scopa che aveva accanto, e cominciò a dargli legnate in testa che non la finiva più.

Mio nonno, prima rimase pietrificato, poi cominciò a correre per tutta la casa.

Correva a destra e a sinistra, a destra e a sinistra, e mia nonna colpiva, colpiva, e lui correva gettando voci…

– Vita, ma chi minchia fai? Finiscila! Finiscila!

Ma mia nonna Vita non si fermava più.

Legnate in testa, nelle gambe, nelle braccia, nella schiena, dappertutto.
Mai mio nonno Andrea aveva preso tutte quelle bastonate.

Continuava a scansarsi e a scappare, a destra e a sinistra, per tutta la casa.

Fuori dalla casa non poteva scappare per non far ridere tutte le persone del paese.
Poteva solo scappare e scansare il bastone della scopa.

E mia nonna colpiva con tutta la forza che aveva.

Legnate in testa, nelle gambe, nelle braccia, nella schiena, dappertutto.
Fino a quando, dopo averlo massacrato di legnate, si stancò e non ebbe più la forza di colpirlo.

La febbre gli venne a mio nonno.
Una settimana coricato a letto rimase.

Tutto indolenzito era.

Dolori dappertutto.
Tutto il paese sapeva che gli era venuta una febbre forte, potente, strana.

Andrea Giostra

NA08 – Andrea Giostra – Donna vita

NA07 – Andrea Giostra – Mastr’Antria

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NA07 – Andrea Giostra – Mastr’Antria

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Mastr’Antria

La mattina presto all’alba, all’età di settantacinque anni, si alzava, si radeva la barba, prendeva il caffè, e a piedi, a passo spedito da bersagliere dell’ultima grande guerra, si recava all’ufficio delle Poste di Giardinello.

Erano cinque chilometri dal suo casolare di campagna.

I primi di ogni mese ritirava la sua pensione di combattente della guerra dell’Impero Romano del Duce per la conquista di Tobruch.

Casolare di campagna si fa per dire, perché da anni, con la nonna Vita e la zia Nina, lì s’erano trasferiti a vivere, a contatto con la vita agreste e con tutti gli animali domestici di quella che ai miei occhi di picciriddu appena rientrato dalla Svizzera, appariva come una giuliva fattoria popolata di cani, gatti, asini, conigli, pecore, capre, maiali, pavoni, tacchini, galline, gallinelle, galletti, tortorelle, piccioni, colombe, insomma, una specie di zoo dei divertimenti era per me quando andavo in campagna da mio nonno a Bonagrazia.

Mio papà, Mastru Pinu u’ finu, come lo chiamavano tutti in paese, perché era un mastro muratore di grande precisione e di raffinato stile artigianale, mi ci portava sempre, ed io felice ero.

Stavo lì a giocare tutto il tempo, anche se c’era il sole cocente e la temperatura arrivava fino a quaranta gradi all’ombra che bruciava l’erba.

Ai grandi toglieva il respiro, ma a noi picciriddi niente ci faceva.

Mia nonna Vita, dalla sua piccola cucina a piano terra che faceva angolo col viottolo d’entrata della fattoria, spostava la tendina a catenelle di plastica dura di tanti colori vivaci che suonava come uno strumento a campanelle, girava lo sguardo che usciva appena dalla frescura della casa per non prendere caldo, guardava a destra, poi a sinistra, mi puntava e diceva…

– Andrea, non ne senti caldo? Entra un pochino e mettiti qui con me all’ombra.
– No, nonna, non ne sento caldo.
– Va bene, fa quel che vuoi allora, gioca e stai attento.

E calando la tendina per non far entrare le mosche che lì erano a migliaia, si ritirava nel suo cucinino a preparare qualche leccornia, a ricamare o a rattoppare calzini.

Io continuavo a giocare in mezzo agli alberi di ulivo, di arancio, di mandarino, di limone, di mandorle, di prugne, di melograno, di pesche gialle, di pesche montagnola, di albicocche, di pino, di palme, di banano… sì, di banano, perché mia nonna Vita anni prima aveva piantato una piantina di banano e questa grande era diventata.

Le banane le faceva per davvero e a caschi pieni pieni, ma non erano banane da mangiare.

Mia nonna Vita, quand’erano belle gialle e mature, le raccoglieva e le dava ai conigli e alle capre della stalla ricavata sul lato destro della casa che mi ricordo aveva una mangiatoia lunga lunga per gli asini, per i muli, per la mucca, scavata a conca nella roccia viva.

Uno dei miei giochi preferiti era quello del fucile a piombini ad aria compressa.

Mio nonno Andrea me lo dava tutto contento perché suo nipote primogenito a sparare bene doveva imparare.

La prima volta che me lo diede mi raccomandò come dovevo impugnarlo, come dovevo mirare e come dovevo sparare alle lucertole che ferme come le statue si prendevano il sole sui muretti di cemento del vialetto che dalla strada comunale portava alla grande terrazza del casale.

Io i suoi consigli li seguivo sempre, stavo attento e mi impegnavo per sparare bene.
Prendevo il fucile a piombini, lo poggiavo con cura sulla spalla destra, poggiavo la guancia destra sul calcio in faggio, puntavo attraverso il minuscolo foro del mirino la lucertola immobile sul muretto, tiravo il grilletto, e nello stesso momento che sentivo il botto sordo dell’aria compressa che mi colpiva la scapola, ammiravo la coda verde squamosa che si rotolava come una trottola, una nuvoletta di polvere, e la lucertola che come un’anguilla, spariva.

Un colpo solo aveva il fucile a piombini e io mai la presi una lucertola.

Solo la coda che si rotolava sul muretto di cemento grigio vedevo.

E ogni volta a bocca aperta rimanevo.
Le lucertole era più facile prenderle con il filo di disa.

Anche questo me lo aveva insegnato mio nonno Andrea.
– Andrea, guarda come si prendono le lucertole.

Strappava un filo di disa dalla macchia cespugliosa, faceva un piccolo cappio nella punta sottile, si avvicinava quatto quatto alla lucertola che tranquilla tranquilla era spiaccicata sotto il sole a quaranta gradi, con precisione gli infilava il cappio in testa, e lesto lesto tirava il filo di disa.

La lucertola impiccata si ritrovava sospesa come sollevata da una grande gru della Lego.

Cominciava ad attorcigliarsi su sé stessa e nonno Andrea mi diceva:

– L’ho presa! Lo vedi come si fa? La vedi la lucertola com’è nervosa? Che vuoi fare? La
vuoi guardare? La vuoi prendere? Oppure la lasciamo scappare?

Gli prendeva la testolina rettangolare tra l’indice e il pollice della mano sinistra, con la destra la teneva sollevata con il cappio di disa, e me la passava.

– Accarezzala, accarezzala, Andrea.

Io a dire la verità, la prima volta mi schifai.
Non la volevo toccare.

Andrea Giostra

NA07 – Andrea Giostra – Mastr’Antria

NA06 – Liga Sarah Lapinska – Fiaba Rossa

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NA06 – Liga Sarah Lapinska – Fiaba Rossa

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Fiaba rossa

Un giovane commerciante di nome Ba meditava accanto ad un ruscello scintillante e si interrogava sull’amore che associa, una donna a un uomo o un uomo con un uomo, una volta nella vita.

Una rispettabile vedova Phan era intelligente e virtuosa, quindi Ba era curioso di visitarla e le offrì un affare.

Il suo giardino si può decorare di più con le torce argentate e le lampade.

Rispettabile Phan era d’accordo.
Il suo costume di seta nera è costosissimo, ornato di aironi bianchi, ma tra le vignette di fiori multicolori era cucita, con fili d’argento semisommersi, una nave che sta affondando.

Il suo viso, la sua siluette?
Non importa, se lei si può permettere d’avere il giardino lussuoso e gioielli del prezzo di due, tre piccoli atolli nell’oceano dell’India.

Poi Ba cercò una taverna, Kuan in Vietnam, per sdraiarsi fino al mattino.

Sulla scala sedeva un vecchio magro dalla barba candida e lunga.

Accanto aveva una borsa rossa. Nell’oscurità della luce perlacea il vecchio lesse un pesante libro che teneva sulle ginocchia.

– Che cosa leggi?

– Il libro dell’Amore , – disse il vecchio.

E cosa c’è in quella borsa rossa? Oro o argento?

– Aspetto che tu sia qui perché so quali pensieri ora vengono presi dal tuo cervello.
Questa borsa contiene più di tutto l’oro e l’argento insieme.
Fili rossi con cui io, il Dio dell’Amore, lego due eletti, sposa e sposo.
Niente può rimpicciolire la vita con cui connetto due cuori, senza equivoci, senza lungo divorzio, senza morte.

Se qualcuno scioglie questo nodo da solo, fa male a se stesso e agli altri eletti come nessuna afflizione terrena e nessuna aperta ferita.

Ma poi questo nodo, come un anello, cerca di nuovo gli eletti e i due che ho legato si troveranno di nuovo l’un l’altro.
Inevitabilmente.
Meglio nei giardini di questo mondo, in modo che non ci si cerchi l’un l’altro nell’altra vita.

Nessuno degli universi che conosciamo esisteva prima della nascita del Tempo.

Non ho intenzione di parlarti di quale sia l’Uovo Cosmico da cui è nato il Tempo, e delle tue appiattite ali infuocate, e delle stelle nel cielo scintillanti stasera negli specchi ondulati dei ruscelli.
– Non mi sveli il grande mistero? Forse la vedova Phan è quella con cui mi hai legato?

– L’uomo di Phan era quel disperato che si è strappato la pancia, scoprendo che Phan lo tradiva e dormiva con i nemici di suo marito che sul divano si erano accordati su come umiliare il suo marito e uccidere i suoi amici giusti.
Tu sei tanto più fortunato.
Sono le donne leggere che hanno i rapporti con tanti.
Niente da criticare.

Invece, Phan non ama nulla, sottraendo se stessa e la sua proprietà legale.
La madre della tua sposa è Nama, la figlia di Chana che vende per strade le pipe e i souvenir, fatte da Nama, ancora ragazzina.”

Già il giorno dopo Ba incontrò per la prima volta la sua sposa, insieme a sua madre Chana, che offrì a Ba un talismano di carta bianca, dipinto da Nama, a buon mercato.
Ba rifiutava il talismano fatto di carta economica.

Gli occhi di Nama guardavano su verso quelli di Ba verdi scuri a mandorle, la sua faccia era filigranata come una bambola di porcellana, ma aperta per tutti i venti, non bianca.

Il cuore di Ba ha già capito tutto.

Però,la madre di Nama è una quasi mendicante, e Nama ha il vestito di cenci.
Un agente di Phan seguiva Ba.

Il giovane tornò a Kuan e, come per caso, lo aspettava lì.

Ba parlava con la spia del suo incontro con il Dio dell’Amore e di Nama.

L’agente di Phan credeva nel Destino, quindi contattò la sua signora Phana e prese in mano un lungo coltello.

L’agile Nama è fuggita, ma al suo mento è rimasta la cicatrice per il resto della sua vita.
Ba ha quasi dimenticato la profezia di Dio dell’Amore.
Nama divenne artista famosa, e aveva una seta su cui dipingere.
Il governatore della provincia apprezzava i talenti di Nama.
Non era nato governatore Bao sulla strada come Ba, era nobile che non voleva isolarsi dall’altra gente.

Ha invitato Nama nel suo palazzo come figlia insieme con la sua madre.

Ba, sperando di concludere un accordo, dal governatore incontrò la sua figlia, vestita in rosso, con un ventaglio con infilati i cigni d’oro e la nave che naviga a vele spiegate.

Nama raccontava la sua storia a Ba.

Come lei e sua madre Chana attaccarono l’assassino, e dopo al mento di Nama rimase la cicatrice.
La stessa storia a Ba, qualche tempo fa nel Kuan, la sapeva l’agente di Phan, certo, non accettando d’essere lui quel bandito.

Il Dio dell’amore è venuto al matrimonio di Nama e Ba, entrambi giovani hanno posto le loro mani in modo che il vecchio le avvolgesse con fili di lana rossi come regalo di nozze, simbolicamente: entrambi gli eletti dell’intrico erano legati dalla nascita.
Che fortunati!

Liga Sarah Lapinska

NA06 – Liga Sarah Lapinska – Fiaba Rossa